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La nonviolenza e' in cammino. 426
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Numero 426 del 25 novembre 2002
Sommario di questo numero:
1. Peppe Sini, una testimonianza per Sebastian Matta
2. Mariuccia Ciotta, la furia sulla donna svelata
3. Da una lettera di Misone all'amico suo Macario
4. Norma Bertullacelli, la Nato a Genova?
5. Biancamaria Scarcia Amoretti, spezzare il cerchio dell'apatia
6. Francuccio Gesualdi, per un'economia di giustizia
7. Daniela Binello, la tenacia degli onesti
8. Fausto Cerulli, piove a Bassora
9. Salma al-Khadra al-Giayyusi, cio' che resta
10. Else Lasker Schueler, un pianoforte azzurro
11. Teresa d'Avila, si fa sempre conoscere
12. Gli amarognoli amarcord di Tafano Scardanelli: "slavista"
13. La "Carta" del Movimento Nonviolento
14. Per saperne di piu'
1. LUTTI. PEPPE SINI: UNA TESTIMONIANZA PER SEBASTIAN MATTA
Con la scomparsa di Sebastian Matta l'umanita' perde assai piu' che uno
degli artisti pu' grandi del XX secolo. Altri dira' meglio il cordoglio che
e' anche nostro, altri raccoltera' la figura e l'opera e l'ingegno del
maestro e dell'uomo estroso e di generosita' ed acutezza vivide e rare.
Qui, adesso, diro' solo come lo conobbi io. Sara' stata la meta' degli anni
settanta: a Viterbo un convegno di un piccolo partito della nuova sinistra
che nella nostra provincia aveva un forte radicamento contadino e operaio;
io ero il relatore, e giovane segretario provinciale ed appassionato
com'ero, avevo passato notti insonni a predisporre una di quelle
relazioni-fiume che usavano all'epoca, in cui si ricostruiva la storia del
mondo e si definivano le linee della vittoria della giustizia e della
liberta' su tutto il pianeta senza tralasciare dettaglio alcuno; poi, come
faccio sempre, misi da parte le lungamente ponzate scartoffie e parlai a
braccio.
Tra i presenti vi erano persone che non conoscevo, una di loro tra altre
intervenne e disse alcune calde e non rituali parole di apprezzamento, lo
ringraziai commosso; mi commuove sempre che qualcuno apprezzi quello che
dico, sono cosi' abituato ad avere opinioni in forte stridore con quelle
dominanti in qualunque consesso (anche nelle esperienze cui partecipo sono
quasi sempre in minoranza, deve essere un'eredita' di Fortini).
Finita l'assemblea seppi che era Sebastian Matta, uno dei nomi che hanno
fatto la storia della cultura del Novecento e che quel giorno li' da
Tarquinia (dove viveva e lavorava) se ne era venuto a Viterbo per prendere
parte al nostro incontro di piccolo partito della sinistra austera e
intransigente. Ho sempre trovato commovente anche questo: un grande
intellettuale ed artista cui erano aperti i prosceni piu' lusinghieri, che
dedica il suo tempo anche ad ascoltare le idee e le proposte di un piccolo
gruppo politico di senza potere. Le sue parole di incoraggiamento. Non l'ho
dimenticato.
Non ne ho mai scritto prima di adesso, ho sempre temuto che il dirlo sarebbe
stato un mio peccato di orgoglio, di vanita' personale. Ora che l'esistenza
terrena di Matta e' cessata, ma non cessa l'effetto benefico, smascheratore
ed incivilitore, dell'opera sua, della sua testimonianza di resistente
antifascista "con le armi della poesia"; ora ho sentito di poter e voler
scrivere questo ricordo lungamente taciuto, che valga quale sommesso e
personale segno di gratitudine e omaggio all'uomo scomparso che mi esorto'
tanti anni fa a continuare in cio' che era e resta giusto.
Anche questa e' nonviolenza in cammino.
2. RIFLESSIONE. MARIUCCIA CIOTTA: LA FURIA SULLA DONNA SVELATA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 23 novembre 2002 estraiamo questo nitido
e scintillante intervento di Mariuccia Ciotta, intellettuale e militante di
finezza e lucidita' grandi]
Agbani Darego, studentessa di informatica, 18 anni, quando e' stata eletta
la piu' bella del mondo nel 2001 avra' esultato pensando che il suo paese
non era piu' quello della sharia e di Amina Lawal, condannata alla
lapidazione per adulterio. Si era sbagliata.
La "parata vergognosa" delle miss, la "provocazione" del corpo che si
esibisce e svela lo scontro tra i sessi - e di cui i concorsi di bellezza da
sempre misurano il grado, come la pornografia - e' esplosa nella Nigeria,
dove il fondamentalismo e' rinato dopo l'11 settembre, come in altri luoghi,
alimentato dall'occidente.
Piu' di cento i morti della "guerra santa", contro la donna svelata. Le
strade di Kaduna, citta' musulmana del nord, affollate di cadaveri, teatro
di massacri contro la "parata di nudita'", e la sorridente vanitosa ragazza
che fa spettacolo di se'.
All'ovest si direbbe ridotta a merce, se non fosse che ormai l'"oggetto del
desiderio" si e' messo al comando della rivolta contro i tutori dell'ordine
sociale e sessuale, solidali ad est e ad ovest nel controllo violento delle
pulsioni di liberta', disintegratrici di senso e di ubbidienza.
Anche le Miss giocano d'azzardo scambiando simbologie e codici, a capo di
contraddizioni planetarie, che attraversano tutti, corpi-lavoro e
corpi-bellezza, in quest'epoca di mercato globalizzato.
I musulmani integralisti nigeriani non difendono la loro "cultura" dalle
contaminazioni occidentali, difendono l'esercizio del terrore-potere, non
sono certo paladini della dignita' femminile. Quella e' in mano alle donne
nigeriane, e' affar loro. E' affar loro, e nostro, misurare l'attacco e la
sfida ai killer dello chador, azzardare la battura umoristica su un
religioso sedotto dalle girls internazionali, rischiare la pelle sfilando in
pieno Ramadan, incoronare la reginetta in solidarieta' alle condannate a
morte, o restare a casa per lo stesso motivo, provare e sbagliare.
Nessuno dica che se la sono voluta. Non ci sara' "buon senso" in risposta al
paternalismo democratico che dice di iniziativa poco opportuna. Miss Mondo
nella terra della sharia. Il sangue versato in Nigeria per una sfilata di
bellezza non e' un "incidente" a margine della lotta delle donne, che in
tutti i paesi si battono contro i regimi integralisti.
