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A Terni, per il popolo palestinese
Ai mezzi d'informazione
Inviamo la relazione tenuta dal responsabile del "Centro di ricerca per la
pace" di Viterbo, Peppe Sini, all'iniziativa di solidarieta' con il popolo
palestinese svoltasi a Terni il 25 ottobre 2002.
Centro di ricerca per la pace
strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo
tel. 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Viterbo, 27 ottobre 2002
* * *
PEPPE SINI:
UN DISCORSO A TERNI PER LA LIBERTA' E I DIRITTI DEL POPOLO PALESTINESE
[Il 25 ottobre si e' svolta aTerni in largo Villa Glori una iniziativa
pubblica sul tema "Liberta' e diritti per il popolo palestinese", promossa
dal Terni Social Forum. Ad essa sono intervenuti come relatori Bassam Saleh,
portavoce della comunita' palestinese di Roma, e Peppe Sini, responsabile
del Centro di ricerca per la pace di Viterbo; riportiamo una sintesi della
relazione svolta da quest'ultimo]
1. Tra i maestri che ho avuto due mi sono assai cari, defunti ormai da anni;
si chiamavano - si chiamano, poiche' la memoria non muore - Primo Levi e
Vittorio Emanuele Giuntella. Entrambi erano superstiti dei lager nazisti.
Primo Levi credo sia il piu' grande testimone della dignita' umana; e forse
grazie a lui piu' che a ogni altro noi serbiamo memoria dell'orrore di
Auschwitz; da lui piu' che da ogni altro abbiamo ereditato la consegna di
impedire che Auschwitz ritorni. Non possiamo dimenticare.
Vittorio Emanuele Giuntella fu uno degli ufficiali italiani nei Balcani che
dopo l'8 settembre 1943 dovettero scegliere tra continuare la guerra al
servizio dei nazisti, o il lager. Scelse il lager, scelse quella che
Alessandro Natta ha chiamato "l'altra Resistenza", la Resistenza dimenticata
ma non meno eroica di migliaia e migliaia di soldati italiani che dissero di
no a Hitler e Mussolini, e subirono il lager: migliaia e migliaia di uomini
spesso molto giovani che posti per la prima volta in vita loro di fronte a
una concreta e cogente possibilita' di scelta tra diventare complici dei
carnefici ed avere garantita la vita, o essere fedeli all'umanita' e subire
ogni sorta di angherie ed essere esposti alla morte, seppero fare la scelta
giusta, la scelta metuenda e sublime di donare interamente se stessi alla
causa dell'umanita'. Non possiamo dimenticare.
2. Ho fatto questa premessa per due motivi:
a) il primo: la Shoah, e a monte di essa e intorno ad essa la bimillenaria
bestiale persecuzione antiebraica, e' per me, per la mia esistenza, nel mio
vissuto di essere umano, un nodo storico e morale ed esistenziale decisivo:
non tradiro' mai i miei maestri vittime del lager.
b) Il secondo: Primo Levi e' anche l'uomo, il giusto, il saggio, che nel
1982 levo' la sua voce che risuono' in tutto il mondo come la voce stessa
dell'umanita' contro i rsponsabili e i complici dei massacri di Sabra e
Chatila, e tra essi c'era anche Ariel Sharon. Ed e' nel ricordo e nel nome
di Primo Levi e delle sue parole che qui io oggi ripeto: "Sharon deve
dimettersi".
3. E un altro ricordo mi affiora alla mente: molti anni fa come molti altri
adottai a distanza un bambino palestinese. Non so se e' ancora vivo, oggi
sarebbe un uomo. Vorrei che almeno lui, Muatez, possa vedere quel giorno che
tarda tanto a venire, in cui due popoli in due stati possano vivere da
vicini in fraternita'.
4. Ma perche' questo accada, e mentre la tragedia e' in corso, occorre, io
credo, un agire consapevole per la giustizia e quindi la pace e quindi la
riconciliazione; un agire che per essere consapevole, di questa tragedia, di
questo conflitto, deve cercare e cogliere le radici, le piu' profonde
radici, e queste radici stanno qui, in Europa.
Siamo noi europei i responsabili di cio' che accade cola' dal '48; e quindi
prima di fare la predica agli altri, facciamo un esame di coscienza a noi
stessi.
