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Newsletter n. 10



Critica del consumo per la democrazia
Missione attuale: la fine del monopolio dell'informazione televisiva
http://www.cunegonda.info


Newsletter n.10, 30 novembre 2002




"La gente ha cominciato a manifestare sensibilità in proposito e le aziende
produttrici si sono adeguate. Tutti continueremmo a essere ottimi
consumatori, tranne che saremmo consumatori selettivi; il che è indice di
maturità e motore di sviluppo economico.
A nuove forme di governo, nuove forme di risposta politica. Questa sì che
sarebbe opposizione.
Vediamo quanti italiani si sentono di farla. Altrimenti la smettano di
lamentarsi, e si tengano il monopolio dell'informazione."

Umberto Eco,
<http://www.repubblica.it/online/politica/econsumo/econsumo/econsumo.html>
Lo sciopero dei consumatori della pasta Cunegonda, La repubblica, 20 aprile
2002.


I movimenti. Quale futuro?
 Il nostro movimento compie 10 Newsletter! E siamo veramente tanti: il
numero degli iscritti a questa newsletter viaggia ormai verso quota 5000!
E' l'ora di fare un primo bilancio. La primavera dei movimenti, arrivata
spontaneamente in relazione alle ben note vicende dell'Italia
berlusconiana, e germogliata rigogliosamente grazie al semplice incontro di
molte persone intorno a temi politici, rischia di trasformarsi in un
precoce autunno. Chiediamoci: perché la gente si è incontrata, si è unita
nei movimenti, ha dialogato e si è confrontata sullo scandalo di questo
governo? La ragione sta nei fatti, e cioè nell'insostenibilità del
programma di governo di questa pseudodestra. E più si andrà avanti, più non
mancheranno le ragioni per unirsi. La forza dei movimenti risiede proprio
nel fatto che la gente si è unita: ci siamo scoperti, finalmente, ci siamo
trovati, e abbiamo capito che democrazia signi! fica anche uscire in
strada, indignarsi, discutere e incontrarsi. Un'altra Italia, agendo local
e pensando global, è possibile. Sarebbe sufficiente, ora che ci siamo
incontrati, usare il mercato per fare politica. Ovvero l'esatto contrario
di questo governo che usa la politica per fare mercato. Ma da questo
orecchio il mondo ufficiale dei movimenti non ci sente. Moretti, Arcais,
Pardi, tanto per fare qualche nome, non hanno mai appoggiato iniziative di
critica dei consumi in chiave politica. Mentre noi pensiamo che cultura e
informazione siano i principali strumenti di opposizione politica. La
sensazione è che ci sia un certo timore nell'affrontare il problema di una
crescita culturale della società civile, e che la si voglia in un certo
senso lasciare in balia della propria carica emotiva antiberlusconiana. E
dopo Berlusconi? Chiediamoci: la primavera dei movimenti è forse solo
un'operazione d'immagine per la legittimazione di una n! uova èlite
politica? Anche i movimenti temono una società civile informata e, come
afferma Umberto Eco nell'articolo che ha ispirato il nostro movimento, più
matura? Noi di Cunegonda preferiamo non pensarlo, e speriamo ci sia ancora
il tempo per la fondazione di una politica partecipativa e cooperativa, che
verso i poteri economici, il mercato, e il principio del profitto non si
comporti necessariamente come un'ancella devota.
[Redazione Cunegonda]

