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La nonviolenza e' in cammino. 407
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Numero 407 del 6 novembre 2002
Sommario di questo numero:
1. Tre religiose pacifiste arrestate in Colorado (Usa)
2. Alberto L'Abate, relazione al seminario della Rete Lilliput sulla
nonviolenza
3. Luciano Dottarelli, abitare un mondo comune. Kant e la critica
dell'esaltazione fanatica
4. Enrico Peyretti ricorda Benedetto Calati
5. E' scomparsa Marisa Musu
6. Wanda Tommasi, la conclusione delle Tre ghinee di Virginia Woolf
7. Vivian Lamarque, la luna di qualcuno
8. In uscita il n. 41 di "Giano"
9. Letture: AA. VV., Islam e occidente
10. Letture: Giorgio Galli, La guerra globale
11. Riletture: Annamaria Novello, Tiziana Negri, Donna in Nicaragua
12. Riletture: Clotilde Pontecorvo (a cura di), La condivisione della
conoscenza
13. La "Carta" del Movimento Nonviolento
14. Per saperne di piu'
1. TESTIMONIANZE. TRE RELIGIOSE PACIFISTE ARRESTATE IN COLORADO (USA)
[Dall'ottimo sito www.femmis.org riprendiamo questa notizia]
Tre religiose domenicane sono state arrestate durante una manifestazione
contro le installazioni missilistiche di Colorado Springs.
Carol Gilbert, Jackie Hudson e Ardeth Platte, questi i nomi delle donne che
secondo quanto riportato dall'agenzia d'informazione religiosa "Vidimus"
hanno partecipato ad una manifestazione contro le installazioni
missilistiche di Colorado Springs e sono state arrestate per l'azione di
disobbedienza civile scaturita dalla protesta gia' nel settembre del 2000.
Anche allora erano state arrestate e poi prosciolte per un'azione di
disobbedienza civile sempre in Colorado. In questa occasione invece
all'arresto fara' seguito il processo.
In un comunicato le religiose hanno sottolineato che le ricerche militari
spaziali del governo degli Stati Uniti "portano allo spreco di miliardi di
dollari, risorse umane e materiali, causando la distruzione dell'ambiente e
l'inquinamento dello spazio".
Sono diverse le religiose e i religiosi che finiscono sotto accusa per la
partecipazione ad azioni di protesta e a favore della pace, come accade per
il gruppo "SOA Watch", fondato dal missionario di Maryknoll Roy Bourgeoise,
e per quanti aderiscono al "Thomas Merton Center" di Pittsburgh, che sabato
scorso ha organizzato una manifestazione contro la guerra all'Iraq per le
strade della citta'.
2. RIFLESSIONE. ALBERTO L'ABATE: RELAZIONE AL SEMINARIO DELLA RETE LILLIPUT
SULLA NONVIOLENZA
[Pubblichiamo la relazione svolta da Alberto L'Abate, dal titolo "Esperienze
di nonviolenza nei movimenti italiani di cambiamento sociale", al seminario
sulla nonviolenza promosso dalla Rete Lilliput a Ciampino il 27-29 settembre
2002. Alberto L'Abate (per contatti: labate@unifi.it) e' nato a Brindisi nel
1931, docente universitario, amico di Aldo Capitini, e' impegnato nel
Movimento Nonviolento, nella Peace Research, nell'attivita' di addestramento
alla nonviolenza, nelle attivita' della diplomazia non ufficiale per
prevenire i conflitti; ha collaborato alle iniziative di Danilo Dolci e
preso parte a numerose iniziative nonviolente; come ricercatore e
programmatore socio-sanitario e' stato anche un esperto dell'Onu, del
Consiglio d'Europa e dell'Organizzazione Mondiale della Sanita'; ha promosso
e condotto l'esperienza dell'ambasciata di pace a Pristina, ed e' impegnato
nella "Campagna Kossovo per la nonviolenza e la riconciliazione". E'
portavoce dei "Berretti Bianchi". Tra le opere di Alberto L'Abate:
segnaliamo almeno Addestramento alla nonviolenza, Satyagraha, Torino 1985;
Consenso, conflitto e mutamento sociale, Angeli, Milano 1990; Prevenire la
guerra nel Kossovo, La Meridiana, Molfetta 1997; Kossovo: una guerra
annunciata, La Meridiana, Molfetta 1999; Giovani e pace, Pangea, Torino
2001]
La relazione si sviluppa in sette considerazioni generali e quattro esempi
concreti.
1. la prima considerazione riguarda la generale incultura della nonviolenza,
che traspare da molti opinionisti, anche molto famosi, che confondono
pacifismo e nonviolenza, e che continuano a considerare quest'ultima come
passivita', come accettazione supina delle ingiustizie, come vigliaccheria,
ecc.
*
2. La seconda considerazione riguarda la distinzione tra movimento pacifista
e movimento nonviolento. Come accennato prima spesso questi vengono
considerati essere la stessa cosa. In realta' tra loro c'e' una differenza
notevolissima. Infatti il movimento per la pace e' semplicemente re-attivo.
Si mette in moto quando si prevede o sta per iniziare una guerra. Allora
molte migliaia di persone, che molto spesso prima non hanno mosso un dito
per evitare che la situazione si incancrenisse, si mettono in moto, fanno
grandi manifestazioni di massa, protestano e scrivono contro la guerra. Ma
di solito, appena la guerra e' iniziata, oppure si e' conclusa, il movimento
sparisce del tutto. Il movimento nonviolento e' invece pro-attivo. E cioe'
si mette in moto molto prima (in numeri molto minori, e percio' meno
visibili, ma in modo continuato e approfondito) per prevenire il conflitto
armato, per cercare soluzioni nonviolente, oppure, durante la guerra, per
interporsi in modo nonviolento e far terminare il conflitto armato, e
mettere gli avversari ad un tavolo di trattative, oppure dopo la guerra, per
ristabilire i rapporti umani tra i due contendenti, e trovare forme di
riconciliazione tra di loro. La ragione principale di questa differenza e'
il fatto che nella nonviolenza ci sono due "armi" principali: l'azione
diretta nonviolenta, che ci da' strumenti per contrastare quanto c'e' di
sbagliato (tanto) nella societa' attuale, ed il progetto costruttivo, che ci
indica dove vogliamo andare, che tipo di societa' vogliamo mettere in vita,
ecc. Le battaglie nonviolente vincenti hanno sempre utilizzato ambedue
queste "armi", o se non vogliamo usare una terminologia militare,
"strumenti" di cambiamento sociale, in modo interrelato ed in simbiosi
l'uno con l'altro.
*
3. Ci sono studiosi, come Bobbio, che pur molto simpatetico verso la
nonviolenza, esprime dei dubbi sulla sua efficacia. In realta' ci sono
moltissimi esempi di come questa, se ben utilizzata, possa essere molto
efficace. Io ne citero' solo quattro, ma se ne potrebbero presentare molte
di piu':
3. 1. Vari anni fa, a Genova, c'era programmata ogni anno una mostra navale
bellica, per vendere meglio le armi prodotte dalle nostre industrie. Dalle
organizzazioni di base di Genova fu organizzato un blocco alla mostra che,
nella mattina, coinvolse svariate migliaia di persone, ma che, nel
pomeriggio, vide la partecipazione ad una manifestazione nonviolenta
(serpentone) di moltissime migliaia di persone. A mia conoscenza e' stata
una delle piu' belle manifestazioni nonviolente mai svolte in Italia.
