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La nonviolenza e' in cammino. 415
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Numero 415 del 14 novembre 2002
Sommario di questo numero:
1. Angelo Cavagna, al quindicesimo giorno di digiuno per una finanziaria di
pace...
2. Benito D'Ippolito, sette commenti a Vinoba nel XX anniversario della
scomparsa
3. Gruppo migranti del Lecce social forum: una riflessione ed alcune
proposte
4. Nella Ginatempo, il nuovo movimento dei movimenti per la pace
5. Anna Fazi, non c'e' bisogno di un nemico per esistere
6. Laura Colombo e Sara Gandini: presentazione della Libreria delle donne di
Milano
7. In uscita "Il diritto non cade in prescrizione" di Daniela Binello
8. Riletture: Marie-Magdeleine Davy, Simone Weil
9. Riletture: Julia Kristeva, Sole nero
10. L'abbedecario ingenuo di Tricotillo Smaniconi: vincolo
11. La "Carta" del Movimento Nonviolento
12. Per saperne di piu'
1. INIZIATIVE. ANGELO CAVAGNA: AL QUINDICESIMO GIORNO DI DIGIUNO PER UNA
FINANZIARIA DI PACE...
[Dagli amici del Gavci e da padre Angelo Cavagna (per contatti: e-mail:
gavci@iperbole.bologna.it; sito: www.peacelink.it/users/gavci) riceviamo e
diffondiamo questo comunicato dell'11 novembre. A padre Angelo Cavagna,
straordinario costruttore di pace, va tutto il nostro affetto e sostegno;
invitiamo tutti i nostri lettori a contattarlo]
Quindicesimo giorno di digiuno per il sottoscritto.
Al controllo medico di stamane sono risultati valori fisici normali. Quindi:
avanti ancora!
Oltre ad Andrea Mazzi (tutti i venerdi), si aggiungono nel digiuno per una
Finanziaria di Pace anche Lorena Vandelli di Bologna, iniziando da domani,
per alcuni giorni, Silvano tartarini (Caschi Bianchi) da Lucca, da oggi
tutti i lunedi e padre Silvio Turazzi, un grande missionario saveriano in
Congo-Kinshasa, disabile in carrozzella da circa venti anni, nei giorni
mercoledi 13 e venerdi 15 novembre.
Le motivazioni del digiuno si rivelano di giorno in giorno piu' che mai
fondate.
I soldi per la cooperazione Internazionale sono ridotti al minimo; e' la
Focsiv (Federazione Organismi Cristiani di Servizio Internazionale
Volontario) che lo afferma.
I soldi per il servizio civile internazionale di pace degli obiettori
(Caschi Bianchi) sono pochi o nulla.
I soldi del misero rimborso spese per "vitto e alloggio" degli obiettori
sono in ritardo di mezzo anno.
Quasi non bastasse, le pressioni che giungono al nostro governo da Europa e
Fondo Monetario Internazionale (FMI) chiedono tagli alle pensioni ecc. ecc.
Intanto viene confermato l'aumento della spesa militare nel 2003 rispetto al
2002 del 3,1% in termini monetari, +1,4% in termini reali, ma che dovrebbe
salire quasi del 50% entro il 2006, come scritto nel Dpef del governo.
Insomma, non si vuol capire cio' che la povera gente ha capito da tempo:
"Batter le noci, spazzar la neve, ammazzar la gente: tutti lavori fatti per
niente".
Rivolgiamo un appello urgente ai parlamentari: tagliate le spese militari.
padre Angelo Cavagna
2. MEMORIA. BENITO D'IPPOLITO: SETTE COMMENTI A VINOBA NEL XX ANNIVERSARIO
DELLA SCOMPARSA
[Presso il "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo si terra' il 15
novembre una commemorazione di Vinoba, una delle figure piu' fulgide della
nonviolenza. Per l'occasione uno dei collaboratori della struttura pacifista
viterbese, Benito D'Ippolito, ha scritto in omaggio alla grande personalita'
nonviolenta il testo che di seguito si riporta. Vinayak Bhave, detto Vinoba,
1895-1982, discepolo e collaboratore di Gandhi, ne prosegui' l'impegno.
Promosse grandi campagne nonviolente, la "Societa' per l'elevazione di
tutti" (Sarvodaya Samaj), il movimento per il dono della terra ai contadini.
Opere di Vinoba: Gandhi. La via del maestro, Edizioni Paoline, Cinisello
Balsamo (Mi) 1991. Opere su Vinoba: Shriman Narayan, Vinoba, Cittadella,
Assisi 1974; Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto, Vinoba o il nuovo
pellegrinaggio, Jaca Book, Milano 1980. In rete:
www.mkgandhi-sarvodaya.org/vinoba]
"Vinoba e' un fuoco che brucia e una lampada accesa"
(Lanza del Vasto, Vinoba o il nuovo pellegrinaggio, Jaca Book, Milano 1980,
p. 212)
I. Disse Vinoba: "Quando parla un re si muovono gli eserciti. Quando parla
un fakir si muove soltanto la sua barba" (in Shriman Narayan, Vinoba,
Cittadella, Assisi 1974, p. 267).
Felice colui la cui parola
solo muove una barba, felice
colui la cui parola e' solo balsamo
ed agli eserciti tutti si oppone.
*
II. Disse Vinoba: "In democrazia la pistola e' stata sostituita dal voto"
(in Shriman Narayan, Vinoba, cit., p. 163).
Lo sciopero e il voto, diceva il priore
di Barbiana; e per stringere ancora:
l'esempio, e null'altro.
*
III. Disse Vinoba: "si deve agire: 1) civilmente, cioe' entro i limiti che
ci si e' posti; 2) in una forma ordinata, non ammettendo alcuna infrazione
di disciplina da alcuna parte; 3) apertamente, cioe' senza nascondere nulla
e senza alcuna simulazione o inganno; 4) con fermezza, presentando le
proprie richieste minime in relazione alla questione controversa e non
cedendo finche' non sono state soddisfatte. Qualunque punizione venga
inferta per una tale infrazione all'ordinamento giuridico dovrebbe venire
subita con animo lieto e senza alcun sentimento di odio. Una formazione di
questo tipo dovrebbe entrare nel cuore della gente e a questo fine dovrebbe
trovare un posto stabile nella pedagogia e nei codici etici della nazione"
(in Shriman Narayan, Vinoba, cit., p. 115; ed anche in Lanza del Vasto,
Vinoba o il nuovo pellegrinaggio, Jaca Book, Milano 1980, p. 218).
La scienza dell'attaccamento alla verita'
(ma anche: del contatto con l'essere,
dell'adesione al buono che e' vero, la forza
dell'amore) questo richiede, e non altro:
responsabilita'
il rispondere al volto muto e sofferente
dell'altro, il rispondere della sofferenza
altrui, che diviene la tua:
il sentire che tutti siamo uno
(che una e' la carne, diceva Danilo).
