[Date Prev][Date Next][Thread Prev][Thread Next][Date Index][Thread Index]

La nonviolenza e' in cammino. 416



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 416 del 15 novembre 2002

Sommario di questo numero:
1. Yigal Bronner, caro generale
2. Vito La Fata: Danilo Dolci educatore e costruttore di societa' civile
3. Comunicato della delegazione delle Donne in nero in Kurdistan come
osservatrici per le elezioni politiche turche del 3 novembre 2002
4. Giuliana Sgrena, rivolta studentesca a Kabul
5. Enrico Euli, sintesi del gruppo di lavoro su "Gruppi di azione
nonviolenta: quali percorsi di formazione" al seminario della Rete Lilliput
sulla nonviolenza
6. Una bibliografia sulla teologia femminista
7. Riletture: Etty Hillesum, Diario 1941-1943
8. Riletture: Etty Hillesum, Lettere 1942-1943
9. Riletture: AA. VV., La resistenza esistenziale di Etty Hillesum
10. Riletture: Pascal Dreyer, Etty Hillesum
11. Riletture: Sylvie Germain, Etty Hillesum
12. Riletture: Maria Pia Mazziotti, Gerrit Van Oord (a cura di), Etty
Hillesum. Diario 1941-1943. Un mondo "altro" e' possibile
13. Riletture: Nadia Neri, Un'estrema compassione
14. Le rampogne di Brontolo: contro la tintura dei capelli
15. La "Carta" del Movimento Nonviolento
16. Per saperne di piu'

1. TESTIMONIANZE. YIGAL BRONNER: CARO GENERALE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 13 novembre riprendiamo questo
intervento, cui e' premessa la seguente nota redazionale che anch'essa
trascriviamo: "Il professore israeliano Yigal Bronner, docente di sanscrito
presso l'Universita' di Tel-Aviv, e' ospite nelle patrie galere del suo
paese a causa del suo rifiuto di "fare la sua parte" nella campagna militare
interminabile contro i palestinesi, una campagna che vede ormai piu' di 500
riservisti "mobilitati" a dire signorno' a Sharon, a rifiutare di prestare
servizio (refusenik) nei Territori occupati. Dal carcere scrive Yigal
Bronner all'amico che e' tramite di questo messaggio: 'Cari amici, sono
stato imprigionato dall'esercito israeliano per aver rifiutato di
partecipare all'occupazione della Palestina. Sono stato condannato a
ventotto giorni di prigione militare. Le ragioni che mi hanno indotto a dire
no all'umiliazione, all'espropriazione, alla riduzione alla fame di un
intero popolo saranno forse ovvie a qualcuno di voi. Ciononostante ho voluto
spiegare le mie motivazioni sotto forma di una lettera indirizzata ai miei
superiori militari (...)'. E conclude: 'Vi prego di far circolare queste
informazioni il piu' possibile. Voglio farvi sapere che sono forte, e che vi
ringrazio per il vostro sostegno. Shalom, Yigal'. La lettera di Yigal
Bronner e' introdotta dalla citazione dei versi di Bertolt Brecht:
'Generale, il tuo carro armato e' una macchina potente,/ spiana un bosco e
sfracella cento uomini./ Ma ha un difetto:/ ha bisogno di un carrista'"].
Caro generale,
nella Sua lettera mi ha scritto che "data la guerra continua in Giudea, in
Samaria e lungo la striscia di Gaza, e in considerazione di bisogni
militari", io sono chiamato a "partecipare ad operazioni dell'esercito" in
Cisgiordania.
Scrivo per dirLe che non intendo obbedire alla Sua chiamata.
Durante gli anni '80, Ariel Sharon impianto' decine di colonie nel cuore dei
territori occupati, una strategia il cui scopo ultimo era la sottomissione
del popolo palestinese e l'espropriazione delle sue terre. Oggi queste
colonie controllano quasi la meta' dei territori occupati e strozzano le
citta' e i villaggi palestinesi, oltre a ostacolare - se non proibire del
tutto - gli spostamenti dei residenti. Sharon e' ora primo ministro, e
durante quest'ultimo anno avanza verso lo stadio definitivo dell'iniziativa
che avvio' venti anni fa.
Infatti, Sharon ha dato l'ordine al suo lacche', il ministro della difesa, e
da li' e' passato lungo la catena del comando. Il capo di stato maggiore ha
annunziato che i palestinesi costituiscono una minaccia cancerogena e ha
ordinato che si applichi loro una chemioterapia. Il comandante di brigata ha
imposto il coprifuoco senza limiti di tempo, e il colonnello ha ordinato la
distruzione dei campi palestinesi. Il comandante di divisione ha collocato
dei carri armati sulle colline in mezzo alle loro case, e non ha concesso
alle ambulanze di evacuare i loro feriti. Il tenente colonnello ha
annunciato che i regolamenti per aprire fuoco sono stati emendati per
consentire di aprire il fuoco indiscriminatamente. Il comandante del carro
armato, a sua volta, ha individuato un gruppo di persone e ha ordinato al
suo artigliere di lanciare un missile. Io sono quell'artigliere, sono una
piccola vite in una perfetta macchina di guerra.
Sono l'ultimo anello, il piu' piccolo, nella catena di comando.
Dovrei semplicemente eseguire gli ordini - ridurre la mia esistenza al
livello di stimolo e risposta, sentire il comando "fuoco!" e tirare il
grilletto, per portare il piano generale a compimento.
E dovrei fare tutto cio' con la semplicita' e la naturalezza di un robot,
che - tutt'al piu' - sente il tremore del carro quando il missile viene
lanciato verso il bersaglio.
Ma come ha scritto Bertolt Brecht: "Generale, l'uomo fa di tutto./ Puo'
volare e puo' uccidere./ Ma ha un difetto:/ puo' pensare".
E davvero, generale, chiunque tu sia - colonnello, comandante di brigata,
capo di stato maggiore, ministro della difesa, primo ministro, o tutti
questi insieme - io so pensare.
Forse non sono capace di molto altro. Confesso di non essere un soldato
particolarmente dotato o coraggioso, non ho un'ottima mira, e le mie
abilita' tecniche sono minimali. Non sono neanche molto atletico, e la
divisa non si adatta bene al mio corpo. Ma sono capace di pensare.
Vedo dove Ella mi sta portando.
Comprendo che noi uccideremo, distruggeremo, ci faremo male, moriremo, e che
non se ne vedra' la fine di tutto cio'.
So che la "guerra continua" della quale Lei parla, andra' avanti sempre.
Vedo che, se i "bisogni militari" ci inducono a porre sotto assedio, dare la
caccia, ridurre alla fame un intero popolo, allora c'e' qualcosa in questi
"bisogni" che e' terribilmente sbagliato.
Quindi sono costretto a disobbedire alla Sua chiamata: non tirero' il
grilletto.
Non m'illudo, naturalmente: Lei mi scansera' come una mosca, trovera' un
altro artigliere - uno piu' obbediente e capace di me. Simili soldati non
mancano.
Il Suo carro continuera' ad avanzare, un tafano come me non puo' fermare un
carro armato, ne' una colonna di carri, ne' tantomeno un'intera marcia di
follia.
Ma un tafano puo' ronzare, infastidire, urtare, e a volte pungere anche.
Prima o poi altri artiglieri, carristi e comandanti, osservando le uccisioni
senza senso e il ciclo senza fine di violenze, cominceranno a pensare, a
ronzare.
Siamo gia' centinaia, e alla fine del giorno il nostro ronzio sara'
diventato un ruggito assordante, un ruggito che echeggera' nelle Sue
orecchie e in quelle dei Suoi figli.
La nostra protesta sara' inserita nei libri di storia per le generazioni
future.
Quindi, generale, prima di scansarmi, forse anche Lei dovrebbe incominciare
a pensare.
In fede, Yigal Bronner
*
Vi prego di inviare lettere di protesta a favore degli obiettori a: Ministry
of Defence, 37 Kaplan St., Tel-Aviv 61909, Israel; e-mail: sar@mod.gov.il o
anche pniot@mod.gov.il; fax: 0097236962757, 0097236916940, 0097236917915.
Un altro indirizzo utile per inviare copia delle lettere e' quello del
"Military Attorney General": Brig. Gen. Menachem Finklestein, Chief Military
Attorney Military, postal code 9605 IDF Israel, fax: 0097235694370.

