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La nonviolenza e' in cammino. 397



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 397 del 27 ottobre 2002

Sommario di questo numero:
1. Benito D'Ippolito: a Erasmo da Rotterdam, nell'anniversario della nascita
2. Enrico Peyretti, una sintesi schematica del Dulce bellum inexpertis
(1515) di Erasmo da Rotterdam
3. Peppe Sini, una postilla biobibliografica su Erasmo da Rotterdam
4. Luisa Morgantini, una lettera al Ministro degli Esteri
5. Patricia Lombroso intervista Carmen Trotta
6. Giovanna Providenti, l'America di oggi nelle parole di Jane Addams, Nobel
per la Pace 1931
7. Riccardo Orioles ricorda Giuseppe Gnasso
8. Riletture: Maria Antonietta Calabro', Le mani della mafia
9. Riletture: Oscar Cullmann, Vero e falso ecumenismo
10. Riletture: Ezio Marcolungo, Mirella Karpati, Chi sono gli zingari?
11. Riletture: Teresa Noce, Vivere in piedi
12. Riletture: Clotilde Pontecorvo, Anna Maria Ajello, Cristina
Zucchermaglio, Discutendo si impara
13. Riletture: Jon Sobrino e i compagni dell'Uca, Il martirio dei gesuiti
salvadoregni
14. La "Carta" del Movimento Nonviolento
15. Per saperne di piu'

1. MEMORIA. BENITO D'IPPOLITO: A ERASMO DA ROTTERDAM, NELL'ANNIVERSARIO
DELLA NASCITA
[Questa mattina presso il "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo si
terra' una commemorazione di Erasmo da Rotterdam nell'anniversario della
nascita (nacque nella notte tra il 27 e il 28 ottobre del 1466 o 1469). Nel
corso dell'iniziativa verranno letti alcuni passi dalle opere del grande
umanista e pacifista. Per l'occasione uno dei collaboratori del Centro,
Benito D'Ippolito, ha composto il sonetto che di seguito si riporta, nel suo
solito stile e lessico trecentista che capisce solo lui]

Nel secolo che uccidere era il primo
mestiere, un uomo sorse, fiero e fermo
a dire no alla guerra, e in tanto limo
di concave retoriche, il suo sermo

fu chiaro e saldo: no alla guerra, fimo
dei vizi tutti e divorator vermo,
fomento a tutti i vizi e manto opimo
sol di carnefici e ai malvagi schermo.

Ah, Desiderio Erasmo, la parola
che fu piu' tua, il motto no alla guerra
ancora e' nostra, ancora in alto vola

chiama a raccolta ovunque sulla terra
chi no alla guerra dice, e fa che fola
la pace non sia piu', ma man che afferra.

