[Date Prev][Date Next][Thread Prev][Thread Next][Date Index][Thread Index]

Vauro intervista Gino Strada



Fonte: Il Manifesto - 30 ottobre 2002

Io, pacifista alla Gino Strada

Interventista umanitario da prima linea o prossimo leader politico 
girotondista-cofferatiano? «Solo un chirurgo che intende continuare a 
farlo», risponde il fondatore di Emergency. «Ma non c'è alcuna legge 
che impedisca di pensare e di esprimere opinioni»

VAURO

Raggiungiamo Gino Strada ad Islamabad. In quest'ultimo periodo si 
sono fatte da più parti molte polemiche sul suo nome e su Emergency, 
molte sono le illazioni riguardo a un suo diretto impegno in politica 
a fianco di questa o quella formazione o addirittura come promotore 
di un nuovo schieramento.

Allora Gino, sto intervistando un chirurgo, uno dei fondatori di una 
organizzazione umanitaria, oppure il leader politico di un nuovo 
schieramento?

Non scherziamo, io faccio il chirurgo, e intendo continuare a farlo. 
D'altra parte non c'è alcuna legge, almeno per ora, che impedisca a 
un medico di pensare, e di esprimere le proprie opinioni, anche 
riguardo a questioni fondamentali come la pace e la guerra. Faccio 
questo mestiere da quindici anni, e mi sono trovato ad operare a più 
riprese in almeno dieci conflitti: ho visto la stessa cosa ovunque, 
il massacro dei civili a causa di guerre dichiarate per ragioni 
diverse. Le opinioni che noi di Emergency abbiamo sulla guerra 
nascono dall'aver conosciuto le sue vittime, dal vederle ogni giorno 
nei nostri ospedali, dal vivere la guerra da vicino. Chi giustifica 
la guerra, chi esalta le «belle cose» prodotte dalla guerra mente 
spudoratamente.

Un esempio?

Prendiamo la guerra in Afghanistan. «Adesso le donne sono libere 
dalla schiavitù del burqa» ha sentenziato qualcuno. E' per questo che 
è stata fatta la guerra? Si bombarda un Paese perché il burqa diventi 
una libera scelta anziché un obbligo o una tradizione? In ogni caso, 
ti assicuro che molte più donne sono state ferite o uccise dalle 
bombe americane in Afganistan, di quante si siano tolte il burqa dopo 
l'arrivo dei marines, semplicemente perché il 99 percento delle donne 
afgane pensa che quella del burqa sia una ossessione occidentale. 
«Adesso, almeno, le bambine possono studiare» pontificano molti che 
in Afganistan non hanno mai messo piede. L'istruzione femminile è un 
problema che non nasce con l'11 settembre, né con i talebani. 
Emergency sta costruendo scuole femminili in alcune zone rurali dove 
le bambine non sono mai andate a scuola, e ancora oggi non tutti i 
genitori sono d'accordo che ci vadano. Che cosa si dovrebbe fare, 
mandare altri B-52 per convincerli? Qualcuno non crede che sia così? 
Prenda un aereo e venga a vedere: possiamo anche fornirgli supporto 
logistico e ospitalità.

Credo che le illazioni sul fatto che Emergency sia una organizzazione 
politica siano iniziate all'indomani della vostra scelta di rifiutare 
«il denaro della guerra» cioè i finanziamenti del governo che aveva 
deciso, forte di una larga e trasversale maggioranza parlamentare, la 
partecipazione italiana alla guerra in Afghanistan. In effetti non si 
può dire che quel rifiuto non fosse una scelta politica. O sbaglio?

Direi piuttosto che é stata una scelta etica. Emergency non accetta 
di fare il «reparto cosmesi» della guerra, non accetta il danaro 
offerto con una mano sinistra da chi spara con l'altra. Per gli 
stessi motivi, rifiuteremmo i soldi della Fiat per curare le vittime 
delle mine antiuomo da loro prodotte, o quelli della Nestlé per 
curare i neonati che rischiano di morire per il suo latte in polvere. 
Se può tranquillizzare qualcuno, vorrei aggiungere anche che 
Emergency ha mantenuto la stessa posizione nel caso della guerra in 
Kosovo, rifiutandosi di partecipare al banchetto della famosa 
Missione Arcobaleno.

Va bene, però c'è chi dice che quelli che voi avete rifiutato erano 
soldi dei contribuenti, non del governo...

