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Newsletter n.8 - Edizione straordinaria





Critica del consumo per la democrazia
Missione attuale: la fine del monopolio dell'informazione televisiva
<http://www.cunegonda.info>http://www.cunegonda.info


Newsletter n.8, 10 ottobre 2002
EDIZIONE STRAORDINARIA




"La gente ha cominciato a manifestare sensibilità in proposito e le aziende
produttrici si sono adeguate. Tutti continueremmo a essere ottimi
consumatori, tranne che saremmo consumatori selettivi; il che è indice di
maturità e motore di sviluppo economico.
A nuove forme di governo, nuove forme di risposta politica. Questa sì che
sarebbe opposizione.
Vediamo quanti italiani si sentono di farla. Altrimenti la smettano di
lamentarsi, e si tengano il monopolio dell'informazione."

Umbero Eco, Lo sciopero dei consumatori della pasta Cunegonda, La
repubblica, 20 aprile 2002.
(http://www.repubblica.it/online/politica/econsumo/econsumo/econsumo.html)


Newsletter straordinaria. Guerra e informazione
Semmai questa sarà la prossima guerra, sarà una guerra costruita e
legittimata dalla disinformazione, dall'assenza sistematica di una
informazione, soprattutto televisiva, che non sembra essere interessata a
evidenziare le contraddizioni e i reali obiettivi del piano accusatorio di
Bush nei confronti del regime iracheno di Hussein. Il nostro modesto
impegno vorrebbe essere proprio quello di mettere in evidenza alcune
notizie che la televisione, nella migliore delle ipotesi, ha trattato con
malcelato disinteresse



Re Carlo tornava dalla guerra, lo accoglie la sua terra?

 Molte delle informazioni che seguono non sono state rese note al grande
pubblico della televisione, come era facile prevedere dal momento che chi
attualmente detiene l'effettivo controllo di tutto il sistema televisivo è
anche uno dei pochi premier europei ad essersi dichiarato apertamente
favorevole all'ennesima iniziativa militare a stelle e strisce, traducendo
questo entusiasmo - che storicamente può ricordare un certa euforia ceca da
tempo delle crociate - non solo in un coinvolgimento delle nostre
istituzioni, del nostro esercito, ma anche in un sostanziale stravolgimento
del nostro dettato costituzionale. Il Presidente del Consiglio, novello
Goffredo di Buglione, usa al meglio il mezzo mediatico che a lui è più
familiare allo scopo di imporre all'opinione pubblica una singolare
trasformazione semantica, cioè quella che dovrebbe rendere sinonimi termini
come guerra e pace, aggressione e difesa, prin! cipi morali e interessi
economici. L'undici settembre ha reso possibile una svolta nella politica
estera degli U.S.A e ci ha abituato all'idea di una sorta di concatenazione
di guerre più o meno preventive alle quali tutto il mondo cosiddetto civile
dovrebbe aderire. Ma la storia è maestra, e ancora molti e significativi
possono essere i parallelismi con le crociate millenaristiche di Urbano II.
A quel tempo il vero obiettivo era l'espansione della cattolicità che
coincideva con gli interessi materiali di un ceto egemonico allora in
formazione: la nobiltà e la cavalleria. Oggi la cattolicità come disegno
mondiale è tramontata, sostituita dalla cosiddetta globalizzazione
economica che rischia di tradursi in una monocultura planetaria al cui
centro l'idea di un Dio è stata sostituita dai concetti di profitto,
organizzazione, mercificazione. Le crociate ebbero come risultato la
formazione del concetto di nobiltà come &eacu! te;lite dominante ereditaria
che fu alla base di tutto l'Ancien régime, e, come allora, il rischio
attuale è che si stia preparando un "nouveau régime" per i prossimi secoli
fatto di potentati transnazionali che, attraverso l'ideale di una "guerra
giusta", decretino la legittimità del loro status di difensori e
rappresentanti dell'umanità. Ma quanto in realtà la gente è concorde sulla
necessità e sul concetto stesso di una guerra preventiva? È questo dato che
non emerge dai telegiornali, dai sondaggi - tanto di moda quando il loro
esito può essere convenientemente utilizzato a fini politici -, da gran
parte dell'informazione catodica che sembra non accorgersi del distacco
netto tra le posizioni del nostro capo del Governo e quelle dell'opinione
pubblica, addirittura tra Bush e ampi strati della società americana. E
alle soglie di una guerra, Bruno Vespa continua a ospitare miss I! talia,
modelle, stilisti e dosi massicce di cronaca nera, riempiendo le nostre
case di noiose vacuità di pessimo gusto..