*
IV. Disse Vinoba: "Sto cercando di camminare sulle orme del Budda e di
Cristo. Voglio soltanto che il fiume di compassione - oggi asciutto - torni
a scorrere" (in Shriman Narayan, Vinoba, cit., p. 222).
Lo appresi da Sancho, ed ero ancora giovane:
la misericordia e' quella giustizia
che invera la giustizia
ed oltre la giustizia apre una via
e lungo questa via si puo' salvare il mondo.
*
V. Disse Vinoba: "Che cosa e' il satyagraha? Senza rimanere scossi da
piacere e dolore cerchiamo di portare alla luce cio' che vi e' di buono
nell'avversario. Questo e' il senso di cercare il buono in ogni essere
umano, questa e' la base del satyagraha. Tutti i programmi di dono sono
basati su questa fede. L'intero programma del sarvodaya (elevazione di
tutti) e' basato sul vedere il buono in ogni essere umano (Vinoba, Gandhi.
La via del maestro, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (Mi) 1991, p. 36).
In ogni essere umano la favilla
ancora arde dell'umanita'
la nostra lotta e' questo riscattare
l'umanita' di tutti, ed in ognuno.
*
VI. Disse Vinoba: "Gandhiji ha spiegato la differenza tra 'resistenza
passiva' e satyagraha nei termini seguenti: 1) l'amore non ha posto nella
resistenza passiva. La malevolenza non ha posto nel satyagraha. 2) La
resistenza passiva sovente precede la resistenza armata. Il satyagraha
preclude la resistenza armata. 3) Non si puo' opporre resistenza passiva ai
propri amici e parenti. Si puo' rivolgere il satyagraha anche verso chi si
ama. 4) L'idea soggiacente alla resistenza passiva e' di preoccupare e
mettere in imbarazzo l'avversario. Il satyagraha preclude idee di questo
genere" (Vinoba, Gandhi. La via del maestro, cit., pp. 60-61)
La nonviolenza e' attiva
e' lotta e contemplazione a un tempo
e' riconoscimento e suscitamento del conflitto, e via
a piu' alte e fraterne e sororali
contraddizioni, a piu' profondi
sororali e fraterni incontri.
*
VII. Disse Vinoba: "Se verro' a sapere che un uomo ha dato cedendo alla
minaccia o a qualche altra costrizione, gli rendero' subito cio' che e' suo"
(in Lanza del Vasto, Vinoba o il nuovo pellegrinaggio, cit., p. 102).
Il dono vince la violenza
la generosita' sconfigge la paura.
Lo vedi da te, la nostra lotta
convincere vuole, che e' vincere insieme.
3. DOCUMENTI. GRUPPO MIGRANTI DEL LECCE SOCIAL FORUM: UNA RIFLESSIONE ED
ALCUNE PROPOSTE
[Riceviamo (da Luisa Rizzo, per contatti: lu-sa@mail.clio.it) e volenteri
diffondiamo questo utilissimo documento diffuso il 12 novembre 2002 in vista
dell'incontro il 13 novembre a Lecce dei rappresentanti di tredici paesi
dell'area del Mediterraneo]
Il fenomeno migratorio in Italia, come in tutti i Paesi a sviluppo avanzato
e', ormai, un fenomeno strutturale destinato a rimanere tale fino a quando
rimarra' invariata l'attuale distribuzione delle risorse che vede il 23%
della popolazione mondiale consumare l'80% delle risorse disponibili, mentre
il restante 77% deve accontentarsi del 20%.
Tale modello mette nel conto che ogni settimana muoia, nel cosiddetto Terzo
mondo, tanta gente quanta ne mori' con le bombe atomiche sganciate a
Hiroshima e Nagasaki.
Secondo attendibili stime fatte dal Segretariato delle Nazioni Unite, il
moderno fenomeno migratorio interessa un miliardo circa di persone, e sono
oltre 18 milioni coloro che quotidianamente partecipano a questo evento. A
queste stime bisogna poi aggiungere le consistenti quote di popolazioni
ancora nomadi o seminomadi, per le quali migrare rientra nel consueto modo
di esistere. Migrare, percio', oggi come ieri, non e' un fatto eccezionale -
come il senso comune ci spinge a credere - ma una condizione normale
dell'esistenza degli esseri umani. E' tale condizione che nel corso dei
secoli ha sedimentato civilta', popoli e culture, creando, nel contempo,
grandi sconvolgimenti irreversibili, tanto nelle zone di partenza che in
quelle d'arrivo: ogni cultura, ogni popolo sono frutto delle grandi
migrazioni.
*
In Italia, il fenomeno migratorio ha acceso, negli ultimi anni, animati
dibattiti che quasi sempre, pero', hanno focalizzato l'attenzione sulla
dimensione quantitativa del fenomeno, sulla sua presunta eccezionalita' e
sulla ossessione mediatica della clandestinita'. Gli esiti di questo
approccio - che di fatto ha condizionato il "comune pensare" e indirizzato
il "comune agire" - sono stati la costruzione della "sindrome da invasione
e da accerchiamento", la canalizzazione di tutte le risorse economiche per
la gestione delle diverse "emergenze" (clandestinita', criminalita',
prostituzione, ecc.) e la criminalizzazione dell'immigrato, "tollerato" solo
se funzionale ai bisogni dell'economia nazionale.
A questo immaginario si contrappone il fenomeno reale che demolisce tutte le
pseudo argomentazioni allarmistiche e pancriminologiche.
I recenti dati del Ministero dell'Interno, resi noti dal rapporto Caritas
2002, svelano un ridimensionamento numerico degli immigrati.
I soggiornanti stranieri, che erano risultati 1.388.153 alla fine del 2000,
sono scesi a 1.362.630 al 31 dicembre 2001. Tenendo conto della presenza dei
minori e dei ricongiungimenti familiari si puo' ipotizzare una presenza
straniera regolare di circa 1.600.000 persone, pari al 2,8% della
popolazione.
Uno straniero ogni 38 residenti: e' questa l'invasione?
Relativamente alla tipologia dei permessi di soggiorno, inoltre, i dati
ufficiali indicano una immigrazione stabile, presente nel 59% per lavoro,
nel 29% per motivi familiari e nel 7% per altri motivi anch'essi stabili o
comunque di una certa durata (adozione, motivi religiosi, residenza
elettiva): nel complesso si tratta del 95% del totale e cio', senza alcun
margine di dubbio, porta a leggere l'immigrazione come una dimensione
strutturale della nostra societa' che esige correlative politiche di
inclusione e di estensione della cittadinanza sociale.