E' solo la misura di una intimidazione che alza il livello dello scontro. E
da una parte troveranno nigeriane e italiane, iraniane e americane,
islamiche e cristiane. Quelle che sono contro i concorsi di bellezze e
quelle a favore. Dall'altra, tutti quelli che sguainano la spada in nome
delle diversita' culturali. Non ce n'e' una degna di trasformare una parata
di ragazze in un lago di sangue.
E a proposito di "modelli occidentali", ricordiamo miss Burkina Faso, eletta
durante il governo di Thomas Sankara, assassinato dal neocolonialismo. La
piu' bella di Ouagadougu, invitata in Europa, se ne torno' a casa perche'
preferiva ballare nelle boite del "paesi degli uomini integri" piuttosto che
fare la modella in un luogo "cosi' triste" come il nostro.
Il Burkina Faso e' uno dei paesi piu' poveri del mondo, ma era migliore di
altri. Dove le donne erano al governo, anche le Miss. Pronte a fare le
"fuorilegge" della Banca mondiale anche in bikini. Integralisti di ogni
latitudine attenti.
3. GARBUGLI. DA UNA LETTERA DI MISONE ALL'AMICO SUO MACARIO
[Misone, ha scritto mi sembra Victor Eremita in Aut aut, pare sarebbe un
saggio greco che "gode della rara fortuna d'essere annoverato tra i Sette
Sapienti, qualora il numero di questi venga portato a quattordici" (cosi' in
Soeren Kierkegaard, Enten-eller, Adelphi, Milano 1976, 1987, p. 65)]
Carissimo Macario,
ti ringrazio della tua lettera, ma tu eludi la questione essenziale, e mi
dispiace.
Ho gia' visto questo atteggiamento, trent'anni fa.
Anche allora vi era un generoso movimento di giovani, anche allora ne ero
parte, anche allora troppi sottovalutarono che la violenza e' il nostro
primo e piu' grande nemico; anche allora cercai di oppormi a questa
sottovalutazione. Allora io e quelli che la pensavano come me non venimmo
ascoltati. Le conseguenze della sottovalutazione e della complicita' con la
violenza furono tragiche. Non voglio che accada di nuovo.
E non accetto il trucco di qualificare di "fondamentalismo nonviolento" il
richiamo al ripudio della violenza. Dovrebbe essere il convincimento di ogni
persona ragionevole e di volonta' buona.
All'invito all'unita' con chi esalta e pratica la violenza oppongo un
rifiuto. E credo che cosi' dovrebbe fare ogni persona responsabile.
*
Non dirmi che occorre fare degli esempi sul fatto che nel cosiddetto
"movimento dei movimenti" si e' spesso stati corrivi con i violentisti
(ideologici) ed i violenti (pratici); poiche' ce ne sono purtroppo a
bizzeffe, e solo per riassumere:
a) a Praga due anni fa il cosiddetto "blocco blu" godette di una effettuale
ed esplicita complicita' di tutta la leadership del movimento in quella
folle pratica di una sorta di "divisione dei ruoli" che era insieme
criminale e vigliacca, ed irresponsabile in sommo grado;
b) gli orrori commessi a Genova da appartenenti alle forze dell'ordine
sadici e nazisti sono stati anche (non solo e non innanzitutto, certo, ma
anche) il frutto di mesi e mesi di insensate provocazioni e della propaganda
di idee pazzesche e fin suicide (la "dichiarazione di guerra" in tv; la
proposta di invasione della "zona rossa"), ed anche (non solo, certo, ma
anche) la conseguenza di gesta scellerate come l'assalto al blindato dei
carabinieri e il tentativo di linciaggio di chi vi era dentro; la morte di
Carlo Giuliani ha molti responsabili oltre alla persona che lo ha ucciso, e
tra essi vi sono sia molte autorita' pubbliche, ma anche molti altri che a
far accadere quella tragedia hanno cooperato. Mi sorprende che si faccia
finta di niente; mi sorprende che invece di una riflessione autocritica
sull'aver portato al massacro tante persone innocenti (ed una alla morte), e
sull'aver esposto a rischi estremi centinaia di migliaia di persone di
volonta' buona, l'autoproclamata leadership del movimento per bocca di uno
dei suoi portavoce abbia potuto follemente definire "una vittoria" quella
che invece e' stata una catastrofe;
c) spedire pallottole a un ministro, minacciare ceffoni ai parlamentari,
presentarsi alle manifestazioni armati (sia pur di armi improprie e
raccattate in loco) e mascherati, fare l'elogio della guerriglia, puntare a
provocare gli scontri: ebbene, tutto cio' e' moralmente lecito? Di tutto
cio' dobbiamo essere complici? Non scherziamo, a tutto cio' dobbiamo
opporci;
d) attenti infine a fare l'elogio della "sovversione", poiche' chi lo fa
parla senza sapere quel che si dice: persone che non farebbero del male a
una mosca usano parole e lanciano slogan che nelle loro intenzioni non
significano altro che solidarieta' e volersi bene e battersi contro le
ingiustizie, ed invece tra chi li ascolta vi puo' ben essere chi coglie in
esse parole ed in essi slogan un invito e un avallo a ben altro.
*
Naturalmente ho per te l'amicizia di sempre, ma vorrei che mi ascoltassi un
po' di piu'. Scusami, un abbraccio,
Misone
4. RIFLESSIONE. NORMA BERTULLACELLI: LA NATO A GENOVA?
[Ringraziamo Norma Bertullacelli (per contatti: norma.b@libero.it) per
questo intervento. Norma Bertullacelli, insegnante, collaboratrice del
nostro notiziario, e' impegnata nell'esperienza nonviolenta della "Rete
controg8" di Genova]
Apprendiamo da diversi organi di informazione che un senatore dei Ds ha
proposto la candidatura di Genova per l'assemblea dei parlamentari della
Nato nel novembre 2004; e che il sindaco sarebbe favorevole a tale scelta.
Ci opponemmo fin dal dicembre 1999 all'assemblea dei g8, non perche' Genova
fu scelta come sede, ma per l'illegittimita' di quel consesso, che basava la
propria forza sul potere economico e militare degli otto all'interno della
Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale.