2. TESTI. ENRICO PEYRETTI: UNA SINTESI SCHEMATICA DEL DULCE BELLUM
INEXPERTIS (1515) DI ERASMO DA ROTTERDAM
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: peyretti@tiscalinet.it) per
averci messo a disposizione questo schema ad uso didattico - da lui steso
per i suoi allievi - dell'Adagio 3001 di Erasmo, Dolce e' la guerra a chi
non l'ha provata, seguendo come testo di riferimento la traduzione italiana
nel volume curato da Eugenio Garin, Erasmo, Edizioni Cultura della Pace, S.
Domenico di Fiesole (Fi) 1988, alle pp. 57-97]
1. L'inganno dell'inesperienza.
2. Cio' e' specialmente vero per la guerra, oggi trionfante al punto di
capovolgere il giudizio su di essa, che e' cattiva e dannosa. Problema: da
dove viene la guerra? Necessaria indagine filosofi­ca.
3. L'immagine dell'uomo e quella della guerra:
a) l'immagine dell'uomo: il corpo; linguaggio e ragione; immagine di Dio;
b) l'immagine della guerra: aspetto orribile; effetti piu' gravi; guai
minori, ma sempre terribili; conseguenze consuete; rovina morale; la guerra
genera guerra.
4. Natura della guerra: opera della peggiore Furia; origine della parola;
peggio che bestiale (confronto uomo-animali); la Natura stupita.
5. Problema dell'origine della guerra: uccidere le fiere per difesa; idem
senza necessita'; mangiare le belve (esempi di assurdita' consuete);
mangiare animali innocui e sevizie sugli animali; uccidere le bestie insegna
ad uccidere l'uomo: a) duello; b) tirannicidio da' gloria; c) guerra (cresce
la furia; sviluppo delle armi; guerra=gloria; limitazioni alla guerra;
guerra senza limiti, a scopo di lucro, peggio della gloria). Sommario: dalla
caccia alla guerra; i potenti ottusi e disumani non vogliono capire.
6. Critica del bellicismo cristiano. Punto presente della storia della
guerra: uomo contro uomo, cristia­no contro cristiano. Nessuno condanna.
C'e' chi applaude e santi­fica, chi benedice e fa della guerra un
sacramento. Falsificazione dei profeti, della preghiera, della croce.
Antitesi fra guerra e regno di Dio. Giulio II istigatore. Obiezione dei
mercenari. Rinvio della risposta al paragrafo 12.
7. Confronto morale guerra-pace (dopo il confronto uomo-guerra, paragrafi
3-6). Due argomenti (morale  e utilitario) indipendenti e convergenti: a) la
guerra e' colpa, e' male morale (qui, par. 7); b) la guerra e' danno per
tutti, e' male fisico (par. 8, e gia' alla fine del 7; par.14). Confronto
tra gli effetti della pace e quelli della guerra; il danno morale della
guerra e' piu' grave di quello fisico (cfr. Primo Mazzolari, Tu non
uccidere, ed. 1965, p. 19); elenco dei mali naturali, confronto col male
voluto; la pace e' benefica per tutti, la guerra per pochi, a danno di
altri; inutilita' della vittoria.
8. La guerra e' un danno per chi la fa, senza vantaggio certo; affliggere se
stessi per poter affliggere gli altri; non convenienza economica,
irreparabilita' del danno.
9. Incompatibilita' fra l'essere cristiano e far guerra: peggio che
fratricidio; niente e' piu' lontano dall'amore; Salomone e Cristo (motivo
ripetuto in Erasmo); beatitudini; insegnamento degli apostoli; armonia nel
corpo e nell'universo; l'uomo (e il cristiano) che fa guerra e' al di sotto
degli animali.
10. Storia e analisi della corruzione del cristianesimo fino a renderlo
guerriero:
a) cultura: dialettica; retorica; disputa; Aristotele sopra Cristo; il
diritto romano sopra il vangelo; la cultura pagana sopra le Sacre Scritture.
Tensione tra Cristo e filosofia (ragione);
b) onori e ricchezze: per i poveri; per noi; onore al ricco;
c) potere: titolo; potere temporale; tirannide.
11. Guerre dei cristiani peggiori di quelle dei pagani antichi: nuove armi;
noi pseudocristiani; Romani ponevano limiti alla guerra: uccidere solo per
necessita'; oggi onorato l'uccidere con inganno e ferocia per lucro; contro
i mercenari; monarchi cristiani peggiori dei monarchi gentili.
12. Contro le giustificazioni religiose della guerra. Il vangelo proibisce
la guerra.
Prima obiezione: argomento biblico per la guerra. Risposta: a) guerra dei
cristiani meno giustificabili di quelle degli  ebrei; b) perche' non
imitiamo altre usanze degli ebrei? c)l'unica guerra lecita ai cristiani e'
la guerra morale ai vizi. Solo questa guerra genera la vera pace. Cristo,
vietando la spada a Pietro, proibisce quella guerra che prima sembrava
lecita.
Seconda obiezione: eppure Pietro uso' la spada. Risposta: a) non era ancora
cristiano; b) non per se' ma per la vita del Maestro; c) imitarlo anche nel
rinnegare? d) Cristo non approva la difesa armata.
Altre obiezioni: a) guerra come mestiere; b) ogni guerra e' giusta se
dichiarata dal principe; c) sacerdoti e monaci non possono combattere ma
possono dirigere una guerra; d) la propria causa appare a tutti giusta,
dunque e' lecito combattere; e) Cristo vieto' la difesa finche' c'era lui,
dopo la sua dipartita e' lecita la difesa armata; f) cosi' le sue
esortazioni all'amore dei nemici; g) insegnamenti simili degli apostoli sono
consigli e non precetti. Risposta: con questi argomenti speciosi si
capovolge Cristo in "banditore di guerre" e "consigliere dell'accumulo dei
beni" e si da' avallo religioso alla cupidigia dei principi. Cristo indica
il fine dello sforzo morale, non da' le misure del permesso e del vietato
(cfr. i lavori di teologia morale di Bernhard Haering). Oggi capovolgimento:
sospetto di eresia chi esorta a fuggire la guerra, campione di ortodossia
chi snerva il vangelo e offre ai cupidi principi argomenti concessivi. "Un
dottore davvero cristiano non approva mai la guerra; e se, forse, in qualche
momento la ammet­te, lo fa suo malgrado e con dolore".
13. Obiezioni a favore del diritto di guerra, e repliche.
a) e' diritto di natura. Risposta: ma il vangelo va oltre.
b) il vangelo e' per alcuni. Risposta: no, e' per tutti quelli che sperano
in Cristo. Chi si ride di lui combatte per il denaro e il potere, ma questa
e' morte piu' che vita.
c) casi di papi e padri della chiesa a favore della guerra. Risposta: e'
tradizione non univoca; e comunque, perche' seguire esempi equivoci,
divergenti dalla parola chiara di Cristo?
d) guerra come procedura giudiziaria. Risposta: in giudizio c'e' il primato
della legge; la guerra e' giudizio in causa propria; in guerra la pena va
sugli innocenti; i vantaggi della guerra sono per i briganti; in tribunale
si punisce uno per il bene di tutti, in guerra sono puniti tutti, benche'
inno­centi. Conclusione: meglio pochi colpevoli impuniti che condannare, con
loro, tutti gli innocenti.
e) e' diritto dei principi. Risposta: tutti avrebbero qualche diritto; il
governo e' amministrazione, non possesso; il diritto dei principi viene dal
popolo, che puo' toglierlo; e' diritto che i principi rivendicano per se',
non per la giustizia.
14. In ogni caso, la guerra non conviene. Meglio una pace ingiusta che una
guerra giusta (questo paragrafo prosegue il n. 13, discutendo ancora
l'ar­gomento del diritto dei principi, sotto l'aspetto della sag­gezza
pratica.
Alla fine si aggiunge un sesto preteso fondamen­to del diritto di guerra,
quello religioso, cui sara' dedicata la prima parte del par. 15). Anche
ammesso il diritto di guerra, esaminarne la convenienza (argomento
utilitario, vedi par. 7). Esempio tratto dagli interessi privati: vittoria
inutile. Affermazione di principio di morale utilitaria: "Meglio una pace
ingiusta di una guerra giusta" (cfr. Querela pacis, p.122 nel medesimo
volume sopra citato). Spesa superiore al guadagno. Il possesso attuale di un
principe e' migliore di una rivendicazione cruenta, sempre precaria.
Alternativa alla guerra: l'arbitrato (vedi Lettera ad Antonio di Bergen alla
p. 35 dell'introduzione di Garin; vedi Mesnard, ivi alle pp. 47-48).
f) diritto di guerra in difesa della chiesa: prima risposta sintetica
(antitesi tra chiesa e guerra); sviluppo della risposta nel paragrafo
seguente.
15. Contro la crociata e contro le guerre in genere:
a) contro la crociata: contraddizione tra crociata e cristianesimo (tra
crociata e croce).
Obiezione: occhio per occhio. Risposta evangelica: il cristiano violento e'
eretico, peggiore dei turchi; oggi monaci, papi, vescovi confidano nel
potere umano, regnano a danno del popolo cristiano; turchi "quasi
cristiani".
Noi tutti cristiani rendiamo non credibile il vangelo, distruggiamo Asia e
Africa mentre Cristo rispetta tutto, facciamo uso imperialista del vangelo.
Cosi' siamo anche politicamente imprudenti (mondo cristiano assediato dai
barbari). Dio non aiuta i violenti, anzi "vinceremo veramente allorquando
saremo vinti". Una guerra vinta non evangelizza: meglio turchi o ebrei
sinceri che cristiani ipocriti.
Obiezione ripetuta: vim vi repellere licet, e' necessario. Risposta: perche'
scateniamo violenza con le nostre discordie?
La crociata peggiora i cristiani; sospetto fondato che la crociata serva ai
tiranni civili ed ecclesiastici per spo­gliare i popoli cristiani.
Ammette il problema di difenderci dai turchi, se sono loro ad assalirci, a
condizione: che questa guerra sia fatta con animo e mezzi cristiani; non
inimicizia (turchi "braccati come prede"), ma testimonianza di costumi
cristiani; chiediamo loro consenso a un cristianesimo essenziale (tema
dell'umanesimo cristiano e del pacifismo-ecumenismo rinascimentale. Erasmo
qui rinvia al suo prossimo Antipolemos, perduto, vedi p. 27
dell'introduzione di Garin e p. 162).
b) contro le guerre in genere (dei cristiani), che sono stolte o malvage;
stupida educazione dei principi (vedi Panegyricus, citato alle pp. 24- 25
dell'introduzione di Garin); guerre fatte per tiranneggiare e depredare il
popolo; coperture ideologiche; "Non ottengono mai proprio quello che
vogliono": - gloria: falsa gloria; - orgoglio: "ti costringi a umiliarti
all'ultima feccia dell'umanita'", "perche' e' con costoro che soprattutto si
combattono le guerre"; - guadagno: calcolo errato, maggior danno per tutti.
Ipotesi di guerra inevitabile: se si verifica: lasciarla fare ai violenti
("L'infame   impresa sia fatta da infami"); limitare quanto piu' possibile
lo spargimento di sangue. Per scongiurarla: se... (indica 9 condizioni di
vita spirituale cristiana, che infine sintetizza in: innocenza, amore,
pazienza)... allora la guerra sparirebbe. Altrimenti, eliminare Cristo come
favola. Se invece e' verita', mostriamolo con azioni di pace, specialmente i
pontefici, i principi, le citta'. Se si agita il popolo, i principi lo
riconducano all'ordine; se sono i principi a turbare la pace, i pontefici
ricompongano i disordini.
Elogio di Leone X e confronto con Giulio II. Speranze.
Conclusione brevissima in tono dimesso: "Ma questa digressione e' durata
troppo, almeno per chi preferisce sentir parlare di proverbi [gli Adagia, di
cui il Dulce bellum inexpertis fa parte, sono una raccolta di massime
commentate] piuttosto che di pace e di guerra".

