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La nonviolenza e' in cammino. 437
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Numero 437 del 6 dicembre 2002
Sommario di questo numero:
1. Giancarla Codrignani, una lettera ai pacifisti dimezzati
2. Benito D'Ippolito, per Ivan Illich
3. Assemblea programmatica della Rete di Lilliput
4. Assemblea nazionale della Convenzione permanente di donne contro le
guerre
5. "World of bicycles" a Milano
6. Ingeborg Bachmann, i morti a me addossati
7. Lisa Clark, Riccardo Troisi, Francesco Vignarca: da Baghdad
8. Il foglio informativo di dicembre del Centro studi difesa civile
9. Anacleto Degli Esposti, ancora sulla ragionevole proposta per far cessare
le stragi di immigrati in mare (e per combattere le organizzazioni mafiose)
10. Ileana Montini, sul multiculturalismo e sui diritti umani di ogni essere
umano
11. Giuliana Sgrena, Somalia disperata
12. Riletture: Giovanni Salio, Elementi di economia nonviolenta
13. La "Carta" del Movimento Nonviolento
14. Per saperne di piu'
1. EDITORIALE. GIANCARLA CODRIGNANI: UNA LETTERA AI PACIFISTI DIMEZZATI
[Ringraziamo di cuore Giancarla Codrignani (per contatti:
giancodri@libero.it) per questo intervento, che ancora una volta
naturalmente coglie nel segno. Giancarla Codrignani, presidente della Loc
(Lega degli obiettori di coscienza al servizio militare), gia' parlamentare,
saggista, impegnata nei movimenti di liberazione, di solidarieta' e per la
pace, e' tra le figure piu' rappresentative della cultura e dell'impegno per
la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Giancarla Codrignani: L'odissea
intorno ai telai, Thema, Bologna 1989; Amerindiana, Terra Nuova, Roma 1992;
Ecuba e le altre, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi)
1994]
Cari amici nonviolenti e pacifisti,
sapete che sono un po' stanca di leggere decaloghi e lezioni su nonviolenza
e pace senza una menzione sulla questione di genere (che, per gli ignari,
sarebbe - secondo Freud e non solo secondo le femministe - il punto di
partenza di tutte le violenze)?
Tenendo conto che questa "nonviolenza in cammino" on-line su cui scrivete e'
piena di richiami al pensiero di donne pacifiste e di bibliografia
"paritaria" (che evidentemente non leggete) mi sembra che vi interessi poco
raddoppiare il potenziale di iniziativa in materia.
Eppure, tutti, donne e uomini di pace, siamo consapevoli di essere ancora
minoranza.
Allora, riprendiamo la questione. L'aggressivita' e' un dato umano
condiviso, che diventa violenza e si evolve in forma precise. E' stato
necessario l'avvento di donne negli studi antropologici per rilevare che
l'attivita' principale del tipo-neanderthal (quello tutto caccia e pesca) si
estese alla difesa di cio' che riteneva suo, compresa la donna e i bambini,
non appena si rese conto che la nascita non era il miracolo della dea sua
compagna. Poteva essere la "prima differenza" sulla cui base costruire
quella cultura (agricoltura, artigianato, scrittura) di cui si occupava il
genere che faceva i bambini; fu invece la prima gerarchia di potere
(protettore/protetto, superiore/inferiore, peggiore/migliore).
E' difficile negare che ai maschi, storicamente cosi' abituati alla
competitivita' e alle prove di forza per stabilire gerarchie di valore, la
guerra "piace" (tralascio che "piace" anche nei rapporti interpersonali;
nella violenza "amorosa", che non tiene conto se la donna desidera o no
restare incinta; nello stupro, etnico e di guerra compreso; nella
prostituzione).
Mi scuso dello schematismo che non mi e' abituale, ma chi vuole intervenire
in radice sui meccanismi pace/guerra senza rendersi conto che anche a
livello privato le donne sono scomodissime perche' preferiscono
"attraversare i conflitti" chiedendo conto di presunti sgarri e controversie
senza partire dallo sbattere la porta (e varianti peggiori), rischia di
perdere le possibilita' di ampliare le proprie competenze, e di rimuovere
l'alleato piu' importante.
Forse non ci si pensa, ma quello femminile sarebbe il metodo della poi
definita "diplomazia dal basso", noto come proprio delle donne anche ad
Aristofane ventiquattro secoli fa.
So bene che e' difficile anche per i pacifisti capire che le pacifiste
possono insegnare qualcosa (non ne ha mai tenuto conto neppure la Lega
Obiettori di Coscienza che presiedo da molti anni e che negli anni sessanta
del secolo scorso, quando muoveva i primi passi, avrebbe potuto partire da
un'obiezione che riguardasse anche le ragazze, allora tutte contrarie a ogni
servizio militare).
Invece, pensate che al Forum di Firenze, dove ci sono stati i seminari
femministi ("per le donne"!), non e' tornata fuori la vecchissima storia
delle lotte delle donne che vengono dopo quelle del proletariato!
Ritengo la cosa urgente da pensare, perche' le spinte all'omologazione sono
fortissime e a me l'idea di una generazione di ragazze arrampicatrici,
manageriali, pugili e soldate fa un po' impressione.
Se invece mi dite che tutto si fonda - nel senso che "si deve fondare" - sul
modello maschile, allora andra' bene arrivare al piu' presto all'utero
artificiale - tentativi di sperimentazione in corso - e con il materiale
genetico congelato anche la maternita' e la paternita' diventeranno neutre e
paritarie.
Diamoci una mossa, nonviolenti e pacifisti!
Ciao a tutti, cordialmente
Giancarla Codrignani
2. LUTTI. BENITO D'IPPOLITO: PER IVAN ILLICH
"Vivere? Vivere come? chiese la voce dell'anima"
(Lev Tolstoj, La morte di Ivan Il'ic)
Giace Ivan Illich, mondo come invecchi
e muori foglia a foglia, stella a stella
ti estingui e questo estinguersi e' la vita.
Ma questa vita pure e' luminosa
di stelle, foglie, vento dalle mille
e mille voci, e in questo vento tratti
noi siamo, in scaglie di esso consistiamo.
E insieme siamo questa unica impresa
dell'umanita' intera: la tenace
azione che giustifica e che salva
il mondo, e che chiamiamo
con la parola tenera di pace.
E non e' morto allora Ivan Illich
dite piuttosto: Illich e' vissuto
e nell'umanita' non morira'.
Alla tua tomba questo reco grano
di pia memoria, d'ima gratitudine.
3. INCONTRI. ASSEMBLEA PROGRAMMATICA DELLA RETE DI LILLIPUT
[Da "Rete Lilliput Comunica" (per contatti: ufficiostampa@retelilliput.org)
riceviamo e diffondiamo]
Per discutere le scelte della Rete Lilliput per il 2003: assemblea
programmatica dal 6 all'8 dicembre a Vico Equense (Na).