So che su questo problema ci sono opinioni diverse. L'Afghanistan è 
pieno di organizzazioni pronte ad accettare i soldi della guerra: se 
ne sono andate dopo l'11 settembre, per rientrare qualche mese dopo 
nella «Kabul liberata», e molte altre sono arrivate per la prima 
volta nel paese solo dopo i marines. E' un loro problema, noi abbiamo 
la nostra etica, e abbiamo il diritto di averla. Peraltro, crediamo 
sia largamente condivisa, visto il crescente sostegno, anche 
economico, ad Emergency. Inoltre, non si può dimenticare che sono 
nostri anche i soldi per fare partecipare i nostri alpini a Enduring 
Freedom, che potrebbe trasformarsi in una operazione di caccia 
all'uomo. Anche i soldi per le operazioni belliche che uccidono 
esseri umani sono danaro dei contribuenti: questo li rende forse 
puliti?

Emergency è stata praticamente l'unica organizzazione sanitaria 
presente in Afghanistan durante la guerra, e questo ha indubbiamente 
favorito la sua visibilità. Non credi che il grande consenso che è 
cresciuto e sta crescendo intorno alla vostra sigla sia anche 
determinato dalle posizioni di denuncia contro la guerra che avete 
preso e che quindi lo si possa considerare un consenso «politico»?

E' probabile, se si restituisce alla parola «politica» il suo 
significato originario di ricerca di principi e regole del nostro 
stare insieme collettivo. E non mi sorprende: la grande maggioranza 
degli italiani è contraria alla guerra. Questo non vuol dire che 
Emergency sia una organizzazione schierata con qualche partito o 
coalizione. Abbiamo sempre denunciato la guerra come una barbarie, 
sia quando è stata voluta da governi di centro-sinistra sia quando a 
proporla sono stati governi di centro-destra.

Non ha forse un valore politico la campagna «Fuori l'Italia dalla 
guerra» che avete lanciato con un appello via Internet sul quale 
avete già raccolto 300mila firme? Se sì, quale?

In Italia, anche se molti sembrano averlo scordato, esiste una 
Costituzione, è stata scritta con l'idea di garantire un mondo più 
giusto alle generazioni future. L'articolo 11 inizia con «L'Italia 
ripudia la guerra». È tra i «princìpi fondamentali». Che cosa vuol 
dire? Semplicemente che la pace è un bene che ci appartiene in quanto 
comunità, è un valore di tutti e di ciascuno di noi. E questo va 
rispettato. Quando siamo andati a votare, nessuna coalizione o 
partito hanno detto di essere pronti a toglierci il bene della pace: 
comunque ciascuno di noi abbia votato, questo non era in gioco. E 
invece, in poco più di un decennio, il nostro paese è stato portato 
in guerra per ben tre volte, da governi di colore politico diverso. 
Noi vogliamo che sulla questione fondamentale della guerra siano 
consultati i cittadini, perché non siamo pronti a farci togliere da 
nessuno il bene della pace. Non si tratta solo, anche se la cosa è 
estremamente importante, di non renderci corresponsabili di nuovi 
lutti e di nuovi crimini. Bisogna anche capire che o si riesce a 
tenere l'Italia fuori dalla guerra, o non si riuscirà a tenere la 
guerra fuori dall'Italia. E i cittadini italiani questo non lo 
vogliono, ne siamo assolutamente certi. Per questo è nata la campagna 
«Fuori l'Italia dalla guerra», promossa, oltre che da Emergency, da 
Libera, da Rete Lilliput e dalla Tavola della Pace. Come vedi, un 
grande schieramento di realtà con culture diverse: vi sono laici e 
cattolici, senza connotazioni "di partito". L'appello su Internet é 
stato firmato da molti che non avevano mai firmato alcun appello 
prima di questo. Perché? Per l'importanza della posta in gioco. C'è 
chi ha detto che «la guerra é una cosa troppo seria per lasciarla in 
mano ai militari». Crediamo che la pace sia una cosa troppo 
importante per lasciarla in mano ai politici. Bisogna sentire 
l'opinione dei cittadini, e rispettarla.