2. RIFLESSIONE. VITO LA FATA: DANILO DOLCI EDUCATORE E COSTRUTTORE DI
SOCIETA' CIVILE
[Ringraziamo Vito La Fata (per contatti: vitofata@inwind.it) per averci
messo a disposizione questo suo articolo gia' apparso su "Il siculo", anno
I, n. 0, maggio-giugno 2001. Vito La Fata e' uno dei continuatori dell'opera
dell'indimenticabile Danilo]
Danilo Dolci e' stato una delle figure piu' importanti di quest'ultimo
secolo per il suo impegno politico, sociale e culturale. Le sue battaglie
nonviolente insieme ai contadini e ai pescatori siciliani, sin dagli anni
'50, per ottenere acqua, fognature, strade, lavoro, scolarizzazione, sono la
prova di come sia possibile valorizzare e cambiare un territorio sottraendo
anche le "leve" al ricatto mafioso.
Il suo impegno come educatore negli ultimi anni della sua vita, inoltre, ha
contribuito alla nascita di una nuova cultura - all'insegna della
complessita', dell'evoluzione, della nonviolenza - che e' necessaria per
arginare le forze pericolosamente operanti in direzione opposta.
"Sapere concretare l'utopia richiede, col denunciare, un annunciare capace
di lottare e costruire frontiere che valorizzino ognuno" (Danilo Dolci, La
struttura maieutica e l'evolverci, La Nuova Italia, Firenze 1996).
"Danilo Dolci non e' stato solo un uomo d'azione, un 'missionario' che ha
lottato, decisamente pagando di persona, a favore dell'umanita' negata a
vasti settori di popolazione, nella civilta' 'moderna'. Non e' stato un uomo
d'azione cui rimane estranea l'organicita' e l'acume del pensare. Egli e'
piuttosto un intellettuale nuovo, che non  vive a tavolino, che non si
alimenta esclusivamente alla 'spremuta di libri'. In lui il pensare e il
fare non si collocano fra loro in un rapporto di 'linearita'', per cui, ad
es. il secondo costituisce l'applicazione del primo" (Antonino Mangano,
Attualita' del pensiero e dell'opera di Danilo Dolci).
Danilo Dolci e' soprattutto un costruttore di societa' civile, un uomo che
ha saputo far crescere nella coscienza collettiva la voglia di cambiare, la
speranza che anche in Sicilia e' possibile trovare "le leve del cambiamento"
cioe' le potenzialita' per un democratico riscatto sociale.
Inizieremo la nostra conversazione descrivendo il metodo che ha accompagnato
tutto il pensiero e l'opera di Danilo Dolci: la maieutica.
Questo metodo ha sempre contraddistinto l'esperienza di sensibilizzazione e
valorizzazione delle risorse umane operata da Danilo Dolci.
Esso nasce con le autoanalisi popolari (metodo sociologico utilizzato per
analizzare i problemi della gente) e si evolve negli anni in vera
metodologia educativa e politica: metodo strutturale maieutico.
Il metodo strutturale maieutico presuppone infatti la reciprocita' della
comunicazione, la discussione dei problemi dal basso per trovarne una
soluzione democratica. Ma esso e' anche metodo educativo da applicare nelle
scuole. La sperimentazione fatta nella scuola di Mirto, fondata dal Centro
Studi e Iniziative, ha avuto appunto come uno dei suoi principali fondamenti
educativi il metodo strutturale maieutico.
L'approccio strutturale maieutico e' un processo educativo volontario:
l'individuo, attraverso un'azione incentivante e motivante dell'educatore
scopre le proprie potenzialita', matura all'interno di un situazione
comunicativa dove sono valorizzati nel gruppo i rapporti diretti, reciproci,
caratterizzati dalla fiducia nell'altro e attraverso il metodo della parola
presa a turno.
Danilo Dolci meglio di chiunque altro ha saputo proporre un metodo (appunto
il metodo strutturale maieutico) capace di educare e non insegnare,
comunicare e non trasmettere, dialogare e non chiacchierare. Il suo metodo
s'inserisce perfettamente nel filone delle nuove esigenze educative che
negli ultimi anni si affermano sempre di piu' e che cercano di dare
un'alternativa ad una scuola ancorata ancora all'unidirezionalita' del
messaggio formativo e all'incapacita' di gestire le diversita' individuali
che un gruppo (classe, squadra) inevitabilmente presenta.
"Nel dialogo maieutico, essenziale e' che il rispondere esaudisca il
chiedere, talora pure con impulsi nuovi che ancora approfondiscano il
cercare focalizzandolo. Quando l'interrogare piu' si amplifica da ciascuno a
ciascuno, le sorgenti vitali si strutturano - crescono - piu' complesse. Non
e' vero che chi domanda ignora del tutto la materia: interrogare e' anche
scienza e arte. Ne' risposte piu' valide risultano le gia' attese, ma quelle
che illuminano l'essenza generale dei problemi. Non persuadere importa, ma
scoprire nel suscitare dell'inseminare. Non e' affatto sterile il maieuta.
Della maieutica essenziale e' pure l'inseminare: co-feconda, operando sul
maschio e sulla femmina, sull'anima e sul corpo. Interrogare e' anche
l'introdursi in un grembo in attesa, a fecondarlo fecondandosi: nasce da
ognuno una creatura nuova, che senza presunzione favorisce il crescere di
ognuno. Non per caso conoscere significa, in ebraico, amplesso,
accoppiamento. La memoria necessita e non basta alla poesia, incanto senza
mito: nel dinamismo dell'innamorarsi l'interesse si amplia, ed il recondito
inizia a palpitarci, invenzione d'amore. La parola non basta. Pure dagli
occhi una carezza suscita, ascoltando. Il dialogare tende a unificare: non
solo le ragioni Dall'incontro di menti differenti, nel maieutico unirsi, non
a caso emerge la creativita' pulsante, frutto di fecondante combinarsi. E un
noto proverbio russo afferma: solo quanto e' discusso, si comprende. Quanti
secoli passeranno prima che il modo intenda come il comunicare piu' si
amplia a variate verifiche, e piu' matura il vero?" (Danilo Dolci).
Le parole di Danilo Dolci meglio interpretano il processo educativo del
metodo strutturale maieutico. L'autore con queste parole vuole sottolineare
l'importanza della comunicazione reciproca e pluridirezionale come metodo
per educare e educarsi, come strumento per decidere insieme e valorizzare
ciascun individuo come componente essenziale del gruppo. Ognuno, attraverso
l'azione incentivante del conduttore, diviene consapevole delle proprie
potenzialita', prende coscienza della propria soggettivita' come parte
integrante del processo di scelta.
L'apprendimento si realizza all'interno del gruppo nella sintonia dei
partecipanti. Compito dell'educatore e' di creare le condizioni affinche' il
gruppo maturi armonicamente e unitariamente. All'interno del gruppo ognuno
ha il diritto di parlare: a turno si prende la parola e si esprime quello
che si pensa. Una comunicazione democratica, quindi, dove tutti hanno
diritto di parola, in un contesto di reciproca fiducia. L'approccio
educativo utilizzato propone un costante lavoro di gruppo monitorato da un
esperto conduttore. L'approccio strutturale maieutico prevede, infatti, un
processo di crescita/apprendimento collettivo attraverso un continuo
chiedere e domandarsi da parte del conduttore sulla base di argomenti
precedentemente selezionati. Questo tipo di lavoro di gruppo si realizza
quindi in processi di dialogo/comunicazione. Queste modalita' di interazione
consentono di apprendere nel gruppo tramite l'incontro con l'altro: nel
confronto comunitario l'individuo scopre la diversita' dell'agire
soggettivo, impara a capire le motivazioni altrui.
E' un approccio pedagogico che non si sposa con la manualistica ufficiale ma
sicuramente e' caratterizzato da una positiva innovativita'. Danilo Dolci
nel proporre il metodo strutturale maieutico ha tenuto conto anche di
apporti teorici proposti da personalita' non certo indifferenti alla storia
del pensiero contemporaneo: Gandhi, Russell, Galtung, Montessori, Piaget, e
nell'ultimo periodo Habermas riproponendo "l'agire comunicativo come
fondamento democratico" anche come momento essenziale in un processo di
formazione-crescita.

