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La nonviolenza e' in cammino. 382
- To: news@peacelink.it
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 382
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac@tin.it>
- Date: Fri, 11 Oct 2002 21:21:10 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Numero 382 del 12 ottobre 2002
Sommario di questo numero:
0. Una comunicazione di servizio: aggiornate gli antivirus
1. Giobbe Santabarbara, sei pensieri piu' uno
2. Enrico Peyretti, una storia per la pace
3. Umberto Santino, il girotondo dei mafiosi
4. Riccardo Orioles, lo sceicco bianco
5. Elise Freinet, mezzi di superamento
6. Francesca Mineo intervista Youssou N'Dour
7. Letture: "I quaderni speciali di Limes", Aspettando Saddam
8. Riletture: Claudio Napoleoni, Dalla scienza all'utopia
9. Riletture: Andrej Sinjavskij, Ivan lo Scemo
10. Riletture: Luciana Stegagno Picchio, La letteratura brasiliana
11. La "Carta" del Movimento Nonviolento
12. Per saperne di piu'
0. UNA COMUNICAZIONE DI SERVIZIO: AGGIORNATE GLI ANTIVIRUS
Da giorni ci giungono numerosissime e-mail recanti in allegato dei virus.
Alcune apparentemente provenienti da noi stessi avendo come falso mittente
l'indicazione del nostro indirizzo di posta elettronica. Lo stesso sta
accadendo a vari altri interlocutori impegnati per la pace e la nonviolenza.
Avvisiamo tutti i nostro interlocutori che noi non inviamo mai - ripetiamo:
mai - messaggi con allegati, cosicche' se vi giunge una e-mail che ci
indica come mittente e recante allegati distruggetela senza aprirla.
Invitiamo tutti ad aggiornare gli antivirus dei propri computer. E
comunque, come e' noto, nella rete telematica sono disponibili
gratuitamente dei servizi di scansione on line con antivirus aggiornati; e'
buona cosa effettuare frequenti controlli.
1. EDITORIALE. GIOBBE SANTABARBARA. SEI PENSIERI PIU' UNO
1. La guerra sa solo distruggere, ma cio' di cui l'umanita' ha bisogno e'
salvare se stessa e il mondo dalla distruzione.
2. La guerra non e' il dato saliente della storia umana: il dato saliente
e' la pace che sola consente la promozione della vita umana e il progresso
della civilta'.
3. A chi afferma che talora non ci sono alternative alla guerra occorre
rispondere che dal novero delle alternative proprio la guerra deve essere
esclusa.
4. Poiche' la guerra, disse Gandhi, e' sempre omicidio di massa; poiche' la
guerra, disse Balducci, e' uscita per sempre dalla sfera della
razionalita'; poiche' la guerra tutti ci minaccia: noi che oggi siamo
viventi, ma anche coloro che verranno e che non potranno essere se i loro
potenziali genitori saranno annientati o che vivranno una vita di stenti se
la biosfera sara' irreversibilmente degradata e la civilta' umana
fortemente vulnerata, e coloro che furono e piu' non sono ma coi quali la
nostra solidarieta' e' forte e assoluta poiche' la nostra umanita' e' tutta
impastata del lascito loro, e che se distruggessimo l'umana civilta'
sarebbero uccisi una seconda volta con il venir distrutto il frutto del
loro travaglio e la memoria del loro consistere che chiamiamo cultura.
5. Per buona sorte del nostro paese la sua legge fondamentale proibisce la
guerra. Pace e diritto coincidono quindi. E dunque ogni cittadino italiano
in quanto tale e' vocato alla pace, cosi' riconosce la legge che nacque
dopo l'ecatombe della seconda guerra mondiale, la Costituzione che fu
scritta piu' che dalle mani dei sopravvissuti, dalla memoria del sangue e
del cuore dei morti di quella catastrofe immane. E dunque e' in capo ad
ogni nostro concittadino difendere la pace e tutto il resto viene dopo.
6. La guerra puo' essere impedita, quindi deve essere impedita. E' nelle
nostre mani fermare la guerra.
7. Chiamiamo nonviolenza l'opposizione piu' limpida ed intransigente alla
violenza; chiamiamo nonviolenza la lotta piu' coerente e inclusiva
dell'umanita' intera contro cio' che alla dignita' umana si oppone;
chiamiamo nonviolenza questo riflettere e questo agire, questo cercare e
questo trovarci che istituisce colloquio corale, incontro dell'io e del tu,
riconoscimento di umanita'. Chiamiamo nonviolenza l'impegno cui siamo
chiamati come esseri umani che vogliono vivere la propria umanita', che
vogliono che l'umanita' viva.
2. STUDI. ENRICO PEYRETTI: UNA STORIA PER LA PACE
[Pubblichiamo la relazione tenuta da Enrico Peyretti (per contatti:
peyretti@tiscalinet.it) al convegno di studi in onore di Alberto L'Abate
sul tema "La nonviolenza nella ricerca, nell'educazione, nell'azione. La
ricerca per la pace in Italia e nel mondo" svoltosi a Torino l'11-12
febbraio 2001. Abbiamo ripreso il testo dall'eccellente sito del Centro
Studi Sereno Regis (per contatti: e-mail: regis@arpnet.it; sito:
www.arpnet.it/regis/). Enrico Peyretti e' una delle figure di maggior
rilievo della cultura della pace in Italia]
Intendo che il compito dato a questo intervento, necessariamente schematico
nel tempo limitato, sia la ricerca di un modo di concepire e raccontare la
storia, tale da contribuire alla possibilita' della pace. Percio' non daro'
qui bibliografie sulle ricerche storiche di pace, che possono essere
trovate altrove (1).
Provero' invece a rispondere a tre domande: quale concezione della storia,
quale sentimento di fronte alla storia, e quale ricerca storica
contribuiscono alla pace?
Il presupposto, che mi pare ovvio, e' che la storia non si impone a noi
come un oggetto dato, ma noi la vediamo, la raccontiamo, la leggiamo, la
orientiamo, la pratichiamo in una direzione o nell'altra, nella logica
della violenza o della costruzione pacifica, secondo lo spirito con cui la
viviamo e la osserviamo. La scelta preliminare della pace positiva da' luce
su un certo profilo della storia, sia come pensiero interpretativo dei
fatti, sia come azione nel mondo.
*
1. Quale concezione della storia?
La storia puo' essere pensata secondo tre principali concezioni, ognuna
delle quali puo' prevalere senza necessariamente escludere del tutto le
altre:
1) storia determinata o guidata principalmente da una dinamica di forze
materiali: economiche, militari, organizzative, quantitative;
2) oppure storia mossa da energie e risorse dello spirito umano, cioe' come
possibile progresso umano, evoluzione umanizzatrice, civilizzatrice;
3) oppure storia composta da forze non solo umane ma umane e divine in
libera sinergia, per l'affermazione del bene sul male (la salvezza), come
nelle visioni religiose (dette di solito provvidenzialiste, termine che non
deve essere inteso nel senso di fatalistiche e necessarie), specialmente
nelle religioni storico-profetiche, del ceppo di Abramo, meglio che in
quelle cosmiche, del ceppo indu' (2).