In particolare, gli immigrati soggiornanti per motivi di lavoro sono 800.680
e il tasso di disoccupazione e' pari al 7,5%: quest'ultimo dato non solo e'
molto contenuto ma certamente e' anche sovrastimato, se si considera il
consistente numero di persone che lavora senza copertura contributiva tanto
nel settore domestico, quanto nel settore delle imprese.
*
Vale la pena ricordare che gli immigrati regolari di oggi sono stati i
"clandestini" di ieri poiche' e' risaputo che l'irregolarita' e' una
costante di tutte le migrazioni ed e' fortemente dipendente dal carattere
piu' o meno aperto delle normative che disciplinano i flussi migratori.
Il modo con cui si affronta questo aspetto della migrazione e' un
imprescindibile indicatore della capacita' delle politiche migratorie di
tutelare i diritti fondamentali dei migranti rifiutando la logica del
proibizionismo per la quale vietare equivale ad impedire.
Questa appare essere, invece, la logica ispiratrice delle attuali politiche
migratorie degli stati europei, che propongono una gestione
dell'immigrazione irregolare in chiave segregazionista e razzista.
Una logica fatta propria anche dall'Italia con l'emanazione della legge
189/2002, cosiddetta Bossi-Fini: una legge che, con l'introduzione del
contratto di soggiorno, riduce lo straniero a mera forza-lavoro; che,
attraverso la pratica della rilevazione delle impronte digitali, tratta
l'immigrato alla stregua del criminale; che, istituendo nuove strutture di
detenzione per i richiedenti asilo (i cosiddetti Centri di Identificazione)
e militarizzando coste e mari, priva di ogni effettivita' l'art.10, comma 3
della nostra Costituzione; che, attraverso l'art.14, commi 5, 5-bis, 5-ter,
5-quater, 5-quinquies (T. U. Immigrazione modificato dalla L. 189/02)
trasforma la cosiddetta clandestinita' da illecito amministrativo in
illecito penale destinando, cosi', migliaia di stranieri e/o richiedenti
asilo ai circuiti penitenziari; che restringendo, de iure et de facto, il
ricongiungimento familiare nega il costituzionale diritto all'unita' della
famiglia.
Un esempio eloquente relativo a quest'ultimo punto e' l'atteggiamento
fortemente ostativo delle ambasciate italiane all'estero, le quali anche di
fronte ai nulla-osta rilasciati dalle questure non concedono i visti per i
ricongiungimenti familiari, o addirittura, come nel caso del consolato di
Casablanca, chiudono l'Ufficio Visti "per cause di forza maggiore".
*
Tutte queste misure compromettono o addirittura negano i diritti di liberta'
e le garanzie giurisdizionali dei migranti, contraddicono in maniera
eclatante i principi fondamentali dello stato di diritto, rivelano la
tendenza alla criminalizzazione delle migrazioni e, di fatto, creano le
condizioni per proclamare lo "stato d'emergenza".
In nome dello "stato d'emergenza", il 20 marzo scorso e' stata emanata
l'ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri recante "Nuove
disposizioni urgenti per fronteggiare l'eccezionale afflusso di cittadini
extracomunitari giunti irregolarmente sul territorio nazionale",
predisponendo la costruzione di altri CPT (Centri di Permanenza Temporanea)
e dei nuovi Centri di Identificazione.
In cosa consiste questo eccezionale afflusso se, come orgogliosamente
dichiarano gli stessi ministri e sottosegretari dell'attuale governo, esso
risulta, invece, addirittura diminuito?
In verita', il governo italiano e' prigioniero della sua stessa politica che
affronta il fenomeno migratorio solo in termini di sicurezza. La legge
Bossi-Fini, infatti, impone, per ogni immigrato irregolare, la detenzione o
l'espulsione immediata. Provvedimento di difficile attuazione che impone
percio' la disponibilita' di spazi "detentivi" sempre piu' numerosi:
l'emergenza, pertanto, e' creata dalla norma, non dal fenomeno in se'.
Senza considerare i costi economici di questa politica: se le cifre
indicate, "sia pure per eccesso", dall'onorevole Mantovano (intervista
pubblicata sul "Quotidiano" di domenica 10 novembre) corrispondono a
verita', per gli "800.000 clandestini e irregolari", diminuiti dei "550.000
nuovi regolarizzati", la somma da destinare per le operazioni di
trattenimento e di espulsione varierebbe dai 500 milioni ai 750 milioni di
euro, considerato che, secondo i dati riferiti dal Rapporto Caritas, per
ogni immigrato da espellere occorrono dai duemila ai tremila euro.
A fronte della "eccezionale" disponibilita' economica in questo senso, si
assiste invece alla soppressione del Programma di sostegno economico dei
richiedenti asilo e dei rifugiati per i quali, tra l'altro, l'Italia non ha
ancora adottato una legge organica.
In questo quadro non desta meraviglia il tasso di respingimento pari al 95%
delle domande d'asilo da parte della Commissione centrale.
*
La convocazione qui, oggi, dei Ministri dell'Interno dei Paesi aderenti
all'Iniziativa Adriatico-Ionica per mettere a punto "il Piano di Allerta e
Reazione Rapida contro l'immigrazione illegale" e' espressione, ancora una
volta, di una concezione che riduce il fenomeno immigratorio a problema di
ordine pubblico da gestire solo in termini repressivi. Esemplare, in questo
senso, anche la terminologia utilizzata nella presentazione dell'iniziativa:
"allerta", "reazione rapida", "contrasto alla criminalita' internazionale,
all'immigrazione clandestina e ai fenomeni criminali ad essa collegati".
Le misure di allontanamento che, con ogni probabilita', i ministri convenuti
intendono adottare comporteranno rilevanti compressioni dei diritti
fondamentali di migliaia di esseri umani costretti a fuggire da situazioni
intollerabili di guerra e di miseria determinate dalle scelte neoliberiste.
Non saranno certo politiche piu' repressive a fermarli.
Cio' che e' accaduto e continua ad accadere nel Canale d'Otranto e nel
Canale di Sicilia sta a dimostrare che l'uso della forza militare e'
destinato soltanto ad aumentare il numero delle vittime innocenti.
Inoltre, prevedere l'espulsione o il respingimento coatto come sanzione per
qualsiasi forma di irregolarita' significa consegnare i migranti alla
gestione arbitraria delle autorita' di polizia.
Misure che si collocano persino al di fuori della prospettiva di gradualita'
della disciplina degli allontanamenti entro cui si muove il recente Libro
verde della Commissione europea.
*
Siamo convinti, invece, che un altro approccio e' possibile. Occorre
assicurare l'imprescindibile tutela dei diritti fondamentali dei migranti,
emancipandosi dalla filosofia dell'ordine pubblico e dal rifiuto razzista
dell'immigrazione.
Ci permettiamo di avanzare solo alcune proposte:
a) ripristino dell'istituto della sponsorizzazione, previsto dalla legge
40/1998 e soppresso dalla 189/2002 perche' "pregiudizialmente" ritenuto una
sorta di porta d'ingresso per etnie e individui poco raccomandabili.