Nella conferenza stampa al Campidoglio che annunciava questa campagna 
insieme a te ed ad altri esponenti del mondo umanitario, del 
volontariato e della cultura, da padre Zanotelli a don Ciotti, a 
Terzani, c'era anche Sergio Cofferati che scelse proprio quella sede 
per la sua prima apparizione pubblica dopo avere lasciato la 
segreteria della Cgil. Molti hanno voluto vedere, nella presenza di 
chi viene considerato come un prossimo possibile leader della 
sinistra, una conferma del delinearsi di una nuova organizzazione 
politica. Che rapporto c'è tra Cofferati ed Emergency?

La carta stampata, di questi tempi, non mi sembra lo specchio della 
verità. Hanno scritto che io avrei proposto a Cofferati la 
vicepresidenza di Emergency - un modo di procedere tipico di una 
certa politica che non ci appartiene per nulla . Poi hanno dato lo 
«scoop» del rifiuto da parte di Cofferati, precisando però che siamo 
rimasti amici. C' è a chi piace lavorare di fantasia, a meno che non 
abbia altre finalità. Pazienza. Emergency non é un partito, né una 
setta: Sergio condivide questa battaglia per la pace e la porta 
avanti insieme con noi e con tanti altri. Mi fa molto piacere, perché 
gli sono amico e lo stimo molto, per la sua attenzione all'etica e ai 
diritti.

Molti giornalisti, dalla Mafai a Pirani, da Sofri a Sartori, fino ad 
Ostellino si impegnano a fondo ad argomentare la tesi che il 
pacifismo è rispettabile (a volte) sul piano morale, ma che non ha 
nessun valore sul piano politico. Anzi, sostengono, può addirittura 
essere complice del terrorismo. Non esitano ad accusarti di 
strabordare dal tuo ruolo di chirurgo di una organizzazione 
umanitaria. Stai strabordando?

C'è chi ritiene l'etica separabile dalla politica, e non mi sorprende 
visto che é proprio quello che sta succedendo, e in misura sempre 
crescente. Ci sono migliaia di bambini iracheni ammalati di tumori e 
leucemie, molti di più di quanti sarebbe prevedibile in base a 
considerazioni epidemiologiche, perché il loro territorio é stato 
bombardato a lungo con armi inquinanti. E' un fatto, una tragedia 
facilmente verificabile, non una speculazione ideologica. Basterebbe, 
anche in questo caso come per l'Afganistan, prendere un aereo e 
andare a visitare qualche ospedale di Baghdad o di Bassora. Che cosa 
diciamo a quei bambini, e ai loro genitori? Che non è per ragioni 
etiche che neghiamo loro la possibilità di essere curati? Dovremmo 
spiegare loro - secondo molti "opinionisti" e politici - che se i 
farmaci non gli possono arrivare è per ragioni politiche, cioè per 
l'embargo imposto da più di un decennio. Tutto a posto? E se fossero 
i figli degli opinionisti a morire perché qualcuno non consente 
l'arrivo delle medicine, che articoli di fuoco scriverebbero sui loro 
giornali? E se qualcuno, sulla porta di casa di qualche politico, 
impedisse di far entrare morfina per lenire il dolore delle loro 
madri morenti di cancro? Non ho dubbi, accuserebbero immediatamente 
quel 'qualcuno' di essere un criminale e un terrorista. I risultati 
della politica separata dall'etica sono questi, sotto i nostri occhi, 
se vogliamo tenerli aperti: un mare di ingiustizie e di atrocità che 
attraversano il pianeta, al solo fine di far guadagnare miliardi (di 
dollari e di euro) a qualche migliaio di persone. Il pacifismo 
complice del terrorismo? Smettiamola con queste stupide provocazioni. 
Il terrorismo - l'uso sistematico della violenza su popolazioni 
inermi - non é altro che la forma moderna della guerra, delle guerre 
degli ultimi decenni, ed é stato praticato su larga scala. Non solo a 
New York. E non solo da individui o gruppi armati. E' stato ed é 
praticato anche, anzi principalmente, da stati. Chi ne é stato 
complice? i missionari comboniani o le multinazionali del petrolio? 
le industrie belliche o i frati francescani? Nei decenni scorsi, non 
sono stati i movimenti per la pace a far andare al potere le decine 
di dittatori che hanno massacrato popolazioni in Africa e in Asia e 
in America latina. E Hitler? E' tornato di moda citarlo: chi l'ha 
aiutato a salire al potere? Pacifisti non meglio identificati oppure 
gli Junker feudali, i magnati dei grandi trust industriali tedeschi e 
la casta militare del Kaiser? Ci si riferisce alla capitolazione 
anglo-francese a Monaco che acconsentì alla invasione della 
Cecoslovacchia? Si vuol far passare don Ciotti per Daladier, e padre 
Zanotelli per Chamberlain. Quanto siano strumentali queste accuse, lo 
si capisce ponendoci una semplice domanda: quali sono le analogie con 
la situazione attuale? Si critica chi vuole che l'Italia non 
partecipi ad una aggressione contro l'Iraq, rievocando la guerra al 
nazifascismo. E chi sarebbe, oggi, l'uomo forte che vuole conquistare 
il mondo? Già, proviamo a chiederlo ai cittadini del mondo: "Chi 
pensate si consideri al di sopra della legge? Chi secondo voi 
teorizza il diritto a bombardare chiunque altro per proteggere i 
propri interessi nazionali?" Un bel sondaggio nel pianeta, i 
risultati sarebbero davvero interessanti...