La Rete Lilliput rilancia. Dopo il grande successo del Forum sociale europeo
gli oltre 70 nodi e i 5 gruppi di lavoro tematici si ritrovano in assemblea
nazionale per definire le priorita' del 2003.
Il titolo dell'assemblea programmatica e' "Resistere, proporre, costruire" e
si svolgera' a Vico Equense, in provincia di Napoli, dal 6 all'8 dicembre.
I lavori saranno aperti alle 18,45 di venerdi presso l'Hotel Oriente dal
dibattito "Fuori l'Italia dalla guerra, fuori la guerra dalla storia" con
Gino Strada, Nanni Salio e Alex Zanotelli, coordinato da Miriam Giovanzana,
direttrice di "AltrEconomia", e proseguiranno con una relazione dei
partecipanti alla missione di pace "Bipot - Baghdad Italian Peace Observer
Team".
La mattina di sabato 7 sara' dedicata alla verifica del lavoro dell'anno in
corso. I Gruppi di lavoro tematici (Impronta ecologica e sociale, Lente
sulle imprese, Nonviolenza, Forum Sociale Europeo, Genova 2002,
Comunicazione e internet) racconteranno i punti di forza e di debolezza
delle varie campagne perseguite negli ultimi mesi.
Nel pomeriggio saranno discusse le modalita' di finanziamento della Rete
Lilliput e si passera' a definire lo scenario complessivo in cui si muove il
movimento italiano e di riflesso la Rete. Tra i relatori Gianfranco Bologna
(Wwf), Antonio Tricarico (Crbm), Massimo Morettuzzo (Campagna Acqua-Cipsi),
Tonio Dell'Olio (Pax Christi), Ugo Biggeri (Mani Tese).
Nella serata saranno condivise le proposte e le idee per le attivita' e le
campagne future.
Domenica 8 l'assemblea plenaria dara' l'indicazione definitiva sulle
iniziative che la Rete Lilliput sosterra' durante il 2003.
Per maggiori informazioni e' attiva la segreteria raggiungibile al
3389280684.
Ufficio Stampa Rete Lilliput, tel. 3396675294, sito:
www.retelilliput.org/stampa
4. INCONTRI. ASSEMBLEA NAZIONALE DELLA CONVENZIONE PERMANENTE DI DONNE
CONTRO LE GUERRE
[Da Elettra Deiana (per contatti: deiana_e@camera.it) riceviamo e
diffondiamo]
Venerdi' 13 dicembre, dalle ore 14,30 alle ore 20, a Roma, presso l'ex Hotel
Bologna (via di S. Chiara 5) si terra' il dibattito pubblico "Fuori la
guerra dalla storia. Fuori l'Europa dalle guerre".
Assemblea nazionale della Convenzione permanente di donne contro le guerre.
Introduce Lidia Menapace.
Intervengono: Imma Barbarossa, Nadia Cervoni, Lisa Clark, Elettra Deiana,
Daniela Dioguardi, Nella Ginatempo, Monica Lanfranco, Alessandra Mecozzi,
Rosangela Pesenti, Anna Picciolini, Marina Pivetta, Simona Ricciardelli.
Coordina Rita Corneli.
La novita' del dibattito e' la proposta di una campagna politica nella
prospettiva del disarmo in Europa.
5. INIZIATIVE. "WORLD OF BICYCLES" A MILANO
[Da "Fratelli dell'uomo" (per contatti: fdu.italia@infinito.it) riceviamo e
diffondiamo]
Il 10 dicembre alle ore 18,30 presso la Fondazione Luciana Matalon, Foro
Bonaparte 67, a Milano (tel. 02878781, sito: www.fondazionematalon.org) si
inaugura la mostra "world of bicycles", che protrarra' dal 10 dicembre 2002
al 25 gennaio 2003 (chiusura natalizia dal 21 dicembre al 7 gennaio), da
martedi' a sabato, orari: 10-13 e 14-19, ingresso libero
La mostra, promossa dall'associazione "Fratelli dell'Uomo" e' un racconto
fotografico sull'uso della bicicletta nei paesi del Sud del Mondo.
L'obiettivo di Bruno Sananes, quarantenne fotografo francese, traccia un
percorso ideale su due ruote, incrociando sguardi di uomini, donne e bambini
che hanno fatto della bicicletta il loro strumento di lavoro, di trasporto,
ma anche di svago e, in mancanza del telefono, di comunicazione.
Bruno Sananes ha cominciato a lavorare al progetto "World of bicycles" nel
1995, realizzando le prime foto in bianco e nero durante un viaggio nel
Vietnam. La collezione negli anni successivi si e' arricchita documentando
realta' del Bangladesh, Bolivia, Birmania, Cina, Egitto, Marocco, Burkina
Faso. per approdare al Festival Internazionale del fotogiornalismo di
Perpignan dove si e' imposto all'attenzione della critica internazionale. Il
reportage e' apparso su "The Independent", "Il Venerdi' di Repubblica",
"Geo" e, arrivato a comprendere una quarantina di foto, e' oggi ospite della
Fondazione Luciana Matalon, che ha messo a disposizione gratuitamente i
propri spazi nel cuore di Milano.
"Fratelli dell'Uomo", con la mostra fotografica "World of bicycles", si
propone di raccogliere fondi per formare, in Burkina Faso, giovani meccanici
riparatori di biciclette che possano, una volta appreso il mestiere, aprire
officine meccaniche nei villaggi d'appartenenza. Le fotografie di Sananes,
alla fine della mostra, saranno infatti riprodotte in tiratura limitata e
vendute a quanti vorranno sostenere il progetto. E' possibile visionare e
prenotare le immagini direttamente anche dal sito internet
www.fratellidelluomo.org. World of bicycles e' corredata da un catalogo in
formato tascabile in vendita a 6,5 euro.
L'iniziativa si inserisce all'interno della campagna Ribiciclando, una
raccolta di biciclette usate che "Fratelli dell'Uomo" ha lanciato a seguito
del Giro d'Italia 2001: 600 biciclette raccolte e inviate in 19 villaggi del
Burkina Faso, dove la bici e' il mezzo di trasporto ideale perche'
economica, di facile manutenzione e compatibile all'ambiente.
Il 17 dicembre alle ore 18,30, all'interno dei locali della mostra, Giacomo
Corna Pellegrini, ordinario di Geografia all'Universita' statale di Milano,
e Emilio Rigatti presentano il libro La strada per Istanbul, in bicicletta
verso l'Oriente, edito da Ediciclo.
La strada per Istanbul, che s'inserisce a pieno titolo nel filone della
letteratura da viaggio, nasce dell'esperienza del disegnatore Francesco
Altan, del giornalista di "Repubblica" Paolo Rumiz e dell'insegnante Emilio
Rigatti che, nel luglio 2001, in sella alle loro biciclette, partono da
Trieste per raggiungere il capoluogo turco dopo aver attraversato i Balcani.