Con la stessa determinazione nonviolenta ci opporremo all'assemblea della
Nato, ovunque venga fatta; sottolineando che tale organismo, sorto come
dichiaratamente "difensivo", e' andato via via assumendo caratteristiche
sempre piu' aggressive ed e' passato dall'affermazione di voler proteggere
da violazioni esterne l'integrita' territoriale dei paesi membri al ruolo di
sentinella armata degli "interessi" di tali paesi, ovunque vengano messi in
discussione (cosiddetto "protocollo di Atene").
Sottolineeremo che fa parte della Nato la Turchia, un paese che viola i piu'
elementari diritti umani.
Ed inviteremo tutti a domandarsi con quale autorita' morale gli Stati Uniti
pretendono di esercitarne la leadership. Forse perche' praticano largamente
la pena di morte? Perche' mentre hanno esultato per la caduta del muro di
Berlino ne hanno costruito a propria volta uno per impedire agli immigrati
messicani di entrare nel territorio statunitense? Perche' hanno rifiutato di
ratificare il protocollo di Kyoto sull'emissione dei gas inquinanti? Perche'
hanno quaranta milioni di poveri e incrementano continuamente i propri
arsenali? Perche' hanno condotto guerre in tutto il pianeta, ed hanno
massacrato la popolazione afghana con il pretesto di "stanare" Bin Laden?
Perche' si apprestano a coinvolgere ancora una volta il nostro paese in una
guerra, nonostante l'esplicito divieto della nostra Costituzione?
5. MAESTRE. BIANCAMARIA SCARCIA AMORETTI: SPEZZARE IL CERCHIO DELL'APATIA
[Queste parole riprendiamo dalla presentazione di Biancamaria Scarcia
Amoretti a Wassim Dahmash (a cura di), Voci palestinesi dell'Intifada,
Vecchio Faggio, Chieti 1989, p. 8. Ovviamente ci si riferisce a quella che
oggi e' denominata "la prima Intifada", una straordinaria esperienza di
lotta fortemente caratterizzata dalla nonviolenza. Biancamaria Scarcia
Amoretti e' una illustre studiosa della cultura araba ed islamica, di forte
impegno democratrico. Tra le molte opere di Biancamaria Scarcia Amoretti
segnaliamo almeno Tolleranza e guerra santa nell'Islam, Sansoni, Firenze]
Si puo' spezzare quel cerchio di apatia e di quieta disperazione che
caratterizza la tanto analizzata e sempre presente "crisi di valori" che
percorre tutte le societa' avanzate, smentendo nei fatti l'assunto, che
sembra logicamente inattaccabile, dell'inutilita' di andare controcorrente,
di osare, di non credere alle suggestioni dell'inappellabilita' del destino,
precostituito magari non piu' da un'entita' metafisica ma dalle ferree
logiche dell'economia.
6. RIFLESSIONE. FRANCUCCIO GESUALDI: PER UNA ECONOMIA DI GIUSTIZIA
[Riportiamo la sintesi apparsa nel sito di "Unimondo" dell'intervento di
Francuccio Gesualdi tenuto il 23 novembre 2002 all'incontro sulla finanza
etica in Italia svoltosi a Bologna nei giorni scorsi. Francuccio Gesualdi,
nato nel 1949, allievo della scuola di Barbiana (e' il Francuccio di don
Milani), tra altre rilevanti esperienze ha trascorso due anni in Bangladesh
per un servizio di volontariato, e' uno degli animatori del "Centro nuovo
modello di sviluppo" di Vecchiano, che affronta con rigore ed efficacia i
temi del disagio economico, sociale, fisico, psichico e ambientale sia a
livello locale che internazionale, con particolar attenzione al Sud del
mondo. Il Centro ha promosso e sta portando avanti importanti campagne per i
diritti umani. E' tra i promotori della Rete di Lilliput. Opere di
Francuccio Gesualdi e del Centro nuovo modello di sviluppo: Signorno',
Guaraldi; Economia: conoscere per scegliere, Libreria Editrice Fiorentina;
Energia nucleare: cos'e' e i rischi a cui ci espone, Movimento Nonviolento;
(con Jose' Luis Corzo Toral), Don Milani nella scrittura collettiva,
Edizioni Gruppo Abele; Manuale per un consumo responsabile, Feltrinelli. Le
pubblicazioni del Centro sono: Boycott, Macroedizioni; Lettera ad un
consumatore del Nord; Nord/Sud. Predatori, predati e opportunisti; Sulla
pelle dei bambini; Geografia del supermercato mondiale; Guida al consumo
critico; Sud/Nord. Nuove alleanze per la dignita' del lavoro; Ai figli del
pianeta; tutti presso l'Emi. Indirizzi utili: Centro nuovo modello di
sviluppo, via della Barra 32, 56019 Vecchiano (Pi); tel. 050826354, fax:
050827165, in rete: www.citinv.it/org./cnms; e-mail: coord@cnms.it]
L'analisi di Francuccio Gesualdi del Centro Nuovo Modello di Sviluppo mostra
come sia necessario agire contemporaneamente in piu' direzioni,
suddividendola su piani diversi: dal capire cosa succede e perche',
"ripensando criticamente quest'economia d'ingiustizia", al "resistere,
introducendo ora e subito iniziative economiche che vadano in direzione
opposta a quella del sistema dominante", fino al progettare un'altra
economia che prenda "anche quello che c'e' di buono nel sistema
neoliberista".
Poiche' la "economia sociale di mercato" rimane un grande mistero, Gesualdi
ha preferito orientare la discussione su cosa possiamo tentare di fare,
visto che ci troviamo di fronte a scenari di ineguaglianza e squilibri
spaventosi, di guerra in grande stile, e ad uno scenario di dissesto
ambientale gravissimo.
L'analisi fornita da Francuccio mostra come sia necessario agire
contemporaneamente in piu' direzioni, suddividendola sui seguenti piani:
1) tentare di capire cosa succede e perche';
2) resistere: mettere in atto iniziative di opposizione, anche se parziali;
3) ripensare criticamente quest'economia;
4) desistere, introducendo ora e subito iniziative economiche, che vadano in
direzione opposta a quella del sistema dominante;
5) progettare un'altra economia.
*
Come primo passo, Francuccio Gesualdi ha invitato l'uditorio a cercare di
capire, senza lasciarsi intimidire di fronte all'economia, che e' materia
semplice, resa complessa dagli economisti. Attualmente, e' possibile
osservare l'economia dei mercanti, delle multinazionali, ed i tentativi di
trasformare il mondo intero in un'unica piazza di mercato.