3. MEMORIA. PEPPE SINI: UNA POSTILLA BIOBIBLIOGRAFICA SU ERASMO DA ROTTERDAM
[Riportiamo una notizia biobibliografica su Erasmo stesa dal responsabile
del Centro di ricerca per la pace di Viterbo come postilla alla sua
introduzione a una nuova edizione italiana della Querela Pacis, uno dei
capolavori dell'umanista]
* Una cronologia essenziale
Nacque Erasmo tra il 1466 e il 1469 da genitori non uniti in matrimonio,
fanciullo frequenta a Deventer una scuola dei Fratelli della Vita Comune;
nel 1479 la peste uccide la madre, poi il padre; spinto dai tutori Erasmo
entra nel convento di Steyn, presso Gouda, e abbraccia la vita religiosa.
Negli anni di Steyn studia alacremente e si segnala come latinista. Nel 1492
e' ordinato prete.
Nel 1492 lascia Steyn per entrare al servizio di Enrico di Berghes, vescovo
di Cambrai. Nel 1495 ottiene di andare a studiar teologia a Parigi, l'anno
dopo lascia il collegio Montaigu e si guadagna da vivere facendo il
precettore. La sua sara' una vita di andirivieni per l'Europa, con
prevalente residenza nell'area tra Lovanio, Basilea e Friburgo, ma con
fondamentali protratti soggiorni in Inghilterra, ed un operoso viaggio in
Italia.
Nel 1499 compie il suo primo soggiorno in Inghilterra, e vi conosce Thomas
More e John Colet. Nel 1500 a Parigi pubblica la prima edizione degli
Adagia; nel 1501 pubblica il De Officiis di Cicerone ed inizia cosi' la sua
fondamentale attivita' di editore di classici; nello stesso anno studia il
greco. Nel 1502 muore Enrico di Berghes, Erasmo va a Lovanio. Nel 1503
pubblica l'Enchiridion militis christiani, nel 1504 il Panegyricus ad
Philippum Austriae ducem (uno dei primi importanti testi pacifisti di
Erasmo); nel 1505 edita le Annotazioni sul Nuovo Testamento di Lorenzo
Valla, compie il suo secondo soggiorno in Inghilterra.
Dal 1505 al 1509 e' in Italia: a Venezia presso Aldo Manuzio svolge
un'attivita' editoriale cospicua. Lasciando l'Italia medita l'Elogio della
follia, che pubblichera' nel 1511 dedicandola a Thomas More.
Dal 1509 al 1514 e' perlopiu' in Inghiltera. Nel 1513 muore Giulio II, e
viene pubblicato il libello Julius exclusus e coelis, violento attacco alla
figura del papa-guerriero: un testo attribuito ad Erasmo, sebbene egli
sempre abbia negato di esserne autore.
Nel 1514 e' a Basilea ed inizia il sodalizio editoriale con lo stampatore ed
amico Johann Froben. E presso Froben nel 1515 pubblica tra l'altro
un'edizione di Seneca. Nel 1516 pubblica la prima edizione critica del Nuovo
Testamento. Inizia anche a pubblicare raccolte del suo epistolario.
Nel 1516 gli viene attribuita la carica onoraria di consigliere di Carlo
d'Asburgo (il futuro imperatore Carlo V, che gia' nel corso dell'anno
diverra' re di Spagna), e pubblica l'Institutio principis christiani. Sempre
quest'anno pubblica la sua edizione dell'Opera omnia di Girolamo, e
un'edizione della Grammatica institutio di Teodoro di Gaza. Pubblicazione
dell'Utopia di Thomas More.
Nel 1517 (che e' anche l'anno delle novantacinque Tesi di Lutero) pubblica
la Querela Pacis, Carlo si trasferisce in Spagna ma Erasmo non lo segue. Dal
1517 al 1522 sara' prevalentemente a Lovanio.
Nel 1518 pubblica tra l'altro l'Encomium matrimonii. Nel 1519 pubblica la
seconda edizione del Nuovo Testamento, un'edizione di Cipriano, ed esce
un'edizione delle Familiarum colloquiorum formules, che diverranno i
Colloquia; Carlo viene eletto imperatore. Muore John Colet. Nel 1520
pubblica gli Antibarbari. E' l'anno della bolla papale Exurge Domine, che
Lutero da' pubblicamente alle fiamme.
Nel 1521 pubblica il De contemptu mundi. Nel 1522 si trasferisce da Lovanio
a Basilea; viene pubblicata da Froben la prima edizione autorizzata dei
Colloquia, la terza edizione del Nuovo Testamento, vari altri lavori (tra
cui l'edizione di Arnobio).
Nel 1523 alle edizioni e commenti di testi neotestamentari e patristici
(Ilario) aggiunge anche le Tuscolane di Cicerone (e nel 1525 l'Historia
Naturalis di Plinio il Vecchio). Declina l'invito di Francesco I a
trasferirsi in Francia.
Nel 1524 esce il Libero arbitrio cui Lutero replichera' col Servo arbitrio,
al quale Erasmo rispondera' con l'Hyperaspistes nel '26. Sempre nel '26
pubblica l'Institutio matrimonii christiani e l'edizione di Ireneo. Nel 1527
la quarta edizione del Nuovo Testamento e l'edizione delle opere di
Ambrogio. E' l'anno del sacco di Roma. Nel 1528 pubblica il Ciceronianus.
Nel 1529 pubblica il De pueris statim ac liberaliter instituendis, e l'Opera
omnia di Agostino.
Dal 1529 al 1533 e' prevalentemente a Friburgo. Nel '30 cura l'edizione di
Giovanni Crisostomo e pubblica la sua Consultatio de bello turcis inferendo.
Nel '31 edizione di Aristotele, Livio, Gregorio Nazianzeno, e Paraphrasis in
Elegantias L. Vallae. Nel '32 edizioni di Demostene e Terenzio. Nel '33
pubblica la De sarcienda Ecclesiae concordia. Nel 1534 la Preparazione alla
morte.
Nel 1535 a Basilea, quinta edizione del Nuovo Testamento. Decapitazione di
Thomas More, imprigionato l'anno prima. Erasmo rifiuta l'offerta del
cappello cardinalizio. Nel 1536 cura l'edizione di Origene. Muore a Basilea
tra l'11 e il 12 luglio.
* Una bibliografia orientativa
I. Le opere di Erasmo
L'opera omnia di Erasmo si legge ancora nell'edizione di Leida (Lugduni
Batavorum) del 1703-1706 a cura di Jean Leclerc (Joannes Clericus),
ristampata nel 1961 a Hildsheim.
Dal 1969 e' in corso ad Amsterdam l'edizione critica, di cui sono gia'
usciti vari volumi.
Il monumentale e fondamentale epistolario di Erasmo e' stato edito da P. S.
Allen e collaboratori e prosecutori ad Oxford tra il 1906 e il 1958.
II. Alcune opere di Erasmo disponibili in italiano
Per la Querela Pacis segnaliamo le edizioni curate da Luigi Firpo (Erasmo,
Il lamento della pace, Utet, Torino 1967; poi Tea, Milano); da Franco Gaeta
(Erasmo, Contro la guerra, Japadre, L'Aquila 1968, che reca anche il Dulce
bellum inexpertis); da Eugenio Garin (nella sezione di testi erasmiani
inclusa nella sua monografia Erasmo, Edizioni Cultura della Pace, S.
Domenico di Fiesole 1988, di cui diremo piu' avanti).
Ovviamente quasi non c'e' casa editrice, grande o piccola, che non abbia
pubblicato l'Elogio della follia, sovente arricchito da perspicue
introduzioni e prefazioni di preclari studiosi. Dall'edizione a cura di
Benedetto Croce per Laterza (Elogio della pazzia e Dialoghi, Laterza, Bari
1914), a quella a cura di Tommaso Fiore per Einaudi (Elogio della pazzia,
Einaudi, Torino 1943), a quella a cura di Eugenio Garin (Erasmo da
Rotterdam, Elogio della follia, Serra e Riva, Milano 1984, poi Mondadori,
Milano 1992) ad innumerevoli altre: tra le recenti segnaliamo quella di Luca
D'Ascia con un saggio di Bainton, per Rizzoli.
Dei Colloquia dopo la traduzione parziale di Gian Piero Brega (Erasmo, I
colloqui, Feltrinelli, Milano 1959, poi in edizione rivista 1967; e adesso
Garzanti, Milano 2000) finalmente e' stata pubblicata una traduzione
integrale con testo a fronte: Erasmo da Rotterdam, Colloquia, Einaudi,
Torino 2002 (progetto editoriale e introduzione di Adriano Prosperi,
traduzione, cura e apparati di Cecilia Asso).
Degli Adagia segnaliamo la pregevole edizione di un piccolo ma prezioso
saggio di essi a cura di Silvana Seidel Menchi: Erasmo, Adagia. Sei saggi
politici in forma di proverbi, Einaudi, Torino 1980.
Una segnalazione particolare vogliamo fare anche per L'Institutio principis
christiani, nella traduzione italiana a cura di Margherita Isnardi Parente:
Erasmo da Rotterdam, L'educazione del principe cristiano, Morano, Napoli
1977.
Va letto anche almeno il Libero arbitrio nell'utile edizione a cura di
Roberto Jouvenal: Erasmo, Il libero arbitrio (testo integrale); Lutero, Il
servo arbitrio (passi scelti), Claudiana, Torino 1969, seconda edizione del
1973. Una nuova edizione del solo testo erasmiano (ma con una prefazione di
Sergio Quinzio) e' nella traduzione di Italo Pin: Erasmo da Rotterdam, Sul
libero arbitrio, Edizioni Studio Tesi, Pordenone 1989.
Ovviamente vari altri testi di Erasmo sono disponibili in traduzione
italiana.
E' opportuno avvertire che sovente gli apparati critici e informativi che
accompagnano le traduzioni italiane dei testi erasmiani sono assai
approssimativi.
III. Alcune opere su Erasmo
Chiunque si accosti alla letteratura critica novecentesca su Erasmo non puo'
non notare la presenza tra i suoi studiosi di un elevato numero di persone
che hanno dato  buona prova di se' nell'opporsi al fascismo: scorrendo i
nomi dei traduttori, dei curatori, degli autori di studi e ricerche
erasmiane trovi alcune delle figure piu' nitide ed alte dell'antifascismo e
della Resistenza. Pensiamo che non avvenga per caso. Ed anche se in questa
nota non citiamo che pochi autori di contributi maggiori, vorremmo qui
idealmente ricordarli tutti, con ammirazione ed affetto.
Tra le principali monografie disponibili in italiano che ricostruiscono
vita, personalita', riflessione ed opera di Erasmo segnaliamo
particolarmente le seguenti: Johan Huizinga, Erasmo, Einaudi, Torino 1941
(piu' volte ristampata); Roland H. Bainton, Erasmo della Cristianita',
Sansoni, Firenze 1970; Pierre Mesnard, Erasmo, Accademia Sansoni, Milano
1971; Cornelis Augustijn, Erasmo da Rotterdam. La vita e l'opera,
Morcelliana, Brescia 1989; Leon E. Halkin, Erasmo, Laterza, Roma-Bari 1989.
Fondamentale e' anche Hugh R. Trevor-Roper, Protestantesimo e trasformazione
sociale, Laterza, Bari 1969 e piu' volte ristampato; il primo saggio del
volume è specifico su Erasmo, ma - scrive l'autore nella prefazione
all'edizione italiana, e dice bene - "la figura e le idee di Erasmo dominano
il libro. Se questi saggi, come spero, hanno una loro unita', mi sembra che
il filo conduttore sia appunto la sconfitta delle prospettive aperte da
Erasmo".
Su Erasmo e la pace cfr. Eugenio Garin, Erasmo, Edizioni Cultura della Pace,
S. Domenico di Fiesole (Fi) 1988 (che reca anche i seguenti testi erasmiani:
il Dulce bellum inexpertis, dagli Adagia; la Querela Pacis; e tre testi dai
Colloquia: la Confessio militis, Militis et Cartusiani, il Charon). Per una
puntuale collocazione di Erasmo nella tradizione (ed alle radici) del
pensiero pacifista moderno si veda anche l'eccellente antologia a cura di
Ernesto Balducci e Lodovico Grassi, La pace. Realismo di un'utopia,
Principato, Milano 1983.
Per la bibliografia cfr. (in francese) gli ottimi lavori specifici di
Jean-Claude Margolin.
Su Erasmo e l'erasmismo fondamentali sono gli studi di Augustin Renaudet,
Marcel Bataillon, e per l'Italia Silvana Seidel Menchi, Erasmo in Italia.
1520-1580, Bollati Boringhieri, Torino 1987. Su Erasmo e l'Italia cfr. anche
i classici studi (che non ci risulta siano stati tradotti in italiano) di P.
De Nolhac, Erasme en Italie. Etude sur un episode de la Renaissance, Paris
1888; ed Augustin Renaudet, Erasme et l'Italie, Geneve 1954, nuova ed. 1998.
Vari studiosi italiani nel corso degli ultimi decenni hanno dedicato ad
Erasmo studi talvolta perspicui, rinunciamo a darne qui un elenco rinviando
alle bibliografie contenute nei volumi sopra segnalati.
Degli autori gia' citati vorremmo ricordare altri libri a nostro parere
utili a lumeggiare le premesse, il contesto o l'eredita' erasmiana: di Johan
Huzinga cfr. anche L'autunno del Medioevo (Sansoni) e La civiltà olandese
del Seicento (Einaudi); di Pierre Mesnard si veda anche almeno l'eccellente
Il pensiero politico rinascimentale, 2 voll., Laterza, Bari 1963-1964; di
Eugenio Garin e di Ernesto Balducci si dovrebbero ricordare qui innumerevoli
opere, basti aver reso omaggio ai loro nomi di maestri.
IV. Su Thomas More
Ovviamente non si puo' parlare di Erasmo e tacere di Thomas More, l'amico
fraterno, l'autore dell'Utopia, il testimone del primato della coscienza e
della dignita' umana; su More si legga almeno introduttivamente il volume di
Cosimo Quarta, Thomas More, Edizioni Cultura della Pace, S. Domenico di
Fiesole (Fi) 1993.
V. Et coetera
Sul XVI secolo un utile testo introduttivo e' quello di H. G. Koenigsberger
e G. L. Mosse, L'Europa del Cinquecento, Laterza, Bari 1969 (ma noi abbiamo
sotto gli occhi l'edizione del 1974); cfr. anche almeno Gerhard Ritter, La
formazione dell'Europa moderna, 2 voll., Laterza, Bari 1964, 1968 (ma noi
abbiamo letto l'edizione del  1976).
Sulla figura di Carlo V resta ancora insostituibile come compendio
biografico Karl Brandi, Carlo V, Einaudi, Torino, 1961, in nuova edizione
del 2001.
Sulla cultura del Rinascimento bastera' il rinvio alle molte eccellenti
opere di Eugenio Garin; come e' noto hanno sviluppato negli ultimi decenni
nuove prospettive, ed hanno lumeggiato aspetti prima sottovalutati, i lavori
di Frances Amelia Yates.
Sulle vicende della Riforma e della Controriforma (o della Riforma
protestante e di quella cattolica, se si preferisce) per un avvio cfr.
almeno J. Lortz ed E. Iserloh, Storia della Riforma, Il Mulino, Bologna
1974; Roland H. Bainton, La Riforma protestante, Einaudi 1958, 1974; Hubert
Jedin, Riforma cattolica o Controriforma?, Morcelliana, Brescia, 1957, 1987.