L'obiettivo era quello di far chiudere quella che era stata definita dai
genovesi "la mostra dei mostri". In effetti, dopo questa manifestazione, la
mostra fu sospesa e trasferita in mezzo al mare, su una nave militare
raggiungibile solo con elicotteri. Ma dopo qualche anno i costruttori di
armi italiani tornarono alla carica, chiedendone di nuovo l'apertura a
Genova. La loro argomentazione era che l'Italia, a causa di questa
limitazione, era passata dal V posto tra i venditori di armi del mondo, al
XIII posto. Non so se questo sia vero, ma e' certo che se le nostre
iniziative sono riuscite a ridurre talmente il nostro commercio di armi, non
possiamo certo dire che la nonviolenza sia inefficace. Con quella
argomentazione i costruttori e venditori di armi nostrane sono riusciti a
far riaprire la mostra a Genova, ma dopo un secondo blocco, cui ha
partecipato pure una buona parte della popolazione genovese, la mostra e'
stata riportata nella nave militare.
3. 2. Il secondo esempio e' preso dalla lotta e dal lavoro di Danilo Dolci
in Sicilia. Dopo una serie di sue denuncie (si pensi al suo libro Banditi a
Partinico) sul fatto che lo stato italiano spendeva soldi solo per la
repressione di coloro che si "ribellavano" al loro stato di miseria
(spendendo percio' notevoli cifre per l'apparato repressivo: carabinieri,
polizia, militari, giustizia, carceri, ecc.) ma quasi niente per aiutare le
popolazioni di quella regione a svilupparsi economicamente e socialmente,
grazie al premio Lenin per la Pace, ed al sostegno di molti gruppi di amici
organizzatisi in varie parti del mondo, ha messo su', lui stesso, un lavoro
di sviluppo di comunita' (con tecnici vari, assistenti sociali, infermieri,
agronomi, economisti pratici, ecc.), attuando forme di programmazione
partecipata dal basso (da lui definita maieutica reciproca, perche' la
partecipazione della popolazione stessa della zona arricchiva la presa di
coscienza dei problemi reali e delle possibili soluzioni), e grazie al
suggerimento di un contadino della zona, e vari anni di studi e lotte, e'
riuscito a far costruire una diga del fiume Iato, che da' acqua alle zone
vicine (anche a Palermo), ha aumentato notevolmente il reddito delle
campagne circostanti, e che viene gestita (contrariamente alle altre dighe
della Sicilia strettamente controllate dalla mafia, e percio' con prezzi
dell'acqua esorbitanti) da una cooperativa formata dai piccoli proprietari e
contadini di quell'area. Ma se si va a vedere a fondo l'influenza di Dolci
non e' stata solo locale. Un notevole numero dei leaders studenteschi del
1968 erano stati, come me, a lavorare come volontari con Danilo Dolci. E
questo aveva dato loro la forza di portare avanti una lotta, come quella
studentesca, che grazie anche ad Aldo Capitini che aveva preconizzato molte
delle idee che saranno riprese dal movimento, almeno di quella parte di
questo che si ispirava alla nonviolenza, come l'importanza della
partecipazione dal basso, del "potere di tutti", e di metodi decisionali
consensuali - l'assemblea, ad esempio; ha contribuito sicuramente a far
prendere coscienza ad una gran parte della popolazione italiana (si pensi
allo sviluppo, tra gli operai, della "scienza operaia" e della "non delega
della salute") ed ha notevolmente contribuito anche a far attuare, dopo
qualche anno, la nascita delle Regioni, che erano iscritte nella nostra
Carta Costituzionale, ma che, fino ad allora, nessuna forza politica si era
sentita di realizzare.
3. 3. Il terzo esempio, dell'efficacia della lotta nonviolenta, viene dalle
lotte contro le centrali nucleari della Maremma toscana e laziale. Oltre
alla centrale nucleare di Montalto, nella Maremma laziale, che era gia'
stata decisa ed in costruzione, c'era il progetto di farne un'altra a
Capalbio, nella Maremma toscana. La sua realizzazione avrebbe portato la
Maremma ad essere una delle zone italiane a piu' alta concentrazione di
centrali nucleari, una vera e propria "mecca" del nucleare. Ma la
popolazione si organizzo' e, per opporsi a questo progetto, blocco' la
linea ferroviaria Pisa-Roma per circa due ore. La polizia prese molte foto
del blocco, e denuncio' per questa manifestazione non autorizzata circa una
quarantina di persone, alcuni dei quali erano gli stessi organizzatori, ma
altri erano invece cittadini comuni che avevano partecipato al blocco, ma
che erano in condizioni di difficolta' ad affrontare un processo (uno, ad
esempio, aspettava di essere assunto dalle Ferrovie dello Stato, un altro
aveva una licenza per vendita ambulante e rischiava che gli venisse tolta, e
cosi' via). Cosi' quando si arrivo' al processo la difesa cerco' di
diminuire l'importanza del blocco sostenendo che non c'era stata la volonta'
di farlo, ma che i treni erano stati bloccati per iniziativa del
capostazione di Capalbio che aveva paura che potesse succedere un incidente
ai manifestanti. E molti di questi sostennero che non erano andati nelle
rotaie per fare il blocco, ma solo per vedere degli amici, o per traversarle
per altre ragioni. Ed i giudici assolsero i manifestanti per "insufficienza
di prove" sulla volonta' di voler fare un blocco. Ma don Sirio Politi, un
prete operaio che gestiva una chiesetta nel porto di Viareggio, ed era
stato, per molti anni, il presidente del Movimento Italiano per la
Riconciliazione, ed il sottoscritto, che eravamo stati chiamati come
testimoni, abbiamo invece dichiarato ai giudici che non eravamo solo
presenti ma che avevamo partecipato anche al blocco. E varie altre persone
(9) che avevano partecipato alla manifestazione si auto-incriminarono per la
stessa azione, non tutte insieme ma progressivamente. Si arrivo' cosi' al
nostro processo che si prolungò per oltre un anno, in tre diverse sessioni,
perche' ogni volta i giudici si trovavano di fronte ad altre auto-denunce e
rimandavano il processo per unificarlo. Ma ad ogni incontro noi, la sera
prima, organizzavamo un controprocesso al quale erano invitati a parlare
quelli che poi, il giorno dopo, avrebbero dovuto testimoniare in tribunale a
nostro favore. Tra i conferenzieri e testimoni a favore abbiamo avuto alcuni
dei piu' noti studiosi italiani su questi temi (come Gianni Mattioli,
Massimo Scalia, Enzo Tiezzi, Giorgio Cortellessa, Giorgio Nebbia, ecc.). Gli
imputati avevano, inoltre, scritto una lettera aperta ai giudici nella
quale ammettevano la loro colpa ma sostenevano che il blocco era stato fatto
per evitare dei danni alla salute della popolazione di quell'area, ed
avevano raccolto su questo aspetto una notevole documentazione che veniva
messa a disposizione sia della stampa che dei giudici. Ed gli avvocati
difensori, coordinati da Enzo Enriquez Agnoletti, che era stato vicesindaco
di Firenze ai tempi di La Pira, e che era vicepresidente del Senato,
sostennero che avevamo agito in ottemperanza all'articolo della nostra
Costituzione che dichiara la protezione della salute come diritto
fondamentale di ogni cittadino italiano. La stampa locale dette molto