La prima di queste immagini della storia e' quella che piu' facilmente si
impone. Per esempio, i fatti del 1989 nell'Europa dell'Est, sono stati
interpretati come la vittoria militare ed economica dell'Occidente nella
terza guerra mondiale non combattuta, ma pur sempre decisa dalla forza
militare, negando importanza decisiva, pur insieme ad altri fattori, alle
rivoluzioni popolari nonviolente (3).
Molte generazioni, ancora alcuni di noi, hanno imparato a scuola che la
storia e' mossa e promossa in definitiva dalle guerre, perche' la
storiografia e' stata per lo piu' opera degli scribi delle corti e dei
governi, occupati nelle guerre, o degli intellettuali delle classi
dominanti. Poi e' venuta l'attenzione degli storici alla vita dei popoli,
fino alla microstoria del quotidiano, ben piu' seria, interessante e
istruttiva. Se la storia e' questa, la storia della vita, allora essa
comprende la guerra e la pace, l'amore e l'odio, la distruzione e la
costruzione.
La seconda visione della storia come fatta dallo spirito umano e' propria
non solo delle filosofie idealiste, ma anche dalle filosofie etiche.
Gandhi, quando gli viene contestato che la nonviolenza e' fuori dalla
storia, scrive: "La storia in realta' e' una registrazione di ogni
interruzione della costante azione della forza dell'amore o dell'anima
(...), e' una registrazione di un'interruzione del corso della natura. La
forza dell'anima, essendo naturale, non viene registrata dalla storia". La
storia e' dunque, per Gandhi, un sismografo, che non scrive nulla quando la
terra vive tranquilla e non trema, e si sveglia solo per registrare
distruzione e morte. Gandhi dice pure che "il fatto che vi sono ancora
tanti uomini vivi nel mondo dimostra che questo non e' fondato sulla forza
delle armi ma sulla forza della verita' e dell'amore" (4).
Cioe', questo fatto dimostra per Gandhi che la storia reale dell'umanita'
non e' quella delle guerre. La vera storia e' il tessuto continuo della
vita, nel quale prevale, pur con mille limiti, la cooperazione; nel quale
procedono le cose umane, pur con i problemi che la vita sa risolvere piu' o
meno bene. In questo tessuto, violenza e guerre ne sono soltanto gli
strappi. Le guerre e la violenza, anziche' essere la storia, sarebbero
proprio la non-storia, l'arresto e i vuoti della storia umana.
Aldo Capitini ha questa idea della storia: "La storia vivente ha dimensioni
molto piu' vaste di quella scritta. La storia non ha soltanto aperto questa
strada, costruito questo argine, spostate queste pietre dal monte alla
piazza architettonica; la storia ha dato moltissimo a me direttamente e
interiormente, mediante l'umanita' scesa in me dai miei, e abitudini,
tendenze, linguaggio, mentalita', che provengono dalla storia e continuano
in essa. Anche riguardo a cose elementari la storia mi ha mutato; e
certamente non guardo l'alba, il monte, il mare, con lo stesso animo con
cui avrei guardato quegli eventi cosi' semplici tremila anni fa. Ormai non
posso e non debbo disfarmi dell'attestazione interiore dei valori, perche'
mi parrebbe di spiantare la ragione d'essere e di svilupparsi di qualsiasi
coscienza umana" (5). La sostanza centrale della storia degli uomini e'
cio' che altrove Capitini chiama la "costruzione corale dei valori", che
avviene nell'intimo, nel silenzio, nel continuo delle esistenze, nelle loro
dimensioni di incontro e non di scontro eliminatorio.
Per Levinas la ragione totalitaria, linea di fondo della filosofia
occidentale, eleva la storia universale a giudizio inappellabile
dell'operato dei singoli, considera la guerra come strumento risolutivo del
confronto politico, e infine giustifica tutti i regimi totalitari (6).
Ma col termine "infinito" opposto a "totalita'", egli indica cio' che rompe
la totalita', ed e' la relazione etica, che sorge dall'appello veniente dal
volto bisognoso ed indifeso dell'altro uomo. Questo atto etico non ha
bisogno di alcun riconoscimento da parte del giudizio storico per essere
sensato, e neppure ha bisogno della promessa religiosa (7), perche' e' esso
stesso significazione di senso. L'atto etico e' dunque la vera vicenda
umana, che realizza l'umano, e non dipende dal cosiddetto successo storico
(8).
La storia, dunque, non e' tutta la realta'. Uno dei "convincimenti etici
fondamentali" che "molta parte, la parte migliore dell'umanita', ha posto a
base del suo vivere in societa', ha espresso in una straordinaria varieta'
di culture popolari tra loro non isolate e ha trasmesso, soprattutto
attraverso la sapienza della donna, sino al momento presente", uno di
questi convincimenti e' "la tranquillita' e la pace che vengono dalla
certezza di una giustizia non affidata alla storia" (9).
Anche un pensatore come il nostro concittadino Vattimo, rifacendosi a
Marcuse, ha espresso l'idea che la storia abbia come senso la riduzione
della violenza (salvo poi vedere senz'altro la modernizzazione come
effettiva riduzione di violenza, che e' giudizio ben discutibile) (10). E
dunque, quando avanza la violenza, la storia umana si arresta o arretra, e
viceversa.
Tutti questi modi di interpretare il cammino attraverso vicende che hanno
come protagonista eminente lo spirito umano, vedono la storia come
consistente soprattutto nelle opere di pace.
Nella terza delle concezioni indicate, la visione religiosa o teologica
della storia come storia della salvezza, attraverso i liberi e fallibili
atti umani, Dio vive insieme all'uomo la liberazione dal male e la crescita
nel bene. Nessuna necessita' divina sostituisce l'uomo, ma l'alleanza di
Dio lo accompagna. La storia non e' garantita dal rischio di fallire (la
fedelta' infedele del popolo d'Israele nella Bibbia ebraica, poi, nella
Bibbia cristiana, l'immagine mitica dell'inferno e della dannazione, o
della distruzione apocalittica, significano questa possibilita' di
fallimento personale e collettivo), ma e' sostenuta dalla speranza attiva.
In particolare, nel cristianesimo, Dio si e' abbassato (kenosis) nella
condizione umana per condividere con l'umanita' tutta l'esperienza del male
e dell'ingiustizia piu' assurdi, per spezzarne l'assolutezza del potere con
la forza dell'amore totale e infinitamente vitale. Questa storia di Dio con
l'uomo si svolge non nei momenti isolati del rito religioso, ma nel tempo
comune, dentro la storia umana, laica, quotidiana, fermentandola senza
forzarla. Attraverso la libera fede e la risposta attiva e pratica, nella
vita vissuta come amore, si compie la promessa e la profezia di salvezza,
come disse Gesu' nella sinagoga di Nazareth: "oggi questa parola si
realizza tra voi" (11).
Questo genere di vita nell'amore generoso e sovrabbondante, non puo' essere
altro che costruzione di una storia di pace. In questa visione, la storia
vera e salvifica e' in corso, e' il cuore di tutta la storia, ed e' storia
di pace attiva, nella lotta interiore contro il male, nella resistenza
forte opposta alla violenza, ma nel perdono e nella mitezza anche verso il
violento, per riguadagnarlo all'umanita'.