3. ESPERIENZE. COMUNICATO DELLA DELEGAZIONE DELLE DONNE IN NERO IN KURDISTAN
COME OSSERVATRICI PER LE ELEZIONI POLITICHE TURCHE DEL 3 NOVEMBRE 2002
[Ringraziamo Nadia Cervoni (per contatti: giraffan@tiscalinet.it) per averci
messo a disposizione questo documento]
Come delegazione del movimento delle Donne in Nero, in cinque siamo partite
verso il Kurdistan turco rispondendo all'appello del Dehap, il nuovo partito
nato dalla coalizione a tre kurda-turca ma a forte maggioranza kurda.
La richiesta di delegazioni internazionali come osservatrici per le elezioni
non appare certo infondata per chi come noi da tempo segue in Turchia la
questione del rispetto dei diritti umani e civili. Gravi le discriminazioni
nei confronti di donne e uomini kurdi, tanto da negare loro la possibilita'
di esprimersi nella loro lingua, accusandoli per cio' di separatismo dallo
Stato; numerose le denunce della repressione di Stato nei confronti di
quanti, kurdi e turchi, vorrebbero l'affermazione di garanzie minime di
democrazia.
Arrivate ad Istanbul il primo novembre, il primo incontro e' con la
Piattaforma delle donne che comprende numerose associazioni kurde e turche
tra cui l'Associazione delle donne del Dicli (Tigri), le Madri per la pace,
l'associazione femminista delle universitarie del Bosforo.
C'e' una grande aspettativa per le elezioni del 3 novembre nonostante l'alto
sbarramento del 10% che il Dehap deve raggiungere per entrare in Parlamento.
Nelle liste del Dehap le donne candidate sono il 30%.
L'incontro e' festoso e pieno di affetto, con loro avevamo gia' passato
diversi giorni fitti di incontri durante il nostro viaggio a marzo di
quest'anno per il Newroz da cui il libro Con la forza della nonviolenza, a
cura delle Donne in Nero, dedicato all'impegno e all'agire delle donne kurde
e turche. Le copie che portiamo vengono accolte con grande entusiasmo.
Decidiamo insieme che una madre per la pace, Muyasser Guner, e una donna
dell'associazione Dicli, ex detenuta politica, dopo il Forum sociale europeo
di Firenze, rimarranno in Italia per un giro di incontri. Purtroppo alla
seconda verra' poi negato il visto dal Consolato italiano nonostante
l'invito ufficiale firmato da Luisa Morgantini.
Il giorno dopo siamo a Dyarbakir, veniamo ricevute da Reyhan, una giovane
avvocata dirigente dell'associazione per i diritti umani Ihd. Il tempo di
presentarci Jusem, un giovane studente universitario che ci fara' da
interprete, e su un pulmino di linea riempito pero' da persone amiche
partiamo verso la sede a noi assegnata: Siirt, una cittadina ad est della
Turchia a circa 250 km da Dyarbakir, dopo la zona del progetto delle dighe,
che conta in tutto, compresi i numerosi villaggi, circa 120.000 abitanti.
Prima di arrivare superiamo due posti di blocco, uno militare e uno delle
squadre speciali antiterrorismo. Ogni volta ci vengono ritirati i
passaporti, controllati e registrati su liste che poi sapremo saranno
diffuse alla polizia e all'esercito, come una di noi ha poi potuto
verificare il giorno delle elezioni quando e' stata identificata da un
militare che le ha mostrato la lista con tutti i nostri nomi.
L'indomani, 3 novembre, abbiamo conferma della ragione dell'allarme lanciato
dal Dehap.
Divise in tre gruppi, a cui si aggiunge quello della delegazione ufficiale
degli europarlamentari tra cui Luisa Morgantini e l'europarlamentare kurda
eletta in Germania, alle 5 del mattino, insieme alla candidata capolista
nella zona, Aysel Tuglule, del collegio di difesa di Ocalan, e a numerosi
rappresentanti del Dehap e dell'Ihd, cerchiamo di coprire il territorio che
ci e' stato assegnato.
I seggi nei villaggi, insediamenti minimi di 100, 150 abitanti, al di sotto
di condizioni minime di vivibilita', sono quelli che presentano le maggiori
difficolta'. Qui l'esercito e i guardiani di villaggio, una sorta di milizia
mercenaria composta da curdi collaborazionisti, per tutta la durata della
campagna elettorale (25 giorni), hanno creato un vero clima di terrore tra
la popolazione con intimidazioni che vanno dalla minaccia di morte, al
ricatto, alla promessa in caso di voto al Dehap, di bruciare le case.
Massiccia la loro presenza il giorno del voto.
In alcuni seggi abbiamo visto filmare tutti coloro che andavano a votare, in
altri abbiamo raccolto le testimonianze subito fuori il seggio di persone
costrette a una sorta di voto palese, in citta' abbiamo assistito al blocco
dei rappresentanti dell'associazione dei diritti umani, tenuti dentro
cordoni tra cui anche noi. Il Dehap, in quanto nuova formazione politica, ha
potuto avere per legge propri rappresentanti di lista solo nella fase dello
spoglio ma non durante il voto.
Nonostante tutto cio' quando due di noi fanno il giro di numerosi seggi
durante la fase dello spoglio, grazie anche ad un ottimo gioco delle parti
tra noi e un'autorevole rappresentante dell'Ihd, riusciamo a farci aprire
molte porte, come fossimo una delegazione ufficiale, anche nel seggio dove
davanti sostavano due carri armati, per presidiare il quartiere in quanto la
mattina c'erano stati "un po' di problemi".
La procedura dello spoglio ci e' sembrata ovunque regolare, cosa che non
possiamo affermare per quella del voto, mentre segnaliamo che dalle
informazioni avute, oltre la conta nei seggi, il Dehap non ha avuto alcuna
altra possibilita' di verificare la conta dei voti su tutto il territorio
nazionale.
Forse per il fatto che ne' nella zona, ne' in tutta la regione a maggioranza
kurda, non fossero accaduti episodi cruenti, a fine giornata, prima
dell'inizio delle proiezioni, gli auspici erano molto ottimisti.
Per un attimo si sono dimenticate tutte le difficolta', comprese le
centinaia di migliaia di schede elettorali recapitate sbagliate e per le
quali per mancanza di tempo nulla si e' potuto fare, impedendo cosi' a molte
e molti  di votare. Palese e totale e' stato l'oscuramento da parte dei
media durante la campagna elettorale nei confronti del Dehap.
Con le prime proiezioni pero' l'entusiasmo iniziale e' svanito di colpo.
L'obiettivo per il Dehap di raggiungere la soglia altissima del 10% e'
apparso subito irraggiungibile e il risultato del 6,3% ha confermato la
sconfitta a cui non ci si era voluti preparare.
Un dato su cui interrogarsi, soprattutto per i curdi della Turchia, e' che
il Dehap ha avuto circa un milione di voti a fronte di circa 12 milioni di
donne e uomini curdi di cui ipotizziamo almeno il 70% aventi diritto al
voto. Altro dato di cui tener conto e' che in ogni citta' a maggioranza
curda, il partito islamico moderato Akp, il "partito della giustizia e dello
sviluppo", ha avuto intorno al 18-20%. A Siirt, dove eravamo noi a fronte
del 30% del Dehap, l'Akp ha avuto il 19%, e in tarda serata e' stata anche
organizzata una manifestazione con corteo per festeggiare la schiacciante
vittoria dell'Akp che si e' affermato come primo partito con oltre il 35% su
tutto il territorio costituendo la vera novita' e al contempo l'incognita di
queste elezioni. I sondaggi lo davano gia' come primo partito e per questo
ci sono stati palesi tentativi di bloccarlo da parte dell'eminenza grigia
costituita dall'esercito, ma certo non si era previsto che in Parlamento
entrassero solo due partiti: l'Akp, al suo debutto elettorale (ma non il suo
presidente gia' sindaco di Istanbul), e il Chp, il partito di Ataturk. Si
potrebbe dire: dove fallisce la democrazia, vincono i regimi, soprattutto se
sostenuti dal collante religioso. Eppure qualcosa non ci convince.
Sappiamo che per una buona affermazione politica contano molto i
finanziamenti per costruire un partito che possa essere di riferimento e per
sostenere la macchina elettorale.
Se a tutti, in un contesto di geopolitica mondiale, fa gioco che i kurdi in
Turchia non abbiano nessuna affermazione e visibilita' politica, nonostante
le 37 municipalita' che governano, la domanda che ci poniamo e' questa: a
chi fa gioco l'affermazione di un partito che si richiama alla religione e
che e' a favore della pena di morte in un paese quale la Turchia, in
posizione strategica rispetto agli assetti di dominio e di controllo
mondiale e alla ricerca disperata, per la grave crisi economica in cui
versa, del consenso per poter entrare in Europa?
Prima di ripartire abbiamo di nuovo incontrato le nostre amiche di Istanbul.
Il gruppo turco delle universitarie del Bosforo non ha dubbi, l'Akp e'
fortemente posizionato a destra e ha usato insieme ad una politica populista
l'elemento religioso per ottenere maggior consenso e in questa ottica la
previsione di una restrizione dei diritti delle donne non e' certo
infondata.
Ci saranno pochissime donne in Parlamento a cui sara' difficile rivolgersi
come riferimento cosi' come ancora sono una minoranza nel movimento delle
donne quelle che hanno deciso di lavorare insieme, donne turche e curde, per
la liberta', il rispetto e il riconoscimento delle  minoranze, il rispetto
dei diritti. Per questo ci hanno chiesto di continuare a sostenerle e per
questo noi continueremo ad impegnarci.
Le Donne in Nero della delegazione di osservatrici: Liana Bonelli, Nadia
Cervoni, Giannina Dal Bosco, Oretta Lo Faso, Teresa Quattrociocchi
Roma, 8 novembre 2002