risalto a queste nostre tesi, ed a poco a poco, man mano che ci si
avvicinava alla seduta finale del processo, l'appoggio da parte della
popolazione alle nostre posizioni crebbe notevolmente. Tanto che il giorno
del processo finale gli studenti di molte delle scuole superiori di
Grosseto, il luogo dove si svolgeva il processo, non andarono a scuola per
venire ad assistere all'udienza. E la sentenza fu molto coraggiosa, fummo
assolti .per aver agito in "stato di necessita' putativa". E cioe' perche'
credevamo che non ci fossero altri mezzi per salvare la popolazione da quel
possibile rischio. La sentenza era cosi' innovativa che la sera stessa, al
Giornale Radio 1, ne dettero notizia dicendo che era la prima volta che
veniva utilizzata la motivazione di "stato di necessita'" per la difesa di
un diritto pubblico, come la salute, e non per la difesa di interessi
personali, o di beni privati (come quando, per difendersi da un ladro, il
padrone lo colpisce e ferisce). Ma in modo molto strano, per la giustizia
italiana, in cui di solito tra il processo di primo grado e quello di
secondo, passano vari anni, dopo nemmeno sei mesi c'e' stato l'appello a
Firenze, in cui i giudici non hanno voluto ascoltare nessun testimone di
difesa ed e' stata rivista la sentenza condannandoci a sei mesi per
manifestazione non autorizzata. Sentenza poi confermata qualche anno dopo
dalla Cassazione a Roma. La motivazione della condanna era stata che avremmo
dovuto ricorrere a mezzi legali, come il referendum, per opporci alla
costruzione della centrale. Ma una smentita a questa motivazione c'e' stata,
nemmeno sei mesi dopo questa sentenza, quando la richiesta di referendum,
gia' presentata da molte organizzazioni ambientaliste, era stata bocciata
perche' ritenuta non accettabile. C'e' voluto, qualche anno dopo, il
disastro di Cernobyl, con la caduta di particelle dell'incendio ivi
divampato anche nel nostro paese ed il divieto, per molti mesi, di mangiare
le verdure e l'insalata, o bere il latte delle nostre mucche, perche' la
situazione cambiasse e venisse approvata la nuova richiesta di referendum,
poi, com'e' noto, vinto dagli antinucleari, con l'affossamento definitivo
del progetto della seconda centrale a Capalbio, e la riconversione di
quella gia' costruita a Montalto. In questo caso la lotta nonviolenta, anche
se non ha portato direttamente a risultati positivi alla fine della stessa,
ha sicuramente influito in modo non indifferente sulla vittoria finale del
referendum.
3. 4. Il quarto esempio sono le lotte di Comiso contro la riconversione di
quel vecchio aereoporto dismesso in una base per il lancio di missili
nucleari Cruise. Questi sono missili detti "di primo colpo"; sono infatti
missili molto precisi, e non facilmente individuabili, perche' volano basso
fuori dell'orbita dei radar, ma sono molto lenti, percio' sono utilizzabili
solo in caso di guerra preventiva, prima che quelli del nemico siano stati
gia' lanciati. Per questa ragione sono considerate armi di attacco e non di
difesa. Infatti, nei vari processi che si sono tenuti contro i manifestanti
che si opponevano al loro impianto, gli avvocati hanno fatto riferimento
all'articolo 11 della nostra Costituzione che vieta la guerra di attacco,
e riconosce solo quella di difesa. In realta' l'aeroporto e' stato
convertito in una base di missili, ma dopo alcuni anni si e' arrivati al
trattato Salt, tra Russia e Stati Uniti, che vietava i missili a lunga
gittata, come quelli Cruise, e la base e' stato destituita come tale ed e'
servita per usi civili (come, ad esempio, per ospitare un certo numero di
profughi dal Kossovo). E' attualmente allo studio il suo ripristino ad
aeroporto, ma per usi civili, e non militari. Il collegamento tra le nostre
lotte ed il trattato Salt puo' essere considerato piu' tenue. Ma le nostre
lotte non sono state le sole: in Inghilterra, in Olanda, in USA, ci sono
state lotte altrettanto strenue, e qualche volta anche di piu', contro basi
simili. Una domanda che mi sono posto spesso e' questa: "Siamo proprio
sicuri che il fatto che in Occidente ci fossero queste lotte contro gli
impianti di missili di questo tipo, di attacco, non abbiano avuto alcuna
influenza sulla proposta di "Disarmo nucleare unilaterale" fatta da
Gorbaciov (che sapeva di avere dalla sua almeno una parte della popolazione
dell'Occidente) e non abbiano influenzato anche l'accettazione della
proposta fatta dal presidente degli Stati Uniti, Ronald Reagan?". Io non ne
sono affatto sicuro, per questo credo che queste lotte nonviolente siano
state un successo.
*
4. Ma credo sia importante riferire anche di analisi storico-comparative
fatte dal mio seminario di "Ricerca per la Pace" presso l'Universita' di
Firenze. Queste avevano l'obiettivo di verificare l'efficacia comparativa di
lotte nonviolente e di lotte armate ai fini del mutamento sociale. I casi
analizzati sono stati quattro:
4. 1. Le lotte tra Israele e Palestina, confrontando i risultati del periodo
precedente alla prima Intifada, durante il quale la strategia prevalente era
quella di azioni violente, normalmente definite "terroristiche" perché
spesso non dirette contro i militari ma anche contro i civili, e quelle
della prima Intifada, che aveva usato la noncollaborazione, l'obiezione di
coscienza, il rifiuto di pagare le tasse, ed anche il lancio di pietre da
parte di bambini, che, confrontate all'uso di carri armati e di mitra da
parte dei soldati israeliani, sono state definite (Sharp) "a bassa
intensita' di violenza";
4. 2. La lotta contro Marcos nelle Filippine, anche qui confrontando le
azioni terroristiche precedenti, con quelle nonviolente portate avanti dalla
popolazione civile guidata da Cory Aquino;
4. 3. Le lotte studentesche di Piazza Tien an Men, a Pechino. Il confronto
in questo caso era tra la lotta nonviolenta degli studenti cinesi, e la
risposta armata data dal governo;
4. 4. Il confronto tra i risultati ottenuti dalle lotte armate delle
"Brigate Rosse" e "Prima Linea", con quelle nonviolente, in particolare
della Campagna per l'obiezione di coscienza alle spese militari.
Le ipotesi che la ricerca ha potuto confermare (esposte qui in modo molto
sintetico) attraverso una analisi approfondita dei casi succitati, sono
state quelle che la lotta nonviolenta tende a spaccare l'avversario tra una
parte che appoggia quelli che lottano con la nonviolenza, e quelli invece
che li contrastano comunque, senza tener conto della forma della lotta.
Invece la lotta violenta ha l'effetto opposto, tende ad integrare l'
avversario in un fronte unito contro quelli che usano questa strategia
armata. Inoltre la lotta nonviolenta tende a trovare alleati anche nei paesi
terzi, che possono svolgere un ruolo di mediatori, mentre quella armata
tende a distaccarli ed allontanarli. Per questo la conclusione della
ricerca, che e' durata un anno, e' stata quella che la lotta nonviolenta, in
questi casi, e' stata piu' efficace nel provocare mutamenti sociali di
quella armata.