*
2. Quale sentimento della storia?
Questa seconda domanda vuole individuare gli atteggiamenti profondi ed
esistenziali, prima che elaborati ed interpretativi, con cui gli umani si
pongono davanti agli avvenimenti e ai movimenti della storia umana:
atteggiamenti e sentimenti di rassegnazione e adattamento a cio' che
avviene? Oppure volonta' di cambiamento verso un maggior valore, verso un
senso migliore, discernendo bene e male, giusto e ingiusto, positivo e
negativo? E quale sara' il criterio distintivo tra questi opposti?
Se ci si pone davanti alla storia avvenuta e alla storia in atto in modo
attivo e positivo, il passato sara' osservato per trarne esperienza, ma non
sara' proiettato sul presente e sul futuro come una legge fatale, ed il
futuro potra' essere progettato e voluto con caratteri migliori di tante
situazioni ed eventi del passato.
Qui entra in gioco davvero l'opzione profonda tra violenza e nonviolenza,
tra la legge della forza e della sopraffazione da un lato e, dall'altro
lato, la legge dell'equivalenza, cioe' dell'uguale valore tra gli esseri
umani e del necessario reciproco rispetto assoluto. La "regola d'oro"
presente in tutte le culture umane, detta in decine di modi diversi ma
analoghi (ne ho raccolti circa venticinque), esprime e comanda questa
equivalenza e questo rispetto: non fare agli altri quel che non vorresti
fosse fatto a te (in negativo); fai agli altri quel che desideri che gli
altri facciano a te (in positivo).
L'opzione e' dunque essenzialmente morale, ed avviene nell'intimo
dell'animo umano, nella libera (relativamente ma realmente libera)
decisione fondamentale. Come opzione fondamentale, essa puo' essere
contraddetta da singoli atti della persona, ma vale ancora se rimane
l'orientamento di fondo di quella persona.
Di fronte al male pesantemente presente nella storia e nel presente, la
persona che ha scelto di agire secondo la regola d'oro, impegnandosi a
superare la violenza della storia anzitutto a cominciare da se' (12),
imparera' a indignarsi senza odiare (13), ad im-pegnarsi, sentendosi
presa-in-pegno dal valore degli altri, sentendo che il confine
buoni-cattivi, bene-male, non passa tra due campi o categorie, ma tra due
comportamenti, due spiriti e atteggiamenti tra i quali ognuno ha da
scegliere e decidersi, dentro di se'.
*
3. Quale ricerca storica?
La ricerca, in generale, dipende da cio' che gia' si pre-conosce in parte e
percio' si desidera conoscere, proprio perche' non si conosce del tutto:
Eros, per Platone, e' figlio di ricchezza e poverta': ha e non ha cio' che
cerca; e' filo-sofo chi non e' sapiente come gli dei, ne' ignorante come
gli animali bruti, ma ha un po' di sapienza e ne desidera altra, come gli
esseri umani; Agostino intuisce che Dio dice a chi lo cerca: "Non mi
cercheresti se non mi avessi gia' trovato".
Che cosa si cerca nella storia? La scelta degli oggetti, degli ambiti, dei
profili che andiamo a cercare nel mare immenso della realta' storica
dipende dai sentimenti con cui alla storia guardiamo. E questi derivano
dalla prime esperienze dell'esistenza personale, dalla cultura in cui si
viene educati, e infine dalle scelte morali con cui personalmente si
reagisce alle influenze ricevute e alla realta' incontrata.
In conseguenza di cio' che ognuno cerca e va a vedere nella storia, si
forma la propria concezione della storia. La quale e' quell'immagine del
cammino umano nel tempo che una data tradizione, un dato insegnamento, una
data ricerca e un dato orientamento personale ci danno. Una certa selezione
dei fatti storici, da un certo punto di vista, forma quella certa filosofia
della storia, che poi determina l'ottica con cui torniamo a cercare fatti e
significati nella storia conoscibile. La ricerca storica dipende dal
sentimento con cui guardiamo la storia e plasma l'idea della storia, che
continuera' a guidare la nostra ricerca. Se abbiamo visto solo guerre e non
abbiamo reagito con una indignazione attiva e impegnata a vedere di piu',
continueremo a vedere solo guerre, a cercare solo guerre nel passato, e a
non aspettarci altro che inevitabili guerre nel futuro.
Per esempio, nei fatti del 1989, Johan Galtung vede la combinazione di tre
fattori: il primato della politica, la politica di pace, il potere popolare
dei due tipi di movimenti di base, per la pace all'ovest, del dissenso
all'est, perche', in quanto cercatore di pace, ha la vista preparata a
riconoscere le condizioni che rendono possibili grandi rivolgimenti
politici senza uso di violenza. Altri, i piu', anche Bobbio, hanno visto
soltanto la maggiore minaccia militare e la piu' forte pressione economica
come causa della vittoria occidentale nella guerra non combattuta, ma
rimasta minaccia effettiva di guerra, la Guerra Fredda. Cosi' la guerra, le
armi, la sopraffazione sono riconosciute regine inamovibili della storia
(14).
Un altro esempio: la Resistenza italiana al nazifascismo e' stata per lungo
tempo interpretata unicamente in termini militari. Anna Bravo ha ricordato
che nel dopoguerra l'apposita commissione del Ministero della Difesa
riconosceva la qualifica di partigiano soltanto a chi aveva partecipato a
tre azioni armate (15).
Ma Anna Maria Bruzzone affermava: "Nel nostro libro (16) abbiamo dato lo
stesso valore a chi ha sparato e a chi ha nascosto in casa gli ebrei" (17).
Nel lavoro citato alla nota 15, La Resistenza civile nelle ricerche
storiche, ho cercato di seguire e dimostrare l'evoluzione, fino al 1995,
della storiografia della Resistenza nello scoprire e riconoscere la realta'
della resistenza civile. Claudio Pavone, che, nel suo saggio maggiore del
1991 (18) era rimasto insensibile alla ricerca della resistenza civile, non
armata, nel 1995 riconosceva chiaramente, grazie al lavoro di Bravo e
Bruzzone, il "valore euristico" del concetto di resistenza civile, che e'
"qualcosa di piu' ampio" della cosiddetta resistenza passiva (19).
Jacques Semelin, il maggiore storico europeo della resistenza civile, ha
scritto nella sua opera principale: "Non e' stata la sola curiosita'
storica a motivare questa ricerca: essa e' nata da un interrogativo piu'
profondo, di natura etica e strategica, sulle capacita' delle societa' di
resistere senza armi ad una aggressione (oocupazione militare o potere
totalitario)" (20).
Dunque, sono il bisogno e il desiderio di vedere che permettono allo
storico serio di vedere, non di sognare, cio' che senza quel desiderio non
saprebbe vedere. Il bisogno e la scelta della pace permettono di vedere la
pace anche nella storia e non solo nell'utopia.
Per superare la guerra, metterla fuori dalla storia, liberare l'umanita' da
questo flagello, bisogna inventare e valorizzare le alternative. In questo
modo bisogna vedere anche la storia, evidenziando non tanto le paci imposte
dai vincitori ai vinti, che concludono le guerre, atto finale e scopo delle
guerre stesse, non le paci-intervallo tra le guerre, ma le
paci-invece-delle-guerre, cioe' i conflitti condotti a soluzioni non
distruttive e non omicide.
