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lecce - Documento Gruppo Migranti lsf



( Il 13 novembre 2002, tredici paesi dell'area del Mediterraneo
si incontrano a Lecce per mettere a punto
"IL PIANO DI ALLERTA E REAZIONE RAPIDA CONTRO L'IMMIGRAZIONE ILLEGALE". )

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Summit I.A.I. - Lecce 13 novembre 2002
Documento Gruppo Migranti Lecce Social Forum
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Il fenomeno migratorio in Italia, come in tutti i Paesi a sviluppo
avanzato è, ormai, un fenomeno strutturale destinato a rimanere tale
fino a quando rimarrà invariata l'attuale distribuzione delle risorse
che vede il 23% della popolazione mondiale consumare l'80% delle
risorse disponibili, mentre il restante 77% deve accontentarsi del 20%.
Tale modello mette nel conto che ogni settimana muoia, nel cosiddetto
Terzo mondo, tanta gente quanta ne morì con le bombe atomiche sganciate
a Hiroshima e Nagasaki.

Secondo attendibili stime fatte dal Segretariato delle Nazioni Unite,
il moderno fenomeno migratorio interessa un miliardo circa di persone,
e sono oltre 18 milioni coloro che quotidianamente partecipano a questo
evento. A queste stime bisogna poi aggiungere le consistenti quote di
popolazioni ancora nomadi o seminomadi, per le quali migrare rientra
nel consueto modo di esistere. Migrare, perciò, oggi come ieri, non è
un fatto eccezionale - come il senso comune ci spinge a credere - ma
una condizione normale dell'esistenza degli esseri umani. E' tale
condizione che nel corso dei secoli ha sedimentato civiltà, popoli e
culture, creando, nel contempo, grandi sconvolgimenti irreversibili,
tanto nelle zone di partenza che in quelle d'arrivo: ogni cultura, ogni
popolo sono frutto delle grandi migrazioni.

In Italia, il fenomeno migratorio ha acceso, negli ultimi anni, animati
dibattiti che quasi sempre, però, hanno focalizzato l'attenzione sulla
dimensione quantitativa del fenomeno, sulla sua presunta eccezionalità
e sulla ossessione mediatica della clandestinità. Gli esiti di questo
approccio - che di fatto ha condizionato il "comune pensare" e
indirizzato il "comune agire" -  sono stati la costruzione
della "sindrome da invasione e da accerchiamento", la canalizzazione di
tutte le risorse economiche per la gestione delle diverse "emergenze"
(clandestinità, criminalità, prostituzione, ecc.) e la
criminalizzazione dell'immigrato, "tollerato" solo se funzionale ai
bisogni dell'economia nazionale.

A questo immaginario si contrappone il fenomeno reale che demolisce
tutte le pseudo argomentazioni allarmistiche e pancriminologiche.
I recenti dati del Ministero dell'Interno, resi noti dal rapporto
Caritas 2002,  svelano  un ridimensionamento numerico degli immigrati.
I soggiornanti stranieri, che erano risultati 1.388.153 alla fine del
2000, sono scesi a 1.362.630 al 31 dicembre 2001.  Tenendo conto della
presenza dei minori e dei ricongiungimenti familiari si può ipotizzare
una presenza straniera regolare di circa 1.600.000 persone, pari al
2,8% della popolazione.

Uno straniero ogni 38 residenti: è questa l'invasione?

Relativamente alla tipologia dei permessi di soggiorno, inoltre, i dati
ufficiali indicano una immigrazione stabile, presente nel 59% per
lavoro, nel 29% per motivi familiari e nel 7% per altri motivi
anch'essi stabili o comunque di una certa durata (adozione, motivi
religiosi, residenza elettiva): nel complesso si tratta del 95% del
totale e ciò, senza alcun margine di dubbio, porta a leggere
l'immigrazione come una dimensione strutturale della nostra società che
esige correlative politiche di inclusione e di estensione della
cittadinanza sociale. In particolare, gli immigrati soggiornanti per
motivi di lavoro sono 800.680 e il tasso di disoccupazione  è pari al
7,5%: quest'ultimo dato non solo è molto contenuto ma certamente è
anche sovrastimato, se si considera il consistente numero di persone
che lavora senza copertura contributiva tanto nel settore domestico,
quanto nel settore delle imprese.