Attentato alla Costituzione. Berlusconi denunciato

 Riportiamo i passi più salienti dell'esposto del "Centro di ricerca per la
pace" di Viterbo, presentato il 28 settembre in riferimento alle
dichiarazioni sulla guerra del presidente del Consiglio dei Ministri nel
discorso al Parlamento del 25 settembre.

Alla Procura Generale della Repubblica, Roma E per opportuna conoscenza:
al Presidente della Repubblica Italiana, Roma
ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati, Roma

Esposto nei confronti del Presidente del Consiglio dei Ministri per le
dichiarazioni rese in Parlamento il 25 settembre 2002
*
1. In data 25 settembre 2002 il Presidente del Consiglio dei Ministri, on.
Silvio Berlusconi, ha reso in Parlamento dichiarazioni di eccezionale
gravità.
Dal testo ufficiale (disponibile sul sito del governo - www.governo.it - e
dal quale citiamo) risulta chiaramente che in riferimento alla minaccia di
una guerra degli Stati Uniti d'America contro l'Iraq il capo dell'esecutivo:
a) non solo non ha inteso esprimere una netta opposizione all'intenzione
della Casa Bianca di scatenare una guerra di aggressione palesemente
illegale e criminale sia secondo il diritto internazionale, sia secondo il
comune sentire delle genti;
b) non solo non si è dichiarato vincolato al rispetto intransigente di
quanto previsto dalla Costituzione della Repubblica Italiana che proibisce
in modo assoluto che l'Italia appoggi una simile guerra o peggio ad essa
prenda parte;
c) non solo, ma addirittura ha espresso un evidente appoggio alle
sciagurate e capziose argomentazioni del governo statunitense finalizzate
allo scatenamento della guerra;
d) non solo, ma addirittura ha sferrato un duro obliquo attacco alla
Costituzione italiana in uno dei suoi principi fondamentali (l'art. 11);
e) non solo, ma addirittura ha esposto un punto di vista palesemente
irresponsabile e agghiacciante (sebbene espresso nella forma sfumata della
citazione) che lascia dedurre una effettiva disponibilità a sostenere ed a
prendere parte alla guerra che si va preparando.
*
2. Vediamo alcuni punti cruciali del discorso svolto alla Camera dei Deputati.
I. Il Presidente del Consiglio ricorda en passant quanto stabilito
dall'articolo 11 della Costituzione, ma per revocarne implicitamente in
dubbio l'adeguatezza a fronte della situazione presente [Š]
II. Afferma il Presidente del Consiglio che "L'Italia ha un preciso
interesse nazionale nel seguire, in questa nuova crisi, linee d'intervento
responsabili e indipendenti, ma lealmente collocate nel quadro della
storica alleanza con gli Stati Uniti" [Š]
III. Infine il Presidente del Consiglio conclude citando una massima
secondo cui "l'unica cosa di cui avere paura è la stessa paura" [Š]
*
4. Le tesi sostenute dal Presidente del Consiglio dei Ministri in
Parlamento confliggono flagrantemente con il giuramento di fedeltà alla
Costituzione. Poiché la fedeltà alla Costituzione avrebbe voluto che il
capo dell'esecutivo esponesse l'unica posizione legittima per lo stato
italiano: l'opposizione assoluta alla guerra che si va preparando.
[Š]
È quindi impossibile non prendere atto della assoluta gravità delle
dichiarazioni rese dal capo del governo, e prima che lo stesso abbia la
possibilità di porre in atto le intenzioni manifestate (di avallare la
guerra, di violare trattati internazionali e legalità costituzionale, di
rendere il nostro paese corresponsabile di nuove stragi) occorre impedire
che possa commettere un atto incostituzionale e trascinare l'Italia in una
nuova guerra di aggressione illegale e criminale.
*
5. Siamo pertanto a chiedere con il presente esposto:
- che la competente magistratura accerti se nel discorso del Presidente del
Consiglio dei Ministri vi siano elementi passibili di procedimento
giudiziario; e qualora ve ne ravvisi proceda agli atti conseguenti;
- che il Presidente della Repubblica Italiana e i Presidenti del Senato
della Repubblica e della Camera dei Deputati prendano pubblicamente
posizione in difesa della Costituzione e contro l'appoggio e la
partecipazione italiana alla guerra;
- che il governo esprima una posizione ufficiale che si dissoci dagli
orientamenti espressi dal Presidente del Consiglio dei Ministri e riaffermi
la fedeltà dell'esecutivo alla Costituzione della Repubblica Italiana;
- che il Parlamento approvi un ordine del giorno di biasimo per le
esternazioni dell'on. Berlusconi e riaffermi la fedeltà dell'organo
legislativo alla Costituzione della Repubblica Italiana.