4. APPELLI. LUISA MORGANTINI: UNA LETTERA AL MINISTRO DEGLI ESTERI
[Luisa Morgantini (per contatti: lmorgantini@europarl.eu.int), parlamentare
europea, e' fortemente impegnata nella solidarieta' con il popolo
palestinese. Per aderire a questo appello, l'indirizzo di posta elettronica
cui inviare il testo dopo averlo sottoscritto e':
relazioni.pubblico@esteri.it (e' opportuno inviare copia per riscontro anche
a Luisa)]
Egregio Ministro,
l'ulivo e' per i Palestinesi quello che e' il riso per i Vietnamiti. Anzi di
piu', l'ulivo e' il simbolo di vita ed incarna l'attaccamento viscerale dei
Palestinesi al suolo ancestrale.
Le centinaia di migliaia di oliveti distrutti, le terre confiscate
dall'esercito e dai coloni israeliani, l'estensione degli insediamenti delle
nuove colonie, costituiscono, per i contadini palestinesi, una perdita di 10
milioni di dollari, a decorrere da settembre 2002.
Lunedi', 21 ottobre, l'esercito israeliano ha lanciato un nuovo ordine
militare che proibisce ai Palestinesi, in tutta la Cisgiordania, di
raccogliere le loro olive, ed annuncia che l'esercito rinforzera' le truppe
e gli interventi al fine di rafforzare lo spiegamento militare nelle citta'
e nei villaggi palestinesi.
E' chiaro che cio' significa che l'esercito israeliano da' licenza di
uccidere le famiglie e i contadini palestinesi che raccoglieranno le loro
olive, in un momento vitale, atteso tutto l'anno.
Quest'ordine e' in manifesta contraddizione con la Quarta Convenzione di
Ginevra, che obbliga la potenza occupante a proteggere le popolazioni civili
dei territori sotto controllo.
La minaccia e' concreta e non mette solo in pericolo le vite delle famiglie
e dei contadini palestinesi, lasciandoli in balia dei coloni - che hanno
moltiplicato nelle ultime settimane le aggressioni, gli incendi delle terre
agricole, arrivando persino al furto dei raccolti - ma contribuisce ad
aggravare la situazione gia' disastrosa dell'economia palestinese.
Martedi' 22 ottobre, il ministero israeliano delle infrastrutture ha
ordinato la proibizione della perforazione dei pozzi in Cisgiordania e il
congelamento delle concessioni, ai contadini palestinesi, dei permessi alla
perforazione. Questa situazione produce effetti disastrosi per l'agricoltura
palestinese.
Queste nuove violazioni del diritto e delle convenzioni internazionali sono
contrarie alla risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite n.
1435, adottata il 24 settembre 2002, e avvengono proprio nel momento in cui
gli Stati Uniti fanno pressione su Israele per l'alleggerimento delle
sofferenze del popolo palestinese.
Signor Ministro,
nel corso di questi ultimi dodici mesi, oltre settecento cittadini italiani
(tra cui parlamentari, consiglieri, registi, sindacalisti, rappresentanti
delle ong e di associazioni) si sono recati in Palestina come osservatori
civili. Molti sono stati arbitrariamente respinti dall'autorita' israeliana;
quelli che sono potuti entrare hanno constatato e riferito le gravi e
costanti violazioni dei diritti umani, gli arresti arbitrari, gli assassinii
dei civili palestinesi, in particolare di donne e bambini, e le distruzioni
sistematiche dei beni. Il governo di Sharon, l'esercito israeliano e la
milizia dei coloni israeliani, nei territori palestinesi riconosciuti,
agiscono in tutta impunita' poiche' beneficiano di una mancanza totale di
sanzioni da parte degli Stati membri del Consiglio di Sicurezza.
Israele che ha firmato l'accordo d'associazione con l'Unione Europea, Stato
aderente alle convenzioni di Ginevra, e' tenuto a rispettare i diritti umani
ed anche a proteggere le popolazioni civili dei territori palestinesi
occupati.
Le rivolgiamo un urgente appello affinche' Lei prenda ufficialmente
posizione, chiedendo, in nome dell'Italia, la sospensione dell'accordo
d'associazione UE-Israele fintanto che questo Stato non mettera' fine
all'occupazione del territorio palestinese riconosciuto.
La sollecitiamo a prendere contatto, con l'urgenza richiesta dalla
situazione, con il Governo svizzero, guardiano delle convenzioni di Ginevra,
affinche' si riuniscano, a breve termine, le altre parti contraenti
firmatarie delle convenzioni di Ginevra.
Le chiediamo, inoltre, che l'Italia si faccia promotrice, il piu' presto
possibile, di un'iniziativa congiunta con altri paesi europei per l'invio di
una forza d'interposizione che assicuri la protezione delle popolazioni
civili.
Certi di una Sua risposta, Le porgiamo distinti saluti.