Nuove forme di lotta. Voti ogni volta che fai la spesa
 Per un secolo e mezzo la forza del movimento progressista è stata quella
delle masse operaie concentrate nelle città industriali.
Lo sviluppo tecnologico ha ridotto enormemente il numero degli operai e
quelli che sono rimasti lavorano in piccole aziende sparse sul territorio.
Oggi non esiste grande differenza salverdanae tra un metalmeccanico, un
impiegato di un call center, una commessa e un lavoratore della new economy
ma questa proletarizzazione dei ceti medi non si è tradotta in compattezza
sindacale di tutti i lavoratori. Le figure sociali dei dipendenti si sono
diversificate enormemente e questo ha portato a una grande difficoltà
nell'organizzare e unire le rivendicazioni.
Ma d'altra parte è nato un grande movimento sindacale che riunisce tutti i
cittadini in quanto consumatori e questo movimento è oggi la più grave
minaccia per le multinazionali. Sempre più, infatti, i consumatori non si
limitano a combattere le frodi ai loro danni ma vogliono intervenire sulla
qualità "totale" del prodotto. Si è calcolato che nel 2001 il 47% degli
americani e il 27% degli italiani hanno rinunciato a comprare almeno un
prodotto perché non gradivano le scelte etiche dell'azienda che lo
proponeva.
Molte multinazionali hanno sperimentato amaramente che è sufficiente che il
4-5% dei consumatori rifiuti i loro prodotti per scatenare il panico tra
gli investitori e causare un crollo in borsa. Questo movimento si sviluppò
notevolmente all'inizio degli anni ottanta con gli scioperi degli acquisti
degli spinaci in California, in sostegno dei braccianti agricoli messicani.
Oggi esiste un inizio di coordinamento tra le migliaia di comitati di
boicottaggio sparsi in tutto il mondo.
Alla fine del 2001 è bastato che un gruppo di risparmiatori, capeggiati da
un'associazione di pensionati inglesi, minacciasse di ritirare i propri
risparmi dai fondi di investimento che contenevano azioni della Glaxo
perché questa casa farmaceutica accettasse di vendere a prezzo di costo le
medicine salvavita in Africa.
La sinistra ha sempre snobbato questa forma di lotta. Non occupandosi
neppure di dare notizia sui suoi giornali delle vittorie ottenute da questo
movimento.
Va invece compreso che si tratta della più grande leva di cambiamento che
abbiamo nelle mani. Nessuna azienda potrebbe più fregarsene di come produce
e di cosa produce se sapesse che anche solo il 10% della popolazione compra
seguendo criteri di eticità dei prodotti.
È perciò necessario far crescere il numero dei consumatori informati e
appoggiare lo sviluppo di enti indipendenti di certificazione etica e di
qualità.
Da questo punto di vista Internet ha aperto prospettive enormi. Milioni di
persone ormai comprano sulla base delle recensioni fornite da altri
consumatori.
Siti come www.ciao.com sono dei sistemi di referenza sulla qualità,
autogestiti direttamente dai consumatori. Non ci vorrà molto per avere un
sistema di referenze che oltre alla qualità del prodotto segnali il suo
percorso etico ed ecologico.
[Tratto da Dario Fo, Franca Rame e Jacopo Fo, 22 cose che la sinistra deve
fare, Edizioni Nuovi Mondi, ¤ 10]

Uniti si vince. Il caso Glaxo
 Il governo sudafricano nel 2001 è stato denunciato e portato davanti ai
giudici di un tribunale. Chi e perché ha avuto tanto ardire? Le
multinazionali farmaceutiche, perché una legge dello stato definita Medical
Act (voluta strenuamente da Nelson Mandela) legittimava e legalizzava la
produzione e l'importazione di farmaci antiaids a un costo molto inferiore
di quello imposto dalle multinazionali. Una di queste è la Glaxo Wellcome,
che ha dovuto cedere, e accettare la validità del Medical Act. Come è stato
possibile questo risultato?
Nei giorni del processo era mobilitato tutto il mondo dell'associazionismo,
da Amnesty International a all'Unicef, da Emergency a Medici Senza
Frontiere, ma la Glaxo ha ceduto di fronte ad un altro e ben diverso
interlocutore. Un gruppo spontaneo di pensionai inglesi che è riuscito a
connettere migliaia di risparmiatori e ha costretto la Glaxo a ridurre il
prezzo delle medicine salvavita in Africa. Hanno impiegato parecchio tempo
e fatica a mettere insieme risparmiatori in possesso complessivamente di
1000 miliardi di lire. Poi è stato sufficiente fare una sola telefonata ai
gestori dei loro fondi di investimento. Hanno detto: "Non vogliamo più
avere azioni Glaxo nei nostri fondi pensione. Abbandoneremo tutti il vostro
fondo." Dopo 7 giorni la Glaxo ha fatto crollare i prezzi delle medicine in
Africa. Questo è solo un esempio di come una richiesta etica e informata da
parte dei cittadini possa influenzare concretamente l'offerta del mercato.
Sareb! be sufficiente rivendicare il nostro ruolo etico di cittadini
informati attraverso la consociazione delle dinamiche di acquisto e di
non-acquisto.
[Redazione Cunegonda]