Londra contro Blair. In 400.000 per la pace
 Riportiamo una testimonianza diretta della manifestazione di Londra del 28
settembre 2002 che ha registrato una partecipazione mai vista prima nel
Regno Unito. Ci sembra un chiaro segno delle posizioni di gran parte
dell'opinione pubblica europea che tuttavia non ha ricevuto il giusto
risalto nel panorama della nostra informazione televisiva.

Si è svolta oggi pomeriggio a Londra la manifestazione nazionale contro la
guerra all'Iraq e in solidarietà con il popolo palestinese. Organizzata da
Stop the War Coalition e dalla Muslim Association of Britain, ha raccolto
l'adesione di partiti, associazioni pacifiste ed ecologiste, comunità di
immigrati, sindacati e decine di parlamentari. Secondo gli organizzatori
più di 400.000 persone hanno partecipato a quella che rappresenta, con
questi numeri, la più grande manifestazione nella storia del Regno Unito.
Un fiume di gente si è riversato per le strade del centro di Londra,
passando davanti al Parlamento e a Downing Street fino a raccogliersi a
Hyde Park, e ha praticamente bloccato il centro della capitale per un
pomeriggio intero; quando la testa del corteo stava prendendo posto a Hyde
Park e gli oratori cominciavano a parlare, la coda del corteo doveva ancora
partire da Embankment, punto iniziale di ritrovo. L! a marcia era stata
indetta da parecchio tempo per manifestare, in concomitanza con
l'anniversario della seconda intifada, solidarietà al popolo palestinese.
Visti i recenti eventi e le intenzioni bellicose di Bush e Blair, la
giornata ha assunto poi un particolare significato per esprimere la
contrarietà del popolo britannico a un'ennesima guerra sanguinaria nel nome
degli interessi militari/economici/energetici statunitensi e britannici.
D'altronde i due temi (la guerra in Iraq e il conflitto arabo/israeliano)
sono intimamente legati nel complesso scenario medio-orientale e
storicamente la Gran Bretagna ha parecchie responsabilità nell'area: la
colonizzazione, lo sfruttamento delle risorse energetiche, la dichiarazione
di Balfour, l'appoggio militare ed economico al regime iniziale di Saddam,
la vendita di armi ad Israele, la partecipazione alle guerre nel golfo, gli
attuali quotidiani bombardamenti in Iraq. Inoltre, proprio pochi giorni fa,
Blair ha pr! esentato in parlamento il dossier sull'Iraq, atteso come prova
determinante e dimostratosi in realtà ben poco consistente; in
quell'occasione 56 membri del partito laburista hanno espresso la loro
contrarietà alla guerra. Oggi era attesa la risposta della gente, ed è
stata ben chiara negli slogan e nei cartelli dei 400.000 manifestanti,
accompagnati anche da una sorprendente giornata di sole (per Londra in
questo periodo dell'anno è abbastanza raro). Straordinaria anche la
composizione multietnica dei partecipanti: oltre a tutte le principali
comunità di immigrati (iracheni, palestinesi, libanesi, iraniani, algerini,
arabi, afgani, pakistani, indiani, ecc.) è stata particolarmente
significativa la presenza dei cittadini britannici, che evidentemente non
si sentono rappresentati dal governo attuale e sentono il dovere di
prendere posizione contro la guerra. Altrettanto importante la
caratteristica pacifica e non violenta della manifes! tazione (non è stato
segnalato alcun incidente) e la varietà generazionale: famiglie intere,
anziani e bambini (anche se ciò ha creato qualche imprevisto problema per
gli organizzatori e per la polizia, che hanno avuto parecchio da fare per
rimettere insieme i bambini e i genitori che si erano persi a vicenda). Gli
oratori hanno parlato per più di due ore sul palco in Hyde Park; molto
attesi (ed applauditi) gli interventi del sindaco di Londra Ken
Linvingstone, dell'ex-parlamentare Tony Benn, dell'ex-ispettore dell'ONU
Scott Ritter e dei rappresentanti della comunità palestinese. I prossimi
appuntamenti sono le manifestazioni di fronte alle basi militari
statunitensi coinvolte nell'eventuale guerra, Lakenheath (6 ottobre) e
Menwith Hill (12 ottobre), e un'altra manifestazione nazionale il 31
ottobre. [Francesco, PeaceLink].



