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La nonviolenza e' in cammino. 384



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO



Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it



Numero 384 del 14 ottobre 2002



Sommario di questo numero:

1. Contro la guerra e contro la rassegnazione

2. Elsa Morante, sulla soglia deserta

3. Il piano di formazione 2002-2003 degli obiettori di coscienza della
Caritas di Viterbo

4. Giulio Einaudi ricorda Ernesto De Martino

5. Roberta Ascarelli ricorda Zvi Kolitz

6. Antonio Gnoli recensisce le memorie di Cesare Cases

7. Corrado Stajano recensisce le memorie di Cesare Cases

8. Benedetto Vecchi intervista Zygmunt Bauman

9. Riletture: Federico Caffe', La solitudine del riformista

10. Riletture: Caterina Fischetti, Innocenza violata

11. Riletture: Simona Forti, Il totalitarismo

12. Riletture: Gadi Luzzatto Voghera, L'antisemitismo

13. Severino Vardacampi, del piacere della lettura

14. La "Carta" del Movimento Nonviolento

15. Per saperne di piu'



1. EDITORIALE. CONTRO LA GUERRA E CONTRO LA RASSEGNAZIONE

Diciamo chiare tre cose.

La prima: occorre intensificare la mobilitazione dal basso contro la guerra.

Nonostante le illusioni, essa si avvicina; lo sciagurato voto del Congresso
americano conta molto di piu' del parere del Consiglio di sicurezza di
un'Onu che l'amministrazione Usa ha deciso di mettere in mora.

Noi che siamo in Italia dobbiamo togliere al governo Bush e al suo sodale
goveroo Blair un alleato importante su cui contano molto, l'avallo e la
partecipazione italiana.

Per questo occorre impegnarsi di piu' e meglio. Non bastano le petizioni on
line e neppure gli "stracci di pace" che pure sono cose buone e giuste.
Occorre fare di piu' e dell'altro.

Ed ecco alcune proposte:

a) scrivere individualmente, ognuno di noi, al presidente della Repubblica,
al governo, al parlamento, dicendo loro che la guerra e' crimine, strage e
golpe, invitandoli quindi a rispettare la legge e la morale, invitandoli ad
opporsi alla guerra;

b) scrivere esposti alla magistratura contro la guerra e chi la propugna,
poiche' la guerra e' proibita dal diritto internazionale e dalla legalita'
costituzionale del nostro paese, ergo chi la appoggia si colloca fuori e
contro la legge;

c) scrivere individualmente, ognuno di noi, a tutti i mezzi d'informazione,
contestando la propaganda bellicista e riaffermando la pace come valore,
come diritto, come dovere, come necessita';

d) chiedere pronunciamenti per la pace e la legalita' internazionale e
costituzionale a enti locali, altre istituzioni, partiti, sindacati,
chiese, associazioni, persone, ovunque e da tutti;

e) rendere visibile l'opposizione alla guerra con iniziative (serie,
oneste, non urlate, non propagandistiche e non faziose) in tutte le nostre
citta' e paesi, nei quartieri e nei posti di lavoro e di studio, nei
ritrovi e nelle piazze;

f) fare la scelta della nonviolenza, accostarsi alla nonviolenza in umilta'
e coscienza, senza dogmatismi e senza presunzioni. La nonviolenza e' una
risorsa grande, ma richiede impegno, disciplina, lealta', coraggio;

g) addestrarsi alla resistenza civile nonviolenta contro la guerra;

h) sostenere campagne come quella di obiezione/opzione di coscienza del
cittadino;

i) studiare i valori e le esperienze storiche della nonviolenza;

l) studiare le tecniche deliberative ed operative della nonviolenza;

m) prepararsi all'azione diretta nonviolenta contro la guerra e per la
legalita';

n) prepararsi alla disobbedienza civile di massa contro la guerra e per la
legalita';

o) preparare lo sciopero generale contro la guerra e per la legalita';

p) aiutare in ogni modo le vittime; cercar di salvare il maggior numero di
vite umane.

*

La seconda: per opporci efficacemente alla guerra dobbiamo essere
comprensibili e credibili.

Per essere comprensibili dobbiamo farla finita con atteggiamenti urtanti,
con la colpevolizzazione degli interlocutori, con la tracotanza di chi
presume di saperne di piu' e di poter semplificare cose che sono invece
terribilmente complesse.

Occorre studiare, occorre prendere sul serio i ragionamenti altrui, occorre
saper comunicare in modo rispettoso e costruttivo.

Capitini insisteva anche, e giustamente, persino sul vestirsi con decoro e
sull'igiene personale. Aveva ragione.

E quindi dobbiamo saper rinunciare alle nostre bandierine ed idiosincrasie,
dobbiamo muovere dal punto di vista di esseri umani tra esseri umani, e non
presentarci come spocchiosi agit-prop.

Per essere credibili dobbiamo piantarla di contar panzane, di citare dati
non verificati (quasi tutti quelli che escono sulla stampa), di fare di
tutt'erbe un fascio.

Dobbiamo studiare, studiare e studiare. E dobbiamo dialogare, dialogare e
dialogare ancora.

E dobbiamo esercitarci anche alla comunicazione: non basta sapere le cose,
occorre anche saperle dire. Non basta essere convinti di aver ragione,
occorre quella ragione saperla esprimere, argomentare, sottoporla al vaglio
della critica, senza furbizie, senza disonesta' (un utile repertorio di
cio' che non si deve fare e' in Schopenhauer, L'arte di ottenere ragione).

Ma il nocciolo della questione e' il seguente: che per essere comprensibili
e credibili dobbiamo essere onesti, veritieri, coerenti.

Questo significa che per opporci efficacemente alla guerra bisogna essere
costruttori di pace; che l'opposizione alla guerra non puo' essere
strumentale e dimidiata, ma deve tradursi nella scelta della nonviolenza.

E qui torniamo al punto decisivo: la scelta della nonviolenza, senza della
quale l'opposizione alla guerra e' destinata al fallimento, alla disfatta.

*

La terza e ultima cosa: prendiamoci sul serio. Dobbiamo essere consapevoli
che possiamo farcela a mettere in difficolta' l'adesione italiana alla
guerra, e cosi' possiamo fortemente indebolire il blocco bellicista.
Possiamo farcela, dobbiamo volercela fare.

Questa possibilita', questa volonta', questo dovere, hanno un nome:
nonviolenza.



2. MAESTRE. ELSA MORANTE: SULLA SOGLIA DESERTA

[Da Elsa Morante, Il mondo salvato dai ragazzini, p. 6. Elsa Morante
(1912-1985) e' stata una delle piu' grandi scrittrici italiane del
Novecento. Opere di Elsa Morante: segnaliamo almeno Menzogna e sortilegio
(1948), L'isola di Arturo (1957), Il mondo salvato dai ragazzini (1968), La
storia (1974), Aracoeli (1982), tutti presso Einaudi. Si veda anche Pro o
contro la bomba atomica e altri scritti, Adelphi, Milano 1987; "Piccolo
manifesto" e altri scritti, Linea d'ombra, Milano 1988. Un'edizione in due
volumi delle Opere e' apparsa presso Mondadori, Milano 1988. Opere su Elsa
Morante: segnaliamo almeno Carlo Sgorlon, Invito alla lettura di Elsa
Morante, Mursia, Milano 1972; Gianni Venturi, Elsa Morante, La Nuova
Italia, Firenze 1977]

Poi, la sera, rovescio sulla soglia deserta

un carniere di piume insanguinate.