4. AFGHANISTAN. GIULIANA SGRENA: RIVOLTA STUDENTESCA A KABUL
[Questo articolo abbiamo ripreso dal quotidiano "Il manifesto" del 13
novembre 2002. L'autrice e' una delle maggiori esperte italiane della
situazione afghana]
A segnare l'anniversario della fuga dei taleban da Kabul non saranno i
festeggiamenti, ma lo scoppio della prima rivolta studentesca da oltre
vent'anni a questa parte e i funerali delle vittime (due o quattro, a
seconda delle fonti) della repressione. Ma a finire sotto terra sono anche
molte speranze suscitate dalla fine del regime dei taleban. A scatenare la
protesta di centinaia di studenti, iniziata lunedi' e continuata anche ieri,
sono le pessime condizioni di vita nei dormitori dove vivono i ragazzi
provenienti dal sud e dall'est dell'Afghanistan, in maggioranza di etnia
pashtun. Mancanza di acqua, di cibo, ore di attesa per il pasto alla fine
del digiuno di Ramadan, poi salta anche la luce - l'elettricita' e' ancora
un lusso a Kabul - e il dormitorio, che peraltro, come alcune facolta'
universitarie, si trova nella zona sudoccidentale della citta', quella
devastata dagli scontri tra le varie fazioni dei mujahidin all'inizio degli
anni novanta, esplode di rabbia. Repressa dalla polizia - quella addestrata
dai contingenti stranieri presenti a Kabul, anche l'Italia aveva addestrato
truppe antisommossa - con idranti e con le armi. I poliziotti hanno fatto
fuoco uccidendo alcuni studenti e ferendone altri. Volevano impedire ai
giovani di raggiungere il centro della citta', dove si trovano i ministeri.
Ieri, finalmente, una delegazione degli studenti  e' stata ricevuta da
rappresentanti del ministero dell'educazione.
Il cibo manca, l'elettricita' anche e i prezzi sono alle stelle. I vantaggi
dell'arrivo dei dollari portati o dai paesi donatori o dalle organizzazioni
internazionali non vanno sicuramente a beneficio degli studenti. La presenza
delle forze internazionali - militari dell'Isaf, funzionari dell'Onu e
operatori delle Ong, oltre a giornalisti diminuiti dopo il boom dello scorso
anno - beneficia un numero estremamente limitato di persone che percepiscono
uno stipendio in dollari. L'afghano ha dovuto essere sostituito con la nuova
moneta forte che ha tolto tre zeri alla vecchia: ora un dollaro equivale a
40 afghani.
I soldi arrivati sono inferiori a quelli previsti, tanto che il bilancio di
alcuni ministeri - come quello delle donne, manco a dirlo il primo ad essere
sacrificato - sono stati tagliati, per ora la ricostruzione e' affidata
soprattutto all'iniziativa privata tutta funzionale alla presenza straniera.
Non esiste nessuna industria, la principale risorsa del paese continua ad
essere la coltivazione del papavero: nel 2001 l'Afghanistan e' tornato ad
essere il primo produttore di oppio a livello mondiale. I profughi rientrati
che avevano qualche soldo l'hanno investito nel bazar, chi non ce l'aveva
sta tornando indietro, in Pakistan, dove non sara' senz'altro ben accetto.
In questa situazione non puo' certo sorprendere che si acuiscano i conflitti
sociali e che esplodano in rivolte. Tanto piu' che questi conflitti si
innestano in rivalita' etniche tutt'altro che sopite: i pashtun si sentono
mal rappresentati nel governo centrale che pur essendo guidato da Hamid
Karzai, della loro stessa etnia, viene ritenuto dominato dai tagiki
dell'Alleanza del nord. Del resto la forte presenza americana e' riuscita ad
imporre un compromesso tra i vari signori della guerra ma non a raggiungere
una pacificazione.
Anzi, con i bombardamenti si provocano solo ulteriori conflitti: il
malcontento e l'ostilita' crescente delle popolazioni colpite, vittime degli
"effetti collaterali" della guerra al terrorismo di al Qaeda. Ed e' in
questo contesto che si troveranno ad agire anche i 1.000 alpini che l'Italia
inviera' in Afghanistan. E mentre il grosso delle forze Usa e britanniche si
sposta verso l'Iraq, la Germania e l'Olanda hanno chiesto il supporto Nato
all'Isaf schierata a Kabul, come forza di peacekeeping, ma che il presidente
Karzai - con qualche appoggio occidentale - vorrebbe estesa ad altre
province.
E mentre Karzai e' volato negli Stati Uniti per ritirare un premio per aver
promosso la liberta' in Afghanistan, a Kabul la polizia spara sugli studenti
e un tribunale ha confermato la condanna a morte, emessa lo scorso ottobre,
contro uno dei signori della guerra piu' feroci, Abdullah Shah, mentre gli
altri continuano a farsi la guerra tra di loro.
L'inizio del Ramadan ha peraltro ridato vigore alle forze piu'
fondamentaliste ancora al potere: la Corte suprema del governo islamico di
transizione ha deciso la chiusura di tutti i cinema del paese durante il
mese sacro. Mentre l'autoproclamatosi governatore di Herat ha deciso di
vietare i festeggiamenti dei matrimoni nei ristoranti per evitare che le
donne possano ballare con gli uomini. Un compito arduo spetta al comitato
incaricato della stesura della nuova costituzione che dovrebbe conciliare la
sharia con la democrazia.