Politici assertori della necessità di «guerre umanitarie» come quella 
in Kosovo (D'Alema) o pronti a combattere quella in Iraq se l'Onu da 
il proprio consenso (Fassino) ribadiscono l'importanza di distinguere 
tra ragioni morali e politiche, optando - ovviamente «con sofferenza» 
- per le seconde. Ti considerano un moralistica utopico ma poi ti 
trattano da avversario politico, arrivando a coniare definizioni 
dispregiative come «pacifismo alla Gino Strada» (ancora Fassino). Non 
ti sembra una contraddizione? Come te la spieghi?

Non so se ci sia contraddizione, e mi interessa poco. "Si decise - 
scrive D'Alema nel suo libro Kosovo - di continuare con l'azione 
aerea integrata dall'intervento umanitario" Il problema è in buona 
parte qui. C'è chi pensa che i bombardamenti possano andare a 
braccetto con gli aiuti umanitari, che addirittura possano 
integrarsi. Per Emergency, organizzazione laica, questa è una 
bestemmia. Non vogliamo aver nulla a che fare con chi bombarda, né 
siamo disposti a lavare loro la coscienza partecipando ai loro 
"interventi umanitari". Per quanto riguarda l'Onu, vorrei solo dire 
che le Nazioni unite nascono con l'obiettivo primario di mantenere la 
pace mondiale. Più di trenta conflitti insanguinano oggi il pianeta. 
Macellai e dittatori, e dittatori trasformatisi in presidenti, e 
presidenti macellai massacrano con i loro eserciti milioni di esseri 
umani ogni anno. Almeno tre quarti delle loro armi provengono dai 
cinque paesi membri permanenti del consiglio di sicurezza dell'Onu, 
Stati Uniti, Cina, Russia, Francia e Gran Bretagna. Sono davvero 
neutrali, super partes, credibili nel promuovere la pace?

Il percorso della pace deve essere intrapreso anche con le gambe 
della politica? Di quale politica?

La pace si può costruire, la si può praticare. Per esempio 
promuovendo la giustizia. E' giusto un mondo dove il 20 percento 
degli uomini possiede e consuma l'83 percento delle risorse di tutti? 
Incominciamo a leggere (per molti politici sarebbe la prima volta) la 
Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948. Diritti, 
prinicipi, valori sottoscritti e poi gettati nell'immondizia. 
Chiediamoci come praticarli, come tradurli in "politica". Finché non 
sarà vero che "Tutti gli uomini nascono liberi e eguali in dignità e 
diritti..", finché individui e comunità non agiranno "gli uni verso 
gli altri in spirito di fratellanza", come proclama il primo articolo 
della Dichiarazione, continueremo a vivere in un mondo pieno di 
guerre, e ci sarà spazio per chi, con l'arroganza tipica del più 
ricco e del più forte, e servendosi della "libera" informazione, 
continuerà a chiamare pace le bombe, a chiamare giustizia Guantanamo, 
a chiamare "vittime del fuoco amico" o semplici effetti collaterali i 
bambini afgani bombardati durante un matrimonio. A proposito, secondo 
uno studio sulla libertà di stampa nei vari Paesi condotto da 
Reporters Without Borders e ripreso dall'Economist, l'Italia figura 
al quarantesimo posto, appena sopra il Mali. Sono utopie i diritti 
dell'uomo esposti nella Dichiarazione universale? Assolutamente no, 
se ci si impegna a trasformarli in progetti, e nel nostro Paese sono 
in molti a volerlo fare.