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Dopo Firenze, da Nella Ginatempo
IL NUOVO MOVIMENTO DEI MOVIMENTI PER LA PACE.
E' nato qualcosa di nuovo. E' difficile riconoscerlo per chi ne sta al di
fuori. Ma è facile riconoscerlo per chi lo sognava da più di vent'anni. I
sociologi italiani miei colleghi stanno in gran parte affacciati alle
finestre della loro torre d'avorio e ancora non capiscono di che si tratta,
tranne le dovute splendide eccezioni nel mondo.
Ma io sento che si realizza un sogno: lo sviluppo tumultuoso di un soggetto
rivoluzionario mondiale. Per quanti anni avevamo dibattuto sull'assenza
del soggetto sociale in grado di trasformare la società ? Non ci
aspettavamo che venisse da questo strano orizzonte, questo magma composito
di tutti
gli esclusi e gli sfruttati del mondo, che venisse dalle periferie del
mondo e non solo dalle capitali dell'Occidente, anzi che proprio dalle
periferie portasse linfa e nuovi messaggi.
Avevamo cominciato con l'affermazione :"un altro mondo è possibile", contro
il liberismo che regge l'ingiustizia globale. Ma quando l'11 settembre ha
reso chiaro quale sarebbe stata la risposta dell'Impero alle contraddizioni
ingovernabili della globalizzazione - la guerra- allora è cominciato un
processo nuovo: si sviluppava in embrione un salto di civiltà. E questo è
inevitabile nella nascita degli autentici soggetti rivoluzionari: partire da
una visione nuova che produce con effetto moltiplicatore un nuovo
immaginario, nuove pratiche e nuovi linguaggi. La trasformazione antropologica
precede e sostiene il percorso politico.
Ed oggi a Firenze, dopo queste straordinarie giornate di dibattito in cui
quarantamila persone hanno frequentato le conferenze plenarie e gli
incredibili, appassionati seminari, e dopo la più grande manifestazione per
la pace mai vista in Europa, ho capito una cosa nuova di questo movimento:
si è prodotto un salto antropologico ed uno politico. Il salto
antropologico è la coscienza diffusa della necessità di fondare non solo il
tabù della
guerra, ma il tabù della violenza. La fuoruscita dalla civiltà
dell'uccidere significa una rotazione del mondo a 180 gradi.
Non è esistita civiltà finora che non abbia praticato e giustificato la
violenza. Quando si sono formati gli Stati-Nazione , essi hanno avocato a sé
il monopolio della violenza ed hanno fondato la licenza pubblica di
uccidere, lo jus ad bellum, cioè il potere legittimato di fare guerra. Il
tentativo della Carta dell'ONU e delle Costituzioni italiana e tedesca,
dopo le inaudite sofferenze della seconda guerra mondiale e i milioni di
morti, fu quello di interdire il diritto di guerra degli Stati e di avocare
all'ONU l'uso regolato della forza. Questa Carta dice che non solo è
vietato fare la guerra, ma che è obbligatorio perseguire la pace con mezzi
pacifici, cioè nega il vecchio adagio imperiale romano che recitava: si vis
pacem para bellum. Oggi la Carta dell'ONU è carta straccia: l'equilibrio
del mondo dopo l'89 ha inaugurato un decennio di guerre a ritmo forsennato,
condotte dagli USA, con o senza la NATO, contro il resto del mondo, in base
ai propri interessi strategici imperiali.
Dunque, il tentativo di interdire la guerra è fallito. Contemporaneamente,
si sono intensificati l'uso della lotta armata oppure del terrorismo da
parte di differenti movimenti in diverse parti del mondo.
Ma oggi si verifica un fatto nuovo, un salto di civiltà: l'unificazione di
un immenso movimento mondiale che vuole cambiare il mondo e la sua
ingiustizia globale, ma
vuole farlo in modo nonviolento, anzi ripudiando la violenza, quella stessa
violenza della quale è rimasto vittima a Genova, ed alla cui trappola è
riuscito mirabilmente a sfuggire. E' come se il popolo che ho visto sfilare
a Firenze esprimesse una crisi di rigetto della violenza e della guerra,
una forma di disgusto e rifiuto che è l'anticamera del tabù. Basta con i
morti, basta col sangue, basta con i lutti, basta col terrore, basta con le
guerre che sono il terrore di Stato: vogliamo vivere.
Il bellissimo messaggio delle donne, espresso dal personaggio di Cassandra
"Tra uccidere e morire c'è una terza via: vivere" è oggi diventato un
contagio sociale. Era un ruscello tre anni fa quando poche associazioni
femministe si riunivano per chiedere "FUORI LA GUERRA DALLA STORIA": oggi è
diventato un oceano.