Riteniamo, invece, che tale istituto possa garantire la possibilita' di un
incontro tra domanda e offerta, soprattutto per alcune tipologie
occupazionali e dare uno sbocco legale alle reti familiari e amicali,
coinvolgendo la societa' tutta (gli italiani e gli stessi immigrati) nello
sforzo di assicurare dignitose politiche di inserimento, peraltro senza
onere alcuno a carico dello Stato;
b) applicazione delle norme dello Stato italiano da parte delle Ambasciate
in merito alle richieste di visti d'ingresso;
c) automatica concessione dei visti per ricongiungimento familiare;
d) riconoscimento del diritto d'asilo per coloro che fuggono da situazione
belliche o di grave compromissione delle liberta' civili, politiche e
religiose; diritto che e' riconosciuto come diritto soggettivo perfetto sia
dalla nostra Costituzione (art.10, comma 3) sia dal diritto internazionale a
cui la nostra Costituzione si rifa';
e) rifiuto di qualsiasi accordo di riammissione con quei Paesi indicati da
Amnesty International come Paesi che violano i diritti fondamentali
dell'uomo;
f) soppressione, dalla normativa vigente, della forma di allontanamento
attraverso il respingimento, in quanto non idonea ad accertare i presupposti
"di diritto e di fatto" di permanenza in Italia dello straniero;
g) ricorso all'espulsione solo come extrema ratio nella gestione del
fenomeno migratorio;
h) superamento della logica dell'emergenza e conseguente canalizzazione
delle risorse economiche disponibili per approntare concrete politiche di
inclusione sociale che consentano a tutti i cittadini, nativi e non, di
agire i comuni diritti di cittadinanza sociale.
*
La Storia ci ha gia' indicato gli esiti possibili di relazioni umane basate
sulla paura e sulla negazione dell'alterita'.
Primo Levi, esemplare protagonista di uno di questi tragici esiti, cosi'
scrive, esortando al recupero dell'umanita': "A molti, individui o popoli,
puo' accadere di ritenere, piu' o meno consapevolmente che "ogni straniero
e' nemico". Per lo piu' questa convinzione giace in fondo agli animi come
una infezione latente; si manifesta solo in atti saltuari e incoordinati, e
non sta all'origine di un sistema di pensiero. Ma quando questo avviene,
quando il dogma inespresso diventa premessa maggiore di un sillogismo,
allora, al termine della catena, sta il Lager. Esso e' il prodotto di una
concezione del mondo portata alle sue conseguenze con rigorosa coerenza:
finche' la concezione sussiste, le conseguenze ci minacciano" (Primo Levi,
Se questo e' un uomo).
4. RIFLESSIONE. NELLA GINATEMPO: IL NUOVO MOVIMENTO DEI MOVIMENTI PER LA
PACE
[Dalla mailing list "Peacelink news" (news@peacelink.it) riprendiamo questo
bell'intervento - ad avviso di chi scrive queste righe eccessivamente
entusiasta e semplificatore - di Nella Ginatempo, sociologa all'Universita'
di Messina, della Convenzione permanente di donne contro le guerre]
E' nato qualcosa di nuovo. E' difficile riconoscerlo per chi ne sta al di
fuori. Ma e' facile riconoscerlo per chi lo sognava da piu' di vent'anni.
I sociologi italiani miei colleghi stanno in gran parte affacciati alle
finestre della loro torre d'avorio e ancora non capiscono di che si tratta,
tranne le dovute splendide eccezioni nel mondo.
Ma io sento che si realizza un sogno: lo sviluppo tumultuoso di un soggetto
rivoluzionario mondiale. Per quanti anni avevamo dibattuto sull'assenza del
soggetto sociale in grado di trasformare la societa'? Non ci aspettavamo che
venisse da questo strano orizzonte, questo magma composito di tutti gli
esclusi e gli sfruttati del mondo, che venisse dalle periferie del mondo e
non solo dalle capitali dell'Occidente, anzi che proprio dalle periferie
portasse linfa e nuovi messaggi.
Avevamo cominciato con l'affermazione: "un altro mondo e' possibile", contro
il liberismo che regge l'ingiustizia globale. Ma quando l'11 settembre ha
reso chiaro quale sarebbe stata la risposta dell'Impero alle contraddizioni
ingovernabili della globalizzazione - la guerra- allora e' cominciato un
processo nuovo: si sviluppava in embrione un salto di civilta'. E questo e'
inevitabile nella nascita degli autentici soggetti rivoluzionari: partire da
una visione nuova che produce con effetto moltiplicatore un nuovo
immaginario, nuove pratiche e nuovi linguaggi. La trasformazione
antropologica precede e sostiene il percorso politico.
Ed oggi a Firenze, dopo queste straordinarie giornate di dibattito in cui
quarantamila persone hanno frequentato le conferenze plenarie e gli
incredibili, appassionati seminari, e dopo la piu' grande manifestazione per
la pace mai vista in Europa, ho capito una cosa nuova di questo movimento:
si e' prodotto un salto antropologico ed uno politico.
Il salto antropologico e' la coscienza diffusa della necessita' di fondare
non solo il tabu' della guerra, ma il tabu' della violenza.
La fuoruscita dalla civilta' dell'uccidere significa una rotazione del mondo
a 180 gradi.
Non e' esistita civilta' finora che non abbia praticato e giustificato la
violenza. Quando si sono formati gli Stati-Nazione, essi hanno avocato a se'
il monopolio della violenza ed hanno fondato la licenza pubblica di
uccidere, lo jus ad bellum, cioe' il potere legittimato di fare guerra. Il
tentativo della Carta dell'Onu e delle Costituzioni italiana e tedesca, dopo
le inaudite sofferenze della seconda guerra mondiale e i milioni di morti,
fu quello di interdire il diritto di guerra degli Stati e di avocare all'Onu
l'uso regolato della forza. Questa Carta dice che non solo e' vietato fare
la guerra, ma che e' obbligatorio perseguire la pace con mezzi pacifici,
cioe' nega il vecchio adagio imperiale romano che recitava: "si vis pacem
para bellum".
Oggi la Carta dell'Onu e' carta straccia: l'equilibrio del mondo dopo l'89
ha inaugurato un decennio di guerre a ritmo forsennato, condotte dagli Usa,
con o senza la Nato, contro il resto del mondo, in base ai propri interessi
strategici imperiali.
Dunque, il tentativo di interdire la guerra e' fallito. Contemporaneamente,
si sono intensificati l'uso della lotta armata oppure del terrorismo da
parte di differenti movimenti in diverse parti del mondo.