"Fratelli dell'Uom"o e' una ONG della rete europea Freres des hommes,
(Belgio, Lussemburgo e Italia - dal 1969) attiva nella cooperazione
internazionale con progetti di sviluppo sociale ed economico in Africa e
America Latina.
Per informazioni: e-mail: info@fratellidelluomo.org, tel. 0233404091, fax
0238009194, siti: www.fratellidelluomo.org; www.fdheurope.org;
www.ribiciclando.it
World of bicycles e' un evento della campagna di solidarieta' per il Burkina
Faso.
6. MAESTRE. INGEBORG BACHMANN: I MORTI A ME ADDOSSATI
[Da Ingeborg Bachmann, Canti lungo la fuga, II, vv. 5-6, in Eadem,
Invocazione all'Orsa Maggiore, Se, Milano 1994, Mondadori, Milano 1999, p.
135. Ingeborg Bachmann, scrittrice e poetessa austriaca (Klagenfurt 1926 -
Roma 1973) di straordinaria bellezza e profondita', maestra di pace e di
verita'. Tra le opere di Ingeborg Bachmann: versi: Il tempo dilazionato;
Invocazione all'Orsa Maggiore; Poesie. Racconti: Il trentesimo anno; Tre
sentieri per il lago. Romanzi: Malina. Saggi: L'elaborazione critica della
filosofia esistenzialista in Martin Heidegger; Ludwig Wittgenstein; Cio' che
ho visto e udito a Roma; I passeggeri ciechi; Bizzarria della musica; Musica
e poesia; La verita' e' accessibile all'uomo; Il luogo delle donne.
Radiodrammi: Un affare di sogni; Le cicale; Il buon Dio di Manhattan.
Libretti: L'idiota; Il principe di Homburg; Il giovane Lord. Discorsi: Luogo
eventuale. Prose liriche: Lettere a Felician. Opere complete: Werke, 4
voll., Piper, Muenchen-Zuerich. Interviste e colloqui: Interview und
Gespraeche, Piper, Muenchen-Zuerich. Opere su Ingeborg Bachmann: un'ampia
bibliografia di base e' nell'apparato critico dell'edizione italiana di
Invocazione all'Orsa Maggiore]
I morti a me addossati
tacciono in ogni lingua.
7. INIZIATIVE. LISA CLARK, RICCARDO TROISI, FRANCESCO VIGNARCA: DA BAGHDAD
[Dal gruppo di lavoro tematico "nonviolenza" della Rete di Lilliput (per
contatti: glt-nonviolenza@liste.retelilliput.org) riceviamo e diffondiamo.
Alcune peraltro palesi ingenuita' di questa testimonianza non inficiano, ma
anzi diremmo corroborino il suo valore e la sua genuinita'. Gli autori sono
in delegazione di pace in Iraq con altri pacifisti italiani, sia
rappresentanti delle istituzioni che delle principali associazioni amiche
dell'umanita', e della nonviolenza]
Qui a Baghdad sta andando tutto molto bene e non abbiamo problemi di sorta.
Le giornate sono sempre pienissime e gli stimoli di riflessione e di
elaborazione davvero enormi (il problema e' che a volte manca il tempo per
la "digestione").
Lo slogan della nostra esperienza potrebbe essere: "La pace si deve davvero
infilare in tutti gli spiragli se vuole opporsi alla distruzione e alla
devastazione della guerra, dell'odio e delle poverta'".
Anche noi dobbiamo fare cosi' se vogliamo entrare in contatto con la Baghdad
piu' vera, visto che il rigido cerimoniale di molti incontri (con il
presidente del parlamento iracheno ad esempio) e l'ufficialita' della
delegazione impedisce spesso la mobilita' necessaria a contatti piu'
profondi. Per fortuna gli incontri non sono tutti di questo genere e quindi,
anche se gli spostamenti sembrano quelli di un film, alla fine si riesce a
parlare con la gente semplice di questa megalopoli (quattro milioni di
abitanti).
Riusciamo inoltre alle volte ad incontrare chi opera sul campo in maniera
incredibile per migliorare le condizioni di questo popolo e di conseguenza
della pace.
Bellissimo e sentito l'incontro di lunedi con il vescovo della Chiesa caldea
Salomon Warduni (impressiona sentire dire da un prelato cattolico che la
pace "e' nelle mani di Allah"); ed il giro nel suk (il mercato) piu' antico
della citta', protagonista delle "Mille e una notte": li' davvero si vede la
gente girare, parlare, contrattare, osservare, vivere.
Nonostante la pressione sempre piu' grande sulla popolazione, l'ipotesi
della guerra non appare cosi opprimente come tutti piu' o meno pensiamo in
Italia. Sicuramente molto meno opprimente dell'immagine del
"Presidentissimo" che campeggia in ogni dove ed in ogni angolo apparendo
nelle piu' diverse pose (presidente operaio, soldato, studente...).
Oggi abbiamo avuto la possibilita' di visitare una scuola e poi confrontare
le nostre impressioni con le delegazioni dell'Ufficio del coordinatore
umanitario Onu in Iraq, Unicef e Undp che lavorano da tempo in maniera
magnifica per questa popolazione.
Inutile dire che danno una valutazione della situazione molto piu'
problematica rispetto alle autorita' locali... quello pero' su cui tutti
concordano e' che l'embargo ha messo in ginocchio un paese ricco di risorse,
di cultura, di storia e di dignita' umana.
Ecco cosa ci ha detto Ramiro Lopes da Silva, coordinatore per l'Onu delle
attivita' umanitarie in Iraq: "Si vive in un equilibrio davvero precario, e
una forzatura (da qualsiasi parte provenga) potrebbe portare rapidamente ad
un disastro umanitario e sociale" spezzando del tutto una popolazione gia'
piegata da due fuochi opposti (Bush e Saddam, l'embargo ed il regime) e con
pochissima speranza nel futuro e nella possibilita' di una migliore
situazione di vita.
Intense per calore ed umanita' le parole a noi rivolte dai rappresentanti
delle pochissime organizzazioni non governative di cooperazione
internazionale (in sigla: ong) straniere ammesse a lavorare in Iraq (solo
13) e che con grandissime difficolta' portano avanti azioni di cooperazione
e di assistenza alle parti piu' deboli della popolazione civile irachena
(bambini e donne sopratutto, come al solito); particolarmente toccante la
testimonianza di Kathy Kelly, appartenente ad un gruppo di pacifisti
americani che vivono in semplicita' con il popolo iracheno provando a
dimostrare con la loro presenza che non tutto l'occidente vuole una guerra
distruttiva per un popolo oppresso da anni di conflitti, di embargo e di
regime.