*
5. Una quinta considerazione riguarda invece il cambiamento all'interno
della politica del nostro paese, attraverso un confronto tra il voto e le
lotte nonviolente. Se si pensa al voto come strumento di cambiamento c'e' da
essere abbastanza delusi. Piu' le sinistre si sono avvicinate al potere,
piu' queste hanno portato avanti politiche che prima venivano definite di
destra. Ad esempio con l'impianto dei missili Cruise a Comiso, fatto durante
il primo governo Craxi, oppure con la guerra jugoslava, fatta dal Governo
D'Alema. In complesso hanno portato avanti una politica di privatizzazione e
di supremazia del mercato, abbandonando quasi del tutto i principi e le
idee della programmazione, non solo quella di Dolci, dal basso, partecipata,
ma anche quella piu' tradizionale, centralizzata. Le lotte nonviolente, con
i tanti processi (spesso vinti), hanno portato a vittorie che si possono
definire storiche, come l'equiparazione, nel tempo della durata, tra il
servizio militare e quello civile, o come la sentenza della Corte
Costituzionale (n. 165, del 24/5/1985) che ha dichiarato che la difesa della
Patria puo' essere fatta anche senza l'uso delle armi, oppure, con la legge
n. 230 del 1998, con il riconoscimento che l'obiettore di coscienza puo'
essere utilizzato in "forme di ricerca e di sperimentazione di difesa civile
non armata e nonviolenta" (art. 8, comma 2, lettera e), oppure che puo'
prendere parte a missioni non armate all'estero. Tutto questo ha fatto si'
che il nostro paese sia uno dei paesi d'Europa piu' avanti nel
riconoscimento istituzionale dei "Corpi Civili di Pace" che possano operare
nonviolentemente per la prevenzione, il superamento dei conflitti armati, e
la riconciliazione dopo la guerra.
*
6. La sesta considerazione riguarda un certo numero di indicazioni
metodologiche che possiamo derivare dalle esperienze italiane di lotte
nonviolente fatte finora, se si vogliono portare vanti lotte nonviolente
vincenti:
I. l'importanza della raccolta di documentazione alternativa, prima e
durante la lotta (si pensi al ruolo di queste nel processo di Grosseto);
II. a questo collegata c'e' l'importanza del lavoro di informazione e di
controinformazione;
III. l'importanza del lavoro di formazione, indispensabile se si vogliono
portare avanti lotte nonviolente che possono comportare situazioni di
rischio ed eventuali processi;
IV. l'importanza di un equilibrio tra quantita' e qualita'. Spesso si cerca
di essere in tanti senza preoccuparsi della qualita' della partecipazione.
In molti casi e' meglio essere in meno ma avere persone ben preparate, che
accettino le eventuali condanne di un processo, e che riescano a portare
avanti manifestazioni creative ed innovative, e non le solite manifestazioni
di massa si', ma spesso banali;
V. questo porta all'indicazione successiva, e cioe' dell'importanza
dell'allargamento del consenso a gruppi esterni, allargamento che spesso e'
strettamente collegato al fatto di riuscire a colpire la loro immaginazione
con metodi di lotta diversi da quelli utilizzati normalmente, spesso
accettando i rischi della propria azione sulla propria pelle;
VI. da questo punto di vista e' fondamentale il ruolo della stampa e dei
media. Purtroppo attualmente la stampa sembra piu' interessata a parlare di
morti, guerre, conflitti armati, che di pace e di nonviolenza. Ma la
formazione di giornalisti nonviolenti e' sicuramente un obiettivo importante
da perseguire;
VII. ma per avere dei cambiamenti reali e' importante saper organizzare
bene, e portarle avanti, azioni dirette nonviolente, forme di obiezione di
coscienza (al militare, alle tasse militari, alla costruzione di armi,
ecc.), forme di noncollaborazione alle ingiustizie, e disobbedienza civile
di fronte a governi che portino avanti politiche ingiuste, o minaccino la
democrazia;
VIII. ma come accennato prima, per resistenza alle ingiustizie si deve
lavorare anche ad un progetto costruttivo. In caso contrario, come successo
in molti paesi dell'Est, e nelle stesse Filippine, i successi delle lotte
non violente ( o a-violente) rischiano di svuotarsi trasformando le
precedenti dittature comuniste o fasciste, in una dittatura di un mercato
controllato inoltre dalla mafia;
IX. ma un ulteriore insegnamento è quello di non illudersi. Ci sono
fortissime resistenze al cambiamento anche se nonviolento (si pensi
all'importanza, nelle economie nazionali, della costruzione e della vendita
delle armi);
X. una ulteriore indicazione e' quella di saper cogliere le condizioni
esterne facilitanti (come ad esempio il disastro di Cernobyl che ha fatto
cambiare idea a molte di quelle persone che si lasciavano abbindolare
facilmente dalla propaganda che insisteva sulla non rischiosita' del
nucleare civile);
XI, la penultima indicazione e' quella di saper istituire dei validi
collegamenti internazionali che possano contrapporsi alla globalizzazione
dei mercati, nell'interesse dei G8 o di poche industrie multinazionali, con
una globalizzazione dal basso, nell'interesse di un "mondo diverso",
pacifico e solidale;
XII. l'ultima indicazione e' quella dell'importanza di una strategia dal
doppio binario, all'interno delle istituzioni, ma senza lasciarsi bloccare
dalle "regole del gioco" interne ma cercando di innovarle, ma anche al loro
esterno, perche' senza una pressione dal basso, esterna alle istituzioni
come quelle che hanno portato la Regione Toscana (vedi lotte di Capalbio) a
passare dal primo posto nella scelta del nucleare civile, all'ultimo posto
tra le regioni disposte ad accettarlo, e' molto difficile cambiare realmente
qualche cosa.
*
7. Ma l'ultima considerazione riprende un commento di Galtung, uno dei piu'
profondi studiosi delle lotte nonviolente. Galtung sostiene che non si puo'
sapere se la lotta nonviolenta funziona sempre, ed in tutte le circostanze,
che la sua efficacia e' incerta, e che dipende molto da come queste lotte
vengono portate avanti. Ma che quello che invece e' sicuro e' che la
violenza e' fallita perche' invece di eliminare l'altra violenza la porta ad
accrescersi ed aumentare in forma spirale, aumentando sempre piu' l'odio tra
i gruppi e le guerre.
3. RIFLESSIONE. LUCIANO DOTTARELLI: ABITARE UN MONDO COMUNE. KANT E LA
CRITICA DELL'ESALTAZIONE FANATICA
[Ringraziamo Luciano Dottarelli (per contatti: ldottarelli@libero.it) per
averci messo a disposizione questo testo ricavato da alcune pagine della sua
introduzione all'edizione da lui curata di Immanuel Kant, Saggio sulle
malattie della mente, Massari Editore, Bolsena (Vt) 2001. Luciano Dottarelli
e' docente e saggista, gia' apprezzato sindaco di Bolsena, attualmente
capogruppo al Consiglio Provinciale di Viterbo; di solidi studi filosofici,
con una vasta esperienza amministrativa, e' una delle figure di riferimento
della vita civile nell'alto Lazio. Opere di Luciano Dottarelli: Popper e il
gioco della scienza, Erre Emme, Roma 1992; Kant e la metafisica come
scienza, Ere Emme, Roma 1995]
La critica dell'esaltazione fanatica [Schwaermerei] sviluppata nel Saggio
sulle malattie della mente costituisce un solido punto di riferimento nello
sviluppo del pensiero di Kant, una delle cifre piu' autentiche e peculiari
di tutta la sua riflessione filosofica.
La presenza di questo topos polemico nel Saggio richiede un particolare
apprezzamento, soprattutto se si considera che essa si accompagna ad una
considerazione piuttosto benevola, rispetto ad altri contesti, nei confronti
dell'entusiasmo [Enthusiasmus], senza il quale "non si e' mai fatto nulla
di grande nel mondo".