La nostra Tv. Il progetto Tv Libera
 Il movimento di Cunegonda si è gemellato e collabora con il progetto Tv
Libera. Tv Libera è un progetto proposto alla società civile per realizzare
una rete televisiva nazionale, autonoma, sganciata da interessi di parte e
dalle logiche delle attuali televisioni. Riteniamo che sia largamente
diffusa l'esigenza di una televisione più responsabile, più autonoma, più
attenta ai bisogni e alle necessità del cittadino, diversa da quelle a cui
ci hanno abituato. Una televisione che non sia schiava del mercato, libera
di produrre programmi che non seguano la logica dell'auditel e del ritorno
pubblicitario. Crediamo nel desiderio diffuso di una televisione che
assolva un servizio pubblico di vera informazione, diritto sancito e
tutelato dalla nostra Carta costituzionale.
La televisione che intendono realizzare gli autori del progetto non è in
competizione con le tv commerciali. Sarebbe un errore pensare che TV Libera
debba diventare una televisione di grande successo. TV Libera sarebbe una
televisione alternativa che trasmette programmi intelligenti che
risvegliano quel senso critico del cittadino che le attuali televisioni
spazzatura hanno sopito. Una voce dei cittadini che si contrappone alla
disinformazione dilagante e al monopolio mediatico che la destra ha
costruito e che sempre più cercherà di rafforzare.
La fonte principale di finanziamento proviene dai cittadini ai quali è
chiesto un contributo iniziale e un contributo annuale. Si stima che 20
euro iniziali e altrettanti come versamenti annuali, siano sufficienti a
coprire buona parte del fabbisogno finanziario. L'obiettivo finale sarà
comunque un vero e proprio azionariato popolare. Ciò non toglie che
potranno essere prese in considerazione anche altre forme di finanziamento
purché non snaturino il carattere di indipendenza che è il principale
obiettivo di TV Libera. Da un sondaggio recentemente effettuato
(aprile-maggio 2002) è emerso che il 36,3% degli intervistati,
indipendentemente dal loro credo politico, è disposto a versare ogni anno
una cifra di almeno 20 euro per poter godere di un canale televisivo
alternativo a quelli della Rai e di Mediaset.
L'informazione sarà uno dei punti fondamentali del programma. Per una
informazione più estesa si pensa ad almeno quattro telegiornali di vari
paesi stranieri, in lingua originale, e con sottotitoli in italiano (è così
che in molti Paesi si facilita l'apprendimento delle lingue). Oltre ad una
televisione di strada, proiettata sulla ricerca di documentazione senza
condizionamenti di parte, si vorrebbero mettere in onda discussioni pacate
su argomenti di attualità e di cultura politica fatte da persone e da
esperti della società civile, evitando il più possibile dibattiti fra
politici di opposte fazioni che si urlano addosso e che mirano più alla
sopraffazione dell'avversario che ad un approfondimento degli argomenti. E
inoltre, programmi di informazione e cultura politica, documentari che
illustrino la storia e il pensiero dei maggiori uomini politici e pensatori
del secolo passato.
Non ci si può astenere dall'affrontare l'argomento pubblicità. Al momento
attuale, più dell'85% di tutta la pubblicità è controllata da una sola
persona. Sfidarla in tale campo sarebbe un suicidio. Da qui l'enorme
difficoltà di far nascere una tv impostata su regole tradizionali che basi
le sue entrate sostanzialmente sui ricavi pubblicitari. Il progetto vuole
ribaltare il problema. TV Libera non intende seguire questa impostazione e
avrà successo proprio perché i suoi ricavi non saranno frutto di entrate
pubblicitarie ma della libera volontà dei cittadini. Ciò non vuole dire
escludere la pubblicità ma sarà sicuramente meno invasiva e differente da
quella tradizionale. Si intende puntare soprattutto su una pubblicità
diversa, una pubblicità etica che oggi non trova spazio sul piccolo
schermo. Una pubblicità che non inganni il consumatore, anzi lo difenda e
lo infor! mi su prodotti e servizi di comprovata utilità.
TV Libera è insomma il progetto di una televisione che vuole informare
correttamente, istruire e divertire tutti i componenti della famiglia,
bambini e anziani inclusi, favorire l'apprendimento delle regole della
democrazia e della convivenza, assolvere, senza pretendere di sostituirla,
ad alcune delle funzioni proprie della scuola, quali ad esempio
l'insegnamento delle lingue, dare spazio al cittadino mettendolo a contatto
con culture e mondi diversi. Quello che si vuole costruire è una
televisione in cui la società civile riconosca e amplifichi la propria voce.
[Per maggiori informazioni: http://www.tv-libera.it].