Analizzando ad esempio i trattati dell'Organizzazione mondiale del commercio
(Omc-Wto), tra cui il trattato sull'agricoltura, protezionista per
l'agricoltura del Nord, il trattato sui brevetti, a difesa delle grandi case
farmaceutiche, ed il trattato sui servizi, e' possibile facilmente
individuare come essi aderiscano ad un'ottica liberista, procedendo verso
l'eliminazione delle regole a difesa dei deboli, a misura dei dominatori di
turno.
Di seguito, Gesualdi ha illustrato come per resistere sia necessario agire
su piu' livelli, in merito alla forma ed ai destinatari: infatti, oltre a
mettere in moto iniziative che coinvolgono la nostra azione quotidiana, come
il consumo critico, e' necessario individuare azioni collettive, e sarebbe
fatale non farlo, rivolgendosi non solo alle imprese ma anche nei confronti
del potere politico, affinche' non accetti piu' le condizioni del potere
economico.
In questo senso, ad esempio, nell'ambito delle finanza, vi sono due grandi
passaggi che e' necessario perseguire: una gestione diversa del debito
internazionale ed una regolamentazione al movimento dei capitali (come
attraverso la Tobin Tax).
Gesualdi ha poi invitato gli ascoltatori a ricordare che e' possibile e
necessario ripensare criticamente l'economia. Ad esempio, l'attuale sistema
economico non e' democratico: gli imprenditori non chiedono a nessuno come e
dove operare, e dopo aver deciso, creano il mercato tramite la pubblicita',
non lasciando margine di discussione.
E' invece necessario reintrodurre nella societa' il valore della
solidarieta' che permetta agli esclusi di vedere lo stesso soddisfatti i
diritti fondamentali, anziche' rimanere muti alla porta.
Inoltre, e' necessario opporsi alla logica che strumenti come mercato,
economia, e concorrenza siano trasformati in obiettivi. "Noi dobbiamo
ridefinire gli obiettivi e porre gli strumenti al loro servizio, pretendendo
la liberta' di scegliere lo strumento piu' appropriato".
*
Infine, Gesualdi ha illustrato gli ultimi due punti della sua tesi.
Vi sono diversi strumenti di resistentza/desistenza da portare avanti, e la
finanza etica e' uno di questi, e avra' un senso solo se accompagnata dal
resto delle iniziative. "Ma per progettare un'altra economia, e'
indispensabile realizzare", ha continuato Francuccio infiammandosi, "come
l'unico modo per consentire anche ad altri l'uso delle risorse di cui ci
siamo impossessati, sia per noi 'grassoni' di farci 'una cura dimagrante', e
di immetterci in un'economia di sobrieta'".
In definitiva, la risposta piu' impegnativa, dunque, a cui anche la finanza
etica e' chiamata, e' la dimostrazione di come si possa raggiungere la piena
occupazione, consumando di meno.
"Per fare tutto cio', e' necessario discutere, e parlare, realizzando dei
social forum dentro la nostra casa, poiche' solo dalle persone semplici
potra' nascere un'economia diversa".
7. TESTIMONIANZE. DANIELA BINELLO: LA TENACIA DEGLI ONESTI
[Ringraziamo Daniela Binello (per contatti: blusole.db@flashnet.it) per
averci messo a disposizione questo brano stralciato dal suo libro sul
processo agli assassini e torturatori all'opera durante la dittatura
militare in Argentina, processo svoltosi a Roma nel 2000; il libro si
intitola Il diritto non cade in prescrizione, e' stato appena pubblicato
dalla Ediesse di Roma, e verra' presentato a Venezia nell'ambito del secondo
salone dell'editoria di pace. Daniela Binello e' una acuta e tenace
giornalista d'inchiesta fortemente impegnata per la pace e i diritti umani,
e una cara amica]
Nove lunghi mesi, da marzo a dicembre del 2000.
Tanto e' durata la fase dibattimentale e delle udienze.
Nove mesi di deposizioni agghiaccianti di martiri con la picana (uno
strumento acuminato ed elettrificato), di abusi sessuali e brutalita' fino
alla morte violenta.
Chi e' venuto al processo di Roma per raccontare, molto spesso in preda alla
piu' sofferta commozione, il suo vissuto allucinante, crudo e terribilmente
vero come puo' essere solo uno psicodramma realmente accaduto, si e'
sottoposto per amore della verita' a un'altra specie di tortura, questa
volta necessaria per restituire dignita' e giustizia ai desaparecidos.
Il regime militare di allora considerava un sovversivo chiunque svolgesse
attivita' sindacali verso lavoratori e studenti o iniziative di solidarieta'
verso i piu' poveri in un Paese che, per volonta' dell'oligarchia e nel
silenzio della comunita' internazionale, negava, scatenando una repressione
violenta, i diritti umani fondamentali.
Le storie ascoltate al processo sono decine e decine, per tutte c'e' una
somma di dolore inimmaginabile. Per alcune persone la liberazione dai centri
clandestini e' costata perfino la collaborazione con gli aguzzini, una
complicita' strappata con il terrore. E per tutti, anche psicologicamente,
venire a testimoniare e' stato come riaprire le piaghe, quelle lasciate
allora sul corpo dalla picana.
Le donne hanno dichiarato di avere subito delle vessazioni a causa del
machismo dei militari e dei carcerieri, nessuna di loro e' scesa nei
particolari, ma possiamo immaginare cosa volessero sottintendere. E non solo
le donne, comunque, sono state oggetto di abusi sessuali.
Anche chi assisteva in aula alle deposizioni al processo di Roma ne usciva
distrutto, provando un autentico malessere fisico e psichico duro da
smaltire. E chi era a Rebibbia quel giovedi' 9 novembre ad ascoltare la
requisitoria del pm Francesco Caporale non potra' mai piu' dimenticare
quelle cinque ore di analisi puntuale e inquietante su cio' che avvenne in
sette anni di barbarie, dal 24 marzo del 1976 al dicembre del 1983.
La sentenza del 6 dicembre del 2000 ha rappresentato, dunque, oltre alla
gioia per chi (si spera tutti) ne ha condiviso i contenuti, anche un momento
di liberazione dalla pesantezza di quell'attesa, durata anni. Un miscuglio
di sensazioni indescrivibili per chi le ha vissute giorno dopo giorno,
sebbene entro i confini della propria professione per chi non era parente
delle vittime o, comunque, coinvolto personalmente nella tragedia al centro
del processo. Ma si puo' dire che a tutti la sentenza restituisce un valore
in comune: l'avere fiducia negli strumenti della giustizia civile e
democratica che, pure nelle traversie e nelle difficolta', non sono venuti
meno.