Nel singolare trattatello di psichiatria, il fanatico e' definito come "un
allucinato con una presunta ispirazione immediata e una grande confidenza
con le potenze celesti. La natura umana non conosce nessuna illusione piu'
pericolosa di questa". L'allucinazione deriva da un disordine nella facolta'
cognitiva sensibile, da uno scambio e una sovrapposizione tra i dati della
sensibilita' in senso stretto ("conoscenze provenienti dall'impressione
dell'oggetto su di noi") e quelli dell'immaginazione ("conoscenze sensibili
che scaturiscono dalla spontaneita' dell'animo").
La definizione di questo tipo di folle come "uno che sogna durante la
veglia" richiama, con effetto immediato, la polemica piu' direttamente
rivolta contro Swedenborg e - attraverso di lui - contro i metafisici che,
in quanto "sognatori della ragione", vengono assimilati al visionario
mistico svedese. Il terzo capitolo dei Sogni di un visionario - brillante
ai limiti dell'impudenza e della provocazione - e' in effetti una
sostanziale ripresa (anche letterale) ed un approfondimento di vari temi del
Saggio, di cui vengono svolti anche i tenui spunti epistemologici.
Richiamandosi al frammento di Eraclito (che egli attribuisce erroneamente
ad Aristotele) secondo cui "quando siamo svegli abbiamo un mondo comune, ma
quando sognamo, ciascuno ha il proprio", Kant aggredisce "quei fabbricanti
di castelli in aria, ciascuno dei quali costruisce a se' un mondo del
proprio pensiero e lo abita tranquillamente escludendone gli altri - quelli
per esempio che abitano l'ordine delle cose come lo ha fabbricato Wolff con
poco materiale empirico, ma con abbondanza di concetti surrettizi o quelli
che abitano i mondi tratti dal niente da Crusius grazie al potere magico di
qualche sentenza sul pensabile e l'impensabile".
Egli - che si era preoccupato di sottrarre la malattia mentale allo stigma
della colpa e della condanna morale - sembra invece cercare la rissa con i
visionari metafisici, burlandosi di loro e non disapprovando l'atteggiamento
di scherno di chi, tagliando corto, li ritiene "senz'altro e per davvero
candidati al manicomio", da curare mediante la somministrazione di purganti.
Ma, per quanto mostri di indulgere in questo divertissement, Kant - che
proprio nei Sogni confessa di aver avuto in sorte di essere "innamorato
della metafisica" - sa bene che simili argomenti critici somigliano, per
dirla con un'immagine di Popper, al tentativo di "uccidere la metafisica
lanciandole improperi" e che c'e' bisogno di una filosofia buona per
scacciare quella cattiva, se non si vuole che la sana, sobria ragione passi
per "sciocca semplicita'".
Egli e' consapevole di non potersi dispensare da una seria critica
epistemologica della metafisica. Ed e' proprio in questa critica che in
realta' risiede il nocciolo teoretico dei Sogni, cio' che fa
dell'impertinente pamphlet una tappa decisiva nello sviluppo della filosofia
kantiana.
Al di la' dell'affinita' della loro origine (aspetto che lo diverte ma che
resta comunque argomento di ricerca psicologica), cio' che accomuna le
illusioni dei metafisici alle visioni dei folli allucinati e' il medesimo
sottrarsi alla possibilita' di un controllo intersoggettivo sulla base
dell'esperienza.
C'e' un passo in cui Kant, contro il "commercio con gli spiriti" di
Swedenborg, accenna a un'argomentazione epistemologica dal sapore quasi
popperiano: "Si puo' dunque ammettere la possibilita' di esseri immateriali
senza timore di essere confutati, ma anche senza speranza di poter
dimostrare questa possibilita' per via di principi razionali".
L'inconfutabilita' delle affermazioni dei metafisici non e' il suggello
della loro forza ma semmai il sintomo che tradisce una condizione di
debolezza. Essi hanno reciso il legame con l'"umile terreno dell'esperienza"
e mentre pensano di poter "fendere le alte nubi che velano ai nostri occhi i
segreti dell'altro mondo" in realta' si librano nel vuoto.
"Ma quale follia non potrebbe venir messa in armonia con una filosofia
fondata sul vuoto?": l'affinita' piu' significativa, quella che ormai
interessa il Magister che si sta avviando verso la maturazione del punto di
vista critico, e' dunque di rilevanza epistemologica, riguarda lo status
proprio delle asserzioni metafisiche. Egli non esclude la pensabilita' degli
oggetti tradizionali della metafisica (la liberta', la sopravvivenza
dell'anima dopo la morte, etc.), ne' il loro rispondere ad un bisogno
profondo dell'animo umano. "Confesso - scrive - che io sono molto portato ad
ammettere l'esistenza di nature immateriali nel mondo ed a porre la mia
stessa anima nella classe di questi esseri".
La questione e' un'altra: "la natura spirituale, che non si conosce ma si
suppone, non potra' mai essere pensata positivamente perche' non si possono
avere dati in proposito nel complesso delle nostre sensazioni". La linea di
demarcazione tra la conoscenza scientifica della realta' e le invenzioni
della metafisica viene stabilita mediante la possibilita' di far ricorso
all'esperienza: "si puo' accordare soltanto all'esperienza il diritto di
decidere".
Ma cosa si intende qui per esperienza? Perche' gli "audita et visa" di
Swedenborg ("quello che i suoi propri occhi hanno visto e le sue orecchie
sentito") non possono valere come dimostrazione dell'esistenza degli
spiriti?
Il vizio delle "pseudo-esperienze" del mistico svedese risiede nel fatto che
esse restano esperienze "private", non hanno validita' intersoggettiva,
perche' "non possono essere sottomesse ad alcuna legge del sentire comune
alla maggior parte degli uomini".
Lo spunto polemico del Saggio contro i fanatici esaltati ("la natura umana
non conosce nessuna illusione che sia piu' pericolosa di questa"),
sviluppato in prospettiva epistemologica, si avvia a diventare il fondamento
di una critica di ispirazione "democratica" ed "universalistica" contro i
presunti depositari di una verita' superiore, inaccessibile al comune
intelletto.
Sara' il tema sviluppato con passione nell'articolo D'un tono da signori di
recente levato in filosofia (1796) in cui Kant polemizza contro il tipo del
"filosofo per inspirationem" che, sulla base di una presunta illuminazione
privilegiata, "si eleva al di sopra dei colleghi e ne viola l'inalienabile
diritto alla liberta' e parita' nelle cose della ragion pura" sentendosi
autorizzato a "parlare con il tono di un signore, che e' dispensato dal
fastidio di produrre il documento di cio' che possiede (beati possidentes)".
Nella sua difesa di un'idea opposta - sobria e addirittura "prosaica" -
della filosofia, intesa come fatica e assiduo lavoro della ragione nel
produrre argomentazioni e prove che possano essere comunicate a tutti, Kant
assume come modello soprattutto Aristotele; ma l'ispirazione ugualitaria che
sottende la polemica rivela ancora una volta l'incidenza profonda e
duratura della lezione morale e politica di Rousseau.
C'e' un passo delle Annotazioni alle Osservazioni sul sentimento del bello e
del sublime in cui egli riconosce apertamente questo debito: "Io sono per
inclinazione un ricercatore; sento la sete di conoscere tutta intera, il
desiderio costante di estendere le mie conoscenze e la soddisfazione di ogni
progresso compiuto. Ci fu un tempo in cui credevo che tutto cio' potesse
costituire l'onore dell'umanita' e disprezzavo il popolo che e' ignorante di
tutto. E' Rousseau che mi ha tratto d'inganno. Questa illusoria superiorita'
svanisce, imparo ad onorare gli uomini e mi riterrei piu' inutile del
lavoratore piu' comune se non credessi che questa considerazione puo' dare a
tutte le altre un valore che consiste nel far emergere i diritti
dell'umanita'".