3. MATERIALI. IL PIANO DI FORMAZIONE 2002-2003 DEGLI OBIETTORI DI COSCIENZA
DELLA CARITAS DI VITERBO

[Ringraziamo Mario Di Marco (per contatti: mdmsoft@tin.it), responsabile
della formazione degli obiettori di coscienza della Caritas di Viterbo, per
averci trasmesso il seguente programma formativo. Mario Di Marco e' una
delle persone piu' buone che conosciamo]

Una circolare emanata nel luglio scorso dall'Ufficio Nazionale per il
Servizio Civile (UNSC) applica finalmente uno degli articoli migliori
dell'attuale legge sull'obiezione di coscienza: quello sulla formazione
(art. 8, comma 2, lettera c della legge 230).

Con esso si dispone l'obbligatorieta' della formazione per tutti gli
obiettori di coscienza in servizio civile, si fornisce agli enti un
contributo, seppur quasi simbolico, per il suo svolgimento, e si rende la
capacita' di fornire tale formazione un requisito indispensabile per il
proseguimento delle convenzioni al momento attive.

Le linee di tale formazione sono delineate in un documento, redatto
precedentemente alla circolare, denominato "Patto nazionale per la
formazione degli obiettori di coscienza", alla cui stesura hanno
contribuito alcuni degli stessi enti convenzionati per il servizio civile.

Cio' dovrebbe finalmente favorire la concretizzazione del diritto
dell'obiettore di coscienza a crescere come cittadino attivo e come
promotore di pace e speriamo anche che alcuni enti smettano di considerare
i ragazzi in servizio civile solo come un'integrazione a buon mercato del
personale gia' presente.

La Caritas diocesana di Viterbo non e' impreparata a questo richiamo in
quanto ogni anno, grazie al contributo di educatori e testimoni di pace,
interni ed esterni, ha garantito agli obiettori un percorso formativo di
ampio respiro.

Anche quest'anno e' stato redatto un programma che, tra l'altro, prevede
incontri tematici quattordicinali. Essi saranno svolti presso la sede in
piazza Dante 2 a Viterbo, con inizio alle 17,30 (per ulteriori informazioni
si puo' telefonare allo 0761303171 o scrivere a caritas_oc@libero.it).

* Incontri tematici su diritti umani, pace, giustizia, solidarieta'

1. Introduzione all'obiezione di coscienza: cenni storici, principi
giuridici e ordinamento vigente. Presentazione del programma di formazione
2002-2003.

2. Diritti umani e democrazia: la dichiarazione universale dei diritti
dell'uomo, la Costituzione italiana, l'Onu.

3. Obiezione al sistema militare: i modelli di difesa del 2000, le spese
per gli armamenti, la Nato.

4. Nonviolenza e difesa popolare nonviolenta: definizione, storia, principi
teorici.

5. Nonviolenza e difesa popolare nonviolenta: le pratiche, la simulazione
di casi.

6. Quando l'economia uccide: critica al sistema economico mondiale.

7. Un pianeta allo stremo: l'emergenza ecologica.

8. Lo sviluppo sostenibile: energie rinnovabili, consumo critico, finanza
etica.

9. La poverta' nei paesi sviluppati: il rapporto del Censis per l'Italia.

10. Immigrati, profughi e sfollati nel mondo.

11. La condizione degli immigrati in Italia e la legge vigente.

12. Emarginazione, tossicodipendenza, Aids.

* Incontri di spiritualita'

1. Obiezione di coscienza: una scelta di vita.

2. Il senso del Natale nella societa consumistica, di cui tu fai parte.

3. Il messaggio del papa per la giornata mondiale della pace 2003.

4. Conflitti, nonviolenza e Vangelo.

5. Pasqua: morte e resurrezione dentro e fuori di te.

6. Rapportarsi con il diverso.

* Gli obiettori Caritas dicono no alla guerra in Iraq e comunicano ai mass
media la loro adesione all'appello di Pax Christi.



4. MEMORIA. GIULIO EINAUDI RICORDA ERNESTO DE MARTINO

[Questo intervento di Giulio Einaudi per il convegno di Napoli su Ernesto
De Martino del dicembre 1995 e' apparso su "L'Unita'" del 2 dicembre 1995.
Giulio Einaudi e' stato il creatore della casa editrice che porta il suo
nome. Ernesto De Martino e' stato uno dei piu' grandi intellettuali del
Novecento: nato nel 1908 e scomparso nel 1965, non solo illustre studioso
di etnologia, folklore, cultura delle classi subalterne, ma anche uomo
fortemente impegnato per il progresso civile e la giustizia sociale. Opere
di Ernesto De Martino: da lui edite in volume: Naturalismo e storicismo
nellâetnologia, Laterza, ora Argo; Il mondo magico, Boringhieri; Morte e
pianto rituale nel mondo antico, Boringhieri; Sud e magia, Feltrinelli; La
terra del rimorso, Il Saggiatore; Magia e civilta', Garzanti; Furore
Simbolo Valore, Il Saggiatore, poi Feltrinelli; postumo e' apparso il
materiale raccolto in La fine del mondo, Einaudi; nellâambito della
pubblicazione di tutte le opere edite e inedite di De Martino, la casa
editrice Argo ha giˆ pubblicato anche i volumi: Note di campo; L'opera a
cui lavoro; Storia e metastoria. Segnaliamo anche due carteggi editi:
Cesare Pavese, Ernesto De Martino, La collana viola. Lettere 1945-1950,
Bollati Boringhieri, Torino 1991; Riccardo Di Donato (a cura di), Compagni
e amici. Lettere di Ernesto De Martino e Pietro Secchia, La Nuova Italia,
Firenze 1993. Una raccolta di conversazioni radiofoniche del '53-'54 di e
su De Martino e': Panorami e spedizioni, Bollati Boringhieri, Torino 2002]

Ricorda Cesare Cases nella sua prefazione all'edizione del 1973 del Mondo
magico che, quando si chiedeva a de Martino quale universita' avesse
frequentato, egli rispondeva: "Quella di via Trinita' Maggiore". Devozione
a Croce, anche quando se ne distacchera', dagli inizi degli anni '40 al
1949, come acutamente osservava l'Angelini nel suo saggio sui rapporti tra
Pavese e de Martino, pubblicato da Bollati Boringhieri nel 1991. L'11
maggio '49 infatti de Martino consegnera' ad Einaudi la prefazione de Le
origini dei poteri magici di Hubert e Mauss che, come scrive Angelini,
"costituisce il primo passo "pubblico" della sconfessione di una tesi del
Mondo magico (la storicita' delle categorie): e il cosiddetto ritorno a
Croce di de Martino, ritorno a Croce che generalmente si fa risalire al
1951", anno della pubblicazione del libro di Hubert e Mauss.

