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IL MONDO IRREALE DEI «CIECOPACISTI»
Corriere della Sera
Venerdì 18 Ottobre 2002
I pacifisti pensanti... e quelli incoscienti
IL MONDO IRREALE DEI «CIECOPACISTI»
di GIOVANNI SARTORI
Chi vuole la guerra è un demente che vuole una cosa orribile. E dopo
gli spaventosi bagni di sangue delle ultime guerre mondiali, in
Europa la guerra non la vuole più nessuno. Pertanto chi oggi
distingue tra pacifisti e guerrafondai disegna una distinzione
fuorviante. La distinzione che ci divide è tra pacifisti incoscienti
- che dirò «cieco-pacisti» - e pacifisti pensanti. Il cieco-pacista
non sente ragioni, è tutto cuore e niente cervello. Il guru pacifista
del momento, Gino Strada, scrive così: «Può darsi che il movimento
per la pace non sia in grado di far cadere un dittatore, ma una cosa
è assolutamente certa, che... non ne ha mai creati né aiutati a
imporsi». Purtroppo no. Purtroppo Strada è assolutamente certo di
cose assolutamente false. I pacifisti degli anni '30 hanno aiutato
Hitler a imporsi, così come i pacifisti della guerra fredda -
gridando better red than dead , meglio rossi che morti - invitavano
l'Unione Sovietica a invadere una Europa che non si sarebbe difesa.
Il Paternostro recita: «Non indurci in tentazione». Lo recitano
ancora, il Paternostro, i nostri pacifisti chiesastici? E se lo
recitano, perché non si chiedono se il loro pacifismo assoluto - che
è in sostanza un pacifismo di resa - non induca in tentazione i
malintenzionati non ancora convertiti in agnelli? Quanto ai nostri
cieco-pacisti laici, a loro ricordo il detto che è l'occasione che fa
l'uomo ladro. Non ci credono? Provino a lasciare spalancate le porte
delle loro case. Saranno svaligiate anche e proprio da ladri creati
dall'occasione.
Fortuna vuole che ai pacifisti incoscienti si contrappongano i
pacifisti pensanti che rifiutano la guerra offensiva ma approvano la
guerra difensiva, che distinguono tra guerra ingiusta e guerra giusta
e che fanno sapere che si difenderanno se attaccati. Il mondo libero
deve la sua libertà a questo pacifista con la testa sul collo. Ma
anche lui si trova a disagio al cospetto della nuova idea della
guerra preventiva.
Mi si dirà che la guerra preventiva è sempre esistita. Sì; ma no. No
nel senso che oggi la dottrina della guerra preventiva si fonda su
una nuova ragion d'essere che si inserisce in un nuovo contesto: il
contesto di quella guerra che Umberto Eco ha battezzato «guerra
diffusa». Nelle guerre del passato esistevano due (o più) nemici ben
riconoscibili i cui eserciti si fronteggiavano lungo una frontiera
che era il limite da superare. Queste guerre erano dunque
caratterizzate da una frontalità territoriale. Nella nuova guerra
l'attaccante è un terrorismo globale ispirato da un fanatismo
religioso - e quindi senza precisa patria - che non si lascia
localizzare, che è dappertutto, e che opera nascondendosi. In questa
guerra diffusa, latente, ma per ciò stesso sempre pronta a colpire,
l'attaccato non sa più chi contrattaccare. O meglio: può solo
attaccare le infrastrutture dove vengono prodotte le armi dei
terroristi e gli Stati che li «supportano».
L'altro aspetto del problema è che la guerra terroristica dispone di
nuove armi chimiche e batteriologiche. Qui la novità è tecnologica. E
il fatto è che oggi disponiamo di una tecnologia facilmente
nascondibile il cui potenziale distruttivo è terrificante. Prima
c'era il cannone e c'era la corazza. Oggi la corazza non c'è quasi
più, e il cannone è diventato gigantesco. Una sola persona può
avvelenare l'acqua potabile di un milione di persone. Il
cieco-pacista non lo vede, ma il problema è questo.
Si sarà notato che non ho mai menzionato l'Iraq. Difatti qui
interessa capire quale sia la ragion d'essere di una guerra
preventiva. Se questo nuovo diritto di guerra si applichi o no (e con
quali procedure) ai vari casi concreti, e oggi al caso di Saddam
Hussein, è una questione a parte. Una cosa alla volta. E questa volta
il punto è che, a fronte della altissima vulnerabilità e facile
«uccidibilità» delle società industriali avanzate, il pacifista di
oggi è ancor più cieco e malconsigliante di quello del passato.