Cosi' pure, e' da fare anche una storia controfattuale. Non e' vero che la
storia non si fa con i "se". E' invece importante studiare le alternative
di pace lasciate cadere, o non viste per incapacita', o soffocate per
volonta' contraria, e ipotizzare le differenti condizioni ed opportunita'
che ne sarebbero seguite. Non e' vero che la storia si fa unicamente con i
fatti pesantemente avvenuti. Anche le occasioni perse sono meditazione
storica, per fare oggi e domani una storia di qualita' umana migliore.
Questa e' ricerca storica per la pace. La ricerca delle alternative alla
guerra e' particolarmente convincente quando e' possibile rintracciare
nella storia fattuale, dei casi reali (pochi o tanti) di difesa dei giusti
diritti, di liberazione da un'oppressione, di lotte condotte senza
riproduzione della violenza omicida. Quel che e' fatto e' possibile, anche
se appare difficile. La dominante cultura di guerra ha di fatto ignorato
queste forme di resistenza e di liberazione, facendole apparire
impossibili. A questa scoperta un ramo della cultura della pace sta
lavorando in questi anni.
Alberto L'Abate ha studiato le precedenti esperienze (21) ed ha realizzato
egli stesso interventi alternativi alla guerra in zone di acuti conflitti
(22). Anche per questo aspetto di prima importanza del suo lavoro lo
ringraziamo e lo festeggiamo oggi.
*
Una sintesi della bibliografia "Difesa senza guerra", pubblicata in Effe,
n. 9, estate 1998, rivista bibliografica delle Librerie Feltrinelli.
Ho costruito progressivamente negli anni una bibliografia dei casi storici
di difesa senza guerra, che aggiorno e completo continuamente. Qui richiamo
e presento soltanto alcune delle maggiori opere indicate.
Il primo libro italiano in argomento fu quello di Aldo Capitini, il
filosofo italiano della nonviolenza, che porta alcuni casi storici: da Roma
antica repubblicana, al Sudafrica 1900-1910 e 1952, all'India 1917-1947,
alla Norvegia 1940-1943.
L'antologia di Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, e' fondamentale
anche dal punto di vista storico, non solo per la lotta d'indipendenza
dell'India, ma anche per l'azione di Gandhi negli altri grandi conflitti
sociali e culturali meno noti che lo ebbero protagonista creativo e
decisivo.
Nel 1984 apparve la raccolta La difesa popolare nonviolenta in cui
l'autore, Theodor Ebert, analizza, anche con una certa ampiezza, i seguenti
casi: Berlino 1920, Ruhr 1923, Danimarca 1940-45, Norvegia 1940-43,
Finlandia 1948, Berlino 1953, Ungheria 1956, Cecoslovacchia 1968, Polonia
1980.
Da quasi trent'anni Gene Sharp promuove la ricerca storica nel Program on
Nonviolent Sanctions in Conflict and Defense al Center for International
Affairs della Harvard University. La sua opera del 1973, Politica
dell'azione nonviolenta, in tre volumi (Potere e lotta, Le tecniche, La
dinamica), pubblicati in Italia dalle Edizioni Gruppo Abele, e' un classico
della Peace research. Sharp propone sette spiegazioni del fatto per cui gli
storici hanno trascurato e ignorato questo genere di lotte, quindi elenca
198 tecniche di lotta nonviolenta, non immaginate a tavolino, ma osservate
nella storia di tutti i tempi e luoghi. Per ogni tecnica l'autore
colleziona diversi casi storici; si tratta dunque di una raccolta di molte
centinaia di realta' storiche di nonviolenza attiva in luogo della guerra.
Poche persone oggi, sotto l'effetto di rimbombanti notizie sull'islamismo
violento, possono sapere che anche l'Islam ha ispirato e ispira azioni
concrete nonviolente. Il libro di Eknath Easwaran presenta la grande figura
e l'azione straordinaria di Abdul Ghaffar Khan. Leader nella lotta
d'indipendenza dagli inglesi dei Pathan della Frontiera Indiana, Abdul
Ghaffar Khan seppe condurre con l'educazione queste popolazioni musulmane,
di tradizione ferocemente guerriera, ad adottare la resistenza nonviolenta
contro il dominio inglese, e arrivo' a costruire un esercito nonviolento di
100.000 "servi di Dio". Questo "Gandhi musulmano" trovo' nella sua fede
islamica l'ispirazione alla nonviolenza ed elaboro' in termini islamici
questo concetto.
Recente e' l'edizione italiana di Islam e nonviolenza di Chaiwat Satha
Anand. Lo studioso thailandese, musulmano, sostiene con buoni argomenti la
speciale attitudine della cultura islamica all'azione nonviolenta
(nonostante fenomeni di uso politico strumentale dell'Islam), e racconta in
particolare un'azione nonviolenta nel Pattani (Thailandia) nel 1975.
Ancora tra popolazioni musulmane (in collaborazione con la minoranza
cattolica locale) e' da segnalare la straordinaria decennale resistenza
nonviolenta di massa del 90% della popolazione albanese del Kossovo al
regime di pratica occupazione militare serba. Posso indicare anzitutto
Ibrahim Rugova, La question du Kosovo; poi alcune pubblicazioni italiane,
frutto di esperienza e testimonianza diretta, di Valentino e Giancarlo
Salvoldi, Lush Gjergji e Alberto L'Abate.
La serie dei Quaderni della Difesa Popolare Nonviolenta (Dpn), edita da La
Meridiana di Molfetta (Bari), comprende ormai oltre trenta titoli, dei
quali almeno una dozzina su precisi casi storici in Italia e nel mondo:
Norvegia, Danimarca, Cecoslovacchia, Germania Est, Resistenza nel
Bergamasco, Polonia, Filippine, Resistenza a Forli', Lettonia, Lituania.
L'Ipri (Italian Peace Research Institute, via Garibaldi 13, 10122 Torino,
tel. 011532824, fax 0115158000, e-mail: regis@arpnet.it), associato
all'Ipra (l'associazione internazionale di ricerca per la pace), nel suo
Comitato Scientifico per la Dpn (Progetto Nazionale di Ricerca sulla Difesa
Popolare Nonviolenta, Comitato Scientifico, via San Giovanni Maggiore
Pignatelli 14, 80134 Napoli, tel. 0815510286, fax Antonio Drago 0812394508)
ha pubblicato gli atti di quattro dei cinque convegni nazionali di
ricerca, includenti anche esempi storici.
Se ci fu resistenza nonviolenta al nazismo, il piu' feroce dei domini
militari, allora questo metodo ha valore molto generale. In questo ambito,
l'opera finora piu' completa e' quella di Jacques Semelin, Senz'armi di
fronte a Hitler. La resistenza civile in Europa 1939-1943, ed. Sonda 1993.
Il lavoro si limita al periodo 1939-1943 per illustrare le sole forme di
lotta nonarmata autonome dalla lotta armata. Studia le forme di resistenza
nonarmata al nazismo in tutti i paesi occupati e nella stessa Germania.
L'edizione italiana contiene anche due appendici: una assai utile di
Stefano Piziali, Commento bibliografico. La resistenza nonarmata in Italia;
e una mia (che sara' pubblicata riveduta e corretta), Un caso italiano: lo
sciopero come strumento di lotta, sugli scioperi operai del '43 e '44 in
Italia, trascurati da Semelin.