*
Desaparecidos
Desaparecidos e' un termine col quale si e' catalogata una barbarie
collettiva: trentamila persone che, nella sola Argentina, non sono mai piu'
tornate a casa. Scomparso vuol dire che non c'e' o che non si trova.
Potrebbe anche essere in vacanza, cosi' asserivano, infatti, in maniera
beffarda, le forze dell'ordine argentine quando genitori e coniugi
imploranti andavano a chiedere notizie di un congiunto.
E' un termine entrato addirittura nel nostro lessico familiare per definire
qualcosa, anche un semplice oggetto, che non riusciamo a ritrovare. Oggi,
con questa parola, sotto il profilo della giustizia, si intendono, invece,
persone uccise per tortura e omicidio. La differenza e' precisa e
significativa.
I diritti umani non sono puntati verso il cielo, ne' cadono dall'alto,
scrive Vittorio Foa in Passaggi, uno dei suoi libri piu' recenti. Significa
che non dovremmo essere costretti a ricorrere a qualcuno che ha il potere,
sopra di noi, di concederli se e quando vuole. I diritti umani dovrebbero
essere tutelati, internazionalizzati, difesi, pretesi, fissati in tutte le
Costituzioni, garantiti con l'istituzione di organismi di giustizia
internazionali realmente in grado di funzionare. Sappiamo quanto tutto
questo sia difficile e, caparbiamente, quanto occorra essere testardi e
instancabili nel pretendere che i diritti umani siano rispettati.
*
Sindacalisti nel mirino
In qualsiasi dittatura sugli attivisti sindacali onesti e democratici
infuria sempre la piu' sadica delle repressioni. Accusati di "fomentare la
sovversione", i sindacalisti sono stati eliminati in Argentina fino al 1982
in maniera scientifica, con gravissime violazioni dei diritti umani anche
sui loro familiari e sui loro bambini, perfino quelli ancora nel grembo
materno.
Ancora oggi il sindacalismo argentino fa fatica a risorgere entro un
contesto senza piu' ombre e ambiguita'. L'Argentina e' un Paese
economicamente alla sbando. Oberato da un debito estero insanabile, le
multinazionali americane hanno usato l'Argentina come una specie di feudo,
salvo poi abbandonarla a quella che oggi appare come una lenta e triste
agonia. Buenos Aires, con la sua nervosa vivacita', le piscine naturali
formate dall'estuario del Rio de la Plata, la malia delle tangherie (sale e
scuole di ballo dove si danza soprattutto il tango) in cui la musica suona
senza posa: tutto questo c'e', ma basterebbe alzare il sipario e si
affaccerebbe sulla ribalta, ancora oggi, una tragedia umana che reclama
giustizia. Non e' passato un secolo, sono trascorsi circa vent'anni, ma non
tutti conoscono bene questa storia. E una buona parte dei giovani argentini,
pressati dai problemi economici e dalla mancanza di una prospettiva per il
loro futuro, non ne vuole piu' sapere.
In seguito al processo alle Giunte militari, che condanno' molti ufficiali,
nel 1990 il presidente Carlos Menem concesse l'indulto. Solo alcuni
torturatori e assassini sono agli arresti domiciliari. Altri, grazie alla
legge della "obbedienza dovuta" (obediencia debida), varata da Raul Alfonsin
nel 1987, godono praticamente dell'impunita'. Il provvedimento, pero', vale
solo all'interno del Paese, che per loro rappresenta, quindi, un grande
carcere, non potendo uscire dai confini nazionali senza il rischio di fare
scattare un mandato di cattura internazionale.
*
1978, un viaggio sindacale emblematico
Nel 1978, Cgil, Cisl e Uil - riunite negli anni Settanta per gestire le
relazioni internazionali in un organismo unitario che aveva sede a Roma in
via Sicilia - decisero di inviare una delegazione per aiutare i compagni
cileni a organizzare la festa dei lavoratori del primo maggio a Santiago del
Cile, il primo dopo la presa del potere di Augusto Pinochet. Con il
capodelegazione Mario Dido', segretario nazionale della Cgil-Dipartimento
internazionale, partirono Mario Giovannini, che apparteneva allo stesso
Dipartimento Cgil, Bruno Bugli, segretario nazionale della Uil, ed Emilio
Gabaglio della Cisl.
Dopo 22 anni, Gabaglio, segretario generale della Ces (Confederazione
europea dei sindacati), ricorda ancora chiaramente la drammaticita' della
situazione che poterono constatare in Sudamerica visitando Cile, Argentina e
Uruguay.
"Cgil, Cisl e Uil - racconta Gabaglio - erano particolarmente attive nei
confronti della realta' sudamericana. Negli anni Settanta la sede di via
Sicilia era il punto di riferimento per molti sindacalisti esuli e per le
loro famiglie, che aiutavamo a rifugiarsi e vivere in Italia. Avevamo
rapporti con le forze democratiche sudamericane e con le ambasciate italiane
all'estero, ma a questo riguardo e' piu' corretto parlare di singole persone
che si adoperavano rischiando in proprio, come il funzionario d'affari in
pectore dell'ambasciata italiana in Cile, Tomaso De Vergottini".
"Giungemmo a Santiago del Cile - continua Gabaglio - verso la fine di aprile
del 1978 per aiutare i sindacalisti dell'ala democratica della Cgt
(Confederazione generale dei lavoratori) a organizzare la festa dei
lavoratori e la manifestazione che, ovviamente, non era autorizzata".
Mario Dido', a questo proposito, ricorda che quando arrivo' l'immancabile
carica della polizia si rifugiarono tutti nella cattedrale, dove gli agenti
non osarono entrare, e li' si svolse un comizio assolutamente memorabile.
Subito dopo, la delegazione italiana fu invitata dalle autorita' a lasciare
il Paese, ma non e' vero, come divulgo' un'agenzia di stampa americana, che
i quattro sindacalisti furono arrestati. Raggiunsero, invece, Buenos Aires
dove incontrarono un folto gruppo di familiari di sindacalisti
italoargentini che erano stati sequestrati.
Intanto, prima di lasciare l'Italia, Cgil, Cisl e Uil avevano compilato una
lista con 600 nomi di sindacalisti scomparsi. La delegazione ando' a
consegnarla al sottosegretario del Ministero del lavoro argentino, il
colonnello Lilo Rodriguez. Spiega Gabaglio: "Ci fu un alterco. Ci aggredi'
subito considerando che in Italia c'erano le Brigate rosse e che, quindi,
era evidente che non sapevamo governare un Paese in cui sarebbe bastato
eliminare tutte le radici maligne, come invece sapevano fare meglio loro.