Altro incontro e' stato quello con il portavoce dell'Unmovic ed il
responsabile della base Onu da cui partono le varie ispezioni ai siti di
armi. Ci hanno riferito che stanno lavorando bene e senza intoppi, e proprio
ieri hanno avuto la possibilita' di ispezionare uno dei palazzi
presidenziali con la massima disponibilita' da parte delle autorita'
irachene.
Ci siamo accorti quanto sia importante sostenere l'opera dell'Onu, sia nel
campo politico e delle ispezione che su quello umanitario. spesso queste
agenzie, assieme a pochi altri organismi (tra questi le ong come "Un ponte
per...") sono le uniche voci che qui si stanno levando contro chi, per meri
calcoli economici e politici, sta spingendo il mondo verso questa assurda
guerra.
Anche la nostra esperienza di diplomazia dal basso ha questo obiettivo (con
tutti i suoi limiti), che speriamo di poter continuare con voi al nostro
ritorno.
A presto, un abbraccio. Salaam aleikhum
Lisa, Riccardo, Francesco
8. MATERIALI. IL FOGLIO INFORMATIVO DI DICEMBRE DEL CENTRO STUDI DIFESA
CIVILE
[Dal "Centro studio difesa civile" (per contatti: info@pacedifesa.org)
riceviamo e diffondiamo]
I. Iniziative in corso:
a. Nasce "Nonviolent Peaceforce" in India
Si sta svolgendo (dal 29 Novembre al 3 Dicembre) a Nuova Delhi, in India, il
congresso che formalizzera' la nascita della nuova ong internazionale
"Nonviolent Peaceforce". In questa sede verranno eletti i rappresentanti del
comitato direttivo e si scegliera' un progetto pilota per la prima missione
prevista per la fine del 2003. In rappresentanza dell'Italia sta
partecipando Francesco Tullio, presidente onorario del Csdc, e Maria Carla
Biavati dell'organizzazione Berretti Bianchi. Maggiori informazioni sul
sito: www.nonviolentpeaceforce.org
b. Il Csdc al Forum Sociale Europeo
Nel corso del Forum Sociale Europeo il Centro Studi Difesa Civile ha
condotto un workshop dal titolo: "Civil peace services and a nonviolent
peace force as alternatives to military defence". Nel corso del workshop, a
cui hanno partecipato circa 40 persone del mondo dell'associazionismo e
dell'universita', sono state presentate le esperienze di coordinamento a
livello europeo (European Network of Civil Peace Services) e a livello
mondiale (Nonviolent Peaceforce) per la costituzione di Corpi Civili di
Pace. Dai partecipanti e' nata la proposta di tenere una conferenza
nazionale a marzo che formalizzi la creazione di un forum italiano per i
corpi civili di pace. La relazione completa dell'incontro si trova
all'indirizzo: www.mediazioni.org/csdc/news6-1.4.htm
c. Campagna Istituto di ricerca sulla pace e la risoluzione dei conflitti
Il Comitato promotore Iipco (Centro Studi Difesa Civile e Movimento
Internazionale della Riconciliazione, sezione di Padova) ha convocato
lunedi' 18 novembre scorso, a Perugia, nella sala della partecipazione della
Provincia, una conferenza stampa di presentazione del progetto per la
costituzione dell'Istituto internazionale per la pace e la risoluzione dei
conflitti. Per la costituzione di tale istituto sono gia' state presentate
ben quattro proposte di legge, da parte di entrambi gli schieramenti
politici. Si tratterebbe del primo istituto costituito in Italia per lo
studio, la ricerca e l'approfondimento di tali temi, coprendo tra l'altro,
un vuoto particolarmente evidente in ambito europeo. All'indirizzo
www.mediazioni.org/csdc/news6-1.5.htm si puo' scaricare il volantino per
raccogliere le adesioni all'Iipco.
d. Diffusione natalizia
Il 13, 14, 15 dicembre a piazza Farnese, Roma, il Csdc avra' uno stand
insieme a Donne in nero e Associazione per la pace di Roma per
l'autofinanziamento e la promozione delle attivita' associative e per la
raccolta di firme per la creazione di un Istituto internazionale di ricerca
sui conflitti e per la pace. Siete tutti invitati a farci una visita. Per
maggiori informazioni, contatta l'ufficio romano del Csdc:
pacedifesa-roma@mediazioni.org
e. Una casa della pace a Roma?
La segreteria romana del Csdc, in coordinamento con altre associazioni
pacifiste romane, sta lavorando alla stesura di un progetto di "casa della
pace", che possa ospitare organizzazioni e iniziative del mondo pacifista
romano, a partire dall'idea elaborata dal prof. Giorgio Giannini che mira
alla riconversione di strutture militari in disuso.
f. Petizione on line per salvare la Legge 185 sul commercio di armi
Ai senatori della Repubblica viene chiesto di salvare la trasparenza sul
commercio di armi. Basta un click su www.retelilliput.org
II. Contributi teorici
a. L'osservatore internazionale delle Nazioni Unite
Con il contributo di Manuela Zedda, inauguriamo nel nostro foglio
informativo uno spazio dedicato a studi, anche tesi di laurea, su temi
affini a quelli del Csdc (gestione costruttiva dei conflitti, intevento
all'estero, etc). Per chi fosse interessato a inviare del materiale da
inserire, per la prossima newsletter ci piacerebbe pubblicare una scheda su
tesi di laurea o lavori di ricerca che abbiano come argomento il processo di
pace a Cipro; siete invitati ad inviare degli estratti all'indirizzo:
perugia@pacedifesa.org. All'indirizzo www.mediazioni.org/csdc/news6-2.htm si
possono leggere l'indice e la sintesi della tesi di Manuela Zedda,
L'osservatore internazionale delle Nazioni Unite. Per contattarla:
mzedda@sardiniacnos.it
III. Formazione e laboratori
a. Gestione costruttiva dei conflitti e processi decisionali partecipativi
nella Pubblica Amministrazione
MediAzioni, la cooperativa vicina al Csdc, sta realizzando un progetto di
sostegno ai Servizi Sociali del Municipio I di Roma (centro storico), volto
ad agevolare le azioni di trasferimento della sede e la riorganizzazione
degli uffici del servizio medesimo nel quadro della legge di riforma
328/2000. Gli interventi mirano a facilitare la gestione costruttiva di
problemi organizzativi e relazionali attraverso forme di counseling e
facilitazione della comunicazione. In tal senso il progetto rappresenta un
contributo specifico e innovativo alla sperimentazione di forme di
progettazione partecipata che, nella fattispecie, non riguarda direttamente
la comunita' dei cittadini, bensi' la comunita' interna costituita da tutto
il personale dei servizi sociali.
b. Competenze relazionali e disabilita'
In collaborazione con l'Ufficio Accoglienza Disabili dell'Universita' di
Siena e Progetti & Sviluppo s.r.l., MediAzioni, la cooperativa vicina al
Csdc, ha realizzato un ciclo di laboratori interattivi, sullo sviluppo delle
capacita' comunicative e relazionali, con particolare attenzione alla
disabilita'. I laboratori erano rivolti al personale tecnico-amministrativo
dell'Universita' di Siena e di altri enti pubblici del territorio senese.
c. Mediatori internazionali di pace
Si e' chiuso, il 21 novembre scorso il primo corso in Italia di alta
formazione professionale per Mediatori internazionali di pace, a cui hanno
partecipato 21 ragazzi/e. Il corso ha riscosso un'enorme successo in termini
di domande presentate risvegliando un forte interesse nelle amministrazioni
pubbliche e accademiche. Il corso verra' quindi riproposto anche in altre
regioni italiane. Appena usciranno i bandi per la presentazione delle
domande lo comunicheremo sulla newsletter.
d. Laboratorio per il personale addetto al pubblico
A Perugia, sabato 14 domenica 15 dicembre; conduce Giancarlo Arcangeli.