Sulla resistenza italiana un lavoro meritorio e' il libro di Anna Bravo e
Anna Maria Bruzzone (In guerra senz'armi. Storie di donne 1943-1945). Sono
125 interviste su diversi aspetti dell'opposizione delle donne alla guerra
con atti di umanita', e sulla violenza di genere inflitta dalla guerra alle
donne. Il libro contribuisce a individuare un'immagine della difesa che
supera la guerra, e della cittadinanza svincolata dalla figura del
cittadino in armi.
In tema di Resistenza italiana merita segnalare l'attivita' del Centro
Studi Difesa Civile (via della Cellulosa 112, 00166 Roma, tel. 0661550768),
che ha organizzato alcuni convegni i cui atti, con ricerche e testimonianze
originali, sono pubblicati.
Secondo l'ordine di Hitler, l'esercito dei guastatori doveva lasciare
"ceneri e fango" al posto della citta' di Napoli in rivolta, dal 27 al 30
settembre 1943. Una popolazione in gran parte femminile, quasi senza armi,
inflisse all'esercito tedesco "l'unica sconfitta popolare da esso subita
nel mondo". Il glorioso episodio e' studiato da Ermes Ferraro, La
Resistenza napoletana e le "quattro giornate", in Una strategia della pace:
la difesa popolare nonviolenta (a cura di A. Drago e O. Stefani, ed. Fuori
Thema, esaurito).
Jacques Semelin ha pubblicato piu' recentemente Quand les dictatures se
fissurent... Resistances civiles a l'Est et au Sud. Per ognuna delle
quattro parti (Resistenza e religione, Resistenza e diritti dell'uomo,
Resistenza e comunicazione, Resistenza e legittimita') singoli studiosi
esaminano un caso del Sud e uno dell'Est nel decennio precedente le
rivoluzioni del 1989: Filippine nel 1986 e Polonia; dissidenza cecoslovacca
di Carta 77 e Bolivia dal 1978; Benin nel 1987-1992 e Piazza Tienanmen a
Pechino nel 1989, tentativi di colpi di stato in Spagna nel 1981 e a Mosca
nel 1991.
Sulle lotte nonviolente per i diritti civili negli Stati Uniti, mi limito a
indicare L'altro Martin Luther King (testi dei discorsi piu' politici, con
ampia bibliografia).
Il 1989, anno delle rivoluzioni nonviolente nell'Europa dell'Est, e'
studiato da Giovanni Salio in Il potere della nonviolenza, con la piu'
ampia rassegna critica delle varie opposte interpretazioni di quegli
avvenimenti. Salio vi riconosce il piu' recente e notevole esempio delle
potenzialita' dell'azione nonviolenta. Il Novecento ha visto la massima
violenza, ma anche le piu' grandi prove del potere della nonviolenza.
- Giovanni Salio, Il potere della nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele,
Torino 1995, L. 24.000.
- Aldo Capitini, Le tecniche della nonviolenza, Linea d'ombra, Milano 1989,
L. 12.000.
- Mohandas Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi, Torino
1996, L. 22.000.
- Theodor Ebert, La difesa popolare nonviolenta, Edizioni Gruppo Abele,
Torino 1984, L. 12.000.
- Gene Sharp, Politica dell'azione nonviolenta, Edizioni Gruppo Abele,
Torino 1985 e sgg., 3 voll., L. 23.000, L. 29.000 e L. 32.000.
- Eknath Easwaran, Badshah Khan. Il Gandhi musulmano, Sonda, Torino-Milano
1990, L. 22.000.
- Chaiwat Satha Anand, Islam e nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino
1997, L. 12.000.
- Jacques Semelin, Senz'armi di fronte a Hitler, Sonda, Torino-Milano,
1993, L. 32.000.
- Ibrahim Rugova, La question du Kosovo, Fayard, Paris 1994, 110 FF.
- Giancarlo e Valentino Salvoldi e Lush Gjergji, Kosovo, un popolo che
perdona, Emi, Bologna 1997, L. 15.000.
- Alberto L'Abate, Prevenire la guerra nel Kossovo, Quaderni della Difesa
Popolare Nonviolenta, La Meridiana, Molfetta 1997, L. 15.000.
- Anna Bravo e Anna Maria Bruzzone, In guerra senza armi, Laterza,
Roma-Bari 1995, L. 25.000.
- a cura di Jacques Semelin, Quand les dictatures se fissurent: Resistances
civiles a l'est et au sud, Desclee de Brouwer, 1995, 137 FF.
- a cura di Paolo Naso, L'altro Martin Luther King, Claudiana, Torino 1993,
L. 28.000.
*
Note
1. Una bibliografia da me curata, piu' volte pubblicata in edizioni
successivamente crescenti e sempre incomplete, puo' essere richiesta a
peyretti@tiscalinet.it. Una sua sintesi e' stata pubblicata in Effe, n. 9,
estate 1998, rivista bibliografica delle Librerie Feltrinelli.
2. Per questa distinzione, che non va forzata, vedi: Hans Kung,
Cristianesimo e religioni universali, Mondadori 1986, pp. 327-329; Armido
Rizzi, Il senso e il sacro. Lineamenti di filosofia della religione,
Editrice Elle Di Ci, 1995, pp. 61-70. Raimon Panikkar, filosofo e teologo
interculturale, euro-indiano, propone una visione della storia
cosmo-te-andrica, composta da energie naturali, divine ed umane.
3. Mi scriveva Norberto Bobbio, in una lettera del primo settembre 1994:
"La ragione principale per cui sono caduti quei regimi, a cominciare da
quelli della Germania Orientale, e della Russia stessa, e' la sconfitta in
una guerra (la guerra fredda), non combattuta, ma vinta, se non con
l'esercizio diretto della violenza, con la minaccia d'una violenza, che si
e' manifestata alla fine di per se stessa efficace. La pratica della
nonviolenza non c'entra". Giovanni Salio, in Il potere della nonviolenza,
Edizioni Gruppo Abele, 1995, esamina una dozzina di diverse interpretazioni
di quegli eventi, scegliendo poi quella di Johan Galtung, che riconosce tra
i fattori decisivi l'azione popolare nonviolenta.
4. Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi 1996, pp. 64-65.
5. Aldo Capitini, La vita religiosa, seconda edizione, Cappelli, Bologna
1985, p. 24, citato anche in Giacomo Zanga, Aldo Capitini, La sua vita, il
suo pensiero, Bresci editore, Torino 1988, p. 78.
6. Emmanuel Levinas, Totalita' e Infinito. Saggio sull'esteriorita', Jaca
Book 1990, p. 19-20.
7. Emmanuel Levinas, Etica e infinito. Dialoghi con Philippe Nemo, Citta'
Nuova 1984, p. 124.
8. Cfr. Giovanni Ferretti, La filosofia di Levinas. Alterita' e
trascendenza, Rosenberg & Sellier, 1996, pp. 102-103, 156-162, 262-263.
9. Pier Cesare Bori, Per un consenso etico tra culture, seconda edizione,
Marietti, Genova 1995, p. 108.
10. N. Bobbio, G. Bosetti, G. Vattimo, La sinistra nell'eta' del karaoke,
I libri di Reset, Donzelli 1994, p. 54.