Croce, non Croce, ritorno a Croce, Partito comunista, incontro con Pavese,
il poeta del mito, l'uomo di Santo Stefano Belbo e di Torino, l'uomo della
campagna ancestrale e della citta' moderna: un incontro esplosivo, che
Angelini nel suo libro con pochi tocchi sa rievocare entrando nel vivo dei
problemi e delle idee. Un unico appunto gli farei, la' quando dice che la
scelta che Calvino ha fatto delle lettere di Pavese a de Martino, nel
volume einaudiano del 1966, e' stata "parca". Calvino ha scelto, e lo
dichiara in una nota, le lettere "piu' interessanti, sia dal punto di vista
della personalita' di Pavese, sia da quello della cronaca culturale del
dopoguerra". E le lettere di Pavese pubblicate da Calvino sono ben 35, su
un totale di 51: non "parca" scelta, dunque.

Abbiamo un intenso carteggio tra de Martino e Pavese, che documenta le
vicende della "Collezione di studi religiosi, etnologici e psicologici", la
collana viola della collezione Einaudi. Nel carteggio pubblicato da
Angelini compaiono due fasi temporali: una, la prima, di collaborazione con
Pavese; la seconda definibile dai contrasti. Contrasti che portano de
Martino, morto Pavese nel 1950, a rinnegare l'indirizzo che Pavese aveva
dato alla collana "non del tutto di mio gradimento poiche' ad ispirare tale
indirizzo reagiva la sua troppa immediata simpatia per certe forme di
irrazionalismo, scientificamente errate, politicamente sospette, che
attraverso l'idoleggiamento del mondo primitivo, del sacro, del mito, etc.
avevano tenuto a battesimo alcuni aspetti dell'involuzione culturale (e
politica) della borghesia agonizzante".

Era questo il periodo del ritorno a Croce, ma anche dell'adesione di de
Martino al Pci. Nel 1948, anno della pubblicazione del Mondo magico,
morira' anche Zdanov, tuttavia ancora influente. I "compagni" ignoreranno,
nei migliori dei casi, il libro di de Martino, tendendo a vedere in lui un
divulgatore di testi irrazionalisti.

Un senso di colpa deve averlo colpito, duri sono quegli anni per uno
spirito libero, che disperatamente vuole rimanere tale. Nella collana si
pubblicano libri che sia Pavese che de Martino avevano approvato, ma nel
suo tormento quest'ultimo sente il bisogno di prefare i libri con dure
critiche, con vere e proprie messe in guardia per il lettore.

E Pavese pur lasciando correre per lo piu', talvolta interviene, chiedendo
"una rigorosa e tagliente noticina bio-bibliografica anziche' una predica
profilattica", contestando quella che de Martino chiama "introduzione
impegnativa che vaccini dai pericoli".

In una lettera non datata, ma presumibilmente dell'ottobre 1949, de Martino
scrive a Pavese: "Credo che vorrai conoscere la mia opionione sulle
critiche degli "ortodossi" alla collana viola, che nel loro petulante
giudizio sarebbe addirittura da chiamare "collana nera", cioe'
"nazifascista". Naturalmente noi dobbiamo fare muso duro a questi caporali,
pero' non dobbiamo commettere errori che giustificano, sia pure
parzialmente, tali ingerenze". Che fosse giunto sentore a de Martino di una
lettera manoscritta, forse non spedita, di Pavese a Muscetta, esposta per
la prima volta in una bacheca illustrativa della Storia della Casa Einaudi,
nell'87, e parzialmente pubblicata nella intervista del '91 di Severino
Cesari al sottoscritto: "La collezione di cui fa parte il volume da te
liquidato (il Cannibalismo di Vohlard), e' apparsa una vera centrale
clandestina della controrivoluzione". Qui Pavese adotta un tono sarcastico
che conferma il clima evocato da de Martino.

Alla morte di Pavese, pur con le riserve espresse innanzi, de Martino
continua a collaborare alla collana. Usciranno ancora volumi, progettati
con Pavese, ma de Martino non sente piu' la collana come sua, come, sia pur
tra i dissensi, l'aveva sentita con Pavese. E i rapporti con de Martino si
disperdono, per mancanza di un interlocutore costante. Vediamo lettere
indirizzate a me, a Bollati, a Calvino, a Luciano Foa', a Panzieri: tutte
contenenti proposte e progetti che per lo piu' non avranno corso.

Qui avviene il miracolo. Dopo esperienze deludenti con altri editori, de
Martino trova nella Einaudi un interlocutore nuovo, con cui discutere ed
intendersi: Renato Solmi, quel Solmi che ebbe con de Martino, nel lontano
1952, una vivace polemica di cui fa cenno Cases nella prefazione del '73 al
Mondo magico. Siamo nel gennaio del 1960. Si incomincia a parlare di una
nuova collana di studi religiosi, concepita all'inizio unitariamente e poi
confluita nell'alveo della "Nuova Biblioteca scientifica Einaudi". Ma a
fine '63 Solmi lascia la casa editrice. I rapporti diventano nuovamente
saltuari; Bollati informa de Martino che i volumi progettati per la
collezione di studi religiosi dovranno confluire "coraggiosamente in una
collana unica, suddivisa al suo interno in tante serie quante sono le
discipline": la Nuova Biblioteca Scientifica Einaudi. In questa collana
uscira' nel 1977, postumo, a cura di Clara Gallini, La fine del mondo,
libro incompiuto che sviluppa le tesi del Mondo magico, annunciato come
progetto da de Martino nel suo appunto del 1962 per la collezione di studi
religiosi.

La genesi de La fine del mondo risale al 1962. Ne fa parte questo passo
inedito su Pavese, pubblicato dall'Angelini: "Il poeta e l'etnologo, nella
apparente casualita' di una iniziativa editoriale: un incontro le cui
ragioni inizialmente sfuggirono a me molto piu' che a lui, e che solo dopo
la sua morte cominciarono a proporsi in me, dapprima come vago e ritornante
ricordo, e quasi come oscuro debito contratto con lui. Giunse poi il giorno
- durante le ferie di agosto del 1962, in un villaggio di pescatori della
Terra del Rimorso - giunse il giorno in cui rimeditando sul tema della
"fine del mondo" e tracciando i primi contorni di un'opera
storico-culturale che intendevo scrivere sull'argomento - quel ritorno vago
e ritornante prese a crescere in me, e il debito a precisarsi nel modo col
quale doveva essere pagato".



5. MEMORIA. ROBERTA ASCARELLI RICORDA ZVI KOLITZ

[Questo articolo abbiamo ripreso dal quotidiano "Il manifesto" del 12
ottobre 2002]

Uomo di un solo libro e dalle molte avventure, Zvi Kolitz, l'autore di
Yossl Rakover si rivolge a Dio, scomparso lunedi' a New York alla vigilia
di una Buchmesse dedicata al suo paese, la Lituania, e di un Nobel per la
letteratura assegnato a Irme Kertesz, ebreo orientale come lui. Aveva 86
anni, nella sua vita aveva cambiato lingue e paesi, ma mai mutato il
rapporto profondo con la tradizione ebraica. Nato nel 1919 in una famiglia
dalla profonda religiosita' chassidica ma non insensibile alla cultura
"laica", quella almeno dei grandi classici europei tradotti e letti in
jiddisch, fugge nel 1936 insieme alla madre e ai fratelli in Italia, dove
studia, e poi, nel 1940, in Israele. Qui e' prigioniero degli inglesi,
soldato inglese, rappresentante ufficiale del Congresso sionista
internazionale e agente segreto dell'Irgun, il movimento radicale guidato
da Menachem Begin. Dopo la creazione dello Stato di Israele sceglie ancora
una volta l'esilio. Giunto in America, attraversa tutti i mestieri che
dalla sonnolenta Europa si possono immaginare per un ebreo orientale
approdato a Brodway. Scrive in inglese prose e sceneggiature di successo
(Hill 24 doesn't answer, un film del 1954, tratto da un suo racconto sulla
guerra di indipendenza israeliana, viene premiato a Cannes) e, nella lingua
materna, un jiddisch lituano volutamente semplice, quasi infantile, redige
articoli per un giornale newyorkese, Der algemayner Shournal. Produce anche
musical con il sapore sognante dello shtetl (The Megilla of Itzig Manger;
I'm Solomon) o testi scomodi e impegnati come l'edizione americana del
Vicario di Rolf Hochhuth nel 1963.