Ma oggi si verifica un fatto nuovo, un salto di civilta': l'unificazione di
un immenso movimento mondiale che vuole cambiare il mondo e la sua
ingiustizia globale, ma vuole farlo in modo nonviolento, anzi ripudiando la
violenza, quella stessa violenza della quale e' rimasto vittima a Genova, ed
alla cui trappola e' oggi riuscito mirabilmente a sfuggire.
E' come se il popolo che ho visto sfilare a Firenze esprimesse una crisi di
rigetto della violenza e della guerra, una forma di disgusto e rifiuto che
e' l'anticamera del tabu'.
Basta con i morti, basta col sangue, basta con i lutti, basta col terrore,
basta con le guerre che sono il terrore di Stato: vogliamo vivere.
Il bellissimo messaggio delle donne, espresso dal personaggio di Cassandra:
"Tra uccidere e morire c'e' una terza via: vivere", e' oggi diventato un
contagio sociale.
Era un ruscello tre anni fa quando poche associazioni femministe si
riunivano per chiedere "Fuori la guerra dalla storia": oggi e' diventato un
oceano.
Proprio questo ripudio della violenza, questa partecipazione di massa ad un
metodo di protesta pacifico e creativo, ha costituito l'elemento di coesione
sociale piu' forte, il cemento che ha legato insieme i vecchi e i bambini, i
cinquantenni e i ventenni, le femministe e i sindacati, i cattolici, i
comunisti, i verdi, gli anarchici e i semplici democratici, i professori e i
disoccupati, le donne di ogni generazione ed estrazione sociale con una
elevatissima partecipazione, ed ancora i pacifisti e le pacifiste storiche
con i disobbedienti, i preti ed i sindaci, i ragazzi e le ragazze d'Europa,
i sacchi a pelo ed i colletti bianchi, le mamme gioiose insieme ai loro
figli noglobal, i papa' in bicicletta o con la carrozzina, i centri sociali
insieme ai boy scouts.
Cosi' si e' realizzato il sogno di Pasolini: una vera unita' del popolo.
Quella che qualcuno chiama le moltitudini e che non e' una astrazione
sociologica, e neanche una pura somma di centinaia di associazioni.
E' un effetto moltiplicatore che genera un soggetto: l'unita' del popolo in
Italia, e, come sembra, in tutta Europa. Questa e' oggi una forza epocale,
la piu' grande che si sia mai avuta sulla scena della politica. Non piu'
solo la classe lavoratrice classica (perche' i disoccupati, i pensionati, le
donne lavoratrici in famiglia, gli studenti, i bambini e le nonne dove li
mettiamo?) ma un popolo: quello delle chiese, delle scuole, dei quartieri,
dei bar, dei mercati, dei paesi, non solo delle citta'.
Un popolo che chiede la pace, che vuole l'Europa fuori dalla guerra.
E qui l'altra straordinaria novita': il salto politico che si e' prodotto
oggi, che si leggeva sugli striscioni, sui volti, negli slogans, negli
interventi alle assemblee, negli applausi e nei fischi.
Quella nuova coscienza pubblica dilagante che unisce al "no alla guerra" di
tipo etico, il "no alla guerra" di tipo politico.
E' infatti profondamente diffusa la coscienza del perche' della guerra in
Iraq, del suo significato politico epocale come messa in pratica della
"guerra preventiva", non solo cioe' una guerra per il petrolio, piu' sporca
delle altre perche' intollerabilmente diretta contro una popolazione gia'
sterminata dalla precedente guerra del Golfo e dall'embargo, ma una tappa
della guerra globale, cioe' di un nuovo sistema di dominio della piu' grande
potenza che vuole imporre al mondo il sopruso globale col bombardamento
globale.
E l'allarme e' grandissimo: tutte e tutti ad occhi aperti guardiamo la
deriva verso cui la guerra preventiva di Bush ci trascina: il baratro della
guerra mondiale, con il libero uso dell'atomica e la totale mancanza di
freno alle armi di distruzione di massa ed al dilagare dell'escalation della
violenza planetaria.
Per questo l'opposizione alla guerra e' contemporaneamente etica e politica:
perche' ripudiamo la guerra in quanto tale, e perche' vogliamo fermare
questa strategia politica di guerra come strumento di dominio del mondo e di
ricatto e oppressione infinita. La saldatura tra pacifismo etico e pacifismo
politico e' l'inizio della fine per i signori della guerra.
E' qualcosa che taluni pubblicisti non potranno mai capire: sfugge loro
l'elemento essenziale: la capacita' di immaginare il futuro, un mondo
diverso dall'attuale in cui l'umanita', a partire dal tabu' della guerra,
sapra' salvare il pianeta e tutti i nati di donna insieme alle creature
viventi. E non sapendo immaginare un mondo diverso in cui la pace e'
possibile, irridono la capacita' utopica di questo movimento, dichiarano che
la guerra e' la struttura del mondo, che e' inevitabile, che molto spesso la
guerra e' necessaria e giusta.
Perche' non sanno capire che il futuro non potra' cominciare se lo
condanniamo ad essere pura ripetizione di un passato che e' costato troppe
vite. I morti lasciamoli riposare in pace, cominciamo ad immaginare che ci
lascino un messaggio di pace e non di vendetta, un messaggio che dice: da
qui in poi mai piu' guerre.
Da qui comincia un'altra Europa possibile.
5. RIFLESSIONE. ANNA FAZI: NON C'E' BISOGNO DI UN NEMICO PER ESISTERE
[Ringraziamo Mercedes Mas (per contatti: merchemas@tiscalinet.it) per averci
trasmesso questa riflessione di Anna Fazi (di cui riportiamo ampi stralci, e
che apparira' integralmente sulla rivista "Appunti") sul "movimento dei
movimenti" e la scelta della nonviolenza. Anna Fazi (per contatti:
nafazi@tin.it) e' insegnante di lettere e fa parte dell'associazione "Pace e
dintorni" e del nodo Lilliput di Milano]
A Firenze il movimento ha dimostrato di avere scelto la nonviolenza.
Tre giorni di conferenze, seminari, workshop su differenti argomenti
raccolti in tre grandi aree tematiche: globalizzazione e liberismo; guerra e
pace; diritti, cittadinanza e democrazia. Centinaia i relatori; piu' di
60.000 le presenze registrate, estremamente varie sia per provenienza che
per appartenenza. Una manifestazione di 700.000 persone, allegra e colorata,
nonostante la criminalizzazione a cui il movimento era stato sottoposto da
mesi sulla stampa e la tv nazionale e locale.
I mass media hanno reagito inizialmente con un silenzio piuttosto
imbarazzato, viste le catastrofiche previsioni che avevano alimentato, con
poche eccezioni. Una tendenza costante e' comunque quella di non dare
spazio ai contenuti, genericamente screditati come utopistici ed ingenui,
come "chiacchiere", per usare le parole di un noto commentatore televisivo.