Tiziano Terzani. Leggere per la pace
 "Eppure, dinanzi alla complessità di meccanismi disumani - gestiti chi sa
dove, chi sa da chi - l'individuo è sempre più disorientato, si sente al
perso, e finisce così per fare semplicemente il suo piccolo dovere nel
lavoro, nel compito che ha dinanzi, disinteressandosi del resto e
aumentando così il suo isolamento, il suo senso di inutilità."
Lettere scritte da chi conosce davvero la realtà di cui parla, che ha
vissuto e vive all'interno di quel mondo contro cui il mondo occidentale si
è armato, contro cui si è aperta una campagna troppo spesso ideologica a
partire da quel tragico 11 settembre in cui un terrorismo brutale ha
segnato la storia del mondo. "Il mondo non è più quello che conoscevamo, le
nostre vite sono definitivamente cambiate", scrive l'autore da Orsigna il
14 settembre 2001. Questa constatazione porta però ad una riflessione
diversa da quella che la politica internazionale ha imposto: quanto è
accaduto può essere anche l'occasione "per reinventarci il futuro e non
rifare il cammino che ci ha portato all'oggi e potrebbe domani portarci al
nulla".
Lettere da Kabul, da Peshawar, ma anche da Firenze e dal "rifugio"
sull'Himalaya in cui Terzani ha deciso di vivere gran parte dell'anno,
lettere contro corrente (particolarmente intensa quella rivolta alla
Fallaci) in cui vengono fatte affermazioni apparentemente ovvie ("per
proteggersi non c'è bisogno d'ammazzare", "per punire con giustizia occorre
il rispetto di certe regole"), oggi taciute.
Il lettore a cui il libro è rivolto è quello che cerca, sentendosi troppo
spesso disorientato e solo, di capire non solo il mondo in cui gli è
capitato di vivere, ma anche quello popolato da milioni di persone che per
cultura, per storia e soprattutto per condizioni economiche rappresenta la
diversità, "l'altro", ma che non deve e non può essere identificato con "il
nemico". Tiziano Terzani, fiorentino, è stato per trent'anni il
corrispondente del settimanale tedesco Der Spiegel dall'Asia e
collaboratore della Repubblica prima e del Corriere della Sera poi. Ora
vive in India, per lo più nell'Himalaya. Tiziano Terzani, Lettere contro la
guerra, Milano, Longanesi Editore, 2002. [Di Grazia Casagrande e Giulia
Mozzato]