Ormai anziano, famoso e rispettato, scopre una vena esegetica. Senza il
tormento di Potok o la ribellione di Roth, Zvi ritrova il pensiero
chassidico delle sue origini e scrive di maestri e cabbalisti in libri di
facile lettura (Confrontation, dedicato all'opera e all'insegnamento di
Rabbi Soloveitchik e The Teacher), persuaso che sia ancora possibile un
approccio "esistenziale", come lui lo definisce, magico e salvifico, alla
religione dei padri.

Fin qui una biografia intellettuale tanto caratteristica da sembrare un
racconto ispirato a qualche eroe minore della diaspora americana. Eppure,
se oggi ricordiamo Zvi Kolitz non e' per una vita da romanzo, ma piuttosto
per un racconto di poche pagine, Yossl Rakover si rivolge a Dio, per anni
letto come fosse un documento tragico e definitivo dello sterminio del
ghetto di Varsavia. All'inizio del testo si legge, a testimonianza della
sua veridicita', "In una delle rovine del ghetto di Varsavia, tra cumuli di
pietre carbonizzate e ossa umane, sigillato con cura in una piccola
bottiglia, fu trovato il seguente testamento, scritto da un ebreo di nome
Yossl Rakover nelle ultime ore del ghetto". La "confessione" in prima
persona e' preghiera e legato, struggente professione di fede negli uomini
e in Dio, imperiosa protesta in nome della dignita' umana: "muoio
tranquillo, ma non appagato, colpito, ma non asservito, amareggiato, ma non
deluso, credente, ma non supplice". Cosi' scrive Yossel, ma in realta' lo
scrittore non e' a Varsavia, ma a Buenos Aires, dove tiene conferenze
sioniste per la Comunita' ebraica locale, e qui traccia in una notte la
storia delle ultime ore dell'ebreo polacco.

Il testo verra' tradotto in israeliano e poi in tedesco senza indicazione
dell'autore come fosse realmente una testimonianza smarrita e ritrovata:
l'effetto del testo e' grande: "uno scritto estremamente coinvolgente" lo
definisce Thomas Mann, e Wolf Biermann lo considerera' "una delle opere
migliori della letteratura mondiale". Ma in pochi colgono il suo valore
politico, l'adesione militante all'ebraismo, l'impegno sionista che lo
sottende, l'orgoglio non domato e mai tracotante di essere dalla parte
dell'uomo e, forse (perche' un uomo religioso non puo' affermarlo) dalla
parte di Dio, il richiamo comunque alla violenza se giusta.

A Levinas non sfugge pero' nel 1963 in un testo dalle molte chiavi, Amare
la Torah piu' di Dio, che il presunto documento altro non e' che una storia
immaginaria (come appurera' anni dopo Paul Badde), costruita con la finezza
interpretativa di chi conosce i sacri testi e ne camuffa la infinita
profondita' in una lingua semplice come quella del Baal Shem Tov o di
Nachman di Breslavia: "Esso - scrive - testimonia un atteggiamento
intellettuale molto piu' illuminante di certe letture di intellettuali
(...) questo testo rivela una scienza ebraica, pudicamente dissimulata, ma
sicura".

Profondo come la tradizione talmudica, vivo come le storie di Rachele e di
Giobbe, reso tragico dal confronto con la morte e con la violenza, il
testamento di Yossl e' comunque un grande documento, il documento di una
volonta' di rinascita dopo lo sterminio.



6. MAESTRI. ANTONIO GNOLI RECENSISCE LE MEMORIE DI CESARE CASES

[Questo articolo di Antonio Gnoli, che recensisce le Confessioni di un
ottuagenario di Cesare Cases apparse presso Donzelli, e' stato pubblicato
sul quotidiano "La repubblica" del 30 ottobre 2000 col titolo "Cesare Cases
racconta i suoi ottant'anni di tenere polemiche". Lo abbiamo ripreso dal
sito della casa editrice Donzelli (www.donzelli.it)]

Ho letto con comprensibile godimento il libretto di memorie di Cesare Cases.

Comprensibile perche' chi conosce Cases sa quanto la sua forza si basi
oltre che sull'autorevolezza del germanista, anche sullo stile
inconfondibile: un misto di ironia, sarcasmo e qualche stilla di tenerezza.
Un'arte degli opposti sembra governare queste pagine, sottraendole ad ogni
prevedibile definizione. Chi e' Cases? Un polemista e uno studioso? Un
ortodosso e un trasgressivo? Un accademico e un militante? A qualunque
famiglia egli finga di appartenere, ce ne e' sempre un'altra corrispondente
pronta ad adottarlo. Difficile percio' trovargli un abito che gli stia a
pennello, difficile ricomprenderlo sotto un unico segno. Cases e' un uomo
che per definizione sfugge alla riconoscibilita': per eccesso di interessi,
si direbbe, che vanno a volte in direzioni opposte. Lukacs e' stato un suo
maestro, ma anche Karl Kraus che poco ha in comune con il filosofo
ungherese. Ha letto con interesse Benjamin e Adorno, ma non ha disdegnato
di gettare uno sguardo fra le pieghe reazionarie di Ernst Junger, su cui in
anni giovanili ha scritto cose di grande intelligenza. Cases compira'
ottant'anni a dicembre: ai clamori con cui e' stato accolto l'evento e alla
saggezza che per convenzione si attribuisce a questa eta', egli, mi pare,
preferisca toni piu' ironici, e meno gridati.

Leggetele queste Confessioni, non sono solo il ritratto di un'epoca
piuttosto lunga e dei personaggi che l'hanno attraversata: Timpanaro,
Einaudi, Calvino, Cantimori, Bollati, Fortini, ne cito alcuni; sono
soprattutto un capolavoro di ferocia e di understatement.

C'e' passione shakespeariana nel modo in cui a Cases piace "strozzare" i
personaggi che incrocia ma anche tenerezza nei loro riguardi, quasi che
egli non possa fare a meno di amarli. E soprattutto non fate caso alla
scarsa indulgenza con cui a volte egli giudica e soppesa il proprio operato
di intellettuale. Semplicemente ha voluto sottrarre alla parola "io" la
futilita' che spesso l'avvolge. E' la condizione per ritrovarsi liberi,
anche da se stessi. E dai propri pregiudizi. Che un chimico potesse
diventare germanista non e' impresa ardua, che un germanista apprendesse la
sottile arte della denigrazione, questo e' stato il miracolo.