Car sharing. Conviene?
 In un momento come quello attuale, nel quale l'industria automobilistica
italiana attraversa una crisi senza precedenti, potrà forse sembrare
inopportuno dare risalto ad iniziative che sono mirate alla riduzione del
numero delle automobili circolanti, ma la mobilità sostenibile non può che
essere un tema caro al movimento di critica del consumo Cunegonda. In
effetti, una delle scelte strategiche che la Fiat potrebbe compiere oggi
sarebbe proprio quella di rivoluzionare il mercato della mobilità
proponendo prodotti a emissioni zero e soprattutto sicuri. Invece continua
a produrre veicoli inquinanti, di vecchia concezione, e pericolosi per chi
li guida. Chi ne fa le spese sono naturalmente i consumatori, e qui non si
paga solo in denaro - ogni anno in media una famiglia spende dai 4000 ai
7000 euro per i costi di gestione del parco auto familiare - ma anche con
la vita. Ogni anno, infatti, è come se spar! isse un paese di 12000
abitanti se contiamo i decessi dovuti sia a incidenti stradali che a
patologie dovute all'inquinamento da traffico (fonte OMS e Legambiente).
Ben vengano quindi iniziative che si propongono l'obiettivo di riportare
l'oggetto automobile entro i confini di un utilizzo ecologicamente
compatibile e in definitiva più razionale. Una di queste iniziative è il
car sharing (auto in condivisione).
Il car sharing è un servizio innovativo di mobilità sostenibile che
consente a più utenti di condividere autoveicoli di diverse tipologie,
ottimizzando i costi di gestione per i propri spostamenti. In Europa (ma
non ancora in Italia) il car sharing è un servizio ormai affermato. Le
diverse esperienze nazionali sono federate nell'ECS, European Car sharing.
Nato a Berlino alla fine degli anni Ottanta. Si è diffuso in Germania e
attualmente è utilizzato da 40.000 cittadini tedeschi con 1.800 veicoli in
800 aree di parcheggio. Solo in Svizzera il car sharing conta 20.000
iscritti ed è stato promosso dal governo perché contribuisce a ridurre le
emissioni di anidride carbonica. In questa nazione l'obiettivo è di
coinvolgere 250.000 cittadini con una riduzione del 2% dei consumi
energetici totali per il trasporto dei passeggeri.  Il car sharing, già
sperimentato in molte altre città europee, consente di fare a meno del
proprio veicolo e di utilizzare in qualsiasi ora del giorno ed in qualsiasi
giorno dell'anno un'auto di proprietà collettiva. E' sufficiente acquistare
una tessera elettronica per noleggiare ad ore un'autovettura, circolare
liberamente nelle zone a traffico limitato e sulle corsie preferenziali
degli autobus e parcheggiare gratuitamente nelle zone a sosta tariffata. Il
car sharing consente al cittadino di eliminare tutte le problematiche
connesse all'auto di proprietà (acquisto, riparazioni, furto, garage,
assicurazione, bollo, bollino verde, revisioni...), utilizzando il veicolo
in base ai propri bisogni (una city car per andare in centro, una macchina
più grande per i fine settimana), ma soprattutto di risparmiare denaro.
Alcuni studi mostrano che, per chi percorre meno di 8000-12000 km l'anno,
il vantaggio si traduce in un risp! armio di circa 500-1000 euro all'anno.
L'interesse delle pubbliche amministrazioni per il car sharing, invece,
deriva dal fatto che, se utilizzato su larga scala, esso potrebbe
contribuire a ridurre sensibilmente le emissioni di gas inquinanti. E in
Italia?
Non esistono esperienze consolidate di car sharing in Italia. Sono però
numerosi gli esperimenti e gli studi portati avanti da diversi soggetti,
pubblici e privati. Il maggiore soggetto è oggi ICS, Iniziativa car sharing
(http://www.icscarsharing.it). Esso è un organismo costituito da diversi
comuni italiani, che si sono impegnati a perseguire una strategia comune di
promozione e avvio del servizio di car sharing in Italia. Vediamo alcuni
esempi da poco attivati sul territorio nazionale.
 A Milano spetta la palma della città con il servizio migliore. E' stato
realizzato senza finanziamenti pubblici e senza fini di lucro da
Legambiente Lombardia in collaborazione con il Touring Club Italiano, in
funzione sin dal settembre del 2001. L'abbonamento comprende anche
l'iscrizione gratuita a Legambiente e al Touring Club, e non è poco!
(http://www.milanocarsharing.it). A Bologna il servizio di car sharing è
gestito dall'ATC insieme ad altri partner e prende il nome di Caratc. Un
difetto: le auto sono di un solo tipo e molto piccole, le più piccole sul
mercato (http://www.atc.bo.it). A Torino ha da poco visto la luce il Car
City Club, bizza! rro consorzio tra ATM e Fiat per la gestione del servizio
di auto collettive. Lo definiamo bizzarro poiché non capiamo come possano
lavorare a un progetto di car sharing due enti concorrenziali per natura
quali sono per l'appunto l'azienda municipale di trasporto pubblico e la
Fiat. Si potrà notare come non a caso i costi del servizio torinese siano i
meno competitivi (http://www.legambiente.to.it/econews/carsharing.htm).
Altre iniziative sono in corso a Modena, Firenze, Rimini, Venezia, Palermo.
E quanto costa? Abbiamo riassunto per voi le tariffe nella tabella.
L'iniziativa è sicuramente da appoggiare, ma non dimentichiamoci una cosa
molto importante: mettere in comune un'automobile è molto facile,
facilissimo, basta organizzarsi, tra amici, tra famiglie, tra gruppi
spontanei, e si spende ancora meno dal momento che non ci sono i costi di
un ente organizzativo come quelli appena descritti. Un'economia
alternativa, consociativa e cooperativa, è nelle nostre idee e nella nostra
creatività. Basta solo volerlo.