In due forme l'Europa e' responsabile:
a) per il colonialismo: lungo cinque secoli, e che continua tuttora;
rapporto Nord/Sud e' un eufemismo che occulta e insieme dice questa rapina
che da cinque secoli le elites del quinto piu' ricco dell'umanita' compiono
ai danni dei quattro quinti dell'umanita' impoveriti perche' rapinati.
b) per il razzismo: che oggi raggiunge forme parossistiche e nuovamente
atrocemente invade fino le legislazioni; e nell'alveo del pregiudizio e
della persecuzione razzista quella sua manifestazione la piu' prolungata e
feroce, la persecuzione antiebraica: persecuzione compiuta dai romani prima
con l'invasione, la distruzione del tempio, la deportazione, il
disconoscimento di dignita'; dalle chiese cristiane poi, con una crudelta'
superiore a quella stessa dei romani; al delirante razzismo scientista delle
epoche illuminista e romantica; fino al culmine dei pogrom come arma
politica e tecnica amministrativa stragista, fino all'orrore assoluto della
Shoah. L'antisemitismo che e' ancora cosi' diffuso, pervasivo e virulento in
Europa e nel nostro paese, l'antisemitismo che contamina oscenamente anche
tante persone che pure si credono sinceramente democratiche ed antifasciste.
Come possiamo, noi che sappiamo questo, non capire le forti autentiche
ragioni della maggioranza della popolazione di Israele e dell'ebraismo della
diaspora nella difesa di Israele come ultimo, estremo rifugio per le vittime
di duemila anni di persecuzione, per i sopravvissuti dei campi di sterminio
e i loro figli?
La nostra sodarieta' con il popolo palestinese, ed affinche' cessi la
persecuzione, l'occupazione, l'iniquita' mostruosa che esso subisce, e'
anche la nostra solidarieta' con la popolazione di Israele e con entrambe le
diaspore: affinche' mai piu' alcun essere umano debba temere la persecuzione
e la morte; affinche' mai piu' colonialismo e razzismo terrorizzino,
opprimano, massacrino, neghino il diritto stesso ad esistere ad alcuna
cultura e ad alcun essere umano.
5. Solo recuperando la memoria di tutte le vittime si puo' operare per una
strategia nonviolenta di liberazione, per un'azione di pace che costruisca
riconoscimento di diritti e convivenza.
6. Ma il conflitto israelo-palestinese va contestualizzato non solo lungo
l'asse del tempo ma anche nel campo spaziale, ovvero - come si usa dire
oggi - geopolitico. Rispetto al paradigma interpretativo consueto e consunto
che vede solo un conflitto tra due soggetti peraltro assimmetrici, uno stato
occupante e una popolazione disperata; o all'altro paradigma anch'esso
consueto e consunto che vede solo un conflitto tra un popolo perseguitato
per millenni e circondato da stati dittatoriali ostilissimi; credo occorra
un modello ermeneutico piu' complesso rispetto agli approcci banalizzanti e
disutili che in quanto si prestano alla propaganda piu' irriflessa divengono
complici degli errori ed orrori ideologici e pratici che ne conseguono.
Da tempo propongo un approccio per cosi' dire "a scatole cinesi": quel
conflitto - che pure ha le sue assolute peculiarita' - intendendo come
spicchio (ma per molti versi olografico) del conflitto regionale, che a sua
volta e' spicchio e specchio del conflitto nord/sud, luogo di precipitazione
di cruciali nodi economici, strategici, politici: ovvero del sistema di
dominazione di quella che oggi si usa chiamare globalizzazione neoliberista
ma che in termini di modellistica economica dovremmo chiamare espansione su
scala quasi planetaria del modo di produzione capitalistico nelle forme
tipiche dello stadio neoimperialistico - ma mi rendo ben conto che anche
questi termini perdono molto della loro capacita' euristica se intesi come
etichette ideologiche invece che come indicazioni metodologiche per la
riflessione, la ricerca, l'analisi (ed ovviamente per l'azione contro
l'ingiustizia e in difesa ed a promozione dell'umanita', ovvero del
riconoscimento di tutti i diritti umani per tutti gli esseri umani).
7. Ed anche la memoria delle vittime ha le sue dialettiche (Tzvetan Todorov
ha scritto delle pagine indimenticabili ed imprescindibili su questo
cruciale argomento), ed occorre quindi avere memoria delle vittime nella
prospettiva della liberazione e della riconciliazione (penso all'esperienza
dalla Commissione per la verita' e la riconciliazione in Sudafrica,
un'esperienza non solo morale e politica, ma giuridica e giuriscostituente
che porta la nonviolenza al cuore dell'organizzazione delle istituzioni,
dello stato, della societa' e della cultura, proprio a partire dal recupero
della memoria e dal riconoscimento della verita' e dei crimini subiti e
commessi); la memoria quindi che salva e che libera e che riconcilia, che
fonda convivenza; non quella dell'infinitizzazione degli odi e delle faide,
del disprezzo e del rancore gentilizio e razzista, degli egoismi di massa e
delle abominevoli "pulizie etniche".