L'unico tema a cui si e' data una certo eco, anche perche' era il motivo
della manifestazione, e' stato quello dell'opposizione alla guerra.
*
Le speciose accuse dei fautori della guerra
Prima di arrivare a definire cosa significa la scelta della nonviolenza, in
particolare per la "Rete di Lilliput" a cui appartengo, ma anche piu' in
generale per il "movimento dei movimenti", vorrei partire da una serie di
argomentazioni frequentemente ricorrenti, che tendono a squalificare tale
posizione.
Mai visti tanti attacchi come in questo periodo, sia sui giornali che in
televisione, alla posizione dei cosiddetti pacifisti. Nel momento in cui
siamo di fronte al rischio di vivere una guerra preventiva, in una forma
ancora inedita nella storia, molti dei fautori della guerra piu' che
sostenere l'opportunita' di tale evento, hanno scelto come strategia
retorica quella di dimostrare l'inefficacia delle alternative.
Provo ad elencare alcune delle argomentazioni che ho fin qui raccolto.
Un autore sul quotidiano "la Repubblica" un po' di tempo fa ha accusato il
movimento nonviolento di incapacita' di compiere adeguate analisi del
presente, a partire da una scarsa conoscenza della storia; l'analisi del
passato, a suo avviso, ci insegna che in alcuni casi la nonviolenza nasconde
vigliaccheria e incapacita' di reagire di fronte a palesi ingiustizie e solo
un intervento energico, anche violento, consente la fine delle stesse. A
questa si ricollega l'accusa di sottovalutare l'effettivo pericolo attuale
del terrorismo internazionale; pericolo invece assai percepito dalla gente,
che sempre piu' cerca risposte all'inquietudine crescente; la nonviolenza
viene presentata come una proposta mielosa e irresponsabile, che si fa forte
di argomentazioni moralistiche e soprattutto del fatto che l'Italia non e'
ancora stata colpita direttamente dagli attentati; risulta quindi irritante
la pretesa dei pacifisti di dar lezioni agli altri che vivono in situazioni
ben piu' drammatiche, chiedendo loro di sopportare il rischio e la tragedia,
senza autorizzarli a reagire. L'idealismo astratto, la superficialita' e la
non preparazione di molti viene poi, secondo pareri diffusi, sapientemente
manipolata da alcuni, che hanno invece una maggiore esperienza politica e
con questa incanalano con opportunismo il movimento su una posizione
anti-americana, cieca ed unilaterale; di questa realta' e' una prova la
mancata reazione di fronte a tutte le altre situazioni di violenza presenti
nel mondo e l'incosciente disponibilita' a comprendere i problemi di paesi
che avallano il potere di dittature teocratiche, che violano i diritti umani
con una sadica pratica quotidiana, che sembra non indignare i presunti
pacifisti e che e' ben piu' pericolosa delle supposte violenze americane.
Per concludere, un politologo ha addirittura affermato che l'inconsistenza
della posizione pacifista sarebbe dimostrata da un altro dato, sempre
confermato dalla storia, che la pace non e' per gli uomini il primo valore.
A suo avviso l'uomo non esita a ricorrere alla guerra, quando vengono
toccati i suoi interessi. Evidentemente la coscienza nata dall'esperienza
delle due guerre mondiali, che ha alimentato la stesura della nostra
Costituzione, si sta sbiadendo.
In sintesi secondo la rappresentazione che ne danno questi autori la
posizione nonviolenta viene liquidata come ingenua, forse comprensibile come
scelta etica, ma non praticabile come opzione politica da chiunque abbia
accettato di crescere, di studiare e di comprendere il passato ed il
presente, e di assumersi responsabilita' verso il mondo.
*
Venendo a noi
Comincerei ora ad analizzare le motivazioni del movimento.
Innanzitutto e' estremamente riduttivo intendere la scelta nonviolenta come
semplice opposizione alla guerra. Il fatto che per tre giorni gli incontri
si siano svolti su temi di tipo economico, finanziario, politico,
ambientale, ha molti significati.
Galtung gia' dagli anni '50 ha proposto un'interessante analisi della
violenza, individuandone tre categorie: una violenza diretta, che e' quella
esplicitamente militare della guerra; una violenza strutturale, che e'
quella apparentemente non visibile, agita dal sistema economico-finanziario;
una violenza culturale, spesso subdola, esercitata dai mezzi di
informazione.
Sono ormai concetti chiari per molti. Se e' violento un bombardamento, lo
e' anche un sistema che si alimenta di ingiustizie; il paradossale
squilibrio della distribuzione delle risorse (il 20% della popolazione
mondiale che consuma l'80% delle risorse) e' gia' di per se' un dato
sufficiente per comprendere tale questione.
Una scelta realmente nonviolenta deve quindi costruire alternative concrete
per un cambiamento profondo della societa' e del sistema.
Penso che si possa parlare di novita' storica di fronte ad un processo che
sta elaborando "dal basso" un pensiero collettivo, a partire dalla
condivisione delle esperienze che tanti come individui, come associazioni,
come intellettuali, come economisti, come amministratori, ora anche come
sindacati, stanno vivendo in questi anni di crisi della politica, a partire
dall'analisi delle contraddizioni che hanno una ripercussione sempre piu'
evidente nella vita quotidiana di ciascuno.
Della Tobin tax, proposta avanzata da Attac, si discute ormai a livello
europeo.
La nascita della Banca etica ha consentito di richiamare l'attenzione
sull'uso improprio che spesso le banche fanno dei soldi che noi vi
depositiamo.
Il microcredito sta aprendo circuiti alternativi di finanziamento, in
Argentina, per esempio, ha creato ormai una rete di milioni di persone a cui
sta consentendo di sopravvivere al crollo finanziario provocato dalle scelte
economiche imposte dal Fondo monetario internazionale.
La proposta di sostituire il Pil con indicatori capaci di registrare anche
altri aspetti della vita quotidiana e' un modo per riaffermare la
centralita' dell'essere umano rispetto al mercato.
Il consumo critico ci ha consentito di scoprire che di fronte ad un mercato
che ci considera solo in quanto consumatori, noi abbiamo il potere di
incidere, imparando a scegliere non solo sulla base della qualita' e della
convenienza, ma pretendendo tra i criteri il rispetto dei diritti dei
lavoratori a livello nazionale e globale.
Il commercio equo rappresenta in questo senso un percorso sperimentale, che
sta allargando sempre piu' i suoi circuiti e le sue possibilita'.
Il criterio della sostenibilita' ambientale non puo' piu' essere l'opzione
adottata da individui sensibilizzati, ma deve diventare il parametro
obbligatorio per l'apertura di qualsiasi iniziativa produttiva.
Il tentativo di ridurre la nostra "impronta ecologica" e' una proposta per
modificare il proprio stile di vita, rendendolo piu' sobrio, premessa
necessaria per una piu' giusta ripartizione delle risorse.