Nella sezione DOWNLOAD del sito di Cunegonda potrete trovare non solo due
interessanti documenti (il saggio scientifico L'automobile come prodotto
obsoleto. Problema sicurezza e trasporto democratico, di Luca Gasparini, e
il rapporto ACI sui costi del mantenimento di un'automobile), ma anche un
utile software da scaricare gatuitamente per il calcolo della convenienza
del car sharing relativamente al vostro tipo di veicolo e al vostro
chilometraggio annuale.
[Redazione Cunegonda]

RC Auto. Quali polizze innovative?
 A scadenza fissa, ormai, i telegiornali ci informano sull'ennesimo rincaro
del costo delle polizze RC auto, e ogni volta si rincorrono le accuse alle
compagnie assicuratrici di aver costituito una sorta di monopolio virtuale,
cioè un cosiddetto cartello che in modo più o meno palese rinunci a farsi
una concorrenza leale e spietata (come il liberismo economico imporrebbe)
ma di accordarsi invece su un'offerta di servizi assicurativi tutti un po'
uguali e tutti costosi nella stessa misura. Questo è vero. Ma raramente
l'informazione ci ha fatto notare che mantenere alti i costi di una polizza
RC auto significa automaticamente sostenere un utilizzo intensivo
dell'autovettura privata (tanto per intenderci: se pago 1000 euro di
assicurazione, perché dovrei lasciare l'auto parcheggiata in strada? Tanto
vale usarla, e usarla molto). Sempre inascoltate, da più parti si levavano
le voci degli automobilisti illum! inati che considerano l'auto privata un
mezzo "straordinario" di mobilità (e qui straordinario significa
letteralmente non ordinario, da usarsi solo in casi eccezionali). Avrebbe
senso infatti, ci chiediamo noi, pagare 1000 euro annui per una polizza per
un'auto che percorra al massimo 1000, 2000 chilometri all'anno? Certo che
no. E così l'alto costo delle polizze si traduce anche in una consistente
quota extra di inquinamento e malattie ad esso dovute. Fino a ieri, in
Italia, parole come assicurazioni a giorni, a punti, a chilometri, erano
termini puramente utopistici. E oggi?
In questi giorni, due compagnie assicuratrici, la Sara e la Axa
(quest'ultima con un battage pubblicitario piuttosto evidente), si sono
lanciate sul mercato con due proposte definite innovative e convenienti,
dichiaratamente pensate per chi percorre pochi chilometri all'anno, al
massimo 5000/10.000. Ma ci si può aspettare dalle compagnie assicuratrici
una reale e convincente offerta in questo senso? Abbiamo analizzato le due
polizze e ve ne diamo una breve descrizione.
Axa ha immesso sul mercato italiano un nuovo tipo di polizza auto pay per
use, che attraverso un sistema di calcolo consente di stabilire il premio
dell'assicurazione auto in funzione dell'effettivo utilizzo. I tre concetti
su cui Axa ha basato le proprie riflessioni sono: La sinistralità è
fortemente correlata al quantitativo di chilometri percorsi; la presenza di
sistemi Gps sulle automobili è in continuo aumento; in Italia il 25% degli
automobilisti percorre mediamente meno di 10.000Km in un anno. Axa ha
quindi elaborato un sistema innovativo di rilevazione della percorrenza al
fine di calcolare una tariffa personalizzata per ogni assicurato. Le
informazioni necessarie sono "quando e dove", intendendo per "quando" il
giorno (lunedì, mercoledì o domenica) e per "dove" l'area in cui l'auto sta
circolando (extraurbana, urbana e ad alta densità di traffico). Tali
informazioni vengono automaticamente inviate dal sistema G! ps ed elaborate
dal terminale Axa. Passiamo alle tariffe. Ci siamo fatti fare il calcolo
per una Punto a benzina 14 cv fiscali in quinta classe (classe piuttosto
bassa, i premi aumentano molto per classi più alte), e il premio è di 389
euro fino a 5000 km, oppure di 609 euro fino a 20.000 km, a cui va sommato
il costo del Gps che è di 584 euro, a cui va agigiunta la somma di 180 euro
per la sua installazione, totale 1153 euro (minimo), o 1373 euro (massimo).
A parte i costi, sui quali non ci sentiamo di dare un giudizio (si sa:
tutto è relativo), ci chiediamo due cose. In primo luogo, volevamo una
polizza auto ma ci viene rifilato anche un oggetto che proprio non
rientrava nelle nostre previsioni di acquisto, il navigatore satellitare.
In secondo luogo, la privacy dove finisce? Finisce molto male, dato che
qualcuno in Axa saprà giorno per giorno dove e quando abbiamo guidato. Chi
avesse un amante è finito!
La compagnia Sara propone SARAFREE, che nel mercato italiano, appare come
la prima polizza RC Auto a consumo, poiché il costo è legato al numero di
giorni di utilizzo della vettura, e così viene infatti pubblicizzata. La
polizza si attiva con una telefonata a un call center automatico e il gioco
è fatto. Ma anche qui ci troviamo di fronte a una sorpresa. Vediamo infatti
i costi. Il costo della polizza equivale esattamente alla metà di una
polizza normale e, sempre per una Punto a benzina 14 cv fiscali in quinta
classe, l'ammontare della polizza Sarafree è di 236 euro. Ma quanti giorni
di copertura abbiamo comprato con questa cifra? Motli di voi penseranno:
metà polizza, metà anno, quindi più o meno 150 giorni. E invece no. Abbiamo
comprato ben, udite udite, 10 giorni di polizza, dal momento che per tutti
gli altri giorni abbiamo una franchigia di ben 5000 euro, ovvero: in caso
di incidente con torto i dann! i fino a 5000 euro li paghiamo di tasca
nostra. Se desideriamo ulteriori giorni di polizza ce li dobbiamo comprare
alla quota di 1,3 euro al giorno, con ricariche da 15 a 60 giorni. In
definitiva, con 236 euro non si compra metà polizza, ma solo il diritto di
rischiare di tasca propria. Tutto il resto è extra.

In definitiva, è certamente meglio Sara che Axa (che oltre a diventare il
nostro Grande Fratello automobilistico, vorrebbe rifilarci a tutti i costi
anche il navigatore), ma le compagnie dovrebbero e potrebbero veramente
fare di più. Proviamo a dargli un'idea. Perché non pensare a una polizza a
tariffa normale che si possa consumare gradualmente a giorni, magari con il
sistema sms studiato da Sara. A molti di noi 365 giorni di copertura
assicurativa sarebbero sufficienti per due o anche tre anni di tempo
effettivo. Forse è proprio questo che spaventa le compagnie assicuratrici.
Ma le conseguenze sarebbero epocali: auto private usate in modo più
razionale, meno smog, meno morti da inquinamento, meno costi a carico della
sanità pubblica.
[Redazione Cunegonda]