Maggiori informazioni all'indirizzo www.mediazioni.org/csdc/news6-3.2.htm, e
contattando Carla Liuzzi: tel. 0755726641, cell. 3490641907, e-mail:
laboratori@pacedifesa.org
e. Calendario dicembre-marzo
All'indirizzo www.mediazioni.org/csdc/news6-4.htm i laboratori del Csdc in
programma fino ad aprile.
Centro Studi Difesa Civile, www.pacedifesa.org
9. RIFLESSIONE. ANACLETO DEGLI ESPOSTI: ANCORA SULLA RAGIONEVOLE PROPOSTA
PER FAR CESSARE LE STRAGI DI IMMIGRATI IN MARE (E PER COMBATTERE LE
ORGANIZZAZIONI MAFIOSE)
[Ringraziamo di cuore l'amico Anacleto Degli Esposti, di solito riluttante a
prender la parola in pubblico, per questo suo intervento. Anacleto Degli
Esposti e' un amico del Centro di ricerca per la pace di Viterbo]
Mi sembra ragionevole, sebbene a molti possa apparir sorprendente, la
ragionevole proposta per far cessare le stragi di immigrati in mare (e per
combattere le organizzazioni mafiose) formulata dal "Centro di ricerca per
la pace" di Viterbo anni fa e che in questi giorni e' nuovamente posta
all'attenzione di molti interlocutori, che prevede di consentire l'ingresso
legale nel nostro paese a tutti gli aventi diritto ai sensi del comma terzo
dell'art. 10 della Costituzione della Repubblica Italiana, a tal fine
organizzando un servizio di trasporto pubblico e gratuito.
*
Mi sembra ragionevole per due motivi sostanziali.
Il primo: le stragi in corso. Ed occorrera' pur fare qualcosa per farle
cessare.
Il secondo: il fallimento delle politiche europee ed italiane fondate sul
razzismo. Fallimento sotto tutti i punti di vista, sia in termini di trionfo
dei poteri criminali, sia in termini di sperpero delle risorse pubbliche,
sia in termini di crescita dell'insicurezza, sia in termini di degradazione
e distruzione dei principi fondanti lo stato di diritto e la democrazia, sia
infine e soprattutto in termini di vite umane che quelle leggi razziste
hanno contribuito a distruggere, e questo e' davvero punto dirimente e
inconfutabile.
*
E mi sembra che a favore della proposta di un intervento legislativo ed
amministrativo che crei canali di accesso legale nel nostro paese e nel
nostro continente per tutti gli esseri umani che ne hanno diritto ai sensi
del comma terzo dell'articolo 10 della Costituzione della Repubblica
Italiana (ed ai sensi della Dichiarazione universale dei diritti umani, che
si celebra ogni anno il 10 dicembre ma sarebbe ora di cominciare ad
applicarla invece di limitarsi a festeggiarla), e garantisca un servizio di
trasporto pubblico e gratuito a tal fine, vi siano almeno due fortissimi
motivi.
Il primo: siamo di fronte ad una vera e propria emergenza umanitaria che
l'umanita' intera riguarda.
Il secondo: non sono piu' ammissibili politiche che escludano dalla
titolarita' del diritto alla vita altri esseri umani.
*
Detto questo, non vi e' dubbio che una simile proposta legislativa ed
amministrativa richieda uno studio attento delle soluzioni possibili, una
sperimentazione adeguata di varie ipotesi amministrative concrete, ed anche
una rinegoziazione di accordi internazionali, ed infine ovviamente
l'abrogazione di norme razziste ed incostituzionali attualmente vigenti in
Italia (per scandalosa distrazione del capo dello stato che le ha avallate,
e per ritardo della Corte Costituzionale che non le ha ancora cassate). Ma
tutto questo si puo' e si deve fare con la massima celerita' e con il piu'
ampio coinvolgimento di tutte le istituzioni interessate, e con un invito
all'opinione pubblica a porsi il quesito da cui la proposta muove: e' lecito
provocare la morte di altri esseri umani? Se non e' lecito, occorre
intervenire, e questa proposta e' forse l'unica che permetterebbe di far
cessare le stragi di immigrati nei nostri mari.
*
Lo dico solo come postilla: questa proposta e' anche l'unica che
combatterebbe efficacemente i poteri criminali che oggi gestiscono il
traffico di esseri umani disperati ricavandone profitti colossali; e'
l'unica che permetterebbe l'ingresso nella legalita' di tutti gli immigrati
presenti in Italia che non hanno commesso reati; essa farebbe trionfare la
legalita', la sicurezza e l'umanita' sulla morte, sul crimine e sulla
violenza. E' una proposta, appunto, ragionevole. E, se posso permettermi di
aggiungerlo, necessaria e urgente.
10. RIFLESSIONE. ILEANA MONTINI: SUL MULTICULTURALISMO E SUI DIRITTI UMANI
DI OGNI ESSERE UMANO
[Ringraziamo Ileana Montini (per contatti: ileana.montini@tin.it) per questo
intervento, gia' apparso su "Testarda" (per contatti: testarda@dada.it).
Ileana Montini e' da sempre una lucida, acuta, vivace intellettuale e
militante impegnata nella difesa e promozione della dignita' umana]
"La Repubblica", a pagina13 dell'edizione del 30 marzo 2001, titolava su
quattro colonne: Nigeria, il grido della nuova Safiya "Allah mi salvera'
dalla lapidazione".
Non sono pochi gli stati islamici che fanno della religione la base dei
diritti e dei doveri dei fedeli-cittadini. Qualche giornalista ha pero'
fatto notare che l'interessamento internazionale occidentale e' una forma
d'ingerenza nella vita di uno stato indipendente. Un'ingerenza in nome di un
punto di vista diverso, di una cultura diversa, di tradizioni diverse.
In effetti, ci sarebbe motivo di "intervenire" in molti altri aspetti
dell'espressione del fondamentalismo islamico, come per esempio a proposito
dell'Arabia Saudita dove la polizia religiosa vigila in nome della totale
sottomissione all'ordine divino.