11. Cfr. Vangelo di Luca, 4, 21. Questa lettura del cristianesimo non
anzitutto come dottrina, ne' morale, ne' culto rituale, ma come storia
profetica, storia santa in atto, lettura che era piu' chiara nella teologia
biblica del primo millennio cristiano, e' richiamata oggi efficacemente,
per esempio, da un grande monaco, di recente scomparso, Benedetto Calati, i
cui saggi principali si possono vedere nella raccolta Sapienza Monastica,
Studia Anselmiana, Roma 1994. Nell'Introduzione a questo volume, Innocenzo
Gargano scrive: "La profezia e' insomma il mistero che si dispiega
progressivamente nelle manifestazioni della bellezza cosmica, nella storia
dei popoli, nel mistero nascosto in ogni uomo e donna e nella crescita di
ciascun individuo", op. cit., p. 55-56. Una piu' rapida e colloquiale
esposizione del pensiero di Calati si trova nell'intervista-testamento
raccolta da Raffaele Luise in La visione di un monaco, Cittadella, Assisi,
2000.
12. Cfr. Etty Hillesum: "E' proprio l'unica possibilita' che abbiamo,
Klaas, non vedo altre alternative, ognuno di noi deve raccogliersi e
distruggere in se stesso cio' per cui ritiene di dover distruggere gli
altri" (Diario 1941-1943, Adelphi 1985, p. 212).
13. Nadia Neri, autrice di Un'estrema compassione. Etty Hillesum testimone
e vittima del Lager, Bruno Mondadori, 1999, nel quale mostra come nessuna
vittima, nel Novecento, era riuscita come lei a "trasformare il dolore in
forza", evidenzia la centralita' in Etty Hillesum dell'"indignarsi senza
odiare", in un intervento torinese del maggio 2000, ora leggibile
nell'opuscolo Il pensiero di un'estrema compassione, Coop. Studi, via Ormea
69, 10125 Torino, tel 0116503158, cs@arpnet.it, p. 35.
14. Cfr. la lettera di Bobbio e il libro di G. Salio, Il potere della
nonviolenza, citati alla nota 3.
15. Anna Bravo citata da Enrico Peyretti in La Resistenza civile nelle
ricerche storiche, in Fascismo, Resistenza, Letteratura, Percorsi
storico-letterari del Novecento italiano, I Quaderni del Museo Nazionale
del Risorgimento Italiano, n. 2, febbraio 1997, pp. 61-87. La citazione e'
a p. 67.
16. Anna Bravo e Anna Maria Bruzzone, In guerra senza armi. Storie di donne
1943-1945, Laterza, 1995.
17. Cfr. La Resistenza civile..., cit. alla nota 15, p. 67.
18. Claudio Pavone, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralita' nella
Resistenza, Bollati Boringhieri 1991.
19. Claudio Pavone, I percorsi di questo speciale, articolo introduttivo al
fascicolo de Il Ponte, n. 1/1995, dedicato a Resistenza. Gli attori, le
identita', i bilanci storiografici, p. 13.
20. Jacques Semelin, Senz'armi di fronte a Hitler, Sonda, Torino 1993, p. 13.
21. Alberto L'Abate, Forze nonarmate e nonviolente di pace. I precedenti
storici, in Volontari di pace in Medio Oriente, a cura di Alberto L'Abate e
Silvano Tartarini, I Quaderni della D.P.N., n. 21, Edizioni La Meridiana,
Molfetta 1993, pp. 17-35.
22. Si veda, per esempio, il fascicolo citato nella nota precedente e, di
Alberto L'Abate, Kossovo: una guerra annunciata. Attivita' e proposte della
diplomazia non ufficiale per prevenire la destabilizzazione nei Balcani,
Edizioni La Meridiana, Molfetta 1999. In questo libro L'Abate riassume
l'attivita' che ha svolto per due anni nella "Ambasciata di pace" a
Pristina.
3. RIFLESSIONE. UMBERTO SANTINO: IL GIROTONDO DEI MAFIOSI
[Umberto Santino e' il presidente del "Centro siciliano di documentazione
Giuseppe Impastato" (per contatti: via Villa Sperlinga 15, 90144 Palermo,
tel. 0916259789, fax: 091348997, e--mail: csdgi@tin.it, sito:
www.centroimpastato.it), il massimo studioso dei poteri criminali, e una
delle figure piu' luminose del movimento antimafia. Questo articolo e'
apparso sul quotidiano "Liberazione" del 15 settembre 2002, con il titolo
Quei disegni di legge che i mafiosi attendono con ansia]
Le notizie sulle informative del Sisde che lanciavano l'allarme sulla
possibilita' di una reazione violenta della mafia alla decisione di
stabilizzare il carcere duro (il 41 bis) sono del luglio scorso e gia'
allora venivano fatti i nomi dei possibili bersagli: Marcello Dell'Utri e
Cesare Previti.
Dopo le dichiarazioni di Bagarella ("siamo stanchi delle
strumentalizzazioni dei politici") e di altri mafiosi che attaccavano gli
avvocati che prima deprecavano l'applicazione del 41 bis ma ora, diventati
parlamentari, non dicevano una parola contro di esso, il Sisde aveva
analizzato la posizione di sette avvocati siciliani eletti nelle ultime
elezioni. Tre erano di Forza Italia: il senatore Enrico La Loggia, il
capogruppo al Senato Renato Schifani e l'attuale vicepresidente della
Commissione Giustizia Nino Mormino; tre di An: Antonino Battaglia, Giuseppe
Bongiorno, Enzo Fragala', e uno, Francesco Saverio Romano, dell'Udc.
Potevano essere loro i destinatari del "messaggio" dei boss. I legali dei
mafiosi avevano fatto promesse, preso impegni? Ovviamente sono fioccate le
smentite, ma a Dell'Utri, sotto processo a Palermo per concorso in
associazione mafiosa, era stata assegnata la scorta.
La "Repubblica" del 7 settembre ha pubblicato ampi stralci dei rapporti del
Sisde: uno scoop solo a meta', che ha avuto come risultato una pioggia di
accuse al giornale e di recriminazioni sull'ennesima fuga di notizie.
Nessuno, o quasi, che si interroghi sul contenuto dei rapporti e sui
possibili sviluppi.
Negli ultimi anni si e' detto e ridetto che la mafia era "sommersa", che i
boss piu' sanguinari ormai erano definitivamente sottochiave, che
Provenzano, uomo di tutte le stagioni (killer con Liggio, stragista con
Riina, e ora mediatore e pacificatore), latitante da quasi 40 anni, aveva
saldamente in mano le redini di Cosa nostra e aveva optato per il business
rinunciando alla violenza. Poi, nel marzo di quest'anno, era arrivata la
lettera di Aglieri al superprocuratore Vigna, con la richiesta di
"soluzioni intelligenti e concrete" per i mafiosi in carcere, e in seguito
gli "stragisti" hanno deciso di "emergere", coniugando protesta e minaccia,
avviando un'offensiva che, stando ai rapporti del Sisde, potrebbe culminare
in azioni sanguinose.
L'offensiva non e' fatta solo di dichiarazioni e di minacce, ma anche di
manovre intese a colpire personaggi che hanno assunto un ruolo di primo
piano. Farebbe parte di questo canovaccio l'attacco a Gianfranco Micciche',
il reuccio siciliano tirato in ballo a proposito del giovane di belle
speranze Alessandro Martello che circolava liberamente nel ministero con le
bustine di cocaina. Tutto si deve a una telefonata anonima e qualcuno
sussurra che fu pure una telefonata anonima che porto' alla cattura di Nino
Giuffre', che avrebbe indebolito la posizione di Provenzano.