5. DOCUMENTAZIONE. PATRICIA LOMBROSO INTERVISTA CARMEN TROTTA
[Questo articolo abbiamo estratto dal quotidiano "Il manifesto" del 26
ottobre 2002. Patricia Lombroso e' corrispondente del giornale da New York]
"Nelle prossime settimane sono previste, in 28 citta' americane, da Los
Angeles a Washington, da Chicago a Kansas city ad Anchorage, in Alaska,
oltre 450 manifestazioni contro la guerra in Iraq. Se il 6 ottobre scorso a
New York sono scese in piazza 40 mila persone, la marcia di oggi a
Washington, promossa dalla coalizione pacifista Answer (Act now to stop the
war and racism) sara' imponente come ai tempi del Vietnam". Carmen Trotta
dirige l'organizzazione pacifista War resisters league (attiva fin dal
1929), ed e' una dei 14 pacifisti arrestati dalla polizia, e trattenuti in
carcere per oltre sei ore, durante le manifestazioni del 7 ottobre
(anniversario della guerra in Afghanistan) a Central Park, New York.
- P. L.: Un'opposizione cosi' massiccia alla guerra non si era vista nei
precedenti conflitti, da quello nel Golfo al Kosovo, all'Afghanistan.
- C. T.: Nessuno oggi in America, tra la popolazione civile, vuole una nuova
guerra. Esiste un movimento contrario alla guerra all'Iraq che sta
crescendo, ma che ha cominciato a muovere i primi passi a partire dalla
guerra contro l'Afghanistan.
- P. L.: Quali sono le diversita' di atteggiamento, nella popolazione,
rispetto al precedente conflitto?
- C. T.: Molti, dopo l'11 settembre, pensavano che l'attacco in Afghanistan
fosse giustificato. Questa volta e' diverso: Bush non riesce ad ottenere il
consenso neppure della maggioranza della popolazione. Quella minoranza che
ancora aderisce all'idea della guerra e' motivata dal fatto che sono
pochissimi i soldati americani morti durante la prima guerra del Golfo.
Ciononostante, una gran fetta di popolazione, anche se ancora limitata, e'
stata spinta a esprimersi apertamente nelle strade dalle argomentazioni di
Bush. Anche molte persone totalmente apolitiche sono scese in piazza, solo
perche' contrarie alle giustificazioni addotte dall'amministrazione Bush.
L'opinione pubblica ritiene che l'Iraq di Saddam Hussein non abbia nessun
collegamento con gli eventi dell'11 settembre ed e' convinta che molti
innocenti soffriranno per i bombardamenti. L'arruolamento e' ancora
volontario in America. Molti riservisti inviano e-mail esprimendo la loro
opposizione alla guerra, indicandola come "una follia assurda e
controproducente". Le prove del collegamento di Saddam con i terroristi di
Al Qaeda non sono convincenti. Tenga presente che un anno fa lo stesso
sistema era stato adottato da Bush per ottenere il consenso della
popolazione alla guerra in Afghanistan.
- P. L.: C'e' stata dunque una presa di coscienza delle menzogne del governo
Bush?
- C. T.: Non esiste un consenso da parte della popolazione americana alla
guerra contro l'Iraq, ma questo non vuol dire dissenso reale nei confronti
del governo repubblicano.
- P. L.: Cosa vuol dire?
- C. T.: Esiste un movimento di protesta contro la guerra in Iraq, ma cio'
non va interpretato come una opposizione attiva all'amministrazione Bush.
Larghi segmenti della popolazione sono stati spinti a esprimersi
politicamente dalla contrarieta' alla guerra contro l'Iraq, ma il dissenso
e' tutt'altro. La maggioranza dei manifestanti sono ancora politicamente
disimpegnati.
- P. L.: Quanto puo' avere inciso su questo movimento d'opinione anti-Bush
il dilagare degli scandali finanziari?
- C. T.: Questo fenomeno non ha precedenti, per trovarne uno analogo bisogna
risalire ai tempi del Vietnam. Ma cio' ancora non significa una piena presa
di coscienza politica da parte dell'elettorato americano. La popolazione
americana non crede che i disastri dell'economia siano legati
all'amministrazione Bush. D'altronde, anche durante la guerra del Vietnam
all'inizio gran parte della popolazione rimase apatica e silente, senza
riuscire a esprimere un'alternativa alla presidenza Nixon. Soltanto durante
gli ultimi anni la protesta divenne visibile e influente politicamente.
Ritengo che quando cominceranno i bombardamenti contro l'Iraq il dissenso
crescera' e i media saranno costretti a non occultare le notizie come
avviene oggi.
- P. L.: Lei ritiene quindi che le manifestazioni pacifiste non riusciranno
a bloccare la guerra contro l'Iraq?
- C. T.: Questo movimento di opinione non vede ancora la piena
partecipazione di tutte le forze sociali. Il mondo dei sindacati e'
allineato alle posizioni del partito democratico, favorevole alla guerra
contro l'Iraq a prescindere dal risultato delle elezioni al Congresso del 5
novembre. Non e' questo movimento di pacifisti che riuscira' a fermare Bush.