Usiamola! Gli usi razionali della canapa
 C'era una volta la canapa, ed erano bei tempi: l'Italia era il paese più
ricco del mondo e nei suoi campi cresceva un'erbetta che può salvare il
pianeta. Poi tutto cambiò: l'erbetta sparì, incominciò addirittura a fare
paura e venne messa al bando. Ora però avviene qualcosa di nuovo e, forse,
la seconda era della cannabis è alle porte.
Il declino delle fibre naturali a favore delle materie plastiche, insieme
all'ansia per i cosiddetti "usi ludici" della pianta di canapa (quelli
legati all'alcaloide stupefacente Tetraidrocannabinolo, Thc, che dà origine
a marijuana e hashish), hanno segnato il declino e la scomparsa di una
coltivazione di antichissime origini. Ma da tre anni qualcosa si muove:
l'Unione europea ha stabilito incentivi economici per la coltivazione della
canapa, riaccendendo speranze e dando nuovo avvio a una storia millenaria.
La piantina, travolta da pregiudizi, timori, cattiva stampa, oltre che
dalle fibre sintetiche, è praticamente scomparsa in Occidente da quasi 50
anni. Eppure la tradizione della canapa ha accompagnato la storia umana e
la sua versatilità ne ha fatto per secoli la regina delle piante coltivate.
Con la fibra di canapa furono tessute le vele di tutti i popoli del mare, i
sartiami e le corde, le reti, le bandiere, i vestiti dei marinai. Con il
suo fusto! e con i semi la carta, l'olio vegetale combustibile, olio
alimentare, farine, mangimi vegetali. Con i residui legnosi stracci e
combustibile. Henry Ford la studiò per dodici anni, prima di tirar fuori
nel 1941 il più incredibile dei suoi prototipi, l'auto a carrozzeria
vegetale: la scocca, ricavata con materiali derivati dalla canapa, reggeva
urti dieci volte superiori a quelli delle carrozzerie d'acciaio,
imbottiture e tessuti erano in canapa e il veicolo pesava un terzo delle
altre auto. Ford studiava anche un combustibile derivato dalla piantina dei
miracoli, ma fu fermato dalla legislazione americana che, prima al mondo,
vietava la coltivazione. E dal nylon.
"Now you, lousy old Nipponese" (E adesso a te, vecchio sporco giapponese):
secondo la leggenda della plastica fu la signora Du Pont, moglie del
magnate del petrolio, a pronunciare la celebre frase le cui iniziali
formano il nome della nuova, rivoluzionaria fibra prodotta dal marito con
gli scarti di lavorazione: Nylon. La signora pensava alla crisi imminente
della seta asiatica, ma anche per la canapa incominciava una brutta epoca.
Correvano gli anni '30 in America, ed era in crescita la concentrazione del
potere economico nelle mani di alcune industrie del petrolio: fra queste
proprio la Du Pont che ricevette dal banchiere Mellon i capitali per la
scalata della General Motors. La banca di Mellon doveva la sua fortuna ai
soldi dei petrolieri e il proprietario, assurto alla carica di segretario
del Tesoro, mise suo nipote Henry Aslinger a capo del Federal Bureau of
Narcotics and dangerous Drugs, incarico che mantenne dal 1931 al '62. Casi,
coincidenze, ovviamente, ma a tutto ! scapito della nostra piantina, che fu
inserita nell'elenco dei demoni contemporanei e, proibita, non diede più
disturbo al cugino Nylon e ai suoi parenti. Non si sa come la prese il
vecchio giapponese, ma furono dolori per gli italiani: fino agli anni '40
il nostro paese era stato, infatti, il secondo produttore dopo la Russia, e
il primo esportatore al mondo della piantina favolosa, poi più nulla. E
pensare che il vecchio Ford aveva visto lungo: gli usi della canapa vanno
ben al di là di quelli tradizionalmente conosciuti. Oggi dalle fibre di
cannabis sativa si ricavano isolanti utilizzati nell'industria
automobilistica, materiali fonoassorbenti adatti alla bioarchitettura,
addirittura un combustibile da biomassa altamente ecologico, il biodiesel
che potrebbe rivoluzionare il sistema dei consumi energetici. Non solo: "La
carta che si ottiene con pasta di cellulosa ricavata da canapa", spiega