Cosa ha spinto gli stragisti detenuti ad avviare questa sorta di girotondo
dell'impunita' che ha come parola d'ordine: Iddu (cioe' Berlusconi) pensa
sulu a iddu (a se stesso) e a noi no? E' solo la questione del 41 bis,
riconfermato almeno per questa legislatura, o c'e' dell'altro?
Il problema dei problemi e' l'ergastolo e per i mafiosi condannati e'
un'esigenza vitale, pena la loro decadenza da capi, che si faccia di tutto
per cancellare le condanne o per abolirlo definitivamente.
Ci sono due disegni di legge che i mafiosi attendono con ansia che arrivino
in porto. Entrambi sono stati presentati da esponenti del Polo. Il primo
porta il numero 1447 ed e' stato presentato il 20 novembre del 2001 da
Michele Saponara (Fi) e Mario Pepe (An). Si introduce una modifica al
codice di procedura penale e in nome della Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali e del
principio del "diritto a un processo equo", si dispone la revisione del
processo nel caso in cui l'imputato non ha potuto controinterrogare il
testimone d'accusa che ha reso le dichiarazioni solo in sede istruttoria.
Pepe smentisce di aver firmato quella proposta di legge e sostiene che con
quel numero corre un disegno di legge, sottoscritto anche da deputati
dell'opposizione e gia' approvato dalla Commissione Giustizia, che riguarda
la revisione dei processi in seguito a condanna della Corte europea del
diritti dell'uomo e che dopo le perplessita' manifestate dal procuratore
Grasso avrebbe presentato un emendamento che esclude i processi di mafia.
L'altra legge e' l'art. 15 della cosiddetta proposta Pittelli. In soldoni:
le dichiarazioni di un "pentito" devono essere confermate da "elementi di
prova di diversa natura", non dalle dichiarazioni di un altro pentito.
Queste leggi darebbero un colpo mortale ai processi e alle condanne degli
ultimi anni.
Si chiedono i mafiosi: perche' vanno avanti speditamente provvedimenti come
l'abolizione del falso in bilancio, il legittimo sospetto, cioe' le leggi
ad personam, a tutela di Berlusconi e dei suoi fedelissimi, e non si
approvano le leggi a nostro favore?
Per Berlusconi la priorita' piu' impellente e' tirarsi fuori dai processi
che lo riguardano e risolvere a suo modo il conflitto d'interesse (che i
governi di centro-sinistra non seppero risolvere) e per questo e' pronto a
sfidare l'opinione pubblica nazionale e internazionale, mentre una
legislazione smaccatamente favorevole ai mafiosi scoprirebbe un po' troppo
il gioco.
Forse si pensa di poter soddisfare gli appetiti dei mafiosi picconando lo
Stato di diritto, delegittimando la magistratura e rilanciando le opere
pubbliche, riducendo o eliminando i controlli di legalita'. Ma questo
andrebbe bene per i mafiosi a piede libero, Provenzano in testa, non per i
soci di Riina costretti a scontare pene definitive. E i mafiosi ergastolani
non si rassegnano a fare i capri espiatori. D'altra parte il ricorso al
delitto "eccellente" non e' detto che sia vincente, potrebbe riportare
l'emergenza e innescare reazioni come quelle degli anni '80 e '90, con
leggi speciali in seguito cassate o attenuate.
Viviamo quindi un periodo difficile, in cui puo' accadere di tutto.
Dell'Utri ha rinunciato alla scorta e ha fatto recitare al Parlamento
europeo l'Apologia di Socrate di Platone. Socrate sarebbe lui, mentre
Meleto e gli altri accusatori del filosofo sarebbero i giudici che lo
processano per mafia. Ma ne' lui ne' Previti sembrano avere la stoffa dei
saggi e degli eroi. Se tra le vittime probabili della offensiva mafiosa ci
sono loro e' per motivi molto meno nobili. Se le parole degli agenti del
Sisde corrispondono a quello che pensano e dicono i mafiosi, Dell'Utri
sarebbe "un bersaglio ideale", perche' viene "percepito come mascariato,
come compromesso con la mafia e quindi non difendibile a livello di
opinione pubblica" e lo stesso discorso vale per Previti. Qualunque cosa
succeda, l'epitaffio per i due amiconi di Berlusconi e' gia' scritto e non
potrebbe essere peggiore.
4. RIFLESSIONE. RICCARDO ORIOLES: LO SCEICCO BIANCO
[Da "Tanto per abbaiare" n. 147 del 7 ottobre 2002, la rivista elettronica
di Riccardo Orioles (per contatti: ricc@libero.it) riprendiamo questo
articolo. Facciamo un dono grande ai nostri interlocutori suggerendo loro
di abbonarsi alla e-zine, richiedendola all'autore. Riccardo Orioles e' la
lotta di Pippo Fava che continua, ed e' un uomo di un rigore tale che quasi
ti toglie il fiato, e sono queste persone che tengono insieme il mondo]
Lo sceicco bianco. La settimana scorsa Paolo Mieli, sul Corriere, ha
dedicato un bel corsivo alla "trasmissione ereditaria del potere" nei Paesi
arabi.
Un ottimo pezzo, ben documentato: Gheddafi e il figlio Saadi, Mubarak e il
figlio Gamal, Assad e il figlio Bashar e naturalmente Saddam e il figlio
Qusay; per non parlare delle monarchie assolute vere e proprie, in Arabia,
in Kuwait, in Marocco e negli altri paesi "moderati".
Conclusione: i Paesi arabi masticano poco di democrazia: il potere ormai
la' si trasmette (come nel nostro medioevo) per dinastie.
Giusto. Ma il presidente Bush, di chi e' figlio? E che parentela ha col
governatore della Florida, che di fatto l'ha eletto?
Agli sceicchi arabi ormai ci siamo (razzisticamente) abituati. Il guaio e'
che qui si cominciano a vedere sceicchi anche in occidente: dove la via
dinastica comincia pericolosamente a prendere piede, e non solo (come
prima) alla testa delle grandi multinazionali ma direttamente al governo
degli stati. Strano che di una faccenda del genere, che attiene al nucleo
intimo della democrazia liberale, si debba occupare un communista come me,
mentre un liberale doc come Mieli o non se ne accorge o fa finta di niente.
(Riflessione: tenuto conto che la vecchia repubblica aristocratica e' gia'
un guscio vuoto da un pezzo, siamo ancora ai Giulio-Claudi o siamo gia' a
Caracalla? Non e' un particolare ininfluente).
5. MAESTRE. ELISE FREINET: MEZZI DI SUPERAMENTO
[Da Elise Freinet, Nascita di una pedagogia popolare, Editori Riuniti, Roma
1973, 1975, p. 459. Elise e' stata la compagna e la collaboratrice di
Celestin Freinet]
Le tecniche venivano identificate con lo scopo, mentre non erano altro che
mezzi di superamento, e facilmente si poteva arrivare ad una concezione
tradizionalista ipocrita come l'antica, e forse ancor piu' ipocrita in
quanto con la pretesa della novita'.