L'attenzione alle proposte della democrazia partecipativa stanno
interrogando numerose amministrazioni locali, che avviano sperimentazioni
del bilancio partecipativo di Porto Alegre.
La ricerca di nuovi modelli di rappresentanza politica sta facendo emergere
le contraddizioni di un sistema democratico che, con il voto del 30% della
popolazione di uno stato, puo' autorizzare un governo a scatenare una guerra
che mette a rischio gli equilibri di un'intera area geografica.
Se e' vero che la nonviolenza de "il potere di chi non ha potere" e puo'
contare sulla forza del numero, il "movimento dei movimenti" ne costituisce
in qualche modo una prova: e' formato da una societa' civile che si sta
presentando come soggetto politico attivo; che sta scoprendo di poter
incidere su un sistema, anche cosi' complesso come quello globalizzato; che
sta proponendo all'Europa di non appiattirsi sul modello americano, a
partire dal suo patrimonio di esperienza civile ed etica.
*
Un salto culturale da compiere
C'e' un salto culturale da compiere: di fronte ad una globalizzazione ormai
in atto, e' importante imparare a concepirsi come "cittadini planetari"; e'
urgente comprendere che il funzionamento trasparente, corretto e democratico
degli organismi internazionali e' diventato una necessita' improrogabile.
Per la creazione di equilibri piu' giusti sono indispensabili le riforme
dell'Onu, della Banca mondiale, del Fondo monetario internazionale, del Wto,
organismi nati dalle migliori intenzioni, ma che attualmente stanno
difendendo gli interessi protezionistici degli stati piu' sviluppati,
rendendo sempre piu' grave il divario tra i paesi del nord e quelli del sud
del mondo.
Perche', in ambito nazionale, di fronte ad un omicidio, anche il piu'
efferato, per noi e' normale pensare che sia un tribunale a dover compiere
giustizia e non il diretto interessato con azioni vendicative, mentre se
allarghiamo l'orizzonte ad un ambito internazionale, anche il benpensante
piu' tranquillo trova legittimo il bombardamento di un paese non
necessariamente coinvolto, invece di ritenere che dovrebbe essere un
tribunale internazionale a farsi carico della tragedia in corso?
Cosa c'entra il bombardamento dell'Iraq con gli attentati terroristici di
New York, di Bali, di Mosca, nei territori palestinesi e in Israele...?
Non sarebbe piu' opportuna un'analisi diversificata delle situazioni, che
consentisse l'adozione di scelte piu' mirate al miglioramento delle
condizioni di vita di ciascun paese, in modo da prevenire il desiderio della
morte come aberrante alternativa strategica?
Un maggiore e serio investimento sulle energie alternative al petrolio,
peraltro in via di esaurimento, spezzerebbe spirali che gia' troppe volte si
sono dimostrate drammatiche; una reale volonta' politica di ridurre la spesa
militare e il mercato delle armi, renderebbe disponibili capitali che
sarebbero sufficienti per risolvere il problema della fame e della
diffusione dell'Hiv nel mondo.
Le varie anime del movimento sono arrivate per percorsi diversi alla scelta
della nonviolenza.
La Rete di Lilliput ne ha fatto il cardine del proprio manifesto, sia a
livello di contenuto che di metodo: la volonta' di non avere leader, di
prendere le decisioni con il "metodo del consenso", di definire ruoli di
responsabilita', ma sempre a rotazione e improntati ad una funzione di
servizio, sono scelte metodologiche e organizzative che si ispirano al
principio gandhiano della necessita' della coerenza dei mezzi con i fini;
non si puo' pensare di costruire un modello alternativo, senza cercare
percorsi che anche nel metodo riproducano una diversa concezione del potere
e della partecipazione. Altre parti del movimento sono arrivate alla scelta
nonviolenta per una motivazione tattica, di opportunita' politica: dopo
Genova e' diventato chiaro a tutti che solo in questo modo si sarebbe potuta
salvare la credibilita' dei contenuti su cui si sta lavorando.
Firenze ha dato la prova del percorso compiuto.
6. LUOGHI E PRATICHE. LAURA COLOMBO E SARA GANDINI: PRESENTAZIONE DELLA
LIBRERIA DELLE DONNE DI MILANO
[Siamo assai grati a Sara Gandini per averci messo a disposizione questa
scheda di presentazione della Libreria delle donne di Milano]
La Libreria delle donne e' una realtq' politica composita e in movimento:
pubblica una rivista trimestrale ("Via Dogana"), organizza riunioni,
discussioni politiche, presentazioni di libri, proiezione di film, gestisce
un sito web (www.libreriadelledonne.it), e' centro di incontro per
moltissime donne e anche uomini. Naturalmente vende libri, anche per posta.
E' una viva realta' che esiste dal 1975, e conta fra le sue stabili
partecipanti piu' di quaranta donne.
Negli anni in cui la libreria e' nata c'era bisogno di avere un luogo che
desse risalto al pensiero e alla scrittura delle donne. Cosi' ha avuto
origine un'impresa femminista che non diceva "tra donna e uomo non c'e'
differenza" e non rivendicava la parita', ma, al contrario, diceva che la
differenza c'e' e noi la teniamo in gran conto, la coltiviamo con la pratica
delle relazioni fra donne e con l'attenzione alla poesia, alla letteratura,
alla filosofia... delle donne. Per questo, anche quando la produzione
femminile ha cominciato a circolare di piu', la Libreria ha continuato a
vivere.
Attualmente in Libreria si possono trovare piu' di 3.000 autrici e una
quantita' complessiva di opere che supera i 10.000 titoli. Inoltre vi e' un
fondo di testi esauriti e introvabili (se la legge ce lo permettesse,
faremmo molte fotocopie di questi rarissimi libri...).
La Libreria e' dunque un progetto, che ora abbraccia anche nuove pratiche e
nuove modalita' di espressione. Infatti da poco piu' di un anno, in aggiunta
alle tre grandi vetrine su via Pietro Calvi a Milano, dove vengono
ciclicamente esposte opere d'arte insieme ai libri, la Libreria ha un altro
affaccio sul mondo: il sito internet www.libreriadelledonne.it
Anche il sito e' un luogo prezioso, virtuale e virtuoso: e' infatti una
miniera di idee facilmente attingibile, e questa ricchezza e' accompagnata
da un costante lavoro di redazione.
E' suddiviso in diverse sezioni. Nel Cosa c'e' di nuovo si puo' trovare una
rassegna stampa con articoli, oppure stralci da quotidiani e riviste, e
anche contributi inediti, introdotti e commentati dal gruppo di redazione.
Vi sono le segnalazioni dei libri arrivati di recente in libreria, e le
comunicazioni di eventi per noi interessanti dal punto di vista culturale e
politico.