7. MAESTRI. CORRADO STAJANO RECENSISCE LE MEMORIE DI CESARE CASES

[Anche questo articolo recensisce il medesimo libro; ed e' apparso sul
"Corriere della sera" del 22 novembre 2000 col titolo "Spendere la vita per
la letteratura"; lo abbiamo ripreso dal sito della casa editrice Donzelli
(www.donzelli.it). Corrado Stajano e' giornalista e saggista di forte
impegno civile]

Chissa' se Cesare Cases sospetta di aver scritto un racconto piu' che
un'autobiografia con le sue confessioni di un ottuagenario. Uno dei non
molti italiani anomali. Germanista, autore di molti saggi importanti sulla
letteratura tedesca, sulla cultura del novecento, su Lukacs il suo maestro,
su Goethe, Thomas Mann, Musil, Benjamin, professore nelle universita' di
Cagliari, Pavia, Torino, troppo spiritoso e beffardo per farsi ingabbiare
in una qualsiasi cornice politica, a pagina 143 del libro da' di se stesso
questa definizione: ''Sono sempre scisso tra tentazioni estremistiche, di
gran lunga prevalenti, perche' non e' chi non veda che il mondo ha bisogno
di essere radicalmente riformato, e controspinte conformistiche, quando
giudico l'impresa disperata. Non essendo cattolico come lo era a suo modo
Brecht, non posso tenere i piedi in entrambe le staffe''.

Cases ha compiuto ottant'anni il 24 marzo di quest'anno. Milanese, nato
vicino alla casa natale del Manzoni, scolaro alle elementari di via Spiga,
liceale al Parini. Il padre avvocato civilista come il nonno, che abitava
in via Montenapoleone, con studio in via Sant'Andrea 11, ha tutte le carte
in regola per far da figurante nell'Adalgisa di Gadda. La partenza per le
vacanze a Lambrugo in Brianza, con la carrozza pubblica, il ''bruum'' pare
uscire settant'anni fa da quel mondo. Sulla carrozza diretta alla stazione
Nord si stipavano con Cesare la Nora e la Pasqualina, l'Adelina e la
Rosina, le donne di servizio di casa e dei nonni, e il brumista quando
svoltava a via Manzoni, faceva un gran schioccar di frusta davanti al
''Banco de America e del Rio de la Plata''. Ma le consonanze, se si
escludono lo spirito caustico, le villeggiature in Brianza e l'essere
entrambi transfughi dalla citta' natale disamata o nascostamente amata, si
fermano qui. Di Gadda Cases non ha le nevrosi distruttive, e' indifferente
ai dialetti, non ha le furie reazionarie e le manie di ordine.

Si direbbe che Cases e' soprattutto fiero del suo tedesco, il resto e'
trascurabile. Una lettera di Thomas Mann a Giulio Einaudi muta il suo stato
di lavoratore flessibile. L'editore, con una lettera preparata da Cases,
aveva proposto a Mann di scrivere la prefazione alle Lettere dei condannati
della Resistenza europea e lo scrittore aveva accettato purche' gli si
traducessero in tedesco una ventina di Lettere: ''Ci' che dovrebbe
riuscirle tanto piu' facile in quanto lei dispone di un collaboratore che
padroneggia la lingua tedesca con perfezione umiliante''. Da allora le
azioni di Cases, che da Einaudi aveva cominciato da commesso-garzone alla
libreria Aldovrandi, salgono vertiginosamente. Viene assunto come
consulente di letteratura tedesca e diventa negli anni uno dei cardini
della casa editrice, ''testimone secondario'', come ama egli dire, dei
fatti della cultura e della politica, dei conflitti intellettuali, delle
scelte editoriali, una cosa seria, allora.

In Svizzera, dove era approdato anni prima, ai tempi delle leggi razziali,
si era iscritto alla Facolta' di Chimica. Correvano i treni per Auschwiz,
milioni di uomini morivano nelle camere a gas. Cases non grida ora il suo
orrore, come vaccinato dalla banalita' dell'infamia, ma nel corpo di una
fase, in un inciso che sembra senza importanza accenna a compagni di scuola
morte nei Lager, a intere famiglie sterminate, a uomini e donne impazziti.
Le scienze non gli sono benevole e lui passa a studiare le lingue e le
letterature romanze e germanistica e filosofia. E' curioso, vorace di carta
stampata. E' un agnostico, con tendenze apocalittiche che smentisce.
Cattivo? Qualche volta perde al pazienza davanti la cattiveria del mondo e
si difende.

La sua vita e' costellata di incontri. A cominciare da Theophile Spoerri,
professore di letteratura italiana antica e francese moderna, a Lucien
Goldmann, filosofo marxista antistalinista. E poi Franco Fortini, che lo
inquieta con l'eterna questione della funzione degli intellettuali, al
quale restera' sempre legato nonostante le burrasche periodiche di cui sono
stati vittime tutti quelli che gli hanno voluto bene; Giulio Einaudi, di
cui stima la capacita' di capire il valore degli uomini; Italo Calvino e
Renato Solmi, l'ammirato grande amico.

Cases ha alternanze di durezza - le sue battute fulminanti, i suoi
epigrammi - e di affettivita' quando tira fuori nomi ormai dimenticati,
Daniele Ponchiroli, l'italianista di grande prestigio per esempio, ''la
creatura piu' amabile e soave che il mondo dell'editoria abbia espresso''.
Nel consiglio della casa editrice e nel tavolo ovale delle famose riunioni
del mercoledi', Cases era all'estrema sinistra. La sua cultura e le sue
onnivore letture facevano sentire a volte ignorantissimi. Ma non saliva mai
in cattedra il professore disincantato che non si e' arreso mai
all'irrazionale, come ha scritto Claudio Magris.



8. MAESTRI. BENEDETTO VECCHI INTERVISTA ZYGMUNT BAUMAN

[Questa intervista all'illustre sociologo e' apparsa sul quotidiano "Il
manifesto" del 10 ottobre 2002]

Zygmunt Bauman e' uno studioso riservato, che non ama le luci della
ribalta. Ogni giorno, passa alcune ore a leggere attentamente i giornali,
ma e' restio nel parlare con i giornalisti. Eppure e' proprio dall'analisi
di alcuni articoli apparsi su un giornale inglese che prende l'avvio di uno
dei suoi libri dedicati alla globalizzazione (Solitudine del cittadino
globale, Feltrinelli). Anzi si puo' dire che le "conseguenze della
globalizzazione nella vita delle persone" e' diventato il suo rovello al
quale ha dedicato gran parte della sua recente produzione teorica, da
Dentro la globalizzazione (Laterza) a Voglia di comunita' (Laterza), da La
societa' dell'incertezza (Il Mulino) a Le sfide dell'etica (Feltrinelli) a
La modernita' liquida (Laterza) a La societa' individualizzata (Il Mulino).

Polacco di origine ebraica, ha fatto parte di quel piccolo e innovatore
gruppo di intellettuali che nel Sessantotto criticarono aspramente la
gestione del potere da parte del partito comunista, schierandosi a fianco
del movimento studentesco. Ma dopo la normalizzazione e l'ondata antisemita
alimentata dal partito unico al potere, lascio' il paese e comincio' un
breve pellegrinaggio, che lo ha portato prima in Israele e poi in
Inghilterra, dove tutt'ora vive.

Un autore prolifico, dunque. Riuscire ad avere un'intervista e'
un'operazione che comporta pazienza, anche perche' Bauman preferisce i
tempi lunghi della riflessione per elaborare risposte ai problemi globali
che gli stanno a cuore. Cosi' e' accaduto che il primo contatto e' avvenuto
a Roma la scorsa primavera. Poi il dialogo e' proseguito via e-mail per
tutta l'estate per la sua esitazione a misurarsi con gli spazi, limitati,
di una pagina di giornale e per cio' che accadeva nel mondo. I venti di
guerra, la crisi della globalizzazione, il silenzio degli intellettuali:
tutti elementi che Bauman sente come manifestazione di un Disagio della
postmodernita', come recita il titolo di un suo libro uscito in questi
giorni in Italia e pubblicato da Bruno Mondadori. (Nelle prossime settimane
Raffaello Cortina ne mandera' un altro alle stampe con il titolo Societa',
etica e politica). Dai rischi di guerra prende l'avvio l'intervista.

- Benedetto Vecchi: La guerra contro l'Iraq sembra inevitabile. L'Europa
non riesce ad affermare una posizione unitaria e autonoma dagli Stati
Uniti. Se sara' cosi', sara' difficile parlare di Europa nel prossimo
futuro, perche' se sara' guerra ridisegnera' il mondo dove gli Usa
detteranno legge. Lei che ne pensa?

- Zygmunt Bauman: Come Martin Woollacott ha giustamente osservato su The
Guardian "il dibattito sull'Iraq e' pleonastico - la decisone e' stata
presa", e "discutere se la guerra sia giusta o sbagliata non influenzera'
gli americani". Possono ascoltare, se l'etichetta della diplomazia lo
richiede, ma non terreanno in gran conto qualunque cosa dira' l'Europa.
Credo che la scelta reale non sia quella, ampiamente urlata e strombazzata,
tra l'unirsi alla frenesia del "Dio benedica l'America" o assumere un
atteggiamento anti-americano. Ritengo che il vero dilemma - un dilemma
vitale - che tutti noi abbiamo di fronte e dovremmo affrontare sia quello
tra "Dio benedica l'America" e "Dio benedica l'umanita'".

- B. V.: Negli ultimi anni, i problemi posti dalla globalizzazione sono
entrati nell'agenda politica mondiale grazie alle mobilitazioni di un
variegato movimento sociale globale, il quale ha denunciato che esiste una
redistribuzione feroce delle ricchezze. In sintesi, nella societa'
individualizzata i rapporti di potere tra le classi, i gruppi sociali e tra
il nord e il sud del mondo sono basati sulle diseguaglianze. E' d'accordo?

- Z. B.: Io stesso non saprei dirlo meglio. Il mondo pero' e' diventato
pieno, ma non e' uno. Il nuovo mescolarsi di culture e forme di vita e'
un'altra illusione, frutto di generalizzazioni basate sull'esperienza della
elite globale e forse anche funzionale alla sua esigenza di autostima e di
comfort spirituale. In realta', insieme al celebrato cosmopolitismo e
all'ibridazione della elite affaristica e del sapere, che e' planetaria e
sempre piu' extraterritoriale, anche il nuovo pugnace tribalismo - che si
traduce in un feroce territorialismo - e' il prodotto principale di una
globalizzazione priva di vincoli politici.

- B. V.: Recentemente, lei ha affermato che viviamo in una "modernita'
liquida", dove la "rivoluzione" di consuetudini, modi di essere, e' la
regola dominante: un mutamente incessante, senza soste, che non consente di
consolidare nuove istituzioni. Tutto cio' provoca, sempre per usare un suo
termine, un disagio individuale e collettivo che agisce anch'esso come un
caterpillar che tutto distrugge. Siamo quindi in una situazione dove e'
impossibile un'analisi della societa'?

- Z. B.: Si', al giorno d'oggi il cambiamento e' una condizione permanente
del pianeta, dei contesti locali, degli individui. I cambiamenti si
susseguono e non possono piu' tendere a "soluzioni finali" o essere
organizzati in serie coerenti. Inoltre, sono impossibili da prevedere,
fortuiti. Cosi' come e' impossibile prevedere le loro conseguenze, per non
parlare della possibilita' di controllarle. Oggi questa e' pero' una
osservazione scontata. Cio' che non si comprende a sufficienza e' che ogni
sviluppo "creativo" porta con se' necessariamente una distruzione. Noi
assomigliamo sempre di piu' agli abitanti di Leonia, una delle citta'
invisibili di Italo Calvino, i quali se qualcuno glielo chiedesse direbbero
che la loro passione e' "il godere delle cose nuove e diverse". Per la
verita', ogni mattina la popolazione "indossa vestaglie nuove fiammanti,
estrae dal piu' perfezionato frigorifero barattoli di latta ancora intonsi,
ascoltando le ultime filastrocche dall'ultimo modello d'apparecchio". Ma
ogni mattina "i resti della Leonia di ieri aspettano il carro dello
spazzatura" e qualcuno, guardando dall'esterno, si chiederebbe se la vera
passione dei suoi abitanti non sia piuttosto "l'espellere, l'allontanare da
se', il mondarsi d'una ricorrente impurita'".

Dato che gli abitanti di Leonia eccellono nella loro caccia alle novita',
"una fortezza di rimasugli indistruttibili che circonda Leonia, la sovrasta
da ogni lato come un acrocoro di montagne". Mi chiedo se la moderna
situazione non passera' alla storia, in primo luogo, come un gigantesco
aumento della produzione di rifiuti.

Parliamo infatti spesso di "spazzatura", degli scarti materiali che
sporcano e avvelenano il nostro "ambiente". Ma la piu' prolifica e dolorosa
delle innovazioni moderne sta emergendo dalla continua crescita di scarti
umani. La produzione di scarti umani e' stata particolarmente copiosa in
due settori (ancora pienamente operativi e che lavorano a pieno regime)
dell'industria moderna.

Il primo settore riguarda la produzione e la riproduzione dell'ordine
sociale. Qualunque modello di ordine sociale e' selettivo, e richiede che
si tagli via, si spunti, si segreghi, si separi o si asporti quelle parti
della materia prima umana che sono inadatte al nuovo ordine. Il secondo
settore dell'industria moderna noto per aver prodotto continuamente grandi
scarti umani e' il progresso economico, che richiede a sua volta lo
smantellamento e l'annichilimento di un certo numero di modi e mezzi di
integrare l'esistenza umana che non soddisfano standard predefiniti di
produttivita' e redditivita'. Chi pratica forme di vita "svalutate" non
puo', di regola, essere inserito en masse nei nuovi modelli di attivita'
economica.

Questa produzione di "scarti" umani e' stata comunque, per gran parte della
storia moderna, depotenziata, neutralizzata o almeno mitigata grazie a
un'altra moderna innovazione: l'industria dello smaltimento dei rifiuti.
Questa industria ha prosperato grazie alla trasformazione di ampie parti
del globo in immondezzai in cui confluiva tutto il "surplus" di umanita'.
La produzione di rifiuti umani procede quindi senza sosta, fino ai picchi
dei nostri giorni dovuti ai processi della globalizzazione, ma e'
l'industria dello smaltimento dei rifiuti che si e' trovata in gravi
difficolta' a causa dell'impraticabilita' dei modi di trattare gli scarti
umani finora inventati. A mio parere, dietro la confusione attuale c'e' la
crisi dell'industria dello smaltimento degli scarti umani. Lo rivela la
disperata, sebbene largamente irrazionale e sbagliata, gestione della crisi
scatenata dallo spettacolo dell'11 settembre.

- B. V.: Lei e' stato spesso accostato a Georg Simmel per la sua capacita'
di partire dall'analisi del manifestarsi di alcune abitudini e mentalita'
per fornire una lettura "generale" dei conflitti nella modernita'. E' stato
cosi' per il fitness, e' stato cosi' per il turismo di massa. Uno degli
approdi del suo lavoro di studioso e' di cogliere la solitudine individuale
in un mondo unificato, dove non c'e' riparo alcuno. Ma e' pur sempre una
solitudine che si manifesta in aggressivita' verso l'"altro". Ricordo
alcune sue pagine, molto belle, in cui racconta di mobilitazioni contro
presunti pedofili in una piccola citta' inglese. Un'isteria che accompagna
anche il razzismo strisciante che vediamo manifestarsi in molti paesi
europei?

- Z. B.: Sono lusingato del suo paragone della mia opera a quella di Georg
Simmel. Io cerco solo, sebbene con risultati alterni, di collegare le ansie
popolari "localizzate" circa il "nemico alla porta" - che si tratti di un
pedofilo, di un malintenzionato, di un molestatore, di mendicanti, di
"stranieri" (con il terrorista come ultima aggiunta, particolarmente negli
Usa) - alla marea crescente dei sentimenti razzisti, o piu' correttamente
xenofobi, in Europa. Per parafrasare una nota frase, si puo' dire che uno
spettro si aggira sul pianeta: lo spettro della xenofobia. Astio e sospetti
tribali vecchi e nuovi, mai estinti o scongelati di fresco e riscaldati, si
sono mescolati e saldati alla paura, tutta nuova, per la sicurezza
distillata da incertezze e insicurezze vecchie e nuove dell'esistenza
moderna.

Le persone spaventate a morte da una misteriosa, inesplicabile precarieta'
dei loro destini e dalle nebbie globali che nascondono alla vista la loro
prospettiva, cercano disperatamente i colpevoli delle tribolazioni e delle
prove cui sono sottoposte. Le trovano, non sorprende, sotto il lampione
piu' vicino, nel solo punto obbligatoriamente illuminato dalle forze della
legge e dell'ordine: "sono i criminali a renderci insicuri, e sono gli
estranei che causano il crimine"; e cosi' "e' con le retate, il carcere e
la deportazione degli estranei che sara' ripristinata la sicurezza perduta
o rubata".

- B. V.: Lei considera il welfare state come una delle migliori "trovate"
del capitalismo moderno. Sicurezza collettiva versus esplosione violenta
della societa'; garanzie sociali come unico rimedio agli effetti
distruttivi della mano invisibile del mercato. Ma anche questo sembra un
retaggio del passato. Ulrick Beck parla di societa' del rischio. Seguendo
il suo percorso intellettuale, si potrebbe parlare di una societa' del
rischio altamente individualizzato. E' d'accordo?

- Z. B.: Lei ha di nuovo ragione. Penso che non ci sono, e non possono
esserci, soluzioni individuali a problemi prodotti socialmente, cosi' come
non ci sono e non ci possono essere soluzioni locali a problemi creati
globalmente.

Una piccola digressione. Il capitale nomadico in cerca di mercati redditizi
e di soste confortevoli, e le popolazioni sradicate, prive di territorio e
vagabonde in cerca di lavoro, pane, acqua da bere o pace, sono solo due dei
"problemi creati globalmente" che nessun potere locale ha le risorse per
affrontare da solo, sebbene tali poteri debbano misurarsi con le loro
conseguenze. La mobilita' senza precedenti e virtualmente inarrestabile dei
beni e delle finanze mondiali li pongono oltre la portata di qualunque
potere locale - non solo municipale, ma anche nazionale. I poteri locali
non possono fare molto per arrestare la distruzione di mezzi di
sostentamento e la dilagante polarizzazione delle condizioni di vita, che
mettono intere popolazioni in movimento e aggiungono sempre piu' vigore
alle pressioni dei migranti; o per rallentare, per non dire interrompere,
lo sfruttamento delle risorse naturali, l'inquinamento dell'aria e delle
riserve idriche, gli effetti climatici legati ai gas dell'effetto serra o
un consistente indebolimento dei legami umani, la crescente fragilita' dei
mezzi di sussistenza e la distruzione dei posti di lavoro. Quando gli
amministratori di una citta' si sforzano in tutti i modi di rendere
potabile l'acqua del rubinetto, vivibili le aree residenziali, di mettere
scuole, ospedali e servizi sociali locali in grado di accogliere e
assimilare i nuovi arrivati nella citta' e nel paese, di trovare lavoro ai
disoccupati, placare l'irritazione crescente e l'ansia dei residenti della
citta', essi cercano (invano) di trovare soluzioni locali a problemi nati
globalmente. Non potendo intervenire sull'incertezza in modo sostanziale,
essi cercano di indirizzare la paura e la rabbia conseguenti verso oggetti
che sono in grado di gestire, e che possono mostrare di poter gestire:
fastidi come le minacce alla sicurezza delle persone e delle loro
proprieta' che vengono dai rapinatori, dai ladri di automobili, dai
mendicanti, da chi compie reati sessuali, da stranieri, da "stranieri tra
noi". Poco importa se queste minacce siano genuine o presunte, esse sono
sovraccariche emozionalmente: dalla loro soluzione ci si aspetta piu' di
quanto non siano in grado di dare. Allarmi antifurto, televisioni a
circuito chiuso, piu' poliziotti in servizio, pene piu' dure e politiche di
immigrazione piu' severe lasceranno le vere fonti di incertezza intatte,
non dissiperanno le paure e non vinceranno l'ansieta'. E cosi', qualunque
cosa si faccia, la domanda di proteggere la sicurezza dei residenti urbani
crescera' senza sosta, e gli amministratori della citta', impossibilitati a
fare molto altro, saranno disposti alla compiacenza...

- B. V.: Un'altra parola chiave dei suoi studi e': precarieta'. Si e'
precari nel rapporto di lavoro, nelle relazioni sentimentali, nelle forme
di socialita'. Prendiamo ad esempio la precarieta' nei rapporti di lavoro.
Si e' precari alla luce di una richiesta sempre piu' pressante di mettere
idee, inventiva, capacita' relazionale nella propria mansione. Siamo cosi'
condannati a vivere una condizione paradossale: precari, ma creativi. E'
questa la logica del "capitalismo flessibile"?