"L'Espresso" del 4 aprile 2002 pubblicava un articolo di Dina Nascetti sulla
situazione in Arabia Saudita e descriveva il ruolo della polizia religiosa
nel sorvegliare negozi, uffici, alberghi e strade, per impedire che gli
uomini si avvicinino troppo alle donne nei luoghi pubblici, per fustigare le
caviglie delle donne se considerate troppo scoperte.
Nella maggioranza dei luoghi pubblici e' vietato l'accesso alle donne, che
non possono guidare l'auto, ne' viaggiare da sole. Soltanto pochi mesi fa e'
stata loro concessa la carta d'identita'.
Alcuni di questi aspetti di accanimento contro il genere femminile da parte
del fondamentalismo di una delle tre grandi religione monoteiste, ci
potrebbero irritare anche perche' abitano la memoria delle donne italiane
anziane.
Ancora negli anni settanta del secolo scorso in Veneto gli uomini occupavano
un'ala della chiesa e le donne l'altra.
Ancora negli anni cinquanta le donne, ma anche le bambine appena pre-puberi,
erano costrette a coprirsi almeno qualche centimetro le braccia nella
stagione estiva; e in chiesa dovevano mettere il velo in testa.
Ancora negli anni sessanta, in Sicilia, padri, fratelli e cugini prelevavano
alla fine di una giornata seminariale (della D.C.!) le partecipanti per
riportarle a casa di notte e riportarle il giorno dopo.
Voglio dire che non potevano usufruire dell'offerta del soggiorno intero
come le "colleghe" del Nord.
Ma oggi c'e' un modo di sentire e discutere, diffuso tra i residuati bellici
della sinistra dei cattolici "di base", che suona cosi': dobbiamo diventare
rispettosi delle culture e delle tradizioni di vita diverse dalle nostre,
perche' il nostro punto di vista e' soltanto uno dei tanti e tutti sono
uguali.
Il multiculuralismo, termine assai in voga, e' anche cosi' che viene inteso.
Mi chiedo se non siamo diventati tremendamente superficiali nell'uso di
questo termine. Perche', appunto, c'e' un uso del termine che sta ad
indicare la volonta' di superare l'etnocentrismo con un'apertura a
trecentosessanta gradi verso tutte le culture che s'inseriscono nel
territorio nazionale. Si afferma che occorre saper accogliere le differenze
di cui le culture sarebbero portatrici perche' cio', alla fine, si
tradurrebbe in un arricchimento reciproco e in una societa' trasformata
perche' piu' aperta e tollerante.
Il termine multiculturalismo appare prima negli Stati Uniti e solo alla fine
degli anni ottanta. Indicava il manifestarsi di una tensione o di un
conflitto. In Europa ancora di piu' per certi versi indica la crisi di un
modo di essere ereditato dalla tradizione illuministica che poneva come
ideale l'eguaglianza nei diritti di cittadinanza avendo come modello
d'individuo cittadino il maschio (bianco) eterosessuale.
Piu' precisamente il termine indica che le differenze nelle abitudini e nei
valori collettivi identitari, sono, per ogni gruppo sociale, irrinunciabili
e pertanto da riconoscere e basta.
IL concetto di multiculturalismo sorge dalla crisi (negli Stati Uniti) del
concetto di melting pot, cioe' dell'idea che le radicate e antiche
differenze delle tradizioni, sarebbero state eliminate nel calderone della
modernita'. Lo stato-nazione era concepito come omogeneo dal punto di vista
culturale e quindi come una buona base d'identificazione.
Alcuni sociologici ritengono che la seconda guerra mondiale ha dato una
spallata a questa credenza, perche' negli Stati Uniti e' nei Paesi europei
colonialisti (Francia e Inghilterra) immigrati e gente di colore avevano
contribuito di persona nel teatro del conflitto.
E le donne avevano dato un contributo alla produzione bellica, mentre prima
dell'evento erano state recluse nel privato della cura dei mariti, dei
figli, degli anziani.
Alla fine della guerra questa partecipazione di massa si era trasformata in
una richiesta d'inclusione a pieno titolo nella societa'.
Il processo di decolonizzazione in Europa alla fine degli anni cinquanta
ormai avanzato con la creazione di stati indipendenti, contribui' alla
riscoperta dei valori etnici dei neri americani.
Che dire poi del movimento delle donne che si impose come elemento centrale
della critica al modello di societa' occidentale?
Il movimento femminista mise in evidenza come la societa' moderna si fonda
sull'esclusione delle donne da tanti ambiti di attivita' pubblici e come
l'eguaglianza si basa sull'assunzione dell'uomo come paradigma universale.
L'ideale di uguaglianza mostrera' cosi' i suoi antichi limiti di
affermazione della superiorita' maschile. Le donne si possono inserire nel
sistema egualitario perche' uomini mancanti e con un atteggiamento di
sottomissione devota.
Ma il movimento allora presentera' con forza, ovunque, anche se con accenti
e talora notevoli differenze, la sua elaborazione concettuale:
l'emancipazione deve passare dalla considerazione dal valore intrinseco
della differenza femminile.
Un altro elemento diviene cruciale nella post-modernita'. Nel mondo
occidentale il benessere diffuso crea l'individuo consumatore, la cui
identita' si forma e si stabilizza intorno all'infinita possibilita' di
scegliere tra i prodotti, dando l'illusione del differenziarsi tramite il
possesso degli oggetti (esseri umani compresi! Vedi la prostituzione).
Nello stesso tempo i processi di globalizzazione economica e sociale portano
al deteriorarsi degli stati-nazione che non sono piu', pertanto, immagini
forti per l'identificazione collettiva.
Il modello nazione, insieme alle grandi metanarrazioni (come le ideologie e
le Chiese) non e' piu' motivo d'investimento contro l'angoscia di sapersi
mortali. Il "premio eternita'", che con variazioni tonali e sostanziali le
ideologie patriottiche e religiose promettevano, non funziona piu' e quindi
ognuno si deve giocare la partita della propria esistenza caduca in qualche
altro modo.
I processi di globalizzazione se da una parte favoriscono una nuovo ecumene
mondiale, con l'omologazione dei modelli di vita quotidiana, dall'altra
rilanciano le identita' etniche, religiose e culturali come possibilita' per
stringersi insieme avvolti nel tessuto materno delle credenze. Oppure,
occupandosi maniacalmente del corpo, per sedare il senso del limite
intrinseco alla propria esistenza individuale.
Se lo Stato-Nazione non e' piu' capace di legare a se' i cittadini e di
imporre agli stranieri che vogliono diventare cittadini l'assimiliazione -
che si fonda sulla richiesta di condivisione dei valori e delle tradizioni -
si creano le comunita'-ghetto (Bauman), che sono delle grandi tane
simil-famiglia.