Concluse che non potevamo certo dare lezioni di democrazia all'Argentina.
Gli rispondemmo adeguatamente, ma l'incontro si concluse nel gelo".
Per quanto riguarda quei 600 nomi di sindacalisti fu promessa una risposta
attraverso le sedi italiane del Ministero degli esteri. "Inutile dire che
l'aspettiamo ancora", osserva Dido'.
"Per tutto il viaggio avemmo sempre l'impressione di essere seguiti -
conclude Gabaglio -, tuttavia la facciata era ben presentata e per le strade
di Buenos Aires non si poteva intuire cio' che si nascondeva, ma le nostre
informazioni erano piu' che attendibili. Con noi collaboro' anche il poeta
Juan Gelman, che solo di recente ha ritrovato in Uruguay la nipote sottratta
a sua nuora, sequestrata col marito e uccisa dopo il parto".
La delegazione sindacale s'imbarco' per rientrare in Italia da Montevideo,
in Uruguay, su un volo Alitalia. Poco dopo il decollo il comandante
annuncio' che a Roma, nel bagagliaio di una Renault rossa posteggiata in via
Caetani, era stato ritrovato il cadavere di Aldo Moro. Era il 9 maggio del
1978. (...)
*
Se cambia il corso della vita
L'aula bunker di Rebibbia, nella periferia romana, e' un enorme salone in
cemento armato delimitato da dieci celle, cinque per parte, rialzate di un
buon metro da terra e blindate da grosse sbarre. E' la sede per i processi
della seconda Corte d'Assise di Roma. Qui si sono svolti i piu' famosi
processi di mafia e per i crimini terroristici degli anni di piombo.
Certamente molti ricorderanno le immagini televisive che riprendevano gli
accusati dentro le "gabbie".
Dal marzo al dicembre del 2000, invece, in quest'aula sono state raccolte
dal giudice Claudio D'Angelo decine e decine di testimonianze di parenti,
amici e persone scampate alla tragica fine che molti italoargentini hanno
fatto nel periodo della "guerra sucia". Fra le liste dei desaparecidos
compaiono centinaia di nomi italiani.
L'emigrazione italiana in Argentina e' stata talmente massiccia che si puo'
dire che i nostri connazionali siano "argentini di origine italiana". E' una
considerazione importante per spiegare perche' nei confronti degli italiani
la dittatura non si e' fatta scrupoli di carattere diplomatico.
Gli "accusati" non sono stati trattati con i guanti, ma considerati a tutti
gli effetti cittadini oppositori del regime. (...)
*
Testimoni al processo: Marco Bechis
"Al posto del Club Atletico, dove i torturatori giocavano a ping pong fra un
interrogatorio elettrico e l'altro, oggi sorge un'autostrada costruita per i
mondiali di calcio" ricorda il regista Marco Bechis, testimone al processo.
Per il set del suo film Garage Olimpo, Bechis ha fatto riallestire quegli
stessi ambienti in cui ha vissuto l'esperienza di prigioniero.
La presenza di un regista nell'aula del tribunale potrebbe sembrare un coup
de theatre, una specie di effetto speciale nello scenario cupo e mortifero
del processo, ma il quarantasettenne Marco Bechis, milanese, che nel 1977
era uno studente delle scuole serali della capitale argentina, nonche' uno
dei tanti militanti di base del movimento studentesco, e' stato davvero
sequestrato e torturato con la picana.
Gli elenchi dei "sovversivi" erano debitamente compilati da una svariata
categoria di soggetti come agenti di polizia, preti, delatori e funzionari
di uffici del personale, anche di gruppi industriali come Ford e Fiat che
davano lavoro a migliaia di operai.
Bechis se l'e' cavata grazie alle relazioni di suo padre, alto dirigente
Fiat, che ha potuto fare incontrare qualcuno con qualcun altro sui vellutati
campi da golf degli esclusivi club riservati ai vip, riuscendo, percio', a
fare liberare il figlio. A distanza di vent'anni, lui ha scritto e diretto
un film, Garage Olimpo, che se non ripercorre l'intera vicenda, comunica,
pero', uno scorcio di verita' sul trattamento dei prigionieri nelle carceri,
sulle torture e sui rapporti di sadismo e di violenza che vi si perpetravano
in un crescendo di orrori che, ormai, con l'umano e la pieta' aveva smarrito
qualsiasi rapporto.
Il suo secondo film sullo stesso tema, Hijos (Figli), racconta, invece, la
tragedia dei bambini adottati illegalmente dai militari, dopo avere
eliminato i veri genitori.
Era giustificabile, invece, per l'arcivescovo monsignor Adolfo Tortolo, il
lancio a volo libero dei sequestrati dalle carlinghe degli aerei. Prima di
essere imbarcati sui "voli del mercoledi'", ai condannati a morte veniva
iniettato il pentothal. Attraverso la purificazione del sangue nel sangue,
come per il martirio di Cristo, consentire che giungesse per quei poveri
disgraziati la fine era, in fondo, sempre secondo l'arcivescovo, un gesto di
pieta'. Naturalmente su qualche prigioniero il narcotico non fece effetto e
cosi' il volo fu, evidentemente, molto piu' emozionante.
*
Ragion di stato
Anche il nunzio apostolico di allora, il cardinale Pio Laghi (ancora oggi,
da ottuagenario, con una carriera costellata di alti incarichi diplomatici
per il Vaticano) si giustificava con le "petulanti madri dei desaparecidos"
che lo imploravano di intercedere. Scusandosi, adduceva l'impossibilita' di
poter "gestire con efficacia" i casi segnalati: troppi.
Ma sono tante le "ragioni di Stato" che hanno consentito che questa tragedia
potesse accadere. Il grano e le relazioni in punta di forchetta fra Usa e
Urss, ad esempio. L'Unione Sovietica si trovo' a corto di cereali per
sfamare la popolazione. Carter, presidente Usa nel periodo della guerra
fredda (nel 2002 gli e' stato conferito il Premio Nobel per la Pace), aveva
deciso l'embargo nei confronti della Russia. L'Argentina era in grado,
invece, di approvvigionare l'Unione Sovietica con enormi quantita' di
cereali. I russi, allora, chiusero gli occhi su una vicenda di cui
pubblicamente trapelava pochissimo, contrariamente al Cile, dove le
esecuzioni di migliaia di prigionieri avvenivano addirittura negli stadi.