5. RIFLESSIONE. ENRICO EULI: SINTESI DEL GRUPPO DI LAVORO SU "GRUPPI DI
AZIONE NONVIOLENTA: QUALI PERCORSI DI FORMAZIONE" AL SEMINARIO DELLA RETE
LILLIPUT SULLA NONVIOLENZA
[Pubblichiamo la sintesi del gruppo di lavoro sul tema "Gruppi di azione
nonviolenta: quali percorsi di formazione" svoltosi durante il seminario
della Rete Lilliput sulla nonviolenza tenutosi a Ciampino il 27-29 settembre
2002. il gruppo era introdotto e coordinato da Enrico Euli (per contatti:
diabeulik@libero.it), che e' uno dei piu' noti formatore alla nonviolenza e
un caro amico col quale sempre feconda e' la discussione]
a) Intervento introduttivo
Come e perche' formare alla nonviolenza e all'azione nonviolenta?
In questa sede, potrebbero apparire domande (ed emergere risposte) ovvie,
scontate. Scelgo quindi di partire da quesiti, interrogazioni, dilemmi che,
anche per gente come noi, possano essere stimolanti, provocatorie,
disturbanti.
Perche' e' cosi' difficile agire? Come (far) uscire da una passivita' senza
azione?
Il fatto che le persone (noi inclusi) abbiano tanta difficolta' a vivere
assertivamente e' a mio parere connesso e dipendente da una vera e propria
"violenza culturale" (per utilizzare il lessico di Galtung) di un diffuso
discutibilemoralismo: provo ad enumerarne molto schematicamente alcuni
capisaldi:
1. la cultura del lavoro: esaltato in quanto tale come valore che produce
valore, come fattore nobilitante della vita; il lavoro come droga che
produce astinenza e depressione quando non c'e' (per disoccupazione o
pensionamento); Hannah Arendt  diceva che l'agire (la "vita activa", la
"politica") inizia soltanto laddove si siano oltrepassati i tempi e i modi
tipici del "produrre" e dell'"operare". Mi trovo d'accordo: sino a quando il
90% delle nostre potenzialita' d'azione saranno, non a caso, incanalate
nella "produzione finalizzata" sara' difficile giungere ad un'azione diretta
nonviolenta diffusa (anche se facessimo migliaia di corsi di formazione). E'
l'eccesso di azione a produrre inazione. E dunque: elogio dell'ozio,
dell'approccio "lentius, suavius, profundius" (Langer). E' fondamentale
invertire, gradualmente ma progressivamente, le proporzioni tra tempi di
lavoro e tempi di vita.
2. il pregiudizio sul potere: come "acquisizione di potere su" e quindi
"male" (l'autoaffermazione come "peccato"); e' proprio la scarsa concorrenza
tra i "loci" di potere a determinare un'altissima competizione,
l'esaltazione dei campioni, dei divi, degli eroi, il monopolio e la
concentrazione di poteri); il lavoro formativo che tende all'"empowerment"
cozza contro una millenaria e potente cultura della colpa verso chiunque
esprima con forza le sue qualita' e potenzialita', si mostri autonomo e
dotato di "carattere" e "personalita'". L'autonomia resta il reato piu'
imperdonabile e l'atteggiamento piu' minaccioso per la cultura dominante e
per questo ordine sociale.
3. l'obbedienza e la delega ne sono invece garanzia; da qui il centralismo,
la politica come professione, sino al culto della personalita', del capo, e,
in ambito formativo-educativo, del Maestro. Chiunque non obbedisca diviene
immediatamente un nemico ed un traditore, soprattutto se agisce in contrasto
con ordini sottesi, impliciti (tipici della violenza strutturale e
culturale). All'interno di queste tradizioni, la leadership non puo' che
essere accentrata, ed il richiamo alla partecipazione attiva (che,
ovviamente, non arriva) finisce per rivelarsi inutile e, a mio parere,
ipocrita. Tutti conosciamo la falsa sorpresa che coglie il relatore quando,
dopo un suo intervento-fiume, nessuno vuole intervenire nel dibattito.
Ma c'e' una seconda dimensione su cui mi interessa riflettere: come (far)
uscire da un'attivita' senza passione? E' necessario formarsi per superare
la violenza culturale del ritualismo:
1. estetico: la violenza e la distruzione sono attualmente fonti e richiami
inesausti di attrazione; quando agisce (come e' accaduto a Genova) il
triangolo necrofilo  (militari-militanti-massmedia) le possibilita' d'azione
bella e nonviolenta si riducono esponenzialmente sino ad annullarsi. Eppure
la bellezza e la politica non possono che andare insieme se vogliamo che le
persone siano attratte dall'agire e motivate a farlo in connessione ad un
senso e ad una passione (in fondo e' questo a dare la spinta, molto piu' che
le strategie pianificate ed i successi...). Su questa dimensione vedi:
Politiche della bellezza di J. Hillman.
2. etico-cognitivo: la precedenza e la predominanza della teoria sulla
prassi, la violenza dell'istruzione, l'impotenza depressiva derivante da un
eccesso di informazioni e di conoscenze (relativismo assoluto, continua
negoziabilita') provocano inazione, rinvio: perche' "coloro che ricercano la
verita' sono troppo consapevoli del labirinto per essere implacabili" (E. M.
Forster). Ma, come ricorda Levinas, "e' li', con il volto, che ha inizio
l'etica. L'origine dell'etica e' il volto dell'altro, con la sua richiesta
di risposta. Solo di fronte ad un volto siamo e diventiamo responsabili,
cioe' abili a dare una risposta. Il volto pretende riconoscimento, bisogna
guardarlo, incontrarlo. Il volto si offre, si dona, mi chiama fuori da me
stesso. "L'altro diventa il mio prossimo precisamente attraverso il modo in
cui la sua faccia mi chiama... Prima di qualsiasi espressione particolare e
al di sotto di tutte le espressioni particolari... c'e' la nudita' e la
miseria dell'espressione in se', cioe' l'inermita', l'impotenza, la
vulnerabilita' assolute, una misteriosa derelizione..." Il modo in cui
trattiamo il nostro volto ha conseguenze sulla societa'. Se non mostra piu'
la sua vulnerabilita' assoluta, allora l'esigenza di sincerita', la
responsabilita', la richiesta di risposte, sulle quali poggia la coesione
sociale, perdono la loro sorgente originaria... (citato da Hillman, in La
forza del carattere. La vita che dura, Adelphi 2000,  pp. 202-213).
Ecco perche' per me formare alla nonviolenza cerca di non essere mai
un'azione ideologica ed ideologizzante, ma un esperimento "in corpore vivo",
un training continuo e senza soste nel gioco della vita e delle relazioni.
