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il manifesto - 01 Dicembre 2002

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Surplus comunicativo

Arriva con l'Umts la videotelefonia portatile. Servirà davvero a capirsi
meglio?

FRANCO CARLINI

Nel lontanissimo 1964 il colosso telefonico americano At&t propose al
mercato un videotelefono; si chiamava PicturePhone e grazie a un piccolo
monitor, incorporato nell'apparecchio di casa o di ufficio, si poteva
vedere la faccia dell'interlocutore lontano e viceversa. Si rivelò un flop
clamoroso e la colpa principale venne attribuita all'alto costo e ai limiti
tecnici: allora le linee telefoniche non erano in grado di trasportare
abbastanza informazione e perciò le immagini arrivavano a scatti (come nel
cosiddetto videolento), generando un effetto del tutto sgradevole e
innaturale, peggio di quando Enrico Ghezzi parla in video desincoronizzando
la sua voce e le sue labbra. Oggi, quasi trent'anni dopo, H3G, l'operatore
di telefonia mobile che sta riempiendo le pagine con il suo nuovo marchio
(«Emozione con la forza di 3»), annuncia che sono aperte le prenotazioni
per dotarsi di telefoni cellulari di terza generazione (3G), con tecnologia
Umts. Certo i telefonini (detti anche «apparati utente») non ci sono ancora
in dosi adeguate, e la rete nazionale relativa non è ancora del tutto a
punto, ma intanto con «3» potete cominciare a sognare e il sogno che viene
proposto è, una volta ancora, la video telefonata, per di più mobile, nel
senso che piazzandosi l'oggetto davanti alla faccia si viene ripresi da una
microcamera (le meraviglie della miniaturizzazione lo consentono) e nel
monitor, piccolo ma non piccolissimo, si può vedere il volto dell'altra
persona.

Il genovese Vincenzo Novari, autore in passato di un vistoso flop con il
portale Omnitel 2000 e ora amministratore delegato di H3g, spiega così la
nuova eccezionale possibilità: «Io non riesco quasi mai ad andare a
prendere mio figlio a scuola. Pensate però se potessi dirgli bravo quando
ha fatto un buon compito di storia, guardandolo in faccia». A parte la
scarsa cura parentale che Novari dimostra, illudendosi che la tecnologia
possa supplire magicamente alla sua scarsa disponibilità verso la famiglia,
e lasciando perdere per ora le molte difficoltà tecniche che la rete di H3G
deve superare qualora milioni di persone si videotelefonassero in
contemporanea, dietro questa narrazione si cela un problema più profondo:
davvero abbiamo bisogno di vederci in faccia per telefonare? Davvero
apprezzeremo questa prestazione in più?

Chi pensa di sì sostiene giustamente che la gran parte delle relazioni tra
le persone avviene grazie al canale visivo, il quale è molto più ricco e
flessibile di quello vocale, il quale a sua volta è migliore di quello
puramente testuale. In altri termini: le parole scritte sono una grande
invenzione ma spesso non riescono a esprimere pienamente sentimenti e stati
d'animo. Se però vengono pronunciate, il contenuto puramente informativo
del testo si arricchisce di sfumature, toni di voce, pause e sospiri che
comunicano anche il non scritto e persino l'inconscio. Se alla voce si
aggiunge anche l'immagine, ecco che il linguaggio visivo rende ancora più
intensa la comunicazione: un silenzio accompagnato da una faccia perplessa
può dire più di tante parole e uno sguardo intenso, sempre silenzioso, è
sovente il primo innesco di una reciproca seduzione.

Dunque, seguendo questo filone di pensiero, più largo e ricco è il canale
di comunicazione, meglio è, e ben venga allora il videofonino, un termine
coniato di recente dalla stessa «3» per presentare in modo accattivante e
giovanile il nuovo servizio.

Ma nella comunicazione umana le cose sono sempre un po' più complicate che
nei modelli cibernetici: può capitare allora che non sempre noi umani
apprezziamo la pienezza della comunicazione; magari vogliamo mantenere
nelle nostre relazioni dei margini di ambiguità o di riservatezza; talora
per calcolo, talaltra per piacere o per gioco. Il telefono classico fisso o
mobile che sia, è così amato e apprezzato proprio perché consente una
comunicazione insieme ricca ma non totale: l'assenza del canale visivo,
inizialmente percepita come un limite, è divenuta nel tempo anche un
pregio. E tra i pregi c'è quello di attivare la fantasia, mentre l'immagine
pienamente nota non lascia spazio alcuno all'immaginazione. E' lo stesso
motivo per cui certamente si guarda volentieri la televisione per il molto
che dà, ma ciononostante si apprezza anche un dramma radiofonico, con i
suoi rumori di passi e di porte che si aprono, e le voci senza volto né
corpi che tocca a noi immaginare.

La telefonia mobile (ma senza video) ha introdotto altre sottili modalità
di relazione. Infatti telefonando a Giovanni su un apparecchio fisso, e se
Giovanni risponde, si sa con certezza dove egli è. Chiamando Giovanni sul
mobile, invece, egli risulta delocalizzato, tant'è vero che uno degli
inneschi più frequenti delle conversazioni cellulari è «dove sei?», oppure
«ti sto chiamando dall'aeroporto». Cui segue di solito un «per caso ti
disturbo?»; infatti la risposta al telefono fisso suppone che la persona
abbia tempo e voglia di colloquiare, mentre con il telefono cellulare si
può essere capitati nel bel mezzo di una riunione o di un incontro
sentimentale (c'è chi lo lascia acceso anche in tali occasioni). Ma chi
risponde, talora si fa forte proprio dell'assenza di informazioni sul dove
egli sia per celarsi o mentire: per esempio dirà «sono in un convegno»,
mentre invece è al bar in pieno sole, oppure «sono appena uscito dalla
doccia» (generando complessi di colpa nel chiamante), mentre invece non ha
alcuna voglia di parlare con quella persona.

Infinite varianti insomma, all'insegna del nascondersi e del dissimulare. E
tutte lecite, perché il possesso di un telefono cellulare non può tradursi
in disponibilità assoluta. Un giurista francese, Jean Emmanuel Ray, in
proposito va teorizzando il «diritto alla sconnessione», in un mondo che dà
invece per scontata la «le disponibilità generalizzata» (Le Monde, 9
ottobre 2002).

Per questi motivi non è affatto garantito che video-telefoneremo molto: un
po' sì certo, ma probabilmente meno di quanto gli operatori telefonici
immaginano e sperano. Anche perché scatterà un altro sottile meccanismo di
relazioni umane: se io chiamo Eva e lei mi risponde senza però attivare il
suo videotelefono cosa vuol dire? Forse che non vuole farmi vedere dove è?
Oppure che è ancora con i bigodini e si considera impresentabile? O
semplicemente che non vuole spendere per il video-collegamento? Infinite
varianti che tutte generano ansietà e disturbi relazionali e che non
necessariamente favoriscono la diffusione «virale» delle telefonate con
video.