Daniele Re, produttore di cannabis ad Ascoli Piceno, "È! di qualità
altissima, e costa meno di quella prodotta con il legno". La canapa
costituirebbe cioè un'ottima alternativa alla deforestazione per
l'industria della carta; ma non è questa la sua sola patente ecologica.
Felice Giraudo, presidente dell'AssoCanapa chiarisce: "è una pianta
autodiserbante, rinnova i terreni dove è coltivata e non ha bisogno di
pesticidi, inoltre non richiede trattamento né irrigazione. È la
coltivazione biologica per eccellenza". Giraudo ha 66 anni e coltiva il suo
ettaro di canapa a Carmagnola, in Piemonte, dove la lavorazione della
canapa ha una tradizione solida: la Carmagnole, la danza della rivoluzione
francese, fu importata dai mercanti di cordami da canapa che venivano da
qui, e vestivano l'omonima giacca corta da lavoro. Ha le idee chiare:
"Della canapa ci si innamora", dice. Il suo sogno è rianimare la produzione
di abbigliamento e teleria: "L'ideale sarebbe usare per la carta lo scar!
to di produzione". Non è una sparata: addirittura il Poligrafico dello
Stato ha sperimentato nello stabilimento di Foggia la produzione di carta
ottenuta dagli scarti di canapa, un successo che ha portato la Cgil locale
a presentare un piano per la realizzazione di 22 mila tonnellate l'anno
creando 300 nuovi posti di lavoro. Ai futuri produttori Giraudo raccomanda
di coltivare almeno un ettaro "per non generare sospetti". In effetti fra
le forze dell'Ordine la confusione è alta e, anche se le varietà coltivate
in Italia rispettano l'indicazione europea che impone, per accedere ai
finanziamenti, un contenuto di Thc inferiore allo 0,2%, non è raro
incappare in sequestri cautelativi del raccolto. "Un assurdo", secondo
Daniele Re: "Per usi ludici il 4% di Thc è ancora una percentuale bassa".
[...]
Oltre al mercato tradizionale, c'è poi quello "alternativo" i cui capofila
sono i due negozi Biosfera (A Milano in piazza Morbegno e a Torino in via
San Dalmazzo) dove, insieme a dolciumi, telerie, prodotti cosmetici, opere
artistiche in canapa, si vendono materiali per la coltivazione, sementi,
lampade per la produzione da appartamento. Qui le confezioni ammiccano
all'"uso ludico" e alla controcultura e accanto ai prodotti trovano posto
materiali informativi legati alla battaglia per la legalizzazione della
cannabis: "Più che una battaglia antiproibizionista", dice però Guido
Andruetto della Biosphera di Torino, "è un buon affare: il negozio attira
turisti, è di gran moda, ha successo come punto di incontro per un pubblico
vario e trasversale". Sopra le sue vetrine un'insegna settecentesca
restaurata recita: "Drogheria Nicola Maria": una pubblicità gratuita e
involontariamente umoristica che contribuisce ad attirare i curiosi. Per i!
carabinieri tutto regolare: qui non si vende cannabis indica, da marijuana,
ma cannabis sativa, legale. "Che poi sarebbe un'emerita balla", ridacchia
nel suo stile agreste il vecchio Giraudo: "La pianta è la stessa". Ma se i
cavilli servono a far rinascere la coltivazione, tutto va bene: "Non è solo
un problema di economia agricola, è anche la via maestra per la difesa
dell'equilibrio ambientale" dice Angela Grimaldi, che ha fondato il Centro
culturale canapa a Terricciano di Pisa, dove sono allestiti una mostra
permanente, un laboratorio artigianale e un punto vendita di prodotti
derivati da produzione nostrana. La produzione italiana è però ferma a 300
ettari: un'inezia per Giraudo, che rincara la dose: "Non richiede materiali
chimici, rinnova la terra, produce plastica, energia, carta, fibre
sintetiche isolanti per la casa e per l'auto, plastica dura e persino
polvere da sparo: esagero se dico che questa piantina può salvare il m!
ondo?" Se a questi usi si aggiungono quelli medici, come analgesico,
antiasmatico, antibiotico e antibatterico (legati però agli alcaloidi
sospetti), come dargli torto?
[Luca Rastello]

Sostengono il monopolio televisivo
Valida fino al 31 dicembre 2002
Reparto acque
Uliveto
Rocchetta
San Pellegrino
Vera
Ferrarelle
Levissima
Panna
Acqua Parmalat
Reparto formaggi
Vitasnella
Yogurt Joy Parmalat






Reparto sottozero
Gelati Motta
Gelati Algida




Reparto dolciumi
Nesquik
Nestea
Mulino Bianco
Oro Saiwa
Succhi Santal
Succhi "I Briosi"
Reparto Paste
Pasta Barilla
Sughi Barilla
Sughi Star

Reparto oli - alimentari
Tonno e patè Riomare
Maionese Calvè
Latte FrescoBlu

Altro
Sgrassatore Smac
Omino Bianco
Depilatori Veet
Detersivi Sole/Ava Mondadori
Napisan
Borotalco Roberts
Fiat
Prodotti L'Oreal
Sulla base del monitoraggio volontario Core

Ringraziamo Umberto Eco, tutti coloro che ci sostengono e incoraggiano, e
tutti quelli che ci aiuteranno a rendere la nostra cara Italia un po' più
democratica e libera.

Un saluto cordiale

Movimento di Cunegonda
Critica del consumo per la democrazia
Missione attuale: la fine del monopolio dell'informazione televisiva

http://www.cunegonda.info