Ecco perche' per me oggi  formare ad un'azione diretta nonviolenta
(diretta-non delegata; coerente ai fini, non strumentale; spiazzante-ludica;
bella, non necrofila, mix di piacere e dolore - appassionante;
intelligente-immaginativa; propositiva) significa formare alla nonviolenza
di fatto.
E credo che solo su queste basi il dialogo con i non-nonviolenti possa
essere possibile, cosi' come la stessa espansione dell'azione diretta
nonviolenta nelle aree attualmente a-violente, non-violente (molti
lillipuziani inclusi) o inattive, possa essere piu' facile.
E forse cosi' si riuscira' a superare finalmente quel terribile e sfiancante
ritualismo
3. politico: la ripetitivita' e la noia delle forme di espressione politica
pubblica (i comizi, i cortei, la novita' (?) dei girotondi, gli stessi -
ormai consunti forse - sit-in e blocchi nonviolenti...). Tutto questo
ripetersi e stanco procedere di riti sociali, che nessuno piu' riconosce
come sensati, neppure quelli che vi prendono parte, figuriamoci chi guarda.
Questo modo d'agire che non ha nulla di ludico, di creativo, di spiazzante,
di veramente espressivo, come potra' mai generare un desiderio d'agire, di
esserci, di avvicinarsi?
Vedo l'urgenza e la possibilita' di innovazione (anche in ambito formativo:
perche' non pensare ad un corso di ideazione e creazione di nuova
espressivita' politica pubblica?). Gia' oggi e' lecito aspettarsi qualcosa
soprattutto dai giovani e dalle donne ed e' importante valorizzare quel che
gia' e' emerso.
*
b) Sintesi finale del lavoro di gruppo e proposte operative
L'attività formativa e' considerata da tutti importante, necessaria e
decisiva. La Rete deve investire su di essa sempre piu' risorse ed
attenzione.
Quella indirizzata alla formazione dei Gruppi di azione nonviolenta (in
sigla: Gan) dovra' essere il piu' possibile:
1. aperta a tutti coloro (lillipuziani e non) che vogliano far parte dei Gan
stessi e che quindi siano orientati ad una form/azione nonviolenta
caratterizzata in un senso specifico, non generico;
2. stante la libertà e l'autonomia di ciascun Gan, il piu' possibile
omogenea e comparabile su scala nazionale: il gruppo invita quindi tutti i
lillipuziani ad avvicinarsi all'azione nonviolenta attraverso una conoscenza
di base:
- di alcuni passaggi storici del patrimonio teorico-pratico nonviolento;
- di alcune metodologie di training (facilitazione, metodo del consenso,
dinamiche di gruppo, gestione dei conflitti, organizzazione delle
campagne...).
Queste parti di lavoro potrebbero essere indirizzate a tutti i lillipuziani
e a tutti i nodi disponibili, indipendentemente dal fatto che vogliano o
meno far parte di un Gan, in modo tale che permanga una connessione ed una
ricerca comune fra tutti i lillipuziani. Per chi volesse procedere alla
costituzione di un Gan ed organizzare quindi azioni nonviolente si
dovrebbero avviare dei momenti formativi centrati su questo obiettivo, in
termini sempre più specifici;
3. sperimentale ed esperienziale, orientata in concreto all'azione: una base
teorica e formativa iniziale, minima e adeguata a compiere azioni semplici,
in cui le persone si mettano in gioco gradualmente ma di fatto, valutando e
riflettendo in attivita' formative successive proprio a partire da quel che
è accaduto.
4. continua, non emergenziale ed estemporanea: l'addestramento specifico e
tecnico all'azione dovra' essere il piu' possibile legato ad un
percorso-processo integrato, complesso, tipico di una ricerca personale e di
gruppo rigorosa e approfondita.
Le modalita' piu' adatte per realizzare questi obiettivi potrebbero essere:
- che le persone, in particolare del nodo, si avvicinino alla scelta di fare
un Gan non tanto attraverso riunioni o decisioni "politiche", ma secondo
modalita' di incontro formativo che favoriscano gia' dall'inizio l'ascolto
delle idee, degli stati d'animo, delle prospettive che portano le persone a
sentirsi motivate o meno rispetto alla formazione dei Gan o, ancor prima,
alla partecipazione in un'azione diretta nonviolenta;
- che si parta il piu' possibile dalle competenze e dalle esperienze locali
gia' presenti, chiamando formatori esterni soltanto quando esse non siano
reperibili in loco o quando si ritenga utile uno "sguardo altro", magari a
percorso gia' avviato; a questo proposito si ricordano a tutti/e due cose:
che esiste gia' una banca-dati di formatori disponibili (link:
www.peacelink.it/amici/glt) e che a giorni uscira' il libro Guida all'azione
diretta nonviolenta, curato da Enrico Euli e Marco Forlani e alla cui
stesura hanno partecipato vari lillipuziani, edito dalla Berti di Milano,
per la modica cifra di 7 euro. Li' e' possibile trovare, tra l'altro, anche
un kit per l'azione, che puo' essere una buona base per introdursi al tema.
Il gruppo propone comunque di valutare la possibilita' di predisporre dei
kit formativi utilizzabili localmente in modo autogestito.
- che si sviluppi e si strutturi ulteriormente, dopo l'esperienza già
avviata a Pruno di Stazzema quest'estate per 20 nuovi "formatori in erba",
un processo nazionale organizzato per la "formazione di formatori". E'
urgente quindi che i formatori gia' attivi (quelli, per intenderci, gia'
inclusi nella lista della rete dei formatori alla nonviolenza) proseguano in
un'azione di coordinazione e di lavoro di rete per concretizzare questo
obiettivo fondamentale ed urgente;
- che si inizi a realizzare uno scambio informativo e formativo tra i Gan
esistenti e quelli in divenire, attraverso l'utilizzo della lista di
discussione del gruppo di lavoro tematico sulla nonviolenza o di una nuova
specifica dei Gan, in modo tale che le esperienze di tutti siano conosciute
ed utilizzate in rete;
- che l'attivita' formativa sia connessa alle scelte strategiche e politiche
della Rete e dei Gan, e che quindi vada a dimensionarsi in scala a seconda
degli sviluppi che queste scelte determineranno: si pensa infatti che sia
diverso fare formazione in vista di azioni locali singole rispetto a
situazioni in cui i Gan decidessero di svolgere (come alcuni hanno
auspicato) azioni coordinate simultanee in vari luoghi o un'azione unica ed
unitaria in un luogo definito e significativo.