Scott Ritter: "Questa guerra è un errore"
 "Per fare un albero ci vuole il seme", recitava il testo di una celebre
canzone. E per fare una guerra? Ci vuole una ragione. E visto che la guerra
che Bush vuole ad ogni costo contro l'Iraq non può avere le motivazioni di
una guerra "umanitaria", allora il governo statunitense sta lavorando alla
costruzione di una legittimazione, e i suoi contorni si sono ormai
delineati.
Bush e Blair hanno presentato una serie di dossier che inchioderebbero
Hussein alle sue responsabilità. Il dittatore iracheno possederebbe armi
chimiche e batteriologiche, armi di distruzione di massa, e si
appresterebbe a entrare in possesso dell'atomica entro pochi mesi. Come se
non bastasse lo si accusa di aver venduto armi chimiche ad Al-Qaeda. E a
nulla sembra valere la disponibilità del regime ad accogliere gli ispettori
delle nazioni Unite su tutto il territorio dell'Iraq, senza riserve. Stati
Uniti e Inghilterra stanno infatti premendo affinché la risoluzione Onu
contenga condizioni e clausole inaccettabili per il regime, inaccettabili
forse per qualsiasi Stato di diritto. E Kofi Annan vede così svanire nel
nulla i suoi sforzi di mediazione. E dove i dossier non convincono, ci
pensa il sistema televisivo a riempire le lacune, con documentari su
Hussein, speciali sull'Iraq, che da settimane si accavallano nelle
programmazioni televisive, in! Italia in particolar modo sulle reti
Mediaset.
Una voce autorevole che afferma con decisione l'inesistenza di una minaccia
"Hussein" proviene invece da dove meno te lo aspetti. Dagli Stati Uniti.
Guerra all'Iraq è un libro-intervista a Scott Ritter, ufficiale
statunitense eroe dei marines, che ha partecipato per sette anni alla
missione di disarmo in qualità di ispettore Onu e per di più è un fervente
repubblicano. Il libro è edito in Italia da Fazi Editore. Scott Ritter
dimostra chiaramente che se proprio si vuole quantificare la minaccia
rappresentata dall'Iraq in termini di armi di distruzione di massa, essa
equivale a zero. E Ritter ne è talmente convinto da aver invitato e
accompagnato i giornalisti della stampa estera proprio a Baghdad nelle
ultime settimane, per visitare i tanto famigerati "siti di armi di
distruzione di massa".
Questa guerra, in definitiva, sembra nascere da una serie di falsità, di
accuse ingiustificate, di ribaltamenti della realtà. Si vuole dimenticare e
far dimenticare che fu il governo Reagan ad armare il dittatore in funzione
antisovietica e antiiraniana, fornendogli quelle armi chimiche e
batteriologiche che ora Bush rivuole indietro. Armi che hanno provocato
milioni di morti durante la guerra contro l'Iran. Dov'erano allora gli
appelli degli Stati Uniti alla sicurezza mondiale?
Ma oggi l'Iraq, dopo le azioni ispettive degli anni precedenti, è
inoffensivo. "Ritengo a questo punto fondamentale un problema di cifre -
risponde Scott Ritter nel libro -. L'Iraq ha distrutto il 90-95% delle sue
armi di distruzione di massa. Dobbiamo ricordare che il restante 5-10% non
costituisce necessariamente una minaccia né un programma di armamento, se
non siamo in grado di dire quella percentuale minima che fine ha fatto, non
significa che l'Iraq ne sia ancora in possesso", dopo il massiccio embargo
e il passaggio degli ispettori.
E i legami con Al Qaeda? Scott Ritter non ha dubbi e definisce la
"connessione" con Al Qaeda "una faccenda palesemente assurda". "Saddam
Hussein - ricorda - è un dittatore laico, ha passato gli ultimi trenta anni
a dichiarare guerra al fondamentalismo islamico, facendolo a pezzi. A parte
la guerra all'Iran degli ayatollah, in Iraq sono in vigore leggi che
sentenziano la pena di morte per il proselitismo in nome del wahabismo, la
religione di Osama bin Laden.
Resta un solo interrogativo: "Lei è un veterano dei marine, un ufficiale e
un funzionario di intelligence. Eppure alcuni suoi concittadini la chiamano
traditore perché parla così apertamente di tali argomenti. Come risponde?".
"La gente può dire quello che vuole - risponde secco ma sereno Scott Ritter
- ma chi parla in questo modo non fa che dimostrare la propria ignoranza.
Esiste una cosuccia che si chiama Costituzione degli Stati Uniti d'America.
Quando ho indossato l'uniforme dei marines e mi fu affidato l'incarico di
ufficiale ho giurato di essere fedele e di difendere la Costituzione contro
tutti i nemici, esterni e interni. Questo significa che sono disposto a
morire per quel pezzo di carta e per quello che rappresenta. Quel documento
parla di noi come popolo, e di un governo del popolo, fatto dal popolo, per
il popolo, Parla di libertà di parola e di libertà civili individuali... Il
massimo servizio che posso rendere al mio pa! ese - conclude Scott Ritter -
è di facilitare la discussione e il dialogo sul comportamento da tenere
verso l'Iraq... Se quelli che esercitano pressioni a favore della guerra
non sono in grado di provare le proprie ragioni, l'opinione pubblica
americana dovrà esserne consapevole". "Voglio che l'America non commetta
l'errore di questa guerra", ha ripetuto sui giornali americani in questi
giorni. Forse, alla maniera di Scott Ritter, vale la pena sentirsi un pò
"tutti americani".



Gianni Minà: Le guerre nascoste dall'informazione
 L'esercizio della verità, nel momento che stiamo vivendo, è certamente il
più disagevole per molti giornalisti, intellettuali, politici, carenti di
memoria. La spregiudicata deposizione, sabato scorso, di Cesare Previti al
tribunale di Milano (deposizione nella quale l'ex avvocato delle cause
scabrose di Berlusconi teorizzava sostanzialmente il suo diritto a
commettere reati trattandosi di "fatti suoi") ha costretto, in questi
giorni, molti opinionisti fino a ieri propensi alla tesi della persecuzione
dei giudici di Milano verso Berlusconi e i suoi fidi, a prendere le
distanze e a chiedere addirittura, come Angelo Panebianco sul "Corriere
della Sera", che Forza Italia dimetta Previti dal mandato di senatore. Una
richiesta tardiva, ma evidentemente suggerita da un contesto inquietante,
nel quale proprio Previti, qualche settimana fa, aveva mandato un
avvertimento esplicito al presidