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La nonviolenza e' in cammino. 429



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 429 del 28 novembre 2002

Sommario di questo numero:
1. Antonio Vigilante, alcune riflessioni su questa cosa che chiamiamo
nonviolenza
2. Mariagrazia Bonollo, settimo giorno di digiuno di don Albino Bizzotto per
una "finanziaria di pace"
3. Mao Valpiana, che siano un Natale e un anno di pace per tutti, senza la
guerra
4. Giulio Vittorangeli, voler spegnere un incendio con la benzina
5. Marina Forti, una marcia contro il Nemagon
6. Luciano Dottarelli, Karl Popper e il paradigma filosofico "classico"
7. Luisella Battaglia, una convergenza
8. Diana Sartori, alcune analisi critiche femministe sulla teoria della
giustizia di Rawls
9. Da un'epistola di Misone all'amico suo Timandro
10. Tribunale 8 marzo, la parola
11. Maria Luisa Spaziani, il sogno giusto
12. Benito D'Ippolito, della nonviolenza in cammino
13. Riletture: Roberto Dall'Olio, Entro il limite
14. Riletture: Donatella Della Porta, Movimenti collettivi e sistema
politico in Italia. 1960-1995
15. Riletture: Marcella Ferrara, Le donne di Seveso
16. Riletture: Gershom Scholem, Le grandi correnti della mistica ebraica
17. Riletture: Lucia Venturi (a cura di), Mai piu' Cernobyl
18. La "Carta" del Movimento Nonviolento
19. Per saperne di piu'

1. RIFLESSIONE. ANTONIO VIGILANTE: ALCUNE RIFLESSIONI SU QUESTA COSA CHE
CHIAMIAMO NONVIOLENZA
[Ringraziamo Antonio Vigilante (per contatti: naciketas@jumpy.it) per questo
intervento che sviluppa ulteriormente la riflessione proposta in altri
interventi apparsi sul notiziario di ieri e del giorno precedente. Antonio
Vigilante, nato a Foggia nel 1971, dopo la laurea in pedagogia si e'
perfezionato in bioetica. Collabora a diverse riviste e sta preparando un
saggio filosofico sistematico sulla nonviolenza di cui ci ha gentilmente
concesso di anticipare alcune pagine su questo foglio tempo addietro. Opere
di Antonio Vigilante: di fondamentale importanza e' il volume La realta'
liberata. Escatologia e nonviolenza in Aldo Capitini, Edizioni del Rosone,
Foggia 1999]
1. Distinzione tra forza e violenza
Scrive Simone Weil che la forza e' "cio' che rende chiunque le sia
sottomesso una cosa" (L'Iliade poema della forza, in Sui conflitti e sulla
guerra, Centro di Ricerca Nonviolenta, Brescia 1999, p. 1).
Questa definizione puo' essere adattata alla violenza: violenza e' tutto
cio' che riduce dei viventi a cose (anche in modo metaforico: e' violenza
psicologica il comando che zittisce, o la paura che immobilizza).
Forza invece e' la virtu' di cio' che non si lascia schiacciare ne'
schiaccia, ma cresce accanto. Degenerazione della forza e' la violenza, con
la quale il "crescere accanto" diventa un "crescere sopra". Al di qua della
forza c'e' la debolezza, che e' il lasciar crescere sopra di se', il farsi
cosa di una persona.
*
2. Attenzione, apertura, trascendimento
Trovo nel canone del jainismo questa affermazione: "Secondo le scritture,
l'individuo e' sia violento sia non violento. Quando e' attento e' non
violento, quando e' disattento e' violento" (Saman Suttam, Mondadori, Milano
2001, p. 68). Affermazione alla quale corrisponde, mi pare, questa di
Gandhi: "L'uomo come animale e' violento, ma come Spirito e' nonviolento.
Nel momento in cui prende coscienza dello Spirito che e' in lui non puo'
rimanere violento" (Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi, Torino
1996, p. 63).
In altri termini, esiste un atto spirituale che conduce l'uomo alla
nonviolenza, e questo atto e' l'attenzione, o consapevolezza. La violenza ha
origine quando l'uomo fa attenzione a se stesso, ed all'altro.
Il primo atto e' spirituale, e se ne trova forse la esplicazione piu'
esauriente nella Introduzione alla vita interiore di Lanza del Vasto.
Il secondo atto e' etico, ed e' centrale nella concezione nonviolenta di
Aldo Capitini, che parla di "apertura".
Per il quale e' fondamentale anche un altro elemento, che scaturisce
dall'apertura all'altro: l'apertura ad un mondo diverso, ad una diversa
possibilita' del reale (ed attenzione a cio' che nella natura-vitalita'
anticipa questa possibilita'). Apertura che Capitini definisce
"trascendimento", e che e' per lui un fatto religioso (liberamente
religioso).
Si puo' forse sostenere che la nonviolenza comprende un atto spirituale, uno
etico ed uno religioso, corrispondenti a tre forme dell'attenzione. Ognuno
di questi atti conduce all'altro, e tutti assumono una valenza politica.
*
3. Tiep Hien
Tiep Hien e' il nome vietnamita dell'Ordine dell'Interessere, fondato dal
monaco zen e attivista nonviolento Thich Nhat Hanh. Tiep vuol dire "essere
in contatto", hien vuol dire "presente". Anche questa, forse, puo' essere
una traduzione efficace di satyagraha.
Noi occidentali potremmo parlare semplicemente di "autenticita'".
*
4. "Rispetto per la vita"
In effetti il concetto di "rispetto per la vita" di Schweitzer puo' tradurre
quello di satyagraha.
Capitini interpreta alla perfezione lo spirito del "rispetto per la vita"
schweitzeriano, quando sostiene che nonviolenza e' "attiva apertura
all'esistenza, alla liberta', allo sviluppo, alla compresenza di tutti gli
esseri" (La nonviolenza oggi, in Id., Scritti sulla nonviolenza, Protagon,
Perugia 1992,  p. 141).
V'e' pero' una differenza importante. Il "rispetto per la vita"
schweitzeriano non ha alcun vero valore politico. Schweitzer critica Gandhi,
e non ne comprende il metodo. La sua concezione politica, esposta in "Kultur
und Ethik", e' di una ingenuita' disarmante: si limita ad auspicare una
riforma morale dello stato, senza indicare gli strumenti che concretamente
possono realizzare tale riforma (analizzo le differenze tra Schweitzer e
Gandhi in un articolo che dovrebbe uscire sul prossimo numero di "Quaderni
Satyagraha").

2. INIZIATIVE. MARIAGRAZIA BONOLLO: SETTIMO GIORNO DI DIGIUNO DI DON ALBINO
BIZZOTTO PER UNA "FINANZIARIA DI PACE"
[Riceviamo e diffondiamo questo comunicato dei "Beati i costruttori di
pace", uno dei principali e piu' attivi movimenti nonviolenti italiani, dei
cui comunicati Mariagrazia Bonollo (per contatti: salbega@tiscalinet.it) e'
l'infaticabile redattrice]
E' giunto al settimo giorno di digiuno don Albino Bizzotto, presidente di
"Beati i costruttori di pace". L'iniziativa di "digiuno preventivo" per una
legge finanziaria di pace era stata lanciata da padre Angelo Cavagna del
Gavci, che ha digiunato per 21 giorni e dal quale don Albino ha preso il
testimone. Sono decine in Italia le persone che per lo stesso motivo stanno
digiunando a staffetta.
"Riconosco che se non andiamo ad intaccare concretamente le strutture di
guerra, quindi anche la programmazione finanziaria riguardo al militare,
rimangono insufficienti tutte le altre manifestazioni per la pace" sostiene
il presidente dell'associazione padovana da anni impegnata nell'ambito della
pace e dei diritti umani.
Don Bizzotto in una lettera sostiene che "e' tutto il complessivo panorama
politico ed economico delle scelte contro la pace che rimane inquietante.
Raddoppiano negli Usa gli investimenti per le armi, l'Europa si attrezza per
competere anche sul piano militare; la Nato si allarga e cambia natura; il
terrorismo, preso a pretesto, serve anche a Russia e Cina per repressioni
devastanti di interi popoli, delle minoranze in particolare. La politica di
fatto sta diventando la continuazione della guerra con altri mezzi; solo la
guerra viene proposta per risolvere i conflitti internazionali e per
definire la stessa funzione dell'Onu e delle altre istituzioni
internazionali. Le politiche liberiste all'interno dei singoli stati negano
i diritti civili e sociali per perseguire la privatizzazione di tutti i
servizi e di tutti i beni primari. A Johannesburg ci e' stato mostrato un
pianeta con scadenze ad orologeria. Il digiuno lo sento importante e
necessario per le scelte da fare e con che spirito, con piena coscienza
della complessita' e pervasivita' della violenza".
Il sacerdote padovano, in partenza domenica prossima per l'Iraq con una
delegazione di trenta persone fra rappresentanti di associazioni e
parlamentari italiani, si interroga sul senso di un digiuno collettivo.
"Sentiamo che se anche riuscissimo ad esprimerci con un grande movimento
politico per la giustizia e per la pace, non riusciremmo a fermare le
decisioni di potenza che vengono prese in nome dell'attuale ordine economico
mondiale. Per esse la guerra va fatta comunque. E noi ci stiamo dentro:
dalla parte di quelli che la fanno e che producono armi. E' la logica di
questa storia che va radicalmente cambiata. Per questo, di fronte
all'insufficienza della politica, penso sia urgente ora la messa in campo di
una grande forza spirituale. Mi riferisco allo spirito di ciascuno cosi'
com'e'. E' stato detto che un altro mondo e' possibile, anzi necessario. A
me pare che oggi, come vanno le cose, sia urgente rendere possibile
l'impossibile. Il digiuno puo' essere uno strumento straordinario. Andare a
toccare il nostro necessario quotidiano ci costringe ad affrontare la
realta' dal punto di vista di tutti coloro che mancano del necessario. E'
una denuncia nella propria carne dell'ingiustizia prodotta dai meccanismi e
dalle strutture economiche attuali, impermeabili a ogni appello di
cambiamento. Il digiuno costringe ogni persona a rimotivarsi in quasi tutti
i momenti della giornata, chiede una profondita' e forza interiore che sole
possono portare ad una risposta integrale e coerente: ci rende capaci anche
di scelte radicali. Vissuto insieme e in tanti puo' diventare anche mezzo di
pressione politica, piu' efficace di ogni altra manifestazione. Digiuno
volentieri anche per una legge finanziaria di pace, ma vorrei condividere
con tanti altri obiettivi 'impossibili'".
Per informazioni e contatti, e per esprimere adesione e solidarieta':
ufficio stampa dei "Beati i costruttori di pace", Mariagrazia Bonollo, tel.
3482202662, 0445344264.

3. INFORMAZIONE. MAO VALPIANA: CHE SIANO UN NATALE E UN ANNO DI PACE PER
TUTTI, SENZA LA GUERRA
[Ringraziamo Mao Valpiana, direttore di "Azione nonviolenta" (per contatti:
azionenonviolenta@sis.it), per averci inviato il testo dell'editoriale del
fascicolo di dicembre dell'ottima rivista mensile del Movimento Nonviolento
fondata da Aldo Capitini e da Mao diretta. "Azione nonviolenta" ha sede in
via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax 0458009212, e-mail:
azionenonviolenta@sis.it, sito: www.nonviolenti.org]
E' consuetudine, alla fine di ogni anno, fare un bilancio del tempo
trascorso e formulare qualche buon proposito. Vale anche per "Azione
nonviolenta".
Il lavoro per realizzare una rivista e' sempre un fatto collettivo, che
coinvolge la redazione ma anche tutti i lettori. La rivista cresce solo se
gli abbonati la apprezzano e la fanno conoscere ad altri.
Basta scorrere i dieci numeri dell'annata 2002 per rendersi conto che il
lavoro collettivo attorno ad "Azione nonviolenta" e' stato proficuo. Le
rubriche fisse si sono ben caratterizzate e se ne aggiungeranno di nuove.
Alla cura per le foto abbiamo affiancato i nuovi disegni, fatti con cura.
Riceviamo moltissimo materiale, sempre interessante e degno di
pubblicazione, ma le pagine sono limitate e il direttore e' costretto ad un
ingrato lavoro di selezione. A compendio sinergico della rivista, pero',
c'e' il nostro sito internet www.nnviolenti.org, che e' molto apprezzato e
visitato (quasi 35.000 i contatti avuti) dove compaiono gli scritti che non
trovano spazio sulla carta stampata o che hanno una urgenza d'attualita' che
non si addice alla scadenza mensile, piu' adatta alla riflessione e
all'approfondimento.
Senza il Movimento Nonviolento, ovviamente, la rivista non esisterebbe e non
avrebbe senso di essere. Il lavoro che facciamo non e' un esercizio
culturale fine a se stesso, ma e' finalizzato unicamente alla crescita della
nonviolenza organizzata. Sono molti gli amici della nonviolenza che proprio
tramite le pagine del mensile vengono a conoscere ed entrano in contatto con
altre realta' nonviolente e hanno la possibilita' di partecipare al lavoro
di movimento.
"Azione nonviolenta" e' riconosciuta nell'ambito del piu' ampio movimento
per la pace e di critica alla globalizzazione, come una rivista storica ed
autorevole. E' apprezzata per la serieta', la puntualita', la coerenza e la
qualita' culturale che offre. Naturalmente siamo soddisfatti di questo
risultato raggiunto, ma riteniamo che dovremmo fare molto di piu'. Duemila
copie sono forse sufficienti per una pubblicazione "di nicchia", ma siamo
convinti che la richiesta di cultura e pratica nonviolenta in Italia sia
molto maggiore.
Per questo invitiamo ogni singolo lettore a formulare questo buon proposito
per il 2003: farsi "centro" promotore per diffondere "Azione nonviolenta",
uno strumento concreto per la crescita della nonviolenza.
In questo ultimo numero del 2002 proponiamo una valutazione dei 30 anni di
obiezione di coscienza nel nostro paese. Oggi, come nel 1972, teniamo molto
all'autonomia e all'indipendenza del nostro pensiero.

4. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: VOLER SPEGNERE UN INCENDIO CON LA
BENZINA
[Giulio Vittorangeli (giulio.vittorangeli@tin.it) e' uno dei principali
collaboratori di questo foglio, uno degli amici piu' cari, e uno di quegli
"hombres nuevos" che nel loro esistere con e per gli altri sono gia' figura
dell'internazionale futura umanita']
Viviamo in una situazione in cui la storia corre a velocita' superiore alla
nostra capacita' di leggerne i dati e dare delle risposte.
La guerra da oltre dieci anni e' tornata al centro della scena politica
mondiale, ma nel senso comune dell'occidente e' diventata un'altra cosa,
perche' non ci coinvolge direttamente.
La guerra del Golfo del '91 e' stata vissuta come una "giusta spedizione
punitiva" verso Saddam che aveva invaso il Kuwait. Sul Kossovo si e'
inventato l'"intervento umanitario"; mentre la guerra all'Afghanistan e'
stata avallata "perche' l'attentato alle due Torri investiva nei ricordi
l'universo mentale ed emozionale anche nostro oltre che quello americano.
Avevano attaccato anche noi!" (Rossana Rossanda).
Gli Stati Uniti, con la teoria del terrorismo islamico, si sono dati la
premessa di un intervento illimitato ("guerra preventiva") nel pianeta;
dovunque ritengano minacciati gli interessi loro, checche' il mondo ne
pensi.
E' per le Nazioni Unite un colpo decisivo.
In realta', cercar di rispondere alla guerra col terrorismo o al terrorismo
con la guerra, e' come voler spegnere un incendio con la benzina, una cosa
irrazionale e criminale.
Si pensi a quanto e' accaduto al teatro di Mosca, una ferita dell'umanita'
piu' che della civilta' (quell(odore di gas non ce lo scrolleremo piu' di
dosso): "Prima dell'invenzione della guerra indefinita e infinita contro il
terrorismo, l'idea di risolvere la faccenda con il gas non avrebbe avuto
l'alibi che contro il terrorismo ogni mezzo e' lecito, e all'orrore
straziato non si aggiungerebbe poi in noi l'atroce percezione che anche sul
versante dei governi tutto si avvicina e diventa un precedente imitabile, e
quello che oggi e' accaduto a Mosca domani puo' accadere in un altro punto
del pianeta, e non c'e' argine di memoria o di diritto che possa fermare la
follia di un potere che si scopre vulnerabile e impotente' (Ida
Dominijanni).
In Italia, il ritorno della guerra, ha voluto dire fare a pezzi l'articolo
11 della Costituzione, senza nessuna sorpresa e scandalo: e nemmeno una
discussione in parlamento o un qualche chiarimento dal Presidente della
Repubblica.
In verita' non sono stati cancellati i vincoli formali che vennero posti al
ricorso alle armi, ma sono stati scavalcati di fatto. Il fatto e' che quando
si legittima una infrazione alle leggi sulle quali si basa una convivenza e
si regolano i suoi conflitti (appunto una Costituzione), ci si avvia
all'inselvaggimento delle relazioni. Tutto questo facilitato
dall'unilateralismo americano del governo Berlusconi.
*
La verita', purtroppo, e' che dal giorno in cui ha vinto le elezioni, il
centrodestra ha promosso una vera controrivoluzione totale.
Da' fastidio il reato di falso in bilancio? Si abolisce il reato.
Provoca problemi la legislazione sulle rogatorie? Si cambia la legge.
Gli industriali sentono il bisogno di licenziare piu' facilmente? Addio
all'art. 18 delloStatuto dei lavoratori.
Un paio di giornalisti televisivi non sono allineati? Arrivederci senza
neanche grazie.
La Rai fa troppa concorrenza a Mediaset? Smobilitiamo la Rai.
Eccetera, eccetera. Fino alla legge razzista Bossi-Fini (certo sappiamo che
questa legge non e' scaturita dal nulla ma e' il frutto di progressivi e
sempre piu' abissali cedimenti al razzismo da parte dei precedenti governi).
E' evidente la natura arrogante, quasi da regime, del governo Berlusconi, a
fronte di una sinistra totalmente impreparata.
Nessuno certamente potra' frenare la deriva istituzionale in atto se non
cambiera' prima di tutto, grazie a una battaglia culturale lunga e
difficile, il senso comune, oggi deformato, intorno alle idee di pace, di
convivenza dei popoli, di democrazia, di rappresentanza politica, di
legalita' e di sfera pubblica.
*
Elementi che oggi fanno sperare certamente ci sono.
Pensiamo, a livello internazionale, alla vittoria in Brasile di Lula (per
quanto riveduto e corretto): un presidente operaio che ha conosciuto la
miseria, l'officina, la prigione delle dittature e la sconfitta politica in
tre elezioni consecutive prima di sommergere di voti l'uomo dei mercati
Jose' Serra. E' qualcosa di straordinario (comunque vada a finire) per il
Brasile: il piu' grande paese dell'America Latina, la nona economia del
mondo. Ma puo' essere straordinario anche per il mondo intero. "Difficile
non cedere alla retorica, ma non si puo' non ricordare il Cile di Allende
del '70 e l'entrata dei sandinisti a Managua del '79, confidando - e
augurandosi - esiti piu' felici" (Maurizio Matteuzzi).
E poi, "il movimento dei movimenti" che, dopo le giornate di Firenze, puo'
aprire un tempo nuovo della politica. E' un movimento di costruzione e che
almeno in Italia si incrocia e si contamina con altri movimenti, quello piu'
strettamente legato al mondo del lavoro che difende i suoi e gli altrui
diritti: dalle mobilitazioni sindacali di questa primavera e pienamente
riconfermate nello sciopero del 18 ottobre, alle lotte operaie alla Fiat,
dove il fallimento e' tutto e solo della dirigenza. Fallimento che si vuole
scaricare sulla condizione degli operai. E quello piu' di opinione, attento
alle questioni di democrazia sostanziale, all'informazione, alla giustizia.
Tre movimenti con spinte diverse. Ma una battaglia comune che puo' avere
oggi la pace al primo posto come ieri lo statuto dei lavoratori e domani le
liberta' che si riducono.

5. DIRITTI. MARINA FORTI: UNA MARCIA CONTRO IL NEMAGON
[Questo articolo abbiamo ripreso dal quotidiano "Il manifesto" del 26
novembre 2002. Marina Forti e' una giornalista esperta di questioni
ambientali e diritti umani]
Hanno marciato per 140 chilometri, da Chinandega a Managua, Nicaragua.
Migliaia di persone, accomunate dall'aver lavorato nelle piantagioni di
banane che per decenni hanno fatto ampio uso di un certo pesticida che
protegge la pianta da un vermetto parassita e ne fa aumentare la resa. Gente
in la' con gli anni e ammalata: perche' quel pesticida, messo sul mercato
con il nome di Nemagon, o Fumazone - in termini piu' tecnici Dbcp,
dibromo-3-cloropropano, e' assai nocivo: non per nulla la California ne
aveva vietato l'uso gia' nel 1977, e due anni dopo tutti gli Stati Uniti,
dopo aver notato che gli addetti agli stabilimenti chimici in cui era
prodotto erano colpiti da sterilita'.
La legge americana non vietava pero' di produrre quella sostanza per
venderla all'estero, e cosi' nelle piantagioni del Nicaragua fino ai primi
anni `90, provocando un vero e proprio avvelenamento di massa (vedi in
questa stessa rubrica su "Il manifesto" del 12 maggio 2002).
L'associazione di circa quattromila lavoratori ed ex lavoratori colpiti dal
Nemagon (Asotraexdan), nata in Nicaragua nel 1992, calcola che 180 persone
siano morte e altre migliaia stiano lottando contro mali che vanno dal
tumore ai reni, pancreas e milza alle malformazioni cutanee, senza contare
la sterilita' diffusa e i figli malformati nati da persone esposte al
pesticida. Stiamo parlando di grandi piantagioni e di migliaia di addetti,
ma non esiste un'indagine epidemiologica sistematica - e' stata proprio
l'associazione degli ex-lavoratori a raccogliere informazioni e documentarsi
sugli effetti del pesticida. Ed e' la Asotraexdan che attraverso una
Fondazione aiuta i lavoratori ammalati che non riescono piu' a sostentarsi.
I dirigenti dell'associazione calcolano che negli anni '70 nei sette
distretti della regione di Chinandega, nell'occidente del paese, siano
passati circa 8.400 lavoratori, a cui aggiungere le mogli o figlie che
portavano loro il pranzo e i bambini che giocavano tra le piante: qualcosa
come ventimila persone che andrebbero sottoposte a qualche controllo.
Una vittoria l'associazione dei lavoratori avvelenati dal Nemagon l'ha
ottenuta: nel gennaio del 2001 il parlamento nicaraguense ha approvato una
"legge speciale per promuovere processi richiesti dall'uso di pesticidi a
base di Dbcp". In base a questa legge (364/2001) gruppi di ex addetti hanno
promosso cause legali per chiedere risarcimenti alle sette aziende che hanno
prodotto, distribuito o utilizzato Nemagon in Nicaragua: Dow Chemical Corp,
Shell Oil Company, Standard Fruit Co., Standard Fruit and Steamship, Dole e
Chiquita Brand.
Ora pero' quella legge e' in pericolo, ed e' per questo che circa
quattromila persone sono partite il 14 novembre da Chinandega per arrivare
cinque giorni dopo nella capitale nicaraguense, al culmine di una serie di
proteste e marcie cominciate due mesi fa. La Asotraexdan denuncia il
tentativo del governo di derogare alla legge 364, e ha accusato gli Stati
Uniti di interferenza: pare che Washington, attraverso il suo ambasciatore,
abbia fatto pressioni fortissime perche' la legge 364 sia dichiarata
incostituzionale, e per fermare le cause legali. La marcia arrivata qualche
giorno fa a Managua si e' conclusa davanti al palazzo del governo e al
parlamento, dove migliaia di persone hanno sostano per cinque ore, in attesa
che fosse ricevuta una propria delegazione guidata da Victorino Espinales,
presidente della Fondazione.
Il 22 novembre i sopravvissuti al Nemagon sono tornati a casa con un buon
risultato. Il parlamento ha affermato in una risoluzione che non
modifichera' la legge, la Corte suprema ha garantito il suo rispetto, dunque
i processi intentati dai lavoratori andranno avanti. Il silenzio e' rotto,
per giorni e giorni la stampa nazionale ha pubblicato testimonianze di
uomini e donne avvelenati dal pesticida, le loro voci sono state riprese
dalle radio. L'associazione dei lavoratori avvelenati ora punta l'attenzione
sui processi. E chiede di mandare lettere e messaggi elettronici alle
multinazionali chiamate in causa: il testo si trova sul sito
dell'Associazione Italia-Nicaragua, che ha lanciato la campagna "No more
chemicals" (www.itanica.org).

6. RIFLESSIONE. LUCIANO DOTTARELLI: KARL POPPER E IL PARADIGMA FILOSOFICO
"CLASSICO"
[Ringraziamo Luciano Dottarelli (per contatti: ldottarelli@libero.it) per
questo intervento  (in cui riprende e rielabora alcune pagine del suo volume
su Popper del 1992) che molto desideravamo nell'anno centenario della
nascita del filosofo viennese. Luciano Dottarelli, docente e saggista, gia'
apprezzato sindaco di Bolsena, e' attuamente capogruppo consiliare alla
Provincia di Viterbo. Tra le opere di Luciano Dottarelli: Popper e il gioco
della scienza, Erre Emme, Roma 1992; Kant e la metafisica come scienza, Ere
Emme, Roma 1995. Karl Popper e' nato a Vienna nel 1902 e deceduto a Londra
nel 1994, filosofo della scienza e pensatore politico liberale; alcune sue
opere e tesi costituiscono un contributo di indubbia utilita' per tutte le
persone impegnate per la pace, la democrazia, la dignita' umana. Opere di
Karl R. Popper: con riferimento alla riflessione politica popperiana
segnaliamo particolarmente La societa' aperta e i suoi nemici, Armando,
Roma; Congetture e confutazioni, Il Mulino, Bologna (ed in questa raccolta
di saggi soprattutto i seguenti: L'opinione pubblica e i principi liberali;
Utopia e violenza; La storia del nostro tempo: visione di un ottimista);
Miseria dello storicismo, Feltrinelli, Milano; cfr. anche La lezione di
questo secolo, Marsilio, Venezia (libro-intervista con due saggi in
appendice); tra i suoi ultimi interventi cfr. Una patente per fare tv, in
Popper, Condry, Cattiva maestra televisione, Reset, Milano; ovviamente il
Popper pensatore politico non e' separabile dal Popper filosofo della
scienza, di cui cfr. in particolare la fondamentale Logica della scoperta
scientifica, Einaudi, Torino. Tra le opere su Karl R. Popper segnaliamo una
buona antologia scolastica di testi popperiani, a cura di Dario Antiseri,
Logica della ricerca e societa' aperta, La Scuola, Brescia]
In La filosofia e lo specchio della natura, Richard Rorty descrive la
filosofia tradizionale come dominata dalle metafore visive dei greci e dal
paradigma cartesiano-kantiano, che le assegna il compito di fondare la
conoscenza, rispondendo agli attacchi inaccettabili dello scettico
epistemologico.
Quel programma filosofico fondazionistico, ossessionato dalla volonta' di
"sfuggire alla storia", viene denunciato come un "tentativo di rendere
eterno un certo gioco linguistico contemporaneo, una pratica sociale, una
immagine di se'".
Auspicando all'opposto una "cultura postkantiana", storicistica e
pragmatistica, in cui la verita' sia "quel che per noi e' meglio credere"
(William James) piuttosto che la "rappresentazione accurata della realta'",
Rorty si riconosce in quella "koine' filosofica contemporanea" (Gianni
Vattimo) che e' il pensiero ermeneutico, in cui l'essere, ormai fuori
dall'orizzonte forte della metafisica, si da' solo in una ontologia
"debole".
A questa koine' filosofica del pensiero debole si e' voluto infine
ricondurre anche la riflessione epistemologica di Karl Popper, in quanto per
essa "la scienza e' un modello di razionalita' proprio perche' non fonda
niente in maniera definitiva. E progredisce proprio perche' ha rinunciato
alla certezza, al fondamento" (Dario Antiseri).
Questa esplicita richiesta di iscrivere Popper all'area filosofica del
pensiero debole, avanzata dal primo e piu' convinto tra i suoi seguaci
italiani, se e' vero che la dice lunga sulle difficolta' che oggi si trova
ad affrontare quel programma epistemologico, suscita piu' di una
perplessita' e continua ad incontrare molte resistenze da parte di chi
dovrebbe accoglierla.
Il fatto e' che in Popper l'approdo sulle rive del continente filosofico
oggi dominante e' il risultato, che diventa chiaro a se stesso solo alla
fine, di una navigazione incerta, difficile, iniziata con altro entusiasmo
e, a momenti, ravvivata lungo la strada da ben altre ambizioni.
Il cuore del suo programma filosofico e' in realt?a', al di la' delle vesti
dimesse con cui si presenta, lo sforzo forse piu' possente e sofisticato di
salvare quanto resta dei "fondamenti" della conoscenza. E' l'estremo
tentativo svolto proprio su quella linea della filosofia come attivita' che
gira intorno al tentativo cartesiano di rispondere allo scettico
epistemologico.
Per l'impegno che si assume, per la serieta' con cui cerca di portarlo a
compimento, per gli interlocutori con i quali sceglie di confrontarsi (Hume
e Kant in primo luogo), Popper risulta senz'altro interno a quel paradigma
filosofico e ne condivide, al di la' della lettera, lo spirito piu'
profondo, perfino in alcune delle assunzioni piu' tipiche e radicate che ne
richiamano addirittura l'impronta "classica" (si veda la svalutazione
costante della tecnica e della scienza applicata e la preminenza assegnata
alla teoresi).
L'estremo tentativo di salvare lo spirito della tradizione "classica" si
presenta, in Popper, nella forma di una ritirata strategica sul fronte della
razionalita', enfatizzata attraverso una tattica diversiva, accanita nel
demolire quanto resta delle precedenti fondazioni, per tentare di
ricostruire su basi nuove la possibilita' di un "discorso comune" in cui
abbiano ancora diritto di cittadinanza parole come "realta'", "verita'",
"conoscenza oggettiva", "razionalita'".
Il non aver compreso come nella sua epistemologia continuasse ad agire il
super-io della tradizione filosofica "classica" ha fatto nascere piu' di un
equivoco sulle reali intenzioni di Popper. C'e' chi, ad esempio, ha
accomunato in modo troppo frettoloso la prospettiva popperiana a quella di
Bachelard, incentrata sulla priorita' della concreta pratica scientifica e
sulla storicita' della scienza. O addirittura chi, ispirato alla nostalgia
per una comunita' scientifica della sicurezza, non intaccata dal dissenso e
dalla critica, e' giunto a leggere Popper come un relativista e
irrazionalista a la Nietzsche, distruttore di ogni certezza.
In realta' il compito fondamentale che egli fin dall'inizio si e' proposto
e' stato proprio quello di superare lo scetticismo di Hume delineando
un'epistemologia falsificazionista che, pur accettando la critica
dell'induzione, riuscisse a salvaguardare la razionalita' e l'empirismo: se
e' vero che non possiamo mai stabilire la verita' delle teorie scientifiche,
almeno possiamo compiere con piena certezza logica il rifiuto di quelle
false.
E' vero semmai che, nonostante l'intenzione di rimuoverlo, continua ad agire
nella sua riflessione anche una sorta di inconscio epistemologico humiano,
che riaffiora continuamente e che il dibattito post-popperiano (Kuhn,
Feyerabend) non ha fatto che squadernare senza piu' remore e pudori.
Popper non tardera' a rendersi conto che "il problema di Hume" nella sua
vera consistenza non e' affatto di ordine logico, tale che possa bastare a
risolverlo l'"asimmetria logica tra falsificazione e verificazione".
Il paradosso di Hume consiste nel fatto che non e' possibile "giustificare"
la preferenza razionale e che si deve prendere atto della "stravagante
condizione in cui si trova l'umanita' che deve agire e ragionare e credere;
per quanto gli uomini non riescano, neppure con le piu' diligenti ricerche,
a trovare una risposta soddisfacente intorno alla fondazione di queste
operazioni, oppure a togliere di mezzo le obiezioni che si possono muovere
contro di esse".
Allora, semmai, il tentativo popperiano di risolvere il problema di Hume, lo
aggrava perche' la sua "rivoluzione copernicana" e l'ammissione della
ineliminabile teoreticita' del dato empirico introducono nella problematica
gnoseologica di Hume un'ulteriore questione di ordine piu' specificamente
epistemologico e metodologico.
In fondo, per Hume si tratta "soltanto" di risolvere il problema filosofico
dell'induzione (l'uniformita' della natura che garantisce la validita' in
futuro delle conoscenze finora acquisite sulla base dell'esperienza), mentre
risulta dato pressoche' per scontato che un metodo induttivo per compiere
inferenze valide fino a un determinato tempo t possa esistere.
La stessa giustificazione trascendentale kantiana, rivolta a fondare il
principio di uniformita' della natura ed a salvare la possibilita' in
generale dell'inferenza induttiva, non prende troppo sul serio il problema
di una possibilita' dell'errore nelle singole, concrete inferenze induttive
(problema epistemologico-metodologico). Questo non solo perche' l'orizzonte
trascendentale garantisce la possibilita' dell'intersoggettivita', ma anche
per il motivo che la sensibilita', nella prospettiva kantiana, resta passiva
e il suo contributo alla conoscenza si puo' separare da quello
dell'intelletto. Percio' l'apriorismo kantiano pone certamente problemi
filosofici, ma non reali problemi epistemologici.
Questi si pongono invece per Popper che opera - contribuendo a costituirlo -
nell'orizzonte postkantiano, in cui l'a priori e' storicizzato, pluralizzato
e dunque relativizzato. In un contesto del genere, come e' possibile salvare
l'oggettivita' della conoscenza scientifica?
Se e' vero che il dibattito filosofico contemporaneo si riduce "a una
dicotomia o a una serie di dicotomie, riassumenti e riproponenti i conflitti
di quasi un secolo intero: scienza e storia, teoria e prassi, razionalita'
ed esistenza" (Eugenio Garin), allora il pensiero di Popper e' uno sforzo
disperato per sottrarsi a questo conflitto, rifiutando sia la pretesa di una
fondazione assoluta (da sacrificare se si vuole salvare lo spirito del
paradigma filosofico classico) sia la resa della ragione alla storia, della
norma al fatto, della scienza al consenso della "citta' scientifica", che e'
lo scandalo epistemologico per tutta la tradizione classica.
La differenza di fondo tra Karl Popper e Gaston Bachelard - che andava
contemporaneamente proponendo un'epistemologia per altri versi vicina a
quella popperiana - e' tutta qui: in Bachelard e' definitivamente messo a
tacere quel super-io filosofico che pretendeva imporsi alla scienza com'e'
concretamente praticata, anziche' accettare che "la ragione deve obbedire
alla scienza, alla scienza piu' evoluta, alla scienza che evolve".
Solo se si individua il cuore della riflessione epistemologica di Popper
nello sforzo irriducibile per evitare questo esito, e' possibile comprendere
in modo organico il complesso del suo pensiero, la sua particolare
idiosincrasia per Hegel e la specifica accezione che assume lo "storicismo"
nella sua polemica (un'inaccettabile resa al "fatto" della storia).
Il proposito di attingere in qualche modo il reale attraverso la
falsificazione; il tentativo, di cui riconosce il fallimento, di stabilire
un criterio di verisimilitudine; la volonta' di continuare a parlare
comunque di verita' e la certezza di poter disporre almeno di "criteri
congetturali di preferenza razionale", costituiscono via via gli indicatori
di direzione per una navigazione incerta, fluttuante ma testarda nel
rimanere fedele a quella che Popper chiama "la legge di Hume" (ancora lui!),
secondo cui il valore (in questo caso la razionalita' anche criticamente
intesa) e' irriducibile al fatto (i razionalismi storicamente in atto, le
teorie condivise dalla comunita' scientifica).
Una decisione di carattere etico sta al fondo di questa scelta metodologica:
la decisione di mantenere aperta la possibilita' di giudicare anche la
pratica scientifica perche', "dopotutto, tutta quanta la scienza potrebbe
sbagliare".
Ma questa stessa possibilita' di giudizio (e la certezza che in ogni caso la
sentenza sulla razionalita' della scienza non sara' negativa) ha bisogno di
essere garantita da una presupposizione di livello piu' profondo, che non
potra' trovarsi piu' ne' nel tradizionale rispecchiamento della realta', ne'
nell'orizzonte trascendentale kantiano.
Lo spiraglio per superare il rischio del relativismo e fondare la
possibilita' di un "discorso comune" Popper lo intravede a tratti nella
direzione di un'epistemologia evoluzionistica, nel riconoscimento di un a
priori biologico, di un fondamento animale comune che permane oltre la
storia e la cultura. In questo modo il circolo si chiude e la garanzia di
validita' degli schemi conoscitivi innati e' darwinianamente ricondotta al
dato di fatto della sopravvivenza della specie.
Questa "epistemologia dei dinosauri" e' forse qualcosa di piu' rispetto
all'approdo cui giunge Ludwig Wittgenstein - "Quando ho esaurito le
giustificazioni arrivo allo strato di roccia, e la mia vanga si piega.
Allora sono disposto a dire: Ecco, agisco proprio cosi'" - ma e' comunque
maledettamente vicina al risultato cui era arrivato Hume: che "lo stesso
ragionamento sperimentale che abbiamo in comune con le bestie e dal quale
dipende l'intera condotta della vita, non e' altro che una specie di istinto
o di potere meccanico, che agisce in noi sconosciuto a noi stessi".
E' forse per questo motivo che l'ultimo Popper, mentre mostra di rendersi
conto della coerenza dello sviluppo evoluzionistico della propria
epistemologia, arretra e resiste dal trarne le estreme conseguenze, restando
fedele al proprio paradigma, difendendolo sino in fondo, ma con ragioni
sempre piu' deboli.

7. RIFLESSIONE. LUISELLA BATTAGLIA: UNA CONVERGENZA
[Da Luisella Battaglia, La "voce femminile" in bioetica. Pensiero della
differenza ed etica della cura, in Stefano Rodota' (a cura di), Questioni di
bioetica, Laterza, Roma-Bari 1993, 1997, p. 272. Luisella Battaglia e' nata
a Genova nel 1946, professoressa associata di filosofia morale presso la
facolta' di Scienze della formazione dell'Universita' di Genova, nonche'
direttrice dell'Istituto Italiano di Bioetica. Opere di Luisella Battaglia:
La questione dei diritti degli animali (Torino 1989); Il dilemma della
modernita' (Napoli 1994); Etica e diritti degli animali (Roma-Bari 1997)]
Sembra possibile, pertanto, registrare una singolare convergenza tra la
ricerca femminista sulla moralita' - incentrata sul tema della cura - e la
recente riflessione bioetica, che tale concetto ha privilegiato,
sottolineandone l'importanza, anzi la crucialita', all'interno di un
progetto di umanizzazione della medicina.

8. RIFLESSIONE. DIANA SARTORI: ALCUNE ANALISI CRITICHE FEMMINISTE SULLA
TEORIA DELLA GIUSTIZIA DI RAWLS
[Questo articolo abbiamo estratto dal quotidiano "Il manifesto" del 27
novembre 2002. Diana Sartori, filosofa, fa parte della comunita' filosofica
femminile "Diotima" e della comunita' scientifica femminile "Ipazia". Opere
di Diana Sartori: ha contribuito a vari volumi collettanei, tra cui: Mettere
al mondo il mondo, La Tartaruga, Milano 1990; Autorita' scientifica,
autorita' femminile, Editori Riuniti, Roma 1992; Oltre l'uguaglianza,
Liguori, Napoli 1995. John Rawls, della cui scomparsa si e' avuta notizia il
26 novembre, e' l'autore del classico Una teoria della giustizia,
Feltrinelli, Milano 1982 (l'edizione originale e' del 1971)]
Rawls non vedra' in stampa l'imminente The Cambridge Companion to Rawls che
gli tributa l'ovvio riconoscimento di aver definito parte sostanziale
dell'agenda filosofico-politica del passato quarto di secolo.
E non vedra' cosi' l'ulteriore, e meno ovvio, pubblico tributo che in Rawls
and Feminism gli indirizza Martha Nussbaum: "L'opera di Rawls offre
importanti intuizioni per il pensiero femminista sulla giustizia. Per molti
aspetti, la sua teoria puo' essere adattata per rispondere alle piu' serie
critiche che le femministe le hanno rivolto".
C'e' una certa ironia nel venire queste parole da chi, donna e pure
aristotelica, sembra proporsi come nuova solista della discussione sulla
giustizia e insieme del dibattito femminista: singolare passaggio del
testimone.
Passaggio che si potrebbe vedere con qualche soddisfazione femminile, se non
fosse che un simile giudizio taglia d'un colpo la serieta' delle critiche
femministe all'impianto rawlsiano, facendo sorgere un legittimo sospetto sul
fatto che la stessa Nussbaum le abbia prese davvero sul serio.
Non si puo', infatti, negare che il rapporto del femminismo con Rawls sia
stato segnato da grandi aspettative e sforzi di integrazione ed emendazione.
Ma non si puo' non riconoscere dopo questi trent'anni di dibattito femminile
sulla giustizia, vasto e anche piu' acceso di quello dell'agenda ufficiale
del pensiero filosofico-politico, che quel rapporto ha portato le critiche
forse piu' gravi al progetto di Rawls, e che i tentativi di "adattarlo" sono
andati o delusi, o hanno prodotto sviluppi che lo rendono pressoche'
irriconoscibile rispetto all'impostazione originaria, muovendo ben oltre. E
cio' anche limitandosi a quella parte della riflessione femminile che ha
ritenuto di doversi confrontare con la teoria di Rawls, comunque non
circoscritta al femminismo di impianto liberale.
Il caso piu' noto e' quello di Susan Okin, il cui Le donne e la giustizia:
la famiglia come problema politico pur prendendo le mosse dalla convinzione
che Rawls abbia un forte "potenziale femminista", si articola in spietata
analisi della sua inadeguatezza una volta sottoposto al vaglio della
differenza dei sessi, che abitualmente cade sotto la "negligenza" dei
pensatori della giustizia.
Perno di Okin e' la distinzione pubblico/privato, e il ruolo "assunto e
negletto" della famiglia: Rawls "assume (come la maggior parte della
tradizione liberale) che i soggetti appropriati delle teorie politiche non
siano individui adulti, ma capi-famiglia", tenendo peraltro la sfera della
famiglia fuori dall'applicazione della propria teoria, quando invece verso
questa teoria dipende proprio dal "senso di giustizia" che i soggetti
debbono maturare all'interno di una "famiglia giusta". Ma "se le istituzioni
di genere della famiglia non sono giuste, allora l'intera struttura dello
sviluppo morale proposta da Rawls sembra edificata su un terreno incerto".
La teoria e' "incrinata dal suo stesso inizio. Una struttura familiare
ingiusta non puo' produrre cittadini giusti".
Questa accusa di negligenza venne accolta da Rawls, che mostro' poi piu'
attenzione a non cadere nella propria "mancanza". Da notare che per Okin il
Rawls di Liberalismo politico non ha fatto che peggiorare la propria
posizione.
Se Okin manteneva fiducia nel potenziale non sessista del "velo di
ignoranza" e nell'idea della "posizione originaria", per quanto corretti,
altre critiche si sono appuntate proprio su questi nodi della teoria
rawlsiana.
Tra le piu' significative quelle di Iris Young che ne ha investito il
sotteso ideale kantiano di imparzialita' nonche' l'intero impianto
distributivo, mostrandone la riduttivita' rispetto a una giustizia
"abilitativa" rispettosa della differenza.
Non meno radicale il fronte delle femministe che hanno attaccato Rawls come
esponente di una visione etico-politica incapace di superare i limiti di
un'impostazione tradizionalisticamente e mascolinicamente concentrata
sull'atomismo individualistico, su di un razionalismo normativo formalistico
e astratto, su di un universalismo cieco alle differenze e ai contesti, su
un ideale di autonomia insensibile a relazioni, a dipendenze, a emozioni e
ai corpi dei soggetti morali e politici di cui pretende di parlare.
Se si pensa a quanto A Theory of Justice debba alla teoria dello sviluppo
morale di Kohlberg e' facile vedere quanto la mole di critiche che
sull'"etica della giustizia" si e' abbattuta da parte di quelle che hanno
riflettuto sull'etica della cura possa essere caricata anche sulle spalle di
Rawls. Il che rende quanto meno dubbio che un adattamento del suo progetto
sia in grado di rispondervi prendendo sul serio le critiche che pongono al
centro della domanda sulla giustizia la domanda della differenza. A meno che
non si stia, in realta', parlando di uguaglianza. Il che, forse, davvero e'
al centro della domanda sulla giustizia di Rawls, a dispetto del "principio
di differenza". Se l'idea di fondo e' di una eguaglianza per cui, come dice
Elizabeth Wolgast "Lo schiavo e il padrone potrebbero, per eventualita' del
caso, essere l'uno al posto dell'altro. Il principe potrebbe cambiare di
posto con il povero", allora si tratta di una visione che spinge a pensare
che ognuno, sotto sotto, e' come tutti gli altri, e siamo scambiabili.
"Ma quando sostituiamo 'donna' a 'schiavo' e 'povero', in queste formule
tradizionali, il risultato e' implausibile. Non e' ovvio che, a parte i casi
e gli ornamenti, le donne condividano l'insieme dei loro interessi di base
con gli uomini. E se le donne sono irriducibilmente differenti rispetto ad
alcuni di questi, allora a questo livello di differenza, i posti non si
possono scambiare. Il principe che puo' cambiare posto con un povero
potrebbe non essere in grado di cambiare posto con una principessa".

9. DISCUSSIONE. DA UN'EPISTOLA DI MISONE ALL'AMICO SUO TIMANDRO
[Ci ha preso giusto, Misone, a scaricarci addosso i cassetti gravosi di
gravose carte dei suoi corrucciati carteggi]
Carissimo Timandro,
sono di quelli che negli anni '70 si batterono contro il fatto che il
movimento giovanile di allora, la nuova sinistra che presto' invecchio', si
lasciasse trascinare alla violenza e nella violenza travolgere; io e quelli
come me non venimmo ascoltati allora, e purtroppo i frutti di quella
scellerata sottovalutazione del fatto che la violenza e' sempre nostra
nemica furono quelli che chiunque ha la mia eta' ricorda con un dolore
inestinguibile: tante persone furono uccise (e troppi troppo a lungo
acclamarono le stragi o ne giustificarono gli esecutori, contribuendo cosi'
a che nuove stragi avvenissero).
Oggi vedo commettere lo stesso errore che trent'anni fa porto' a quegli
esiti tragici: un movimento di giovani generosi che viene trascinato da
alcuni ciarlatani e mascalzoni verso la sottovalutazione del fatto che alla
violenza bisogna opporsi sempre; e questa sottovalutazione e' gia' una
sciagurata giustificazione della violenza, e quindi una effettiva
complicita' con la violenza, oscenamente glorificata come strumento di lotta
politica.
A qualcuno sembra cosi' strano che io ne provi ripugnanza, che ne sia
angosciato, e che senta il dovere di oppormi con tutte le mie forze a questa
pericolosissima follia che puo' portare a conseguenze orribili?
E qualcuno e' cosi' ipocrita da poter sostenere di non essersi accorto che
nel "movimento dei movimenti" gia' troppo si e' stati complici con chi
predica e pratica la violenza?
*
Aver tollerato, e peggio: permesso e avallato, le violenze del "blocco blu"a
Praga due anni fa (avallato poiche' si arrivo' addirittura a una sorta di
ignobile divisione dei ruoli nell'organizzazione stessa delle iniziative) fu
o non fu un crimine e una follia? Molte persone come conseguenza degli
scontri furono ferite e subirono poi crudeli violenze da parte di
appartenenti alle forze dell'ordine sadici.
Aver scelleratamente per mesi e mesi cianciato di "dichiarazioni di guerra"
ed aver continuato fino al disastro a propugnare l'idea demente e suicida
dell'invasione della "zona rossa" a Genova, ha contribuito o no allo
scatenamento della violenza da parte dei settori sadici e nazisti delle
forze dell'ordine?
La vicenda dell'assalto al furgone dei carabinieri e il tentativo di
linciaggio dei ragazzi che vi erano dentro ha contribuito o no a provocare
la morte del povero Carlo Giuliani?
E dopo la morte di un ragazzo, dopo gli orrori della Diaz e di Bolzaneto,
cosa deve pensare una persona non obnubilata di una leadership che cianciava
insensatamente di una "vittoria" del movimento? Una vittoria? Una catastrofe
con un morto e innumerevoli feriti e torturati e' una vittoria? Alla base di
un'affermazione simile c'e' una cultura militarista che disprezza la vita e
l'incolumita' delle persone.
E passando ad altri episodi grotteschi e inquietanti: spedire pallottole a
un ministro e' ammissibile? Minacciare ceffoni a dei deputati se partecipano
ad una manifestazione pacifica e' ammissibile? Andare alle manifestazioni
mascherati e' ammissibile? Andare alle manifestazioni armati (e sia pure di
armi improprie raccattate sul posto) e' ammissibile? Partecipare alle
manifestazioni con l'esplicito obiettivo di provocare uno scontro fisico,
addirittura preparando e portando l'attrezzatura utilizzabile a questo fine,
e' ammissibile? Correre il rischio di far ferire o peggio uccidere delle
persone per conquistare un po' di spazio sui mass-media e' ammissibile? A me
sembra di no. A qualcuno pare di si'?
Le violenze di cui e' stata testimone e vittima Ipazia, sono ammissibili? A
me sembra di no. A qualcuno pare di si'?
Lo dico chiaro: io non sono disposto a stare a cavillare su queste cose: chi
giustifica gli squadristi e' complice degli squadristi.
Lo ho imparato da due maestri grandi che ho avuto e che sono ormai scomparsi
da molti anni ma che non ho dimenticato: Primo Levi e  Vittorio Emanuele
Giuntella, entrambi superstiti dei lager nazisti: da loro ho imparato che
alla violenza bisogna opporsi sempre.
*
Concludo: credimi, Timandro, mi pare che troppi eludano il nocciolo della
questione che pongo, e questo eludere il nocciolo della questione e' una
cosa che trovo gravissima nella condotta di molti, di troppi, in questi
giorni.
E il nocciolo della questione che ho posto (e che e' di fondo; qui non
stiamo affatto parlando dell'inchiesta cosentina, ma di scelte di principio)
e' il seguente: se ci si vuole impegnare per la pace e per la giustizia non
si puo' essere complici della violenza e dei violenti.
Dal mio punto di vista e' una cosa semplice ed ineludibile: non ci si puo'
girare intorno, o si fa una scelta o si fa quella contraria; non scegliere
significa aver scelto di essere complici della violenza.
Dico di piu': mi era parso di capire che la Rete di Lilliput pur con tutte
le sue possibili confusioni non solo voleva impegnarsi per la pace e la
giustizia, ma voleva anche fare riferimento alla nonviolenza. Vorrei che
qualcuno mi spiegasse come fa a conciliare la dichiarazione di avere la
nonviolenza come punto di riferimento e poi essere indulgente, e quindi
complice, con la propaganda e l'uso della violenza.
Non dico che tutti devono condividere il punto di vista degli amici della
nonviolenza, dico piu' semplicemente che non si puo' essere
contemporaneamente una cosa e il suo contrario.
Del resto non e' neppure necessario essere amici della nonviolenza per
opporsi alla violenza; opporsi alla violenza dovrebbe essere l'atteggiamento
naturale e spontaneo di tutte le persone ragionevoli e non prepotenti.
*
A Ipazia, cui invio questa lettera per opportuna conoscenza, esprimo tutta
la mia solidarieta' e profondo il mio affetto; come don Milani non ho
esitazioni a scegliere con chi schierarmi tra chi fa il picchiatore e chi
viene picchiato. Mi sorprende che molti altri che pur dicono di volersi
impegnare per la pace e la giustizia non abbiano il pudore di fare una
scelta: se vogliono impegnarsi per la pace e la giustizia la smettano di
essere complici degli squadristi; se vogliono essere complici degli
squadristi la smettano di spacciarsi per amici della pace e della giustizia.
*
Ti prego, Timandro, mandami due righe di risposta in ogni caso, ci conto.
E se nella fretta con cui ho scritto questa lettera ci dovesse essere
qualche espressione che ti e' parsa troppo brusca te ne chiedo scusa. Non
amo le espressioni gridate, ma poiche' mi par di vedere che tante brave ed
ingenue persone per mancanza di esperienza e perche' sedotte e ingannate da
vecchi marpioni in carriera stiano venendo trascinate nel baratro che
comincia con l'acquiescenza nei confronti della violenza e puo' finire nella
follia e nell'orrore, non essendo abbastanza vicino ad ognuna di esse da
poterle afferrare e trattenere come il catcher in the rye di Salinger, mi
pare necessario dar loro una voce, lanciar loro un grido di avviso, sperando
che possa servire a qualcosa.
Vorrei poter contare sul fatto che tutti gli amici della Rete di Llliput si
impegnassero per lo stesso fine, nelle forme e nei toni che ciascuno
riterra' piu' adeguati. Se vogliamo essere costruttori di pace e di
giustizia dobbiamo essere intransigenti e limpidi nella lotta contro la
violenza e la menzogna, di cui l'ipocrisia e l'indifferenza sono altre forme
appena camuffate.
Con amicizia, un abbraccio,
Misone

10. CHE FARE. TRIBUNALE 8 MARZO: LA PAROLA
[Quella che riportiamo e' la frase conclusiva della Carta costitutiva del
Tribunale 8 marzo, redatta in Roma il 6 marzo 1979 (che riprendiamo da
Tribunale 8 marzo, Cosa loro. Testimonianze-denunce al Tribunale 8 marzo,
Bulzoni, Roma 1980, p. 126]
Tra il grido, la violenza e il silenzio scegliamo la parola.

11. POESIA E VERITA'. MARIA LUISA SPAZIANI: IL SOGNO GIUSTO
[Da Maria Luisa Spaziani, Poesie 1954-1996, Mondadori, Milano 2000, p. 267.
Maria Luisa Spaziani e' tra le grandi poetesse della lingua italiana del
Novecento]

Se faccio un sogno, e poi
me ne nascono versi,
quei versi sono il sogno
che sognate con me.

Attenti ad incarnarvi
nel sogno giusto. Nascono
da una pagina scritta, in fitta schiera,
mostri, presagi o angeli.

12. RIFLESSIONE. BENITO D'IPPOLITO: DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Le cose difficili diventano facili.
La strada lunghissima, a ogni passo
diventa piu' corta. Tu
migliori ogni volta che fai la cosa giusta.

La nonviolenza e' questo cammino.
Che invece di stancarti ti fortifica.

13. RILETTURE. ROBERTO DALL'OLIO: ENTRO IL LIMITE
Roberto Dall'Olio, Entro il limite, Edizioni La Meridiana, Molfetta (Ba)
2000, pp. 176, euro 11,36. Una ottima monografia su Alexander Langer.

14. RILETTURE. DONATELLA DELLA PORTA: MOVIMENTI COLLETTIVI E SISTEMA
POLITICO IN ITALIA. 1960-1995
Donatella Della Porta, Movimenti collettivi e sistema politico in Italia.
1960-1995, Laterza, Roma-Bari 1996, pp. VIII + 216, lire 28.000. Una utile
sintesi.

15. RILETTURE. MARCELLA FERRARA: LE DONNE DI SEVESO
Marcella Ferrara, Le donne di Seveso, Editori Riuniti, Roma 1977, pp. 216.
Una inchiesta esemplare condotta dalla giornalista e militante recentemente
scomparsa.

16. RILETTURE. GERSHOM SCHOLEM: LE GRANDI CORRENTI DELLA MISTICA EBRAICA
Gershom Scholem, Le grandi correnti della mistica ebraica, Einaudi, Torino
1993, pp. XIV + 402, lire 16.000. Un classico, e una lettura
straordinariamente appassionante.

17. RILETTURE. LUCIA VENTURI (A CURA DI): MAI PIU' CERNOBYL
Lucia Venturi (a cura di), Mai piu' Cernobyl, Cooperativa centro di
documentazione, Pistoia 1996, pp. 80, lire 10.000. Una sintesi ragionata su
cosa e' successo dopo l'incidente alla centrale nucleare di Cernobyl.

18. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

19. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it

Numero 429 del 28 novembre 2002