Vale la pena ricordare che gli immigrati regolari di oggi sono stati
i "clandestini" di ieri poiché è risaputo che l'irregolarità è una
costante di tutte le migrazioni ed è fortemente dipendente dal
carattere più o meno aperto delle normative che disciplinano i flussi
migratori.  Il modo con cui si affronta questo aspetto della migrazione
è un imprescindibile indicatore della capacità delle politiche
migratorie di tutelare i diritti fondamentali dei migranti rifiutando
la logica del proibizionismo per la quale vietare equivale ad impedire.
Questa appare essere, invece, la logica ispiratrice delle attuali
politiche migratorie degli stati europei, che propongono una gestione
dell'immigrazione irregolare in chiave segregazionista e razzista.
Una logica fatta propria anche dall'Italia con l'emanazione della legge
189/2002, cosiddetta Bossi-Fini: una legge che, con l'introduzione del
contratto di soggiorno, riduce lo straniero a mera forza-lavoro; che,
attraverso la pratica della rilevazione delle impronte digitali, tratta
l'immigrato alla stregua del criminale; che, istituendo nuove strutture
di detenzione per i richiedenti asilo (i cosiddetti Centri di
Identificazione) e militarizzando coste e mari, priva di ogni
effettività l'art.10, comma 3 della nostra Costituzione; che,
attraverso l'art.14, commi 5, 5-bis, 5-ter, 5-quater, 5-quinquies (T.U.
Immigrazione modificato dalla L.189/02) trasforma la cosiddetta
clandestinità da illecito amministrativo in illecito penale destinando,
così, migliaia di stranieri e/o richiedenti asilo ai circuiti
penitenziari; che restringendo, de iure et de facto, il
ricongiungimento familiare nega il costituzionale diritto all'unità
della famiglia. Un esempio eloquente relativo a quest'ultimo punto è
l'atteggiamento fortemente ostativo delle ambasciate italiane
all'estero, le quali anche di fronte ai nulla-osta rilasciati dalle
questure non concedono i visti per i ricongiungimenti familiari, o
addirittura, come nel caso del consolato di Casablanca, chiudono
l'Ufficio Visti   "per cause di forza maggiore".

Tutte queste misure compromettono o addirittura negano i diritti di
libertà e le garanzie giurisdizionali dei migranti, contraddicono in
maniera eclatante i principi fondamentali dello stato di diritto,
rivelano la tendenza alla criminalizzazione delle migrazioni e, di
fatto, creano le condizioni per proclamare lo "stato d'emergenza".
In nome dello «stato d'emergenza», il 20 marzo scorso è stata emanata
l'ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri recante « Nuove
disposizioni urgenti per fronteggiare l'eccezionale afflusso di
cittadini extracomunitari giunti irregolarmente sul territorio
nazionale», predisponendo la costruzione di altri CPT e dei nuovi
Centri di Identificazione.

In cosa consiste questo eccezionale afflusso se, come orgogliosamente
dichiarano gli stessi ministri e sottosegretari dell'attuale governo,
esso risulta, invece, addirittura diminuito?

In verità, il governo italiano è prigioniero della sua stessa politica
che affronta il fenomeno migratorio solo in termini di sicurezza. La
legge Bossi-Fini, infatti, impone, per ogni immigrato irregolare, la
detenzione o l'espulsione immediata. Provvedimento di difficile
attuazione che impone perciò la disponibilità di spazi "detentivi"
sempre più numerosi: l'emergenza, pertanto,  è creata dalla norma, non
dal fenomeno in sé.

Senza considerare i costi economici di questa politica: se le cifre
indicate, "sia pure per eccesso", dall'onorevole Mantovano (intervista
pubblicata su Quotidiano di domenica 10 novembre) corrispondono a
verità, per gli "800.000 clandestini e irregolari", diminuiti
dei "550.000 nuovi regolarizzati", la somma da destinare per le
operazioni di trattenimento e di espulsione varierebbe dai 500 milioni
ai 750 milioni di euro, considerato che, secondo i dati riferiti dal
Rapporto Caritas, per ogni immigrato da espellere occorrono dai duemila
ai tremila euro.