8. E allora una strategia di solidarieta' e di liberazione che tenga conto
di cio' io credo debba avere due caratteristiche, o - se si preferisce -
debba muovere da due persuasioni (come tali indimostrabili):
a) che l'indipendenza dei popoli oppressi o sara' socialista, democratica e
libertaria o non sara'; intendendo con il decisivo aggettivo "socialista"
purtroppo cosi' abusato e deturpato nel corso del Novecento l'impegno ad una
organizzazione sociale che sia intesa al fine della giustizia e della
solidarieta', che non permetta la riproduzione sotto mentite spoglie della
dominazione oppressiva dei pochi sui piu', ma tutti chiami a cooperare per
il comune benessere: la storia delle decolonizzazioni del XX secolo ci
rivela come il non essere riusciti a dotare i paesi di nuova indipendenza di
autentiche caratteristiche socialiste, democratiche e libertarie abbia
provocato la degenerazione delle esperienze di liberazione e il permanere o
il riaffermarsi di forme di dominazione ferocissime e sostanzialmente
neocoloniali;
b) che la strategia e la prassi della lotta di liberazione dei popoli
oppressi o sara' tendenzialmente sempre piu' e sempre piu' unicamente
nonviolenta, o quella liberazione non sara'; intendendo con questo aggettivo
la scelta intellettuale e morale della lotta piu' nitida ed intransigente
contro l'ingiustizia e l'oppressione, la lotta che della violenza della
dominazione tutto ripudia e rigetta, nei fatti e nei metodi; la scelta che
caratterizzo' la grandissima parte delle esperienze storiche di Resistenza e
di liberazione da quando l'umanita' e' in lotta per il diritto a vivere e
la dignita'. Di contro ad una storiografia sempre "dalla parte dei
vincitori" ed affascinata e fin ipnotizzata dalla violenza, occorre
affermare che le lotte piu' grandi e le piu' grandi conquiste di liberta',
di diritto, di solidarieta', hanno avuto precipue e decisive caratteristiche
nonviolente; e che anche quel grandioso fenomeno di cui tutti noi siamo
figli riconoscenti che e' la Resistenza vittoriosa dei popoli contro il
nazifascismo e' stata nella sua massima parte una esperienza di lotta
nonviolenta, come testimoniano le memorie e le analisi di moltissimi eroici
protagonisti dell'antifascismo e della stessa lotta partigiana.
9. Perche' questa e' la mia convinzione: che la nostra solidarieta' con il
popolo palestinese oppresso deve essere concreta e nonviolenta, rigorosa ed
esigente, esigente nei cofnronti di noi stessi e degli altri; e che in
quanto questa solidarieta' svolgiamo, dobbiamo chiedere a chi lotta per il
diritto ad esistere di voler vivere, di non darsi alla morte, e di
accostarsi sempre di piu' alla nonviolenza. Come ci hanno insegnato nel loro
estremo agire e nelle loro ultime parole i condannati a morte della
Resistenza al nazifascismo; come ci ha insegnato Gandhi; come ci ha
insegnato Nelson Mandela; come ci ha insegnato il movimento delle donne, la
piu' grande esperienza storica di lotta nonviolenta, la lotta che ha
promosso il piu' grande cambiamento positivo della storia, una lotta nel
corso della quale le protagoniste di essa non hanno mai ucciso una sola
persona.
10. Questa scelta implica altresi' il il rifiuto della menzogna e di ogni
atteggiamento totalitario. Implica il rifiuto di ogni ideologia sacrificale.
Implica la scelta di quel principio che e' alla base di tutte le grandi
tradizioni di pensiero religiose e laiche: non uccidere.
Implica la solidarieta' piena con tutte le vittime (ha scritto una volta - e
per sempre - Heinrich Boell che "ogni vittima ha il volto di Abele").
Implica la condanna di ogni terrorismo: di stato, di gruppo e individuale.