La stessa pacata e sobria umanita' emerge da una pagina dei Sogni, forse la
piu' bella dell'impertinente libretto, un momento di tregua e di confessione
personale nel fuoco dell'appassionata polemica: "Io ho purificato la mia
anima dai pregiudizi, ho estirpato ogni cieca predilezione che si fosse
insinuata in me, per dare adito ad un qualche sapere illusorio. Ora non vi
e' per me niente di interessante, niente di rispettabile se non cio' che
prende posto per la via della rettitudine in uno spirito calmo ed aperto a
tutte le ragioni; sia che questo confermi o distrugga il mio giudizio
anteriore, sia che mi conduca ad una decisione o mi lasci nel dubbio.
Dovunque io trovi qualcosa che mi istruisca, lo prendo. Il giudizio di
chiunque confuti le mie ragioni e' il mio giudizio, appena io lo abbia
pesato prima di fronte al piatto dell'amor proprio e poi nello stesso di
fronte ai miei presunti principi e vi abbia trovato maggior valore. In
passato io consideravo l'intelletto umano generale soltanto dal punto di
vista del mio; ora mi metto al posto di una ragione estranea e contraria ed
osservo dal punto di vista degli altri i miei giudizi con tutte le loro
motivazioni piu' segrete. Il confronto delle due osservazioni mi da' invero
delle forti parallassi, ma e' anche l'unico mezzo per prevenire l'illusione
ottica e mettere i concetti in quel vero posto in cui stanno in rapporto
alla potenza conoscitiva della natura umana".
Il "sano intelletto" del Saggio sulle malattie della mente si e' andato
ormai precisando come un "intelletto comunitario" che si costituisce in uno
spazio di discussione "pubblica", in un confronto pluralistico con quello
degli altri uomini.
Non si coglierebbe l'autentico significato dell'illuminismo di Kant (e la
ragione piu' profonda della ricomprensione in esso di Rousseau) se si
ponesse attenzione soltanto al motivo del "Sapere aude!". Quello che nella
Risposta alla domanda: che cos'e' l'illuminismo (1784) ne viene considerato
il motto fondamentale ("Abbi il coraggio di servirti della tua propria
intelligenza") e' in realta' solo la prima delle tre massime che devono fare
da guida al "semplice sano intelletto". Esse, nel loro insieme, sono
formulate in questi termini: "1) pensare da se stesso; 2) mettersi col
pensiero al posto di ogni altro (nella comunicazione con gli uomini); 3)
pensare sempre in accordo con se stesso".
La seconda massima, che Kant chiama "principio del pensiero liberale", e' il
vero perno su cui si appoggia la sua difesa dei punti fondamentali del
programma politico dell'illuminismo. Se vogliamo davvero progredire nella
conoscenza - argomenta Kant - non possiamo fare a meno della pietra di
paragone costituita dal confronto pubblico con gli altri; "in cio' sta forse
la ragione piu' importante della lotta che le persone colte conducono con
tanta energia a favore della liberta' di stampa; quando tale liberta' e'
negata, viene a mancare un mezzo importante di prova dell'esattezza del
nostro giudizio e restiamo abbandonati all'errore". Con ancora maggiore
efficacia in Che cosa significa orientarsi nel pensiero (1786) aveva
scritto: "Ma quanto, e quanto correttamente penseremmo, se non pensassimo
per cosi' dire in comune con altri a cui comunichiamo i nostri pensieri, e
che ci comunicano i loro? Quindi si puo' ben dire che quel potere esterno
che strappa agli uomini la liberta' di comunicare pubblicamente i loro
pensieri, li priva anche della liberta' di pensare, cioe' dell'unico tesoro
rimastoci in mezzo a tutte le imposizioni sociali, il solo che ancora puo'
consentirci di trovare rimedio ai mali di questa condizione".
Nel rifiuto dell'"egoismo logico" (come aspetto particolare della piu'
generale attitudine a mettere sempre e dovunque in primo piano "il nostro
caro io") e nel riconoscimento della necessita' del confronto del nostro
intelletto con quello degli altri sulla base di una misura comune si
compendia la vera motivazione teoretica del suo non potersi non dire
illuminista.
La cifra piu' autentica del filosofare di Kant, cio' che ne fa ancora oggi
un punto di riferimento obbligato nella costruzione di una antropologia e di
un'etica all'altezza dei problemi posti dalla multiculturalita', va
individuata precisamente nella ricerca di questa misura comune, nell'impegno
instancabile a fondare la possibilita' di "abitare un mondo comune", di
"aprire gli occhi ad uno sguardo che non escluda l'accordo con altri
intelletti umani".
4. MAESTRI. ENRICO PEYRETTI RICORDA BENEDETTO CALATI
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: peyretti@tiscalinet.it) per
averci messo a disposizione questo suo ricordo di Benedetto Calati apparso
sul bel mensile torinese "il foglio" nel n. 276 del dicembre 2000,
all'indomani della morte del grande monaco di Camaldoli. Enrico Peyretti e'
una delle piu' prestigiose figure della cultura della pace; tra le sue
opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989;
Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace,
Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999;
e' diffusa attraverso la rete telematica la sua fondamentale ricerca Difesa
senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente
(riprodotta anche nel n. 390 del nostro notiziario). Benedetto Calati,
monaco, uomo di testimonianza e di pensiero, e' nato a Pulsano (Taranto) nel
1914 ed e' scomparso a Camaldoli (Arezzo) nel 2000. Opere di Benedetto
Calati: Sapienza monastica (Saggi di storia, spiritualita' e problemi
monastici), a cura di Alessandra Cislaghi e Giordano Remondi, Studia
Anselmiana, Roma 1994; Esperienza di Dio, liberta' spirituale (Introduzione
alla Regola di san Benedetto); appendice: Il mio sonno o le mie veglie,
Servitium, Sotto il Monte (Bergamo) 2001; Conoscere il cuore di Dio (Omelie
per l'anno liturgico), Edizioni Dehoniane, Bologna 2001; Il primato
dell'amore (Diciotto anni a servizio dei fratelli); appendice: Benedetto
Calati in dialogo con Thomas Merton, Ed. Camaldoli, Camaldoli (Arezzo) 2001.