6. MATERIALI. UNA BIBLIOGRAFIA SULLA TEOLOGIA FEMMINISTA
[La seguente bibliografia abbiamo estratto dal sito delle comunita'
cristiane di base italiane (per contatti: sito: www.cdbitalia.it; e-mail:
crisbase@tin.it), che la presenta come "sintesi delle indicazioni
bibliografiche dai vari incontri nazionali delle donne delle comunita' di
base"]
- AA. VV., La Bibbia delle donne, 3 voll., Claudiana, Torino 1996-1999;
- AA. VV., Le Figlie di Abramo. Donne, sessualita' e religione (Percorsi
dell'identita' femminile nel Novecento), Guerini e Associati, Milano 1998;
- AA. VV., Maschio e femmina li creo'. L'immagine femminile nelle religioni
e nelle scritture, Il segno dei Gabrielli, Udine 1998;
- AA. VV., Riletture bibliche al femminile, Claudiana, Torino 1994;
- Balsamo Gian, Rachele accucciata sugli dei. Il fallo e la legge.
Biblioteca del Vascello, 1995;
- Beretta Gemma, Ipazia d'Alessandria, Editori Riuniti, Roma 1993;
- Bolen Jean S., Le dee contro le donne, Astrolabio, Roma;
- Braekeman Lyn, La serpentessa che voleva farsi amare. Piccole storie
irriverenti di spiritualita' al femminile, Piemme, Casale Monferrato;
- Buehrig Marga, Donne invisibili e Dio patriarcale. Introduzione alla
teologia femminista, Claudiana, Torino 1989;
- Ceresa Ivana (a cura di): Donne e divino, Scuola di cultura contemporanea,
1992;
- Cifatte Caterina, Dalla parte di Gezabele e delle donne trasgressive della
Bibbia, "Tempi di fraternita'", n. 8/2001; Vivere il divino in spirito e
verita', "Tempi di fraternita'", n.9/2001;
- Currot Phillis, Il sentiero della Dea, Sonzogno;
- Dahr Lambert Jean, Il cerchio sacro, Frassinelli, 1997;
- Dalto Francoise, La liberta' d'amare, Rizzoli, Milano;
- Dalto Francoise, Psicoanalisi del Vangelo, Rizzoli, Milano;
- Daly Mary, Al di la' di Dio Padre, Editori Riuniti, Roma 1990;
- De Boer Esther, Maria Maddalena. Oltre il mito alla ricerca della sua
identita', Claudiana, Torino 2000;
- Diotima (a cura di), La sapienza del partire da se', Liguori;
- Drewermann Eugen, Il messaggio delle donne. Il sapere dell'amore,
Queriniana, Brescia 1997;
- Eisler Riane, Il piacere e' sacro, Frassinelli, 1996;
- Garutti Bellenzier Maria Teresa, Orme invisibili. Donne cattoliche tra
passato e futuro, Ancora, Milano 2000;
- Gebara Ivone, Noi figlie di Eva. Potere e non potere delle donne, La
Cittadella, Assisi 1995;
- Gibellini Rosino, Hunt Mary E. (a cura di), La sfida del femminismo alla
teologia, Queriniana, Brescia 1985;
- Gimbutas Marija, Il linguaggio della Dea, Longanesi, 1990;
- Green Elizabeth, Dal silenzio alla parola. Storia di donne nella Bibbia,
Claudiana, Torino 1995;
- Green Elizabeth, Perche' la donna pastore. Il volto femminile del
ministero nelle chiese, Claudiana, Torino 1996;
- Green Elizabeth, Teologia femminista, Claudiana, Torino 1998;
- Green Elizabeth, Lacrime amare. Cristianesimo e violenza contro le donne,
Claudiana, Torino 2000;
- Hopkins Julie M., Verso una cristologia femminista, Queriniana, Brescia
1996;
- Hunt Mary E., Gibellini Rosino (a cura di), La sfida del femminismo alla
teologia, Queriniana, Brescia 1985;
- Irigaray Luce, Sessi e genealogie, La tartaruga, Milano 1989;
- Irigaray Luce (a cura di), Il respiro delle donne. Luce Irigaray presenta
il credo al femminile, Il Saggiatore, Milano 1997;
- Jacobelli Maria Caterina, Il risus paschalis. Il fondamento teologico del
piacere sessuale, Queriniana, Brescia 1991;
- Johnson Elizabeth A., Colei che e'. Il mistero di Dio nel discorso
teologico femminista, Queriniana, Brescia 1999;
- Leloup Jean Yves, Il vangelo di Maria, Myriam di Magdala, Servitium;
- Lupi Doranna, Leggendo la prima lettera ai Corinti, "Viottoli", n. 7/2001;
- Mazzinelli Tolmino, Introduzione al pensiero di frate Tissa Balassurya.
Riflessioni sul libro "Mary and human liberation", Quaderni di "Viottoli",
n. 4/2001;
- Mc Fague Sallie, Modelli di Dio. Teologia per un'era nucleare ecologica,
Claudiana, Torino;
- Militello Cettina, Donna in questione. Un itinerario ecclesiale di
ricerca, La Cittadella, Assisi 1992;
- Militello Cettina, Il volto femminile della storia, Piemme, Casale
Monferrato, 1995;
- Moltmann Wendel Elizabeth, Le donne che Gesu' incontro', Queriniana,
Brescia 1993;
- Moltmann Wendel Elizabeth, Liberta', uguaglianza, sororita'. Per
l'emancipazione della donna, Queriniana, Brescia 1979;
- Moltmann Wendel Elizabeth, Il mio corpo sono io. Nuove vie verso la
corporeita', Queriniana, Brescia 1996;
- Monaghan Patricia, Le donne nei miti e nelle leggende. Dizionario delle
dee e delle eroine, Red 1987;
- Mulack Christa, Maria vergine ribelle. La dea nascosta del cristianesimo,
Red 1996;
- Muraro Luisa, L'ordine simbolico della madre, Editori Riuniti, Roma 1993;
- Muraro Luisa, La non ordinazione delle donne e la politica del potere, in
"Concilium", Queriniana, Brescia 1999, a. XXXV, n. 3;
- Noble Vicky, Il risveglio della dea, Tea, Milano;
- Pagels Elaine, I vangeli gnostici, Mondadori, Milano 1987;
- Percovich Luciana, Immagini del sacro femminile: Mitologie del divino
(1999); Storie di creazione (2000), Associazione per una libera universita'
delle donne;
- Radford Ruether Rosemary, Gaia e Dio. Una teologia ecofemminista per la
guarigione della terra, Queriniana, Brescia 1995;
- Radford Ruether Rosemary, Per una teologia della liberazione della donna,
del corpo, della natura, Queriniana, Brescia;
- Ranke Hindemann Uta, Cosi' non sia. Introduzione al dubbio di fede,
Rizzoli, Milano 1993;
- Ranke Hindemann Uta, Eunuchi per il regno dei cieli. La chiesa cattolica e
la sessualita', Rizzoli, Milano 1995;
- RIcci Carla, Maria di Magdala e le altre. Donne sul cammino di Gesu',
D'Auria, Napoli 1991;
- Riggi Pignata Ausilia, Da donna a donne. Un messaggio femminile attraverso
i confini del sacro nella Chiesa, Gabrielli Editori, S. Pietro in Cariano
2000;
- Rodriguez Pepe, Dio e' nato donna, Editori Riuniti, Roma 2000;
- Rodriguez Pepe, Marie, Claudiana, Torino 1994;
- Russel Letty, Teologia femminista, Queriniana, Brescia 1988;
- Schlusser Fiorenza Elizabeth, In memoria di Lei. Una ricostruzione
femminista delle origini cristiane, Claudiana, Torino 1990;
- Schlusser Fiorenza Elizabeth, Gesu' figlio di Miriam, profeta della Sofia.
Questioni critiche di cristologia femminile, Claudiana, Torino 1996;
- Le Scritture Sacre delle donne, in "Concilium", Queriniana, Brescia 1998,
a. XXXIV, n. 3;
- Sebastiani Lilia, Donne dei Vangeli, Tratti personali e teologici,
Paoline, Milano 1994;
- Sebastiani Lilia, Trasfigurazione. Il personaggio evangelico di Maria di
Magdala e il mito della peccatrice redenta nella tradizione occidentale,
Queriniana, Brescia 1992;
- Silvestre M. L., Valerio A., Donne in viaggio, Laterza, Bari;
- Solle Dorothee, Per lavorare e amare. Una teologia della creazione,
Claudiana, Torino 1990;
- Solle Dorothee, Teologhe femministe nei diversi contesti, in "Concilium",
Queriniana, Brescia,1998, a. XXXIV, n. 3;
- Valerio Adriana, Cristianesimo al femminile. Donne protagoniste nella
storia della Chiesa, D'Auria, Napoli 1991;
- Valerio Adriana, Maria Celeste Costarosa - Lettere, San Gerardo Mater
Domini, Avellino;
- Van Lunen-Chenu Marie Therese, Gibellini Rosino, Donna e teologia,
Editoriale di Adriana Valerio, Queriniana, Brescia 1988;
- Veroli Luisella, Prima di Eva, Melusine, 2000;
- Voss Jutta, La luna nera. Il potere della donna e la simbologia del ciclo
femminile, Red 1996;
- Walter Karin, Bartolomei M. Cristina (a cura di), Donne alla riscoperta
della Bibbia, Queriniana, Brescia 1988;
- Wolf Hanna, Gesu', la maschilita' esemplare. La figura di Gesu' secondo la
psicologia del profondo, Queriniana, Brescia.
*
Fascicoli monografici di riviste:
- "Concilium", n. 6/1985: Donne - invisibili nella teologia e nella chiesa;
- "Concilium", n. 5/1987: Donne, lavoro e poverta';
- "Concilium", n. 6/1989: Maternita': espeirenza, istituzione, teologia;
- "Concilium",n. 6/1991: La donna ha una natura speciale?
- "Concilium", n. 1/1996: Teologie femministe nei diversi contesti;
- "Concilium", n. 3/1998: Le scritture sacre delle donne;
- "Concilium", n. 4/2000: Il lato luminoso della fede;
- "Concilium", n. 5/2000: Nel potere della sapienza: spiritualita'
femministe di lotta;
- "Confronti", suppl. n. 4/1990: Le donne e il sacro;
- "Via Dogana", n. 48, febbraio 2000: Lontanovicino. Il Dio delle donne.