Implica l'affermazione del diritto del popolo e dello stato palestinese a
esistere; ed implica il diritto del popolo e dello stato di Israele a
esistere. Verra' forse un tempo in cui l'umanita' riuscira' a superare le
divisioni di stati e di classi, ma per preparare quel tempo, per muovere in
quella direzione, per uscire da questo nostro terribile tempo che quel
geniale pensatore defini' "la preistoria dell'umanita'", occorre intanto,
qui e adesso, riconoscere il diritto di ogni popolo ad esistere, ad avere la
sua cultura, la sua terra in cui vivere liberamente, il suo stato.
11. Ocorre che cessi l'occupazione dei territori palestinesi da parte
dell'esercito dello stato di Israele.
Occorre che cessino gli insediamenti coloniali nei territori occupati.
Ocorre il riconoscimento immediato della nascita dello stato palestinese.
Ed occorre un piano internazionale di aiuti al popolo e allo stato
palestinese per lo sviluppo, la democrazia, la sicurezza e la convivenza; ed
occorre altresi' un piano di aiuti al popolo e allo stato di israele per lo
sviluppo, la democrazia, la sicurezza e la convivenza.
Ed occorre sconfiggere il terrorismo, innanzitutto cessando di mettergli a
disposizione armi e pretesti, risorse economiche ed esseri umani disperati.
12. E per contrastare il terrorismo occorre altresi' bandire la guerra dal
novero delle azioni lecite; le leggi vigenti lo dicono gia': e' scritto
nella Carta delle Nazioni Unite; e' scritto anche nei principi fondamentali
della Costituzione della Repubblica Italiana.
Poiche' di tutti gli atti di terrorismo la guerra e' il piu' grande;
consistendo essa, come osservava Gandhi, della ripetuta commissione di
omicidi di massa di esseri umani del tutto innocenti.
Nessun motivo puo' giustificare una guerra, che invece di sconfiggere il
terrorismo ne prosegue e ingigantisce la spirale.
Ne' e' ammissibile l'idea di una guerra contro un paese perche' questo
detiene armi di sterminio di massa: da questo punto di vista i sostenitori
di tale teoria - in primis il presidente degli Usa - dovrebbero allora
muover guerra innanzitutto contro il loro stesso paese.
Ne' e' ammissibile l'idea di una guerra contro un paese sulla base
dell'accusa di aver fornito sostegno a gruppi terroristici: sotto questo
punto di vista mentre non e' dimostrato che ad esempio il governo dell'Iraq
abbia sostenuto i terroristi autori delle stragi dell'11 settembre 2001, e'
invece dimostrato che ad esempio il governo degli Usa abbia sostenuto i
terroristi autori del golpe cileno dell'11 settembre 1973.
Come si vede le pretese ragioni in pro della guerra si rovesciano contro chi
le propone.
Una guerra nell'epoca aperta dall'orrore di Hiroshima e' una guerra che
mette in pericolo la sopravvivenza stessa della specie umana: e - per drlo
con le parole di don Lorenzo Milani - noi dovremmo star qui a discutere se
sia lecito distruggere l'uimanita' intera?
13. Siamo quindi solidali con il popolo palestinese, e siamo altresi'
solidali con il popolo israeliano; siamo solidali con il popolo iracheno, e
siamo altresi' solidali con il popolo statunitense.
Siamo contrari al governo dello stato di Israele come a quello dell'Iraq
come a quello degli Usa, come a quei decisori in sede Onu che da dieci anni
portano la responsabilita' della catastrofe umanitaria in corso in Iraq,
l'immane strage determinata dell'embargo.
Siamo contro il terrorismo di stato come contro il terrorismo dei gruppi e
dei singoli.
Siamo contro la guerra sempre.
Siamo donne e uomini di pace: ma perche' questa nostra posizione sia
credibile dobbiamo fare la scelta della nonvioenza, dobbiamo praticare la
solidarieta' concreta, dobbiamo prendere sul serio la nostra comune
umanita'.
In questo incontro di oggi qui a Terni di solidarieta' con il popolo
palestinese abbiamo sentito le luminose parole del nostro fratello
rappresentante palestinese: parole di calda umanita', di eroica dignita', di
rivendicazione del proprio diritto ad esistere come essere umano e come
popolo, e ad avere un proprio stato; ed insieme parole di sincera
fraternita' con il popolo israeliano, di riconoscimento dello stato di
Israele, di condanna incondizionata di ogni terrorismo e di ogni forma di
razzismo e di antisemitismo.
Ebbene, che anche questo incontro odierno possa essere un piccolo contributo
all'affermazione di un'umanita' di liberi ed eguali: si', la Palestina
vivra', e vivra' Israele. Che cessi l'occupazione, che cessino tutte le
stragi, e che sia impedita la guerra.
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