Un libro intervista e': Raffaele Luise, La visione di un monaco (Il futuro
della fede e della chiesa nel colloquio con Benedetto Calati), Cittadella,
Assisi 2000; su rivista: Intervista di Alessandra Cislaghi, E' di nuovo
tempo di esilio e di profeti, "Jesus", gennaio 1994. Scritti su Benedetto
Calati: Rossana Rossanda, Un monaco senza indulgenze, "il manifesto", 26
novembre 2000; Raniero La Valle, Benedetto Calati, la solitudine del monaco,
"Esodo" n. 4, ottobre-dicembre 2001; Angelo Bertani, Lo sguardo della
profezia, "Jesus", gennaio 2001; Maria Cristina Bartolomei, Dom Benedetto
Calati. In memoria, in "Appunti di teologia", Venezia, anno XIV, n. 1,
gennaio-marzo 2001; Enrico Peyretti, Benedetto Calati, monaco, "il foglio"
n. 276, dicembre 2000; "Koinonia", n. 1, gennaio 2001; Giordano Remondi (a
cura di), Nello stesso spirito (scritti di Guido Innocenzo Gargano, Lorenzo
Saraceno, Pier Cesare Bori, Emanuele Bargellini, Giordano Remondi, Raniero
La Valle), ed. Camaldoli, Camaldoli (Arezzo) 2001 (il contenuto del libro
corrisponde a quello del fascicolo della rivista "Vita Monastica", anno LV,
n. 218, luglio-settembre 2001); El P. Benedetto Calati, Un monjo benedicti'
italia' fidel al Concili Vatica' II, "Questions de vida cristiana",
Publicacions de l'Abadia de Montserrat, 199-200, Desembre 2000; Luigi
Francesco Ruffato, Benedetto Calati, il profeta di Camaldoli, "Messaggero di
sant'Antonio", n. 4/2002]
Il 21 novembre, alla notizia della sua morte, che da qualche giorno sapevamo
di dover attendere, apro la raccolta dei suoi principali scritti, Sapienza
monastica (Studia Anselmiana, Roma 1994), e da una delle prime pagine mi
viene incontro la sua immagine della maturita': un volto felice, che regala
serenita', e ti guarda negli occhi, con intelligente bonta'.
Era veramente cosi'. Glielo dissi quando festeggiammo i suoi ottant'anni, a
Camaldoli, nell'ottobre del '94: sei un uomo felice, e scaldi il cuore.
Aveva pur avuto da soffrire, e soffriva di molte cose della chiesa, ma era
felice. Accoglieva gli amici con vera festa ed abbracci.
Chi conosce il lavoro di padre Calati vi riconosce uno dei migliori e piu'
profondi contributi al rinnovamento evangelico conciliare, attinto alla piu'
solida tradizione originaria, e alla spiritualita' piu' pura, al di la'
della secolare decadenza del Vangelo caratterizzata dalla potenza
ecclesiastica. L'arcivescovo Pellegrino andava da lui e da lui accoglieva
ispirazioni esemplari, nel comune riferimento all'eta' dei Padri.
Nell'ultima decina d'anni, un gruppo di amici suoi di varia provenienza e
attivita', si ritrovava con lui, a Camaldoli, una o due volte l'anno. Era
una di quella gioie rare e profonde, che la vita amministra con parsimonia.
Le ultime volte, ripresosi da una prima malattia, ci diceva solo poche
parole, seguendo la nostra conversazione, o entrandovi d'impeto. Poche
parole sempre essenziali, succo di vangelo. Ricordo ora per prime alcune sue
parole di congedo: "Ottimismo, ottimismo, ricordatevi l'ottimismo". Diceva
ottimismo, per dire intelligenza evangelica, come la sua.
Altri diranno dei suoi contributi di studio sulla storia e la spiritualita'
monastica, specialmente sul "suo" Gregorio Magno e su cio' che quel grande
dice anche oggi alla chiesa e all'umanita'. Io ricordo dom Benedetto, fino
dalle settimane teologiche della Fuci a Camaldoli, attorno al '60, e a Roma,
a san Gregorio, negli anni del Concilio: parlare con lui, ascoltarlo, era
bere acqua di monte, fresca e sana. Vivace come un fringuello, anche da
vecchio, franco ed aperto nell'esprimersi, era l'opposto del monaco chiuso
sotto cappucci e dentro mura, ma ti portava frutti maturati in silenziosi
chiostri interiori. Erano frutti di liberta' evangelica.
Raffaele Luise ha appena raccolto per la Cittadella una sua lunga
intervista, suo testamento spirituale, La visione di un monaco, su cui
bisognera' ritornare.
I suoi fratelli monaci ci hanno detto che, alla fine, diceva ogni tanto:
"Andiamo in pace". Cosi' e' andato. Un'alta e profonda pace, che egli ora
trasmette a chi gli ha voluto bene.
5. RESISTENZA. E' SCOMPARSA MARISA MUSU
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 5 novembre 2002 riprendiamo questa
notizia. Ci uniamo al cordoglio]
Domenica Marisa Musu ci ha lasciati. Aveva 77 anni. Era nata a Roma il 18
aprile 1925 da una famiglia originaria di Sassari. Giovanissima comincio' il
suo impegno antifascista. a 19 anni entro' nei Gap, con il nome di battaglia
di "Rosa" nella formazione guidata da Franco Calamandrei della quale
facevano parte tra gli altri Carla Capponi, Rosario Bentivegna, Mario
Fiorentini e Lucia Ottobrini. Con loro partecipo' il 23 marzo 1944,
all'azione di via Rasella. Medaglia d'argento al valor militare, dirigente
del Pci ( e oggi orgogliosa militante di Rifondazione), e' stata la prima
presidente del Coordinamento Genitori Democratici e poi del Comitato tv e
minori Frt-Associazioni, l'associazione di categoria delle imprese
radiotelevisive private e 19 associazioni di utenti, insegnanti, genitori e
consumatori che redige il codice deontologico per i minori.
Da sempre ha lavorato per difendere la democrazia nella scuola. Giornalista,
prima a "Paese sera" e poi a "l'Unita'", inviata a Praga nel '68, in
Vietnam, in Mozambico e in Palestina, ha raccontato la sua vita e le sue
passioni in tre libri: La ragazza di via Orazio; Roma ribelle. La Resistenza
nella capitale 1943-1944; e La prima Intifada.
Lettrice ammirata di Gianni Rodari, amava forse piu' di ogni altra cosa i
bambini. Aiutare quelli di Palestina e' stata la sua ultima battaglia.
6. MAESTRE. WANDA TOMMASI: LA CONCLUSIONE DELLE TRE GHINEE DI VIRGINIA WOOLF
[Da Wanda Tommasi, I filosofi e le donne, Tre Lune Edizioni, Mantova 2001,
pp. 226-227. Wanda Tommasi e' docente di storia della filosofia
contemporanea all'Universita' di Verona, fa parte della comunita' filosofica
di "Diotima". Opere di Wanda Tommasi: La natura e la macchina. Hegel
sull'economia e le scienze, Liguori, Napoli 1979; Maurice Blanchot: la
parola errante, Bertani, Verona 1984; Simone Weil: segni, idoli e simboli,
Franco Angeli, Milano 1993; Simone Weil. Esperienza religiosa, esperienza
femminile, Liguori, Napoli 1997; I filosofi e le donne, Tre Lune, Mantova
2001. Virginia Woolf e' una delle piu' grandi scrittrici del Novecento,
nacque a Londra nel 1882, promotrice di esperienze culturali ed editoriali
di grande rilievo, oltre alle sue opere letterarie scrisse saggi di cui
alcuni fondamentali per una cultura della pace. Mori' suicida nel 1941.