Un'altra sezione offre il Catalogo dei libri in vendita presso la libreria e
l'indice tematico della rivista "Via Dogana" (con la possibilita' di usare
un motore di ricerca ad hoc), ottimi strumenti per approfondite ricerche
bibliografiche.
Ci sono anche i nostri Libri preziosi, introdotti da brevi commenti: testi
che l'esperienza di lettura e riflessione ha posto al centro del cammino di
molte donne. E poi c'e' Mappamonda: e' uno spazio senza confini ma con una
chiave data dalla relazione. E' un invito a raccontarsi, con alcuni racconti
gia' in rete.
Vogliamo citare anche la Posta in gioco: e' un mercato, una piazza in cui si
portano cose ed esperienze, dove si chiacchiera, ci si racconta, ci si
arrabbia, e si pensa anche un po'...
Ci fermiamo perche' una narrazione sara' sempre insufficiente: e' necessario
invece potervi navigare, e scoprire i tesori che vi sono riposti...
La Libreria delle donne di Milano e' stata fondata nel 1975 e ne e'
presidente Renata Dionigi; si trova in via Pietro Calvi 29, 20100 Milano,
tel. 0270006265, fax: 0271093653, e-mail: info@libreriadelledonne.it, sito:
www.libreriadelledonne.it
7. LIBRI. IN USCITA "IL DIRITTO NON CADE IN PRESCRIZIONE" DI DANIELA BINELLO
[Riportiamo la presentazione del libro Il diritto non cade in prescrizione,
a cura di Daniela Binello (nostra amica e collaboratrice; per contatti:
blusole.db@flashnet.it), edito dalla Ediesse di Roma, in uscita alla fine di
questo mese e che verra' presentato a Venezia in occasione dell'importante
appuntamento costituito dal II Salone dell'editoria di pace]
Sono trascorsi piu' di vent'anni dall'epoca della "guerra sucia" perpetrata
in Argentina dal 1976 al 1983. La dittatura militare, in nome della
"Dottrina della sicurezza nazionale", valuto' nei minimi particolari le
forme di violenza e annientamento, anche psicologico, di un'intera
generazione di giovani, studenti, operatori sociali, sindacalisti,
giornalisti, religiosi, insegnanti, che si ricordano come i Desaparecidos,
un termine emblematico che indica trentamila esseri umani scomparsi nel
nulla solo in Argentina. Senza contare quelli del Cile e di altri Paesi che
utilizzarono sistemi repressivi del tutto simili in un silenzio coperto da
interessi e complicita' multinazionali.
Appellandosi all'articolo 8 del Codice Penale, dopo anni di denunce,
indagini e inchieste della magistratura, dei parenti delle vittime e di
parte della stampa, finalmente nel 1998, con il parere positivo del
Ministero di Grazia e Giustizia, lo Stato italiano si e' costituito parte
civile e il 21 ottobre del 1999 si e' potuto avviare a Roma il processo in
contumacia contro sette militari argentini accusati della morte di otto
persone di origine italiana. Fra le vittime vi erano anche dei sindacalisti.
In accordo con la Cisl internazionale (Icftu) Cgil, Cisl e Uil si sono
presentate fra le parti civili del processo a sostegno dei parenti delle
vittime. La sentenza del 6 dicembre del 2000 ha condannato i generali Carlos
Suarez Mason e Santiago Omar Riveros all'ergastolo e a 24 anni gli altri
cinque militari.
Il volume attiva un confronto con Adolfo Perez Esquivel, il pm Francesco
Caporale, il penalista Giancarlo Maniga, i rappresentanti di Amnesty
International Italia - attraversando i ricordi drammatici di tanti testimoni
(fra cui Italo Moretti, le Madri e le Nonne di Plaza de Mayo, Marco Bechis,
Emilio Gabaglio e alcuni sindacalisti argentini) - per aprire con Sergio
Cofferati, Enrico Calamai, Antonio Papisca, Horacio Verbitsky, Julio
Velasco, Gianni Tognoni e altri esperti un ragionamento sulla
globalizzazione dei diritti umani e sull'importanza di realizzare
concretamente al piu' presto organismi transnazionali di giustizia
internazionale.
La curatrice del volume, Daniela Binello, 44 anni, e' una giornalista free
lance. Collabora con agenzie della stampa estera e testate (fra cui:
Rassegna sindacale; Qualita' Equita'; Affari sociali internazionali; Vita;
LiberEta', Radio Popolare) nel campo dei diritti umani e dei conflitti
internazionali. Come inviata ha realizzato reportage sociali da Corea del
Nord, Afghanistan, Sudan, Nicaragua, Colombia, Brasile, Palestina, Israele,
Balcani, Iraq e altri Paesi. Nel 1999/2000 ha allestito la mostra sulla
"Infanzia tradita" ospitata a Milano da Pubblicita' Progresso. Per la Cgil
del Veneto ha curato nel 2001-2002 la mostra itinerante "A.A.A. Cittadini ce
rcansi" sui lavoratori immigrati nel Nordest, di cui e' pubblicato un
libro-reportage.
8. RILETTURE: MARIE-MAGDELEINE DAVY: SIMONE WEIL
Marie-Magdeleine Davy, Simone Weil, Borla, Torino 1964, pp. 182. Questo
studio e' altresi' un appassionato incontro di due anime. Con una
presentazione di Gabriel Marcel.
9. RILETTURE. JULIA KRISTEVA: SOLE NERO
Julia Kristeva, Sole nero, Feltrinelli, Milano 1988, 1989, pp. 216, lire
30.000. Un appassionante libro della grande studiosa sulla malinconia e la
depressione.
10. L'ABBECEDARIO INGENUO DI TRICOTILLO SMANICONI: VINCOLO
E' obbligo e legame: senza obbligazione reciproca non c'e' legame autentico,
ergo non c'e' societa'. Ma dove non c'e' legame, ergo societas, "esser
soci", reciprocita', non puo' esservi neppure obbligo.
Cosicche' la norma occorre, per la convivenza civile; ma deve essere norma
che promuove l'esistenza, i diritti e il riconoscimento di tutti: se esclude
qualcuno, non e' piu' tale.
E dunque le leggi razziste, come quella attualmente in vigore in Italia che
proditoriamente nega dignita' e diritti umani alle sorelle e ai fratelli
immigrati, a rigor di termini non e' neppure legge, ma mera statuizione
della violenza e ideologia della violenza, violenza essa stessa: e denuncia
cosi' i suoi ideatori, promotori e sostenitori per fautori dell'anomia,
ovvero della barbarie.
Ed assai bene ha fatto il Tribunale di Viterbo a rinviare quella legge alla
Corte Costituzionale affinche' sia abrogata in quanto infrange il nostro
ordinamento giuridico e viola i diritti umani che la nostra Costituzione
afferma e difende.
11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.
12. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it
Numero 415 del 14 novembre 2002