7. RILETTURE. ETTY HILLESUM: DIARIO 1941-1943
Etty Hillesum, Diario 1941-1943, Adelphi, Milano 1985, 1996, pp. 268, lire
15.000. Una lettura fondamentale.

8. RILETTURE. ETTY HILLESUM: LETTERE 1942-1943
Etty Hillesum, Lettere 1942-1943, Adelphi, Milano 1990, 2001, pp. 158, euro
6,20. Una lettura fondamentale.

9. RILETTURE. AA. VV.: LA RESISTENZA ESISTENZIALE DI ETTY HILLESUM
AA. VV., La resistenza esistenziale di Etty Hillesum, fasciclo monografico
di "Alfazeta", n. 60, novembre-dicembre 1996, pp. 84, lire 10.000. Una bella
raccolta di interventi, in collaborazione con l'Istituto Storico della
Resistenza di Parma.

10. RILETTURE. PASCAL DREYER: ETTY HILLESUM
Pascal Dreyer, Etty Hillesum, Edizioni Lavoro, Roma 2000, pp. 184, lire
20.000. Una acuta monografia.

11. RILETTURE. SYLVIE GERMAIN: ETTY HILLESUM
Sylvie Germain, Etty Hillesum, Edizioni Lavoro - Editrice Esperienze, Roma -
Fossano (Cn) 2000, pp. 264, euro 11,87. Una fine monografia.

12. RILETTURE. MARIA PIA MAZZIOTTI, GERRIT VAN OORD (A CURA DI): ETTY
HILLESUM. DIARIO 1941-1943. UN MONDO "ALTRO" E' POSSIBILE
Maria Pia Mazziotti, Gerrit Van Oord (a cura di), Etty Hillesum. Diario
1941-1943. Un mondo "altro" e' possibile, Apeiron, Sant'Oreste (Roma) 2002,
pp. 64, euro 3,50. Molti e vari materiali di grande interesse.

13. RILETTURE. NADIA NERI: UN'ESTREMA COMPASSIONE
Nadia Neri, Un'estrema compassione, Bruno Mondadori, Milano 1999, pp. 176,
euro 9,30. Una appassionante monografia della piu' profonda studiosa
italiana di Etty Hillesum.

14. LE RAMPOGNE DI BRONTOLO: CONTRO LA TINTURA DEI CAPELLI

"Ah, che tristezza esser quelli che siamo,
gli antichi archivisti fin dai tempi di Adamo"
(Ireneo Funes, Opera omnia, Suppl. I, 1890)

Lotto primo
Non facciamo credere ai piu' giovani che il mondo sia cominciato ieri.
Non facciamo credere loro che certe banalizzazioni e confusioni e
irresponsabilita' e manicheismi d'accatto siano la scoperta delle scoperte;
diciamoglielo che nei secoli scorsi tradizioni grandi hanno pensato e
proposto idee e vie di liberta' e di dignita' ancora da percorrere.
Invitiamoli a studiare e discutere, invece che a ripetere slogan irosi o
sbertuccianti e marciare a passi lunghi e ben distesi.
*
Lotto secondo
E non si ripeta l'errore di qualche decennio fa: diciamolo chiaro e forte e
sempre che la violenza e' il nemico nostro e dell'umanita' intera.
E che si puo' essere contro la guerra solo se si e' costruttori di pace.
E che una e una soltanto e' la scelta oggi preliminarmente necessaria per la
lotta che vuole affermare la dignita' umana di tutti gli esseri umani
passati, presenti e venturi; una e una soltanto e' la scelta oggi
preliminarmente necessaria per la lotta che vuole affermare la difesa
dell'ambiente che e' casa comune di tutti; una e una soltanto e' la scelta
oggi preliminarmente necessaria per uscire dal sistema dello sfruttamento,
dell'inquinamento e della guerra che minaccia l'umanita' e il mondo.
Questa scelta ha un nome: nonviolenza.
Che si puo' dire altresi': nonmenzogna; o anche: principio responsabilita'.
Se non si fa la scelta della nonviolenza, allora non si fa la scelta della
lotta piu' limpida ed intransigente contro tutte le violenze, e dunque si
resta nella zona grigia, e dunque si resta effettuali complici
dell'effettuale oppressione e dell'annichilimento che l'umanita' intera gia'
strozza e minaccia.
*
Lotto ultimo e fine dell'incanto
E facciamola finita con la retorica giovanilista; che andava tanto di moda
negli anni venti, quando si cantava giovinezza a squarciagola, e chi cosi'
cantava poi le gole le squarciava davvero.
Capisco che ci sia chi preferisca non ricordare il suo proprio passato di
qualche decennio o solo qualche anno fa, quando faceva l'elogio del
manganello e della spranga o dell'assassinio (pensando nella sua criminale
follia d'allora che aggiungendo l'aggettivo "politico" quell'omicidio
cessava di essere tale), o deliberava la guerra, o organizzava i pestaggi in
piazza o in birreria. E capisco che ci sia chi preferisca non volger lo
sguardo alla propria passata ignavia, o alle carriere fatte, o alle prebende
e ai privilegi ricevuti. Capisco, ho una certa eta', ne ho viste tante.
Capisco ma non giustifico; non giustifico ma capisco. Ma sarebbe buona
creanza non travestirsi da pischelli quando si e' anzicheno' attempati
quanto noi, e di barbe e capelli meglio sarebbe non occultare con untuose
passate di tintura lo sbiadire e incanutire - e come le foglie
l'abbandonarci.

15. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

16. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it

Numero 416 del 15 novembre 2002