- Z. B.: La asimmetria di potere tra capitale e lavoro ha acquisito nella
nostra epoca una dimensione completamente nuova. Nell'epoca "solida
moderna" i boss delle imprese e i lavoratori potevano avere un controllo
profondamente diverso sulla propria capacita' di azione effettiva, ma
entrambi erano "legati al terreno", erano cioe' dipendenti dalla
collaborazione con l'altra parte; nessuna delle due parti poteva
semplicemente fare le valige e andarsene. Entrambi gli attori sapevano di
essere destinati, in un modo o nell'altro, a restare in compagnia gli uni
degli altri, a incontrarsi ancora il giorno dopo, il giorno dopo ancora,
l'anno dopo. Quel "mutuo confinamento" generava ovviamente conflitto, ma
produceva anche uno sforzo a negoziare un modus vivendi soddisfacente che
rendeva la vita, magari una noiosa routine, ma prevedibile, suscettibile di
una programmazione a lungo termine. Questo adesso e' tutto finito. Inoltre,
la asimmetria di potere tra capitale e lavoro non si manifesta soltanto
nella ricchezza di pochi e nella poverta' dei molti, ma anche tra liberta'
di movimento e l'essere confinati in un posto.

Il capitale e' libero di abbandonare una localita' non abbastanza
obbediente e servile, ma la grande maggioranza dei suoi dipendenti sono
costretti a restare dove sono, non essendo i benvenuti in nessun altro
posto. Non la meticolosa e odiosa supervisione e il controllo di ora in
ora, ma la minaccia di andare via senza preavviso al primo segno di
disobbedienza e' oggi il fondamento della dominazione del capitale e il
mezzo principale per ottenere la disciplina. La sicurezza del capitale si
basa semplicemente sulla precarieta' del lavoro.

In queste circostanze, la "sussidiarieta'" e' diventata, accanto alla
"flessibilita'", l'espediente per fare del "buon management". I manager non
hanno bisogno, ne' hanno voglia, di gestire. Ora sta agli uomini e alle
donne che essi assumono dimostrare di meritare l'assunzione, farsi notare
dal capo, farsi avanti con idee che riempiano le tasche degli azionisti,
facciano vendere piu' prodotti, seducano un maggior numero di clienti e,
allo stesso tempo, dimostrare la propria superiorita' rispetto ad altri
candidati per la stessa mansione. La "flessibilita'" e' un termine
ingannevole: significa inflessibilita' del capitale a negoziare e a fare
compromessi.

- B. V.: Di fronte a una descrizione senza appello della globalizzazione,
lei sostiene che comunque una via d'uscita c'e'. In sintesi, lei ripropone
una riedizione, per quanto necessariamente aggiornata, del New Deal o del
welfare state. Non le sembra che sia troppo poco rispetto alla diagnosi che
lei stesso fa della "societa' individualizzata"?

- Z. B.: Non ci sono soluzioni locali per problemi generati globalmente. Se
lei mi chiede come possiamo cambiare questo sviluppo, la mia risposta e':
solo affrontando di petto la sfida principale del nostro tempo - ossia, il
bisogno urgente di sottoporre gli attuali sfrenati, erratici, capricciosi
processi di globalizzazione al controllo politico e alla legge. L'unica
soluzione realistica, anche se lunga, consiste nello sviluppo di politiche
planetarie e di un potere planetario in grado di regolare le forze
economiche e di affrontare efficacemente i problemi planetari che tali
forze, finche' resteranno prive di regolamentazione, creeranno tutti i
giorni.

Gli stati-nazione erano le cornici istituzionali per la sicurezza
collettiva contro la sventura individuale. Ma i loro governi, spogliati di
una gran parte della loro passata sovranita', non riescono piu' a far
quadrare i conti, ne' possono dissociarsi dalla mischia globale in cui
devono essere attori obbedienti, col rischio altrimenti di "scoraggiare gli
investitori" e di fronteggiare una bancarotta. La polarizzazione dilagante
della nostra epoca ha le sue radici nel divorzio tra il potere e la
politica; essa puo' essere arrestata o almeno alleviata a condizione di un
nuovo matrimonio...



9. RILETTURE. FEDERICO CAFFE': LA SOLITUDINE DEL RIFORMISTA

Federico Caffe', La solitudine del riformista, Bollati Boringhieri, Torino
1990, pp. XVIII + 260, lire 24.000. Una raccolta di articoli del grande
economista, maestro di impegno scientifico come impegno civile.



10. RILETTURE. CATERINA FISCHETTI: INNOCENZA VIOLATA

Caterina Fischetti, Innocenza violata, Editori Riuniti, Roma 1996, pp. 128,
lire 5.000. Uno studio ed alcune proposte per contrastare la violenza sui
minori.



11. RILETTURE. SIMONA FORTI: IL TOTALITARISMO

Simona Forti, Il totalitarismo, Laterza, Roma-Bari 2001, pp. X + 144, euro
9,30. Un'agile monografia introduttiva, che raccomandiamo vivamente.



12. RILETTURE. GADI LUZZATTO VOGHERA: L'ANTISEMITISMO

Gadi Luzzatto Voghera, L'antisemitismo, Feltrinelli, Milano 1994, pp. 158,
lire 10.000. Uno studio introduttivo utile a fini didattici per un impegno
antirazzista nelle scuole.



13. RIFLESSIONE. SEVERINO VARDACAMPI: DEL PIACERE DELLA LETTURA

[Severino Vardacampi e' un vecchio collaboratore del Centro di ricerca per
la pace di Viterbo]

Agli amici che dicono di non aver tempo per leggere, "Oh, voi infelici"
rispondo. E la mia compassione e' autentica.

Ma non mi nascondo che vi e' anche in me un sentimento di delusione, e un
pensiero di critica non occultabile.

Leggere e' necessario. E' il modo migliore per dialogare con altri e con
noi stessi ad un tempo.

E penso che non sia un buon militante quello che non dedica qualche ora al
giorno alla meditazione silenziosa, e leggere e' il piu' efficiente fomite
a provocarla.

Devo gia' sopportare la ciancia di tanti che pretendono appassionarmi a
sciocchezze come il pallone e le automobili, devo gia' per dovere sorbirmi
una caterva di ciarlatani che ripetono e vieppiu' degradano quel che hanno
letto stamani sui quotidiani o sentito in tv, avro' ben diritto di
partecipare al colloquio terribile e magnifico di Otello con l'onesto Jago,
di accostarmi al castello con Kafka, di conoscere l'amore con Saffo e Saba,
di indagare la societa' e la psiche con Freud e Marx, di apprendere
l'orrore del mondo e la dignita' umana con Primo Levi e Franco Basaglia, di
interrogarmi sui nostri doveri con Dietrich Bonhoeffer e Vandana Shiva.

A questo convito tutti sono invitati. Che peccato che pochi vi prendano
parte. E quanto questa ignavia danneggia il nostro impegno.

E cosi' ai nostri interlocutori vogliamo dirlo chiaro e forte: meno
volantini e piu' Shakespeare, meno riunioni e piu' Moliere, meno comunicati
stampa e piu' Leopardi, meno fretta e piu' gioia.



14. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova
il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.

Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:

1. l'opposizione integrale alla guerra;

2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;

3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;

4. la salvaguardia dei valori di cultura e dellâambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dellâuomo.

Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.

Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio,
l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.



15. PER SAPERNE DI PIU'

* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org;
per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it

* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in
Italia: http://www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it

* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO



Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it



Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it



Numero 384 del 14 ottobre 2002