Opere di Virginia Woolf: le sue opere sono state tradotte da vari editori,
un'edizione di Tutti i romanzi (in due volumi, comprendenti La crociera,
Notte e giorno, La camera di Jacob, La signora Dalloway, Gita al faro,
Orlando, Le onde, Gli anni, Tra un atto e l'altro) e' stata recentemente
pubblicata in una collana ultraeconomica dalla Newton Compton di Roma. Tra i
saggi due sono particolarmente importanti per una cultura della pace: Una
stanza tutta per se', Newton Compton, Roma 1993; Le tre ghinee, Feltrinelli,
Milano 1987. Opere su Virginia Woolf: Quentin Bell, Virginia Woolf,
Garzanti, Milano 1974, 1994; Mirella Manconi Billi, Virginia Woolf, La Nuova
Italia, Firenze 1975; Paola Zaccaria, Virginia Woolf, Dedalo, Bari 1980 (ma
molti altri testi sarebbero da citare)]
La terza ghinea, l'ultima, viene destinata all'associazione pacifista che
aveva chiesto il contributo e l'adesione; ma con la precisazione che "il
modo migliore per aiutarvi a prevenire la guerra non e' di ripetere le
vostre parole e seguire i vostri metodi, ma di trovare nuove parole e
inventare nuovi metodi. Non e' di entrare nella vostra associazione, ma di
rimanere fuori pur condividendone il fine". Le donne, pur offrendo la loro
solidarieta', non possono iscriversi alle associazioni degli uomini: viene
sottolineato il valore di una politica della differenza femminile e la sua
estraneita' rispetto ai metodi proposti dagli uomini.
Virginia Woolf parla di una Societa' delle Estranee, nella quale e'
sintetizzato il significato della differenza femminile, nel suo venire prima
di qualsiasi condivisione di fini e metodi di impronta maschile: "La
Societa' delle Estranee persegue i vostri stessi fini: la liberta',
l'uguaglianza, la pace; ma (...) cerca di raggiungerli con i mezzi che un
sesso diverso, una tradizione diversa, un'educazione diversa e i diversi
valori che derivano da tutte queste diversita' hanno messo a nostra
disposizione". Le donne non useranno "leghe, convegni, campagne, grossi
nomi", cioe' non faranno ricorso alle misure che la ricchezza e il potere
politico mettono a disposizione degli uomini; esse "faranno degli
esperimenti non con strumenti pubblici in pubblico, ma con strumenti privati
in privato. E i nostri esperimenti non saranno soltanto critici, ma
creativi".
Il libro si chiude con la questione dei diritti delle donne; l'autrice
propone di andare oltre il femminismo in quanto legato alla rivendicazione
dei diritti, per aprire, nella lotta al fascismo e alla guerra, tutt'altra
prospettiva: quella di una critica, a partire dalla differenza femminile,
della politica maschile, con le sue radici di competizione, di violenza e di
narcisismo. Con Virginia Woolf, si chiude l'orizzonte della rivendicazione
dei diritti delle donne, e si apre quello di una lotta al pensiero maschile
nella sua pretesa di essere il pensiero unico e universale: il pensiero
della differenza, ai suoi inizi, non poteva trovare una formulazione piu'
netta e piu' risoluta.
7. POESIA E VERITA'. VIVIAN LAMARQUE: LA LUNA DI QUALCUNO
[Questa poesia abbiamo tratto da Vivian Lamarque, Poesie 1972-2002,
Mondadori, Milano 2002, p. 231. Vivian Lamarque e' nata a Tesero (Trento)
nel 1946, ha scritto versi, fiabe, traduzioni, ed ha molto insegnato e
ascoltato]
Oh essere anche noi la luna di qualcuno!
Noi che guardiamo
essere guardati, luccicare
sembrare da lontano
la candida luna che non siamo.
8. RIVISTE. IN USCITA IL N. 41 DI "GIANO"
[Riceviamo e diffondiamo l'indice del n. 41 della rivista "Giano" diretta da
Luigi Cortesi]
- Editoriale, L'ideologia texana, la guerra all'Iraq e la distruzione della
politica;
- Claudio Del Bello, Il nuovo assolutismo americano e la fine della
politica;
- Angelo Baracca, Il "mestiere delle armi" e la prossima guerra all'Iraq;
- Fabio Alberti, Sull'incipiente ripresa irachena si abbatte il maglio
americano;
- Nico Perrone, Democrazia e petrolio;
Vincenzo Strika, Israele-Palestina: gli scenari possibili;
- Cronologia del conflitto arabo-israeliano, a cura di Francesco Soverina;
- Antonietta Vurchio, Sionismo;
- Giorgio Nebbia, I mali dei poveri e i mali della Terra;
- Giulietto Chiesa, Marcello Villari, Dopo Johannesburg: l'umanita' a un
bivio;
- Luigi Cortesi, Endzeit e Zeitenende. Guerra e rischio finale in eta'
atomica;
- Luigi Biondi, Il Brasile alla prova delle elezioni presidenziali. La
sinistra e le sue chanches di governo;
- Patrizia Zanelli, Globalizzazione e unipolarismo Usa nella prospettiva
araba;
- Mario Ronchi, "Fondamentalismo bianco" e diritto alla cittadinanza;
- Fabio Gentile, Tra storia e politica. Una rassegna critica;
- Roberto Esposito, Totalitarismo e totalitarismi;
- Andrea Panaccione, Totalitarismo e ricerca storica;
- Luigi Cortesi, Il monolito opaco e le fessure critiche;
- Domenico Di Fiore, Epifanie imperiali postmoderne;
- Anna Sabatini Scalmati, Extracomunitari e rifugiati politici: dramma
culturale e traumi psichici;
- nella sezione delle recensioni: Francesco Germinario, Razza del sangue,
razza dello spirito. Julius Evola, l'antisemitismo e il nazionalsocialismo
(M. Nani); Mario Colucci - Pierangelo Di Vittorio, Franco Basaglia (N.
Comar);
- nella sezione delle segnalazioni note a cura di Luigi Cortesi, Miriam
Lanciano, Enrico Maria Massucci, Comunardo Pacifici, Luigi Parente, Michele
Paolini, Maria Antonietta Selvaggio, Silvio Silvestri.
"Giano. Pace ambiente problemi globali", rivista quadrimestrale
interdisciplinare, via Fregene 10, 00183 Roma, tel. e fax 0670491513,
e-mail: redazionegiano@libero.it, sito: www.odradek.it/giano
9. LETTURE. AA. VV.: ISLAM E OCCIDENTE
AA. VV., Islam e occidente, Laterza, Roma-Bari 2002, pp. VIII + 128, euro
9,50. Quattro intellettuali europei (Michel Camdessus, Jean Daniel, Umberto
Eco, Andrea Riccardi) svolgono alcune "riflessioni per la convivenza".
10. LETTURE. GIORGIO GALLI: LA GUERRA GLOBALE
Giorgio Galli, La guerra globale, Laterza, Roma-Bari 2002, pp. VI + 122,
euro 9,50. Il noto docente di storia delle dottrine politiche svolge in
questo agile libro "una riflessione originale sul nostro presente e sulla
sua complessita'".
11. RILETTURE. ANNAMARIA NOVELLO, TIZIANA NEGRI: DONNA IN NICARAGUA
Annamaria Novello, Tiziana Negri, Donna in Nicaragua, Edizioni Gruppo Abele,
Torino 1985, pp. 160. Una testimonianza dal Nicaragua di due decenni fa, che
sarebbe opportuno far conoscere alla generazione nuova.
12. RILETTURE. CLOTILDE PONTECORVO (A CURA DI): LA CONDIVISIONE DELLA
CONOSCENZA
Clotilde Pontecorvo (a cura di), La condivisione della conoscenza, La Nuova
Italia, Scadicci (Firenze) 1993, pp. VIII + 502, lire 46.000. Una
riflessione a piu' voci particolarmente utile per educatori ed operatori
sociali sui processi e il contesto sociale "come fattore essenziale nello
sviluppo e nell'acquisizione di conoscenza, assumendo che il soggetto,
bambino e adulto, e' sempre partecipante ad attivita' condivise,
culturalmente mediate".
13. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.
14. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it
Numero 407 del 6 novembre 2002