Proprio questo ripudio della violenza, questa partecipazione di massa ad un
metodo di protesta pacifico e creativo, ha costituito l'elemento di
coesione sociale più forte, il cemento che ha legato insieme i vecchi e i
bambini, i cinquantenni e i ventenni, le femministe e i sindacati, i
cattolici, i comunisti, i verdi gli anarchici e i semplici democratici, i
professori e i disoccupati, le donne di ogni generazione ed estrazione
sociale con una elevatissima partecipazione, ed ancora i pacifisti e le
pacifiste storiche con i disobbedienti, i preti ed i sindaci, i ragazzi e le
ragazze d'Europa, i sacchi a pelo ed i colletti bianchi, le mamme gioiose
insieme ai loro figli noglobal, i papà in bicicletta o con la carrozzina, i
centri sociali insieme ai boy scouts.
Così si è realizzato il sogno di Pasolini: una vera unità del popolo.
Quella che qualcuno chiama le moltitudini e che non è una astrazione
sociologica, e neanche una pura somma di centinaia di associazioni. E' un
effetto moltiplicatore che genera un soggetto: l'unità del popolo in Italia,
e, come sembra, in tutta Europa. Questa è oggi una forza epocale, la più
grande che si sia mai avuta sulla scena della politica. Non più solo la
classe lavoratrice classica (perché i disoccupati, i pensionati, le donne
lavoratrici in famiglia gli studenti i bambini e le nonne dove li mettiamo?)
ma un popolo: quello delle chiese, delle scuole, dei quartieri, dei bar,
dei mercati, dei paesi, non solo delle città. Un popolo che chiede la pace,
che vuole l'Europa fuori dalla guerra.
E qui l'altra straordinaria novità: il salto politico che si è prodotto
oggi, che si leggeva sugli striscioni, sui volti, negli slogans, negli
interventi alle assemblee, negli applausi e nei fischi. Quella nuova
coscienza pubblica dilagante che unisce al NO ALLA GUERRA di tipo etico, il NO
ALLA GUERRA di tipo politico. E' infatti profondamente diffusa la coscienza
del perché della guerra in Iraq, del suo significato politico epocale come
messa in pratica della GUERRA PREVENTIVA, non solo cioè una guerra per il
petrolio, più sporca delle altre perché intollerabilmente diretta contro una
popolazione già sterminata dalla precedente Guerra del Golfo e
dall'embargo, ma una tappa della guerra globale, cioè di un nuovo sistema
di dominio
della più grande potenza che vuole imporre al mondo il sopruso globale col
bombardamento globale.
E l'allarme è grandissimo: tutte e tutti ad occhi aperti guardiamo la
deriva verso cui la guerra preventiva di Bush ci trascina: il baratro della
Guerra Mondiale, con il libero uso dell'atomica e la totale mancanza di
freno alle armi di distruzione di massa ed al dilagare dell'escalation della
violenza planetaria.
Per questo l'opposizione alla guerra è contemporaneamente etica e politica:
perché ripudiamo la Guerra in quanto tale, e perché vogliamo fermare
questa strategia politica di guerra come strumento di dominio del mondo e
di ricatto e oppressione infinita. La saldatura tra pacifismo etico e
pacifismo politico è l'inizio della fine per i Signori della guerra.
E' qualcosa che i Ferrara e gli Scalfari e le Mafai non potranno mai
capire: gli sfugge l'elemento essenziale: la capacità di immaginare il futuro,
un mondo diverso dall'attuale in cui l'umanità, a partire dal tabù della
guerra, saprà salvare il pianeta e tutti i nati di donna insieme alle
creature viventi. E non sapendo immaginare un mondo diverso in cui la pace
è possibile, irridono la capacità utopica di questo movimento, dichiarano
che la guerra è la struttura del mondo, che è inevitabile come quella
gloriosa della Resistenza in Italia, che molto spesso la guerra è necessaria e
giusta.
Perché non sanno capire che il futuro non potrà cominciare se lo
condanniamo ad essere pura ripetizione di un passato che è costato troppe
vite. I
morti lasciamoli riposare in pace, cominciamo ad immaginare che ci lascino
un messaggio di pace e non di vendetta, un messaggio che dice: da qui in
poi MAI PIU' GUERRE .
Da qui comincia un'Altra Europa Possibile.
NELLA GINATEMPO, sociologa Università di Messina, Convenzione permanente di
donne contro le guerre.