A fronte della "eccezionale" disponibilità economica in questo senso,
si assiste invece alla soppressione del Programma di sostegno economico
dei richiedenti asilo e dei rifugiati per i quali, tra l'altro,
l'Italia non ha ancora adottato una legge organica. In questo quadro
non desta meraviglia il tasso di respingimento pari al 95% delle
domande d'asilo da parte della Commissione centrale.
La convocazione qui, oggi, dei Ministri dell'Interno dei Paesi aderenti
all'Iniziativa Adriatico-Ionica per mettere a punto "il Piano di
Allerta e Reazione Rapida contro l'immigrazione illegale" è
espressione, ancora una volta, di una concezione che riduce il fenomeno
immigratorio a problema di ordine pubblico da gestire solo in termini
repressivi. Esemplare, in questo senso, anche la terminologia
utilizzata nella presentazione dell'iniziativa: "allerta", "reazione
rapida", "contrasto alla criminalità internazionale, all'immigrazione
clandestina e ai fenomeni criminali ad essa collegati".
Le misure di allontanamento che, con ogni probabilità, i ministri
convenuti intendono adottare comporteranno rilevanti compressioni dei
diritti fondamentali di
migliaia di esseri umani costretti a fuggire da situazioni
intollerabili di guerra e di miseria determinate dalle scelte
neoliberiste.

Non saranno certo politiche più repressive a fermarli. Ciò che è
accaduto e continua ad accadere nel Canale d'Otranto
e nel Canale di Sicilia sta a dimostrare che
l'uso della forza militare è destinato soltanto ad aumentare il numero
delle vittime innocenti. Inoltre, prevedere l'espulsione o il respingimento
coatto come sanzione per qualsiasi forma di irregolarità significa
consegnare i migranti alla gestione
arbitraria delle autorità di polizia. Misure che si collocano persino
al di fuori della prospettiva di gradualità della disciplina degli
allontanamenti entro cui si muove il recente Libro
verde della Commissione europea.

Siamo convinti, invece, che un altro approccio è possibile. Occorre
assicurare l'imprescindibile tutela dei diritti fondamentali dei
migranti, emancipandosi dalla filosofia dell'ordine pubblico e dal
rifiuto razzista dell'immigrazione.

Ci permettiamo di avanzare solo alcune proposte:

a) ripristino dell'istituto della sponsorizzazione, previsto dalla
legge 40/1998 e soppresso dalla 189/2002 perché "pregiudizialmente"
ritenuto una sorta di porta d'ingresso per etnie e individui poco
raccomandabili. Riteniamo, invece, che tale istituto possa garantire la
possibilità di un incontro tra domanda e offerta, soprattutto per
alcune tipologie occupazionali e  dare uno sbocco legale alle reti
familiari e amicali, coinvolgendo la società tutta (gli italiani e gli
stessi immigrati) nello sforzo di assicurare dignitose politiche di
inserimento, peraltro senza onere alcuno a carico dello Stato;

b) applicazione delle norme dello Stato italiano da parte delle
Ambasciate in merito alle richieste di visti d'ingresso;

c) automatica concessione dei visti per ricongiungimento familiare;

d) riconoscimento del diritto d'asilo per coloro che fuggono da
situazione belliche o di grave compromissione delle libertà civili,
politiche e religiose; diritto che è riconosciuto come diritto
soggettivo perfetto sia dalla nostra Costituzione (art.10, comma 3) sia
dal diritto internazionale a cui la nostra Costituzione si rifà;

e) rifiuto di qualsiasi accordo di riammissione con quei Paesi
indicati da Amnesty International come Paesi che violano i diritti
fondamentali dell'uomo;

f) soppressione, dalla normativa vigente, della forma di
allontanamento attraverso il respingimento, in quanto non idonea ad
accertare i presupposti "di diritto e di fatto" di permanenza in Italia
dello straniero;

g) ricorso all'espulsione solo come extrema ratio nella gestione
del fenomeno migratorio;

h) superamento della logica dell'emergenza e conseguente
canalizzazione delle risorse economiche disponibili per approntare
concrete politiche di inclusione sociale che consentano a tutti i
cittadini, nativi e non, di agire i comuni diritti di cittadinanza
sociale.

La Storia ci ha già indicato gli esiti possibili di relazioni umane
basate sulla paura e sulla negazione dell'alterità. Primo Levi,
esemplare protagonista di uno di questi tragici esiti, così scrive,
esortando al recupero dell'umanità:

"A molti, individui o popoli, può accadere di ritenere, più o meno
consapevolmente che 'ogni straniero è nemico'. Per lo più  questa
convinzione giace in fondo agli animi come una infezione latente; si
manifesta solo in atti saltuari e incoordinati, e non sta all'origine
di un sistema di pensiero. Ma quando questo avviene, quando il dogma
inespresso diventa premessa maggiore di un sillogismo, allora, al
termine della catena, sta il Lager. Esso è il prodotto di una
concezione del mondo portata alle sue conseguenze con rigorosa
coerenza: finchè la concezione sussiste, le conseguenze ci minacciano"
[Primo Levi, Se questo è un uomo, Einaudi, 1958, p.7].

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