Cosi', come in alcune parti del mondo si sono consumati i cereali
contaminati di Chernobyl, dopo l'incidente nucleare, anche il grano
argentino ha sfamato milioni di persone costando la vita a migliaia di
altre.
Nel 1977, l'ammiraglio di origine italiana Emilio Eduardo Massera (a capo
della giunta militare golpista dei generali Videla e Orlando Ramon Agosti
dell'aviazione), iscritto alla P2 di Licio Gelli, intraprendeva un viaggio
diplomatico nel nostro Paese. Fu ricevuto da Giulio Andreotti che gli
consegno' una lista di persone che risultavano scomparse, poi si reco' in
udienza da Paolo VI. Nel frattempo in Argentina, nel giro di 48 ore, si
aprivano come funghi numerosi sportelli del Banco Ambrosiano (gruppo a cui
apparteneva anche il "Corriere della Sera"), gia' proprietario di tenute e
immobili in tutto lo Stato. L'esito della missione di Massera fu, percio',
dal punto di vista degli affari, un vero successo.
*
Italo Moretti
Italo Moretti, inviato della Rai in America Latina negli anni Settanta, ha
incontrato tutti i protagonisti di questa storia.
Come giornalista eccezionalmente rigoroso e appassionato, da testimone al
processo ha raccontato ai giudici il fallimento del peronismo, quando Juan
Domingo Peron, pur di rientrare in Argentina da presidente, strinse accordi
segreti con il potere militare ed economico. Continuando a parlare al suo
popolo di socialismo, lo stava gia' ingannando, favorendo di fatto
l'instaurazione di metodi che divennero via via sempre piu' autoritari.
Peron muore nel '74, mentre sono gia' in atto le manovre repressive che
portano all'insediamento di Videla con il golpe militare del '76.
"Ho girato mezzo mondo - spiega Moretti - convinto nell'intimo che il mio
mestiere d'inviato dovesse esaurirsi nella quotidianita' dei racconti
radiofonici e dei servizi televisivi e non sconfinare in altre forme di
comunicazione, come ad esempio scrivere un libro. Mi appagava la
disponibilita' circa gli spazi e i tempi che avevo per presentare i fatti
con la parola e con l'immagine, senza smascherare un mio coinvolgimento
davanti a orrori e violenze e senza cadere nella spettacolarizzazione
dell'informazione strillata, diffusasi piu' tardi per ragioni di audience o
di televendite. Da quando mi sono "fermato", i giornali che leggo, i giovani
con cui parlo, mi hanno suggerito di esplorare e rintracciare nella mia
memoria le storie perdute di lotte e speranze, di errori e di orrori, di
vilta' e di eroismi, fino a riproporle come una testimonianza, perche' le
storie di oggi sono connesse a quelle di ieri, anche quando 'non fanno piu'
notizia'".
Con nostro grande conforto, quindi, Moretti ha scritto tre volumi
fondamentali per capire i retroscena della dittatura militare di
quell'epoca e i suoi intrecci con la P2 e il capitalismo internazionale. Si
tratta di Innocenti e colpevoli. Cronache da tre mondi (per gli Editori
Riuniti), In Sudamerica; e I figli di Plaza de Mayo (per Sperling & Kupfer).
(...)
*
Finalmente arriva il 6 dicembre del 2000
La tensione e' fortissima. Comincia alle 8,30 del mattino del 6 dicembre del
2000 e si scioglie in una commozione generale quando viene pronunciata la
sentenza. Ore 14,15: la Corte ha deciso e rientra in aula, dopo ore di
attesa per i parenti delle vittime e diciassette anni dall'inizio della
richiesta di procedimento penale.
Parla il presidente della Corte Mario D'Andria. Due gli ergastoli per gli ex
generali argentini Carlos Guillermo Suarez Mason (l'unico in Argentina agli
arresti domiciliari per sottrazione di minore a una prigioniera nei centri
di tortura) e Santiago Riveros; 24 anni di detenzione per gli altri cinque
sottufficiali accusati, Juan Carlos Gerardi, Luis Jose' Porchetto, Alejandro
Puertas, Oscar Hector Maldonado e Roberto Julio Rossin. I colpevoli
dovranno risarcire a ciascun parente delle vittime una provvisionale di 200
milioni di lire.
Subito dopo la lettura del verdetto non c'e' tempo per riprendersi. Scattano
come molle i meccanismi della stampa, le dichiarazioni a caldo, le riprese,
i flash che fissano quel sorriso radioso di vittoria che sprizza dai volti,
insieme alle lacrime e alla commozione. Ma che significato ha questa
sentenza, sapendo che i colpevoli non verranno estradati in Italia?
"Si e' applicato per la prima volta il principio di Norimberga - commenta
Enrico Calamai, console italiano a Buenos Aires fino al 1977 -, vuol dire
che i colpevoli di un reato sono anche i mandanti e non solo gli esecutori.
In piu', significa che il reato e' punito anche se la salma della vittima
non e' mai stata ritrovata".
Il pm Francesco Caporale definisce la sentenza storica. In effetti segnera'
una pietra miliare per la giustizia internazionale.
In aula c'e' anche Italo Moretti, piangono tutti di gioia mentre si
abbracciano.
Ci sono le nonne e le madri coraggio di Plaza de Mayo, Lita Boitano ed
Estela Carlotto (il 20 settembre del 2002 l'abitazione della Carlotto a La
Plata e' stata bersaglio di un attacco con colpi di arma da fuoco contro la
facciata dell'edificio, un attentato, da parte di ignoti, che fortunatamente
non ha causato vittime).
L'Organizzazione delle "Abuelas de Plaza de Mayo", per l'infaticabile lavoro
di ricerca della giustizia e della verita', e' stata candidata al Nobel per
la pace.
*
Neonati, bottino di guerra
La dittatura dei generali si e' macchiata, inoltre, di un genocidio le cui
conseguenze estreme sono venute a galla solo da poco tempo.
I figli delle donne imprigionate, molte di loro incinte, sono stati adottati
illegalmente dai torturatori e dai militari o perche' non ne potevano avere
di propri o perche' i bimbi italiani apparivano piu' esotici (i bambini
veneti, ad esempio, erano biondi con gli occhi azzurri). I neonati facevano
parte del bottino di guerra, con le case e i beni sottratti ai sequestrati.