I nativi propongono una cifra di differenza in parte costruita ex novo
(esempio: l'identita' padana) contro altre differenze come quelle
costituite, per esempio, dalle comunita' islamiche.
Sorgono cosi' nuovi integralismi o fondamentalismi o sono rinverditi
sentimenti collettivi che si ritenevano finiti per sempre, anche a causa dei
processi (in Occidente) di secolarizzazione della religione.
Resta la secolarizzazione, ma la religione degli avi e' usata come gran
colla per creare un barlume d'identita' collettiva. Ecco che i celti
"padani" invocano il diritto a difendere l'integrita' della fede cattolica
contro la nuova "invasione" islamica, anche se si guardano bene dal
ridiventare dei praticanti.
Per quanto riguarda i fondamentalismi nei paesi ex coloniali, si sostiene da
piu' parti che e' il risultato della crisi degli stati postcoloniali.
Resta di fatto che i fondamentalismi piu' espressivi si collegano alle tre
grandi religioni monoteiste (ebraismo, cristianesimo e islam).
Tutte e tre fanno del culto e del potere del Padre il loro perno. Tutte e
tre relegano le donne nella sfera privata riservando in esclusiva agli
uomini la sfera pubblica.
Azzardo una tesi: il fallimento dei governi ad imitazione dell'occidente nei
paesi postcoloniali, ha contribuito a dare valore alla ricerca
dell'identita' religiosa come elemento forte di coesione sociale perche'
basata sulla non distinzione tra il sacro e il profano.
L'Islam, che non prevede la figura del cittadino, bensi' soltanto quella del
fedele, pretende anche nell'emigrazione il "rispetto" della differenza
religiosa, quanto a dire il riconoscimento pubblico della credenza.
Nell'emigrazione la religione diventa psicologicamente importante per dare
identita' e dignita', per superare anche un sentimento inconscio
d'inferiorita'.
Il buon musulmano non beve "il frutto della vite", non mangia la carne di
maiale. Ma basta andare in certe ore di punta in un supermercato per
costatare che gli uomini dell'Islam acquistano quantita' abbondanti di vino
e birra e anche di salumi.
Gli stessi uomini frequentano la moschea e pretendono dalle loro donne il
rispetto delle regole del Corano in fatto d'abbigliamento e altro.
Spesso, venendo a contatto con questi uomini, ma anche con le donne, il
discorso scivola sull'esibizione di un sentimento di superiorita' rispetto
agli uomini nostrani che "si fanno mettere sotto dalle donne" e rispetto
alle donne che esibiscono alla TV e per le strade parti del corpo,
"eccitando" i maschi.
E' molto probabile che le reciproche inconsce paure (dei nativi per la nuova
"invasione" dell'Islam e per i musulmani per le difficolta' incontrate nei
processi d'integrazione) porti ad una chiusura sempre piu' marcata, che
coinvolge anche le donne.
Le donne giovani nate in Francia, se da una parte a differenza dei loro
fratelli vogliono liberarsi dalla soggezione maschile, dall'altra (a causa
dell'aumento della xenofobia) possono essere passibili di risucchio nelle
comunita'-ghetto. In Francia, a Tremblay, una citta' nei pressi di Parigi, i
professori di un liceo sono scesi in sciopero perche' una ragazza si e'
rifiutata di togliersi il velo. Era gia' accaduto nel passato e le autorita'
francesi avevano emanato disposizioni per permettere il velo purche' non
significasse una sorta d'ostentazione o rivendicazione. In realta' le
giovani musulmane mettono il velo a scuola per dimostrare la loro
appartenenza religiosa.
Si tratta di una richiesta simbolica perche' l'hijab non puo' essere
considerato un capo d'abbigliamento qualsiasi. Si tratta quindi della
richiesta di riconoscimento di una specifica differenza e di una specifica
appartenenza in sfida alle regole di convivenza nello spazio pubblico.
Scrive un sociologo: "Questioni analoghe sono poste dalle richieste di
riconoscimento della poligamia, almeno nel caso del ricongiungimento
familiare o del riconoscimento di figli nati da matrimoni poligami contratti
prima dell'immigrazione in un paese che vieta tali pratiche; dalla richiesta
di assicurare che la carne utilizzata nelle mense scolastiche sia carne
hallal, cioe' macellata secondo le pratiche religiose islamiche che ne
garantiscono la purezza... Ancora piu' radicali e controverse le richieste
di riconoscimento di pratiche rituali o di tradizioni che possono assumere
aspetti di violenza fisica o simbolica come le scarificazioni corporee, le
amputazioni genitali, la sottomissione della donna alla volonta' del padre
o del marito, il divieto, sempre per la donna, di mostrarsi in pubblico e
la sua reclusione nell'ambito domestico" (E. Colombo, Le societa'
multiculturali, Carocci).
Le donne hanno sempre avuto, nelle storie dell'emigrazione, un ruolo
importante rispetto al timore di perdere le "radici": tocca alle donne
assicurare la continuita' dell'appartenenza mediante il ruolo di custodi
delle tradizioni, e tocca agli uomini difendere in pubblico la propria
collettiva differenza che conferisce il sentimento della sicurezza
identitaria.
E allora gli uomini devono obbligare le donne all'osservanza rigorosa delle
norme, dei valori e delle tradizioni. Gli uomini si concedono di
trasgredire, perche' le loro trasgressioni non mettono in crisi il sistema
culturale, la mentalita' e le tradizioni.
Alcune interviste da me condotte nell'ambito di una ricerca a Brescia, hanno
evidenziato un sentire comune a coppie musulmane appartenenti a vari paesi,
dall'Asia all'Africa. Tutte hanno sostenuto la volonta' di sottrarre le
figlie, diventate puberi, alla ginnastica (a scuola mista) e alle ore di
piscina. A Brescia pare che nelle scuole medie si accetti l'esonero delle
ragazze dall'educazione fisica o, perlomeno dalle ore di nuoto in piscina.
E' questo un esempio di "tolleranza" e multiculturalismo secondo un certo
indirizzo a mio avviso assai sbrigativo. I musulmani chiedono il "rispetto"
delle loro norme religiose anche se sono in contrasto con la legislazione
italiana.
Il sociologo Colombo spiega in modo molto chiaro questa e altre realta'
delle societa' a forte immigrazione: "Le politiche dell'identita', cioe' il
riconoscimento della differenza come elemento fondante l'identita' dei
singoli e legittimante azioni nello spazio pubblico non improntate
all'universalismo e all'eguaglianza, illustrano con evidenza il contenuto
critico e la sfida posta ai limiti di compatibilita' del sistema sociale
occidentale contemporaneo presenti nel dibattito sul multiculturalismo. Il
riconoscimento simbolico dell'importanza dell'appartenenza a un ambito
specifico di identificazione per il pieno sviluppo dell'identita'
individuale e l'impegno conseguente a sostenere e proteggere tali differenze
perche' non vengano soffocate e inglobate dalla maggioranza pongono problemi
di non facile soluzione al modello di vita sociale occidentale fondato
sull'eguaglianza, la liberta' individuale e il principio democratico".