6. TESTIMONIANZE. FRANCESCA MINEO INTERVISTA YOUSSOU N'DOUR
[Questa intervista abbiamo ripreso dal quotidiano "Il manifesto" del 9
ottobre 2002, dove e' apparsa col titolo "Cara Africa, non smettere mai di
sognare"]
Francese e wolof, la lingua nazionale del Senegal. Tradizione africana e
modernita', nel suo tipico crossover. Youssou N'Dour (che si esibira' il 30
novembre a Torino e il primo dicembre a Milano), ha pubblicato in questi
giorni il piacevole album Nothing's in vain (Nonesuch/Cgd) dove si narra
anche delle sue battaglie civili. E si respira ancora una buona dose di
mbalax, ovvero la musica senegalese degli ultimi decenni: fusione alchemica
tra la tradizione griot e le sonorita' afro-cubane tornate "a casa", nel
continente nero, in cerca delle proprie radici. Album delicato, con una
bella cover di George Brassens.
- Francesca Mineo: Il titolo dell'album non corrisponde a una canzone: a
cosa si riferisce dicendo che mai nulla e' compiuto invano?
- Youssou N'Dour: Il concetto parte in effetti da un'idea e non da un
brano: bisogna dare possibilita' a tutti nella vita, questo e' quello che
vorrei dire. Se io vedo in un villaggio i bambini che giocano a calcio,
vedo anche qualcuno che ha particolare talento e che, so gia', potra' avere
poche possibilita' di emergere. Molti bambini, molte persone, non avranno
mai voce in futuro. Ecco perche' c'e' bisogno dell'aiuto di tutti per poter
dare risposte alle persone.
- F. M.: L'amore e le donne sono protagoniste di questo album.
- Y. N'D.: Beh, per cominciare e' a una donna che dedico l'album, cioe' a
mia madre: e' una cantastorie, legata alla musica spirituale e agli
strumenti tradizionali, al griot. Trovo bello cantare per le donne, anche
perche', quando ho iniziato, erano loro le prime che volevano ascoltarmi,
erano loro le prime fan, erano interessate a quello che facevo. Mia madre,
le sue amiche, erano il mio primo pubblico. Il mondo sarebbe migliore con
molte piu' donne nei posti di comando perche' sono le uniche a riuscire a
vedere e vivere la modernita' ma, al tempo stesso, a essere custodi dei
valori. Anche in Africa, dove molte donne si sono emancipate, la tradizione
e' ancora nelle loro mani. L'amore ci spinge a mettere molto impegno in
qualsiasi cosa noi facciamo. Tuttavia mostra degli aspetti difficili, come
canto nella cover "Il n'ya pas d'amour heureux" di Brassens: l'amore e'
come un edificio con stanze ora trasparenti e luminose, ora buie.
- F. M.: Non manca mai in un suo album l'appello alla pace: a quale pezzo
e' riservato in particolare?
- Y. N'D.: In tutto il disco ma forse ancor piu' nell'ultimo pezzo,
"Africa, dream again": voglio dare una visione sull'Africa che di solito
non si conosce. E' il volto dell'Africa che, malgrado tutte le sofferenze,
sorride ed e' capace di dare speranza.
- F. M.: La prima parte dell'album e' piu' legata a strumentazioni
tradizionali, dopo e' piu' pop: c'e' un intento preciso?
- Y. N'D.: Questo e' un po' il mio stile: mi piace viaggiare e quindi
sperimentare i suoni, conservare qualcosa che viene dalla tradizione e la
modernita'. Ho cercato di utilizzare, in registrazione, un vasto numero di
strumenti tradizionali, cosa che sara' piu' difficile replicare dal vivo
dove utilizzeremo piu' tecnologia.
- F. M.: Qual e' la vita musicale a Dakar?
- Y. N'D.: Dakar e' un posto incredibile, e' un luogo dove si radunano i
musicisti, dove si puo' suonare dal vivo per strada. Ho registrato l'album
nello studio dove lavoro abitualmente, si chiama Xippy; e' uno studio che
non ha nulla di speciale se non che e' ideale per registrare la musica
africana. Ha qualcosa in piu', perche' riesce a valorizzare la potenza
della musica, di tutti gli strumenti.
- F. M.: Lei lavora molto anche con la sua etichetta per promuovere la
musica africana: che cosa ha in piu' questo tipo di produzione?
- Y. N'D.: Abbiamo bisogno di etichette in Africa, perche' le major
discografiche non conoscono molto a fondo questo genere di musica.
Dall'Africa invece vengono suoni molto piu' colorati. Per questo riuscire a
produrla in casa e' stato un bel traguardo. Ho cercato di proporre
un'alternativa ai nuovi musicisti, per creare un movimento di musica
africana.
- F. M.: Lei e' impegnato in Jubilee 2000. Pensa di impegnarsi a favore
delle vittime del traghetto recentemente affondato nelle acque del Senegal?
- Y. N'D.: Sono sempre impegnato in Jubilee 2000 perche' bisogna parlare
all'occidente della cancellazione del debito, perche' abbiamo bisogno di
molta pressione fuori dall'Africa. Bisogna cercare di cancellare il debito
in cambio di piu' democrazia in paesi oggi martoriati da mancanza di
liberta' e da dittature. Per quanto riguarda la tragedia in mare, stiamo
pensando a qualcosa per aiutare le famiglie delle vittime. Ho coinvolto
anche Peter Gabriel che e' molto toccato dalla vicenda.
7. LETTURE. "I QUADERNI SPECIALI DI LIMES": ASPETTANDO SADDAM
"I quaderni speciali di Limes", Aspettando Saddam, supplemento al n. 3/2002
di "Limes", pp. 200, euro 8. Molti punti di vista si confrontano, come e'
tradizione della benemerita rivista diretta da Lucio Caracciolo. Le tesi di
alcuni interventi sono raccapriccianti (per non dire di certe abominevoli
vignette), altri contributi ci trovano consenzienti, ma tutto e' opportuno
leggere.
8. RILETTURE. CLAUDIO NAPOLEONI: DALLA SCIENZA ALL'UTOPIA
Claudio Napoleoni, Dalla scienza all'utopia, Bollati Boringhieri, Torino
1992, pp. XVIII + 236. Una raccolta di saggi del grande economista di
straordinario impegno scientifico e civile. Alcuni testi qui raccolti ci
appaiono imprescindibili.
9. RILETTURE. ANDREJ SINJAVSKIJ: IVAN LO SCEMO
Andrej Sinjavskij, Ivan lo Scemo, Guida, Napoli 1993, pp. 472. Un libro
appassionante su "paganesimo, magia e religione del popolo russo", ma anche
una testimonianza della dignita' umana, e vedi sublimi quelle ultime pagine
"A mo' di conclusione" di struggente fraterna testimonianza sui prigionieri
dei campi di lavoro sovietici.
10. RILETTURE. LUCIANA STEGAGNO PICCHIO: LA LETTERATURA BRASILIANA
Luciana Stegagno Picchio, La letteratura brasiliana, Sansoni Accademia,
Firenze-Milano 1972, pp. 700. Uno straordinario affresco di una realta' da
conoscere.
11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova
il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dellâambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dellâuomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio,
l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.
12. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org;
per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in
Italia: http://www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
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Numero 382 del 12 ottobre 2002