Le nonne di Plaza de Mayo si battono da vent'anni per ottenere giustizia e
rintracciare i loro nipoti, insieme alle associazioni umanitarie.
Sono gia' decine le ragazze e i ragazzi che hanno appreso la verita' che li
riguarda: non soltanto quella di essere stati carpiti illegalmente, ma per
molti di loro anche il fatto di apprendere che quello che credevano essere
loro padre era coinvolto nel sequestro e nell'assassinio dei veri genitori.
Sarebbe gia' orrendo di per se', se non ci fossero anche alcuni casi, ormai
noti, di molestie sessuali sui bambini "rubati". Abusi praticati dal padre
putativo, un essere evidentemente ormai perduto nelle spire del suo delirio
di onnipotenza. Possiamo immaginare in quale stato psicologico un ragazzo o
una ragazza possano vivere, e reagire, nella consapevolezza di una simile
tragedia, avvenuta ai loro danni quando erano soltanto dei neonati?
"I torturatori sono fra noi, viviamo l'uno accanto all'altro - commenta
Santina Mastinu, 55 anni, originaria di Tresnuraghes in Sardegna, a cui
hanno ucciso il marito Mario Bonarino Marras, di 37 anni, e il fratello
Martino Mastinu, ventisettenne sindacalista dei cantieri navali Astarsa -.
Uno degli aspetti che mi colpirono di piu', quando fui sequestrata, e' che i
miei carcerieri avevano la mia stessa eta', usavano gli stessi modi di dire
dei giovani della mia generazione, ascoltavamo la stessa musica. Avremmo
dovuto avere le stesse aspettative di vita. E invece no".
Oggi Santina gestisce un negozio di frutta e verdura a La Plata insieme a
sua figlia Vanina, scampata per miracolo alla morte quando aveva appena due
anni e mezzo. Suo padre, Mario Marras, la teneva in braccio quando e' stato
falciato dai colpi di mitra dei militari.
8. LO STATO DEL MONDO. FAUSTO CERULLI: PIOVE A BASSORA
[Ringraziamo Fausto Cerulli (per contatti: faustocerulli@libero.it) per
questo intervento. Fausto Cerulli e' avvocato a Roma e vive a Orvieto,
impegnato da sempre per i diritti umani e contro i poteri criminali,
collabora con vari periodici]
Piove a Bassora, piove sempre e spesso
pioggia di Blair o Bush, che fa lo stesso.
Piovono bombe, bombe intelligenti
e dopo arriveranno quelle sceme
basta soltanto essere pazienti.
Viene la guerra come la befana
porta regali ai bimbi americani
porta disgrazia e morte a questa strana
gente, che e' gente certo senza dio,
gente cattiva, ve lo dico io.
Piovono bombe, bombe su Bassora,
piovono bombe e fanno tanto chiasso,
ma noi stiamo tranquilli, andiamo a spasso.
Piovono bombe, in fondo e' pur fatale,
pensiamo un po' alle strenne di natale.
9. CON VOCE DI DONNA. SALMA AL-KHADRA AL-GIAYYUSI: CIO' CHE RESTA
[Da Salma al-Khadra al-Giayyusi, Morte e bellezza, in AA. VV., La terra piu'
amata. Voci della letteratura palestinese, Il manifesto, Roma 1988, p. 51.
L'autrice, narratrice e poetessa palestinese, e' anche apprezzata anglista e
studiosa della poesia araba contemporanea (ricaviamo queste notizie dal
libro citato)]
La morte ci attende al varco
ma cio' che resta e' il nostro amore,
degli amici nostalgia e ricordo.
10. CON VOCE DI DONNA. ELSE LASKER SCHUELER: UN PIANOFORTE AZZURRO
[Da Else Lasker Schueler, Il mio pianoforte azzurro, in Eadem, Ballate
ebraiche e altre poesie, Giuntina, Firenze 1985, 1995, p. 145. Else Lasker
Schueler (1869-1945) e' una delle grandi voci poetiche del Novecento]
Ho a casa un pianoforte azzurro,
ma non ne so le note.
Da quando s'e' abbrutito il mondo,
sta giu' in cantina al buio.
11. CON VOCE DI DONNA. TERESA D'AVILA: SI FA SEMPRE CONOSCERE
[Da Teresa d'Avila, Cammino di perfezione, XL, 3, in Eadem, Opere,
Postulazione generale dei carmelitani scalzi, Roma 1950, p. 695. Teresa
d'Avila (1515-1582) e' una delle grandi figure della cultura e della
coscienza europea; quali che siano le convinzioni di chi alla sua opera si
accosta e' una lettura che merita sia fatta]
Ma, sia piccolo che grande, quando e' vero amore, si fa sempre conoscere.
12. GLI AMAROGNOLI AMARCORD DI TAFANO SCARDANELLI: "SLAVISTA"
C'e' una poesia di Angelo Maria Ripellino in cui dice di come tutti
incontrandolo per strada gli diano la baia gridandogli dietro "slavista".
A me capita questo: sono trent'anni che dico le stesse cose.
Trent'anni fa per questo mi dicevano che ero un "communista estremista", ma
anche - contemporaneamente - un "bieco riformista" (addirittura in
quest'antica citta' di Viterbo un gruppo di autonomi - che poi passarono
pressoche' tutti al Psi di Craxi - fecero un manifesto che recava una mia
fotografia e la didascalia "un esorcista della nuova sinistra").
Negli anni ottanta cambio' questo: che mi definivano "khomeinista"
(all'epoca andava di moda dire che chi si opponeva al regime della coruzione
doveva per forza essere come minimo un teocrate islamista, ed il fatto che
il nome del dittatore iraniano fosse molto simili all'aggettivo del partito
della classe operaia pareva una gran spiritosaggine).
Ma il tempo vola, negli anni novanta per darmi la baia si adotto'
"giustizialista savonaroliano", perche' ero tra quelli che pensavano (e lo
penso tuttora, me reprobo) che anche i potenti possono e devono essere
processati quando commettono crimini (e ne commettono, e "di che tinta" come
si dice dalle parti nostre).
E siam giunti - wow, come nei flipper di una volta - al duemila, ed in
questi anni, le stesse cose sempre ridicendo, mi scopro ad essere definito
"fondamentalista nonviolento".
Oh, come muta il linguaggio. Oh, come restiamo sempre uguali pur malamente
invecchiando. Davvero non imparero' mai niente.
13. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.
14. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it
Numero 426 del 25 novembre 2002