Che fare?
Colombo avanza alcune soluzioni assai interessanti.
Si puo' cercare di definire l'area comune, in cui prevale un ideale comune e
condiviso, fondato sulla nozione di eguaglianza, e una sfera privata in cui
la diversita' si puo' esprimere.
La sfera privata riguarda la famiglia e le associazioni e organizzazioni che
conferiscono il senso di appartenenza. Ma ogni decisione presa nella sfera
pubblica deve essere cieca alle differenze e quindi determinata da regole
comuni. Pertanto la differenza non e' negata ma limitata alla sfera privata.
Colombo scrive: "Queste regole devono essere ridotte all'essenziale; devono
comprendere l'accettazione delle norme democratiche e della legge civile e
penale cosi' come dei limiti etici alla differenza culturale, cioe' non
possono giustificare pratiche che interferiscono pesantemente sulla dignita'
o sulla liberta' del singolo individuo (come la mutilazione degli organi
sessuali femminili o il completo dominio del marito sulla moglie e i figli);
devono comprendere l'accettazione del legame di solidarieta' connesso
all'appartenenza, cioe' devono assicurare lealta' politica allo stato".
Espresso cosi' a noi sembra logico e facile. In realta' non e' cosi',
perche' nell'affermare cio' noi attiviamo un punto di vista cognitivo
post-illuministico, post-freudiano.
Anche se nel tessuto profondo, sotterraneo del comune modo-di-pensare, c'e'
ancora tanto di religioso: si sente affermare (come fanno i musulmani), tra
l'altro, che i ruoli femminile e maschile sono "naturali" e che la donna con
figli deve dedicarsi totalmente a loro rinunciando al lavoro.
Pero' la nostra legislazione ha certamente seguito un'evoluzione notevole e
generale della cultura.
In definitiva vorrei dire che lo straniero, incontrando grandi difficolta'
nell'attuazione del progetto migratorio, probabilmente e' piu' portato alla
chiusura che all'apertura e all'evoluzione del proprio mondo culturale e
valorico.
E' quello che sta accadendo in Francia con la tendenza in aumento dei
matrimoni combinati per le giovani donne musulmane.
11. MONDO. GIULIANA SGRENA: SOMALIA DISPERATA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 5 dicembre. Giuliana Sgrena, giornalista
e saggista, e' una delle maggiori esperte di questioni ed emergenze
internazionali e globali]
Dieci anni fa iniziava l'avventura militare in Somalia che invece di ridare
speranza (Restore hope) la faceva perdere.
Il decennale non e' quindi certamente motivo di celebrazioni, dovrebbe
essere di riflessione, ma sembra che l'unico effetto del disastroso
intervento sia stato quello di indurre l'occidente ad evitare una nuova
spedizione militare in Africa - quella che viene chiamata sindrome
"Vietmalia": Somalia come il Vietnam -, ma purtroppo non in Afghanistan o in
Iraq.
Tuttavia, il decennale, puo' essere l'occasione per chi e' ancora impegnato
nell'intervento umanitario (quello vero, si intende) in quel paese, come
Medici senza frontiere (Msf), per cercare di rompere il muro di silenzio che
copre una situazione tanto disastrosa. Effetto anche di quel dissennato
intervento di dieci anni fa che tra l'altro ha favorito la creazione di un
terreno fertile per la diffusione dell'islamismo radicale, la cui presenza
era ben nota, gia' nel 1994, alle forze internazionali che non se ne
preoccuparono e che ora minacciano di bombardare la Somalia perche' potrebbe
essere diventata il santuario di al Qaeda.
Ancora una volta a subirne le conseguenze sarebbe la popolazione somala gia'
vittima di una guerra civile mai terminata dopo la caduta di Siad Barre, la
stessa gente assistita da Medici senza frontiere e rappresentata nel
rapporto presentato ieri da Ayham Bayzid, capomissione di Msf: "Somalia: la
tenacia della speranza".
500.000 persone rischiano di morire di fame; il 72% della popolazione somala
(4,5 milioni di persone) non ha accesso all'assistenza sanitaria; il 77% non
ha accesso all'acqua potabile; circa 2 milioni di somali sono stati uccisi o
sono sfollati a causa della guerra civile; il tasso di mortalita' infantile
e' il decimo al mondo e una partoriente su sette muore; l'aspettativa di
vita e' di 44 anni per gli uomini e 47 per le donne. Senza parlare delle
malattie endemiche - colera, tubercolosi, etc. - e la malnutrizione che
riguarda il 17% della popolazione.
Eppure la comunita' internazionale ha abbandonato la Somalia: nel 1992 erano
oltre 200 le ong (organizzazioni non governative di cooperazione
internazionale) presenti, ora ne restano 61, secondo Msf che opera nel paese
dal 1986 e ha perso sul terreno uno dei suoi medici. Nel frattempo il
finanziamento dei programmi di aiuti e' sceso da 1,6 miliardi di dollari
solo per Unosom (la missione delle Nazioni Unite in Somalia) a circa 115
milioni di dollari nel 2001 per Onu e ong, e la maggior parte dei
finanziamenti sono diretti al nord del paese, la zona piu' sicura e, guarda
caso, non toccata dall'intervento militare del 1992.
Le cause strutturali possono essere affrontate solo da chi ha la volonta' e
il potere politico per farlo, sostiene Msf, che chiede a tutte le parti in
conflitto e/o impegnate nel processo di pace di intraprendere azioni
parallele per migliorare la situazione: rispettare il diritto
internazionale, minimizzare gli effetti della guerra sui civili e attenersi
all'embargo delle armi decretato dall'Onu nel 1992 ma mai rispettato. Msf
continua a lavorare in Somalia "con la tenacia della speranza" per alleviare
le sofferenze della popolazione e chiede maggiore assistenza umanitaria, ma
anche iniziative politiche di pace.
A Eldoret in Kenya martedi' il Governo nazionale di transizione (Tng) e
cinque fazioni somale hanno firmato un accordo per il cessate il fuoco e si
sono impegnati a risolvere le divergenze con il dialogo. Lo scetticismo e'
comunque d'obbligo, finora gli accordi firmati non sono mai stati
rispettati. Ci auguriamo di essere smentiti.
12. RILETTURE. GIOVANNI SALIO: ELEMENTI DI ECONOMIA NONVIOLENTA
Giovanni Salio, Elementi di economia nonviolenta, Edizioni del Movimento
Nonviolento, Verona 2001, pp. 32, euro 2,10. Un'utile riflessione di uno dei
piu' autorevoli studiosi e amici della nonviolenza, con un saggio di Brian
Martin.
13. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.
14. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it
Numero 437 del 6 dicembre 2002