6. RIFLESSIONE. GIOVANNA PROVIDENTI: L'AMERICA DI OGGI NELLE PAROLE DI JANE
ADDAMS, NOBEL PER LA PACE 1931
[Questo articolo - assai sollecitante e discutibile a un tempo - abbiamo
ripreso da "Azione nonviolenta" n. 3 del marzo 2002. Per contatti:
azionenonviolenta@sis.it]
"Per pace non si intende semplicemente assenza di guerra, ma il
dispiegamento di tutta una serie di processi costruttivi e vitali che si
rivolgono alla realizzazione di uno sviluppo comune. La pace non e'
semplicemente qualcosa su cui tenere congressi e su cui discutere come se
fosse un dogma astratto. Essa assomiglia piuttosto ad una marea portatrice
di sentimenti morali che sta emergendo sempre di piu' e che piano piano
inghiottira' tutta la superbia della conquista e rendera' la guerra
impossibile" Jane Addams, 1860-1935 (1).
Tra tutte le varie cose ascoltate e viste in tv nei giorni subito successivi
al crollo dell'ennesima torre di Babele, denominata proprio twin towers,
quasi a richiamo di una Babele biblica non risolta, di un conflitto
immanente dell'uomo contro dio, degli uomini tutti tra loro a causa di una
incomunicabilita' tra diversi modi di parlare con dio e di dio, mi ha
colpito piu' di tutti una ragazza intervistata per strada che ha detto,
quasi ingenuamente: "ho visto cosa e' successo, ma non riesco a capire
perche'".
Jane Addams, pensatrice politica di Chicago, premio Nobel per la pace nel
1931, potrebbe aiutarla. Una autrice fiduciosa come lei nel valore
prioritario dell'etica democratica, che ella contrappone alla retorica
obsoleta e gerarchica della guerra, le avrebbe potuto spiegare perche',
ancora una volta, varrebbe la pena volgere lo sguardo verso i piu' poveri.
Un'autrice impegnata come lei, che propende per un ordine sociale in grado
di permettere una piena liberta' di azione individuale, che pero' si svolga
accanto allo sviluppo di una comunita' in continuo facimento e cambiamento
che accolga potenzialita' umane da tutte le parti del mondo, arricchendosi
delle diversita' culturali di cui esse siano portatrici, potrebbe aiutarci a
capire perche' Babele e' caduta ancora ed ancora cadra' se ci si ostina a
volere sfidare dio senza avere prima provato a fraternizzare, a instaurare
rapporti veramente solidali, con l'essere umano che ci sta accanto, che e'
diverso da noi come noi siamo diversi da lui.
Addams ha dedicato moltissimo del suo impegno politico e teorico a cercare
di fare capire quanto sia importante la creazione di un'America democratica
di tutti e per tutti. Ed in questi tutti ci sono anche le categorie
storicamente escluse: le donne e gli stranieri. Gli immigrati, diversi per
cultura e religione, non vanno semplicemente "assimilati, come se l'America
fosse un grande apparato digestivo" (2). Come bene sa chi vi lavora fianco a
fianco, sperimentando attraverso l'impegno lavorativo quotidiano una
relazione interpersonale equa, semplicemente si tratta di "camminare insieme
lungo le strade prodigiose della cittadinanza umana, senza che abbia piu'
importanza essere nativi o stranieri, perche' ci unisce una relazione
fraterna scaturita dalla nostra stessa esperienza comune" (3).
La proposta politica di Jane Addams e' tutta rivolta alle condizioni sociali
dei cittadini, alla loro liberta' di azione e a una vita di comunita'
impostata sull'incontro (favorito dalla valorizzazione delle differenze)
piu' che sullo scontro (favorito dalla meritocrazia, dall'omologazione,
dalla competizione, dal consumismo, dalle diseguaglianze). E questi
argomenti ella considera - e propone oggi a noi di considerare -
strettamente interconnessi alla grande fondamentale tematica della pace.
Gli Stati Uniti d'America, a parere della Addams, sono innanzitutto una
grande democrazia che sempre di piu' dovra' definire se stessa sostituendo
alla mentalita' e alla retorica militarista, una societa' etica fondata,
idealmente e concretamente, sul valore del lavoro. Questo significa che
dovra' sostituire a un pensiero dogmatico e una politica impostata sulla
punizione e sulla difesa, un pensiero articolato e una politica in grado di
"garantire ad ogni cittadino un'esistenza dignitosa". Perche' questo sia
possibile e' assolutamente necessario (e Addams lo riteneva anche possibile)
che i politici, superando una concezione obsoleta che vede nell'uomo
unicamente "l'uomo economico come una sorta di lupo solitario spinto
dall'unica motivazione della brama di cibo" imparino piuttosto ad "applicare
la psicologia sociale all'azione politica, guardando gli uomini per quello
che realmente sono: ognuno un viluppo di motivazioni complesse e
sovrapposte. I politici continuano a commettere errori grossolani perche' la
loro azione non si fonda sulla autentica realta' della esistenza umana" (4).
Oggi, a un secolo di distanza da queste parole di Jane Addams, gli errori
dei politici e degli economisti americani (e del mondo economicamente
avanzato) hanno influenza su tutta la popolazione mondiale, che in gran
parte (piu' dell'80%) sopravvive in condizioni di poverta', assenza di cibo,
condizioni sanitarie minime, mancanza di istruzione e di opportunita'
culturali. Ma non per questo sono meno di altri "un viluppo di motivazioni
complesse e sovrapposte"; non per questo non sono anch'essi "autentica
realta' umana".
La condizione, ad esempio, della tanto tirata in ballo nazione afgana,
superba e disperata, non e' semplice da comprendere, ma sappiamo da molte
testimonianze di donne - costrette da una dittatura maschilista a sofferenze
fisiche e morali indicibili - che molte preferirebbero morire piuttosto che
continuare a vivere cosi'.
Si profila dunque in parte una risposta da dare a quella ragazza. Gli atti
terroristici, di cui ognuno di noi abitante nel mondo occidentale puo'
essere vittima, sono strettamente correlati con delle precise scelte
politiche che - soprattutto a livello internazionale - non sono attente
all'essere umano quale realmente e', sfruttando, a favore di un benessere
economico di pochi, risorse naturali e umane preziose e trasformandole in
situazioni umane di altissima disperazione, in cui la vita stessa perde
valore, in cui dio - o chi per lui - e' una speranza molto piu' concreta di
ogni prospettiva realistica.
In questo tipo di disperazione - anche se non necessariamente da essa -
trova terreno e milizia chi sta a capo di una volonta' di guerra finalizzata
alla distruzione di un impero economico - non di una democrazia, perche' non
questo interessa - allo scopo di prevaricare, di diventare impero economico
all'altezza di quelli precedenti.
La guerra - e questa guerra piu' di ogni altra - e' il fallimento di un
processo di sviluppo che abbia come soggetto la persona. Quello "sviluppo
come processo integrato di espansione di liberta' sostanziali interconnesse
l'una con l'altra" (5), di cui parla Amartya Sen, che renda possibile
accanto alla liberta' di azione la costruzione di una comunita' umana
partecipe e protagonista della vita propria e di tutta la comunita'.
Una umanita' democratica, direbbe Addams, che rifonda se stessa su un'etica
socialmente condivisa da ogni individuo (6), anche l'emarginato/a.
Come e' possibile questo? Intanto, almeno provandoci a trovare alcuni minimi
comuni denominatori dell'essere umano. Le organizzazioni umanitarie
internazionali possono avere questa funzione, se rappresentano veramente gli
interessi di tutti. L'impegno politico deve comunque andare nella direzione
proposta da Sen: "Esiste una profonda complementarieta' fra l'azione
dell'individuo e gli assetti della societa', ed e' importante riconoscere
contemporaneamente sia la centralita' della liberta' individuale, sia la
forza delle influenze sociali sull'entita' e la portata di tale liberta'". E
ancora: "l'eliminazione delle illiberta' di cui possiamo soffrire in quanto
membri della societa' deve diventare il requisito fondamentale dello
sviluppo" (7).
L'unico modo di agire, se Babele e' simbolo di una citta' costruita da
uomini e donne senza bisogno dell'aiuto di dio, e' dispiegare processi
costruttivi a vantaggio di tutti, anche dei piu' poveri del mondo, e'
eliminare tutte le illiberta' di cui parla Amartya Sen. E questo non e'
stato fatto abbastanza.
Per difendere Babele e' necessario costruire, prima della maledizione
divina, un linguaggio comune. Ma non affidandosi a tecnologia sempre piu'
sofisticata, bellica o civile che sia, bensi' recuperando e valorizzando
tutto cio' che di comune esiste nella carne e nella mente di tutti noi
uomini e donne in lotta per la sopravvivenza della nostra vita, per dare un
senso alla durata della nostra vita, prima che essa sia semplicemente
finita.
* Note
1. Jane Addams, Democrazia e militarismo, Chicago Liberty Meeting, 30 aprile
1899.
2. Da Newer ideals of Peace, New York 1907, p. 94.
3. Ivi, p. 202.
4. Da The larger aspects of the Women's Movement, "Annals of the American
Academy of Political and Social Science", novembre 1914; vedi anche A. Rossi
Doria, La liberta' delle donne, Torino 1990.
5. Amartya Sen, Lo sviluppo e' liberta', Milano 1999, p. 14.
6. Jane Addams, Democracy and Social Ethics, Chicago 1902.
7. Ivi, p. 6, e poi p. 38.

7. MEMORIA. RICCARDO ORIOLES RICORDA GIUSEPPE GNASSO
[Dal  n. 149 del 21 ottobre 2002 della rivista elettronica "Tanto per
abbaiare" curata da Riccardo Orioles (per contatti: ricc@libero.it)
riprendiamo questo ricordo. Riccardo e' la lotta di Pippo Fava che continua,
ed e' stato l'anima di "Avvenimenti" negli anni in cui "Avvenimenti" fu
insieme la piazza di Atene e la barricata di Gavroche]
Persone. "Qua finisce che c'imbavagliano tutti". "Questo Craxi e questo
Andreotti...". "Eppure, le cose che stanno succedendo nel mondo...".
"Gorbaciov...". "L'antimafia..". "Gli studenti...". "Dovremmo fare un
giornale". "Si', ma con quali soldi?". "Li chiederemo ai lettori". "Sei
matto!". "Vedrai, funziona".
E funziono'. La prima riunione di "Avvenimenti", il giornale felice dei
primi anni Novanta, si tenne a casa di Beppe Gnasso.
Ora, tu puoi benissimo non sapere chi era (oggi che la memoria ricorda solo
i sottomessi), ma Beppe Gnasso era un giornalista. E un gran giornalista,
anche. Era uno dei tre - gli altri erano Piero Pratesi e Sergio Turone -
che, dall'alto di un'esperienza inossidabile e di una liberta' pasoliniana,
ci fecero da maestri allora. Maestri nel senso letterale della parola,
perche' "Avvenimenti" nacque proprio da un corso di giornalismo, non una di
quelle scuole fighette e costosissime di oggigiorno ma una scuola vera: il
mestiere di giornalista.
Piero e' quello con la cravatta e il vestito all'inglese, che mai alza la
voce e ti spiega - ci ha dedicato una vita - come funzionano i meccanismi
del potere. Quello che sta sogghignando, con un sorriso beffardo, e' Sergio:
guai a Craxi o Andreotti, quando gli capita di capitare in un corsivo suo. E
Beppe? Eccolo la', il romanaccio. Lui e' quello che per esempio, quando
faceva il caporedattore al "Messaggero", scatenava la campagna per il
divorzio, contro i preti e i fascisti che ci vogliono baciapile come loro
(dopo la vittoria la folla dei manifestanti si fermo' sotto le finestre del
"Messaggero" al grido di "Viva il libero pensiero!").
Aveva fatto in tempo, da pischello, a vedere i tedeschi a Roma, e a fare la
parte sua.
Communista di quelli tosti, Beppe, non iscritto al partito ma piu' compagno
di un oste di San Lorenzo. Sergio no, lui era radicale di quelli antichi,
"capitale corrotta citta' infetta", di loro portava in dote l'ironia,
l'eleganza e la stupefazione schifata di fronte alle ladrerie del potere:
ogni potere. Tanto mangiapreti era Beppe, tanto anticlericale Sergio, quanto
cattolico - profondamente - Piero: lui veniva da Maritain e da Mounier, la
sinistra cristiana anni Cinquanta, e il communismo suo era qualcosa che
aveva gia' bell'e pronto nel vangelo. Ed eccoli tutti insieme la', negli
anni in cui la vecchia Italia si sfaceva e un'Italia piu' giovane si agitava
nelle citta', fuori dai palazzi.
Adesso che se n'e' andato anche Beppe (dove vanno i communisti romani? Non
nel paradiso dei preti, ci mancherebbe: ma forse c'e' un'osteria dall'altra
parte) e' davvero finita una generazione. Una bella generazione, forte,
gentile, in tante cose forse ingenua ma civile, profondamente devota al
popolo, libera come l'aria e piena di una sua scorbutica poesia.
A' Beppe, che pretendi ora, che mi metta a piangere per te? A farti il
coccodrillo come a un coglionazzo perbene? No: adesso me ne vado a San
Lorenzo e mi faccio un bicchiere di rosso alla salute tua. E poi mi rimetto
a lavorare.

8. RILETTURE. MARIA ANTONIETTA CALABRO': LE MANI DELLA MAFIA
Maria Antonietta Calabro', Le mani della mafia, Edizioni Associate, Roma
1991, pp. VI + 274, lire 24.000. Un ancor oggi utile libro su "vent'anni di
finanza e politica attraverso la storia del Banco Ambrosiano".

9. RILETTURE. OSCAR CULLMANN: VERO E FALSO ECUMENISMO
Oscar Cullmann, Vero e falso ecumenismo, Morcelliana, Brescia 1972, pp. 110.
Una raccolta di saggi sull'ecumenismo dopo il concilio Vaticano II del
grande, indimenticabile teologo.

10. RILETTURE. EZIO MARCOLUNGO, MIRELLA KARPATI: CHI SONO GLI ZINGARI?
Ezio Marcolungo, Mirella Karpati, Chi sono gli zingari?, Edizioni Gruppo
Abele, Torino 1985, pp. 144. Una utile introduzione.

11. RILETTURE. TERESA NOCE: VIVERE IN PIEDI
Teresa Noce, Vivere in piedi, Mazzotta, Milano 1978, pp. 204. Le
appassionate memorie di una strenua militante politica.

12. RILETTURE. CLOTILDE PONTECORVO, ANNA MARIA AJELLO, CRISTINA
ZUCCHERMAGLIO: DISCUTENDO SI IMPARA
Clotilde Pontecorvo, Anna Maria Ajello, Cristina Zucchermaglio, Discutendo
si impara, Carocci, Roma 1991, 1999, pp. 266, euro 26,34. Saggi su
interazione sociale e conoscenza a scuola.

13. RILETTURE. JON SOBRINO E I COMPAGNI DELL'UCA: IL MARTIRIO DEI GESUITI
SALVADOREGNI
Jon Sobrino e i compagni dell'Uca, Il martirio dei gesuiti salvadoregni, La
Piccola Editrice, Celleno (Vt) 1990, pp. 104, lire 10.000. Nelle parole dei
sopravvissuti la vicenda dell'efferato massacro perpetrato da uno squadrone
della morte salvadoregno, di cui furono vittime Ignacio Ellacuria, altri
cinque padri gesuiti e due collaboratrici dell'Universita' del Centro
America (Uca); ed un ricordo nitido e commosso delle vitime e della loro
azione per la pace e la giustizia.

14. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

15. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org;
per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
http://www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it

Numero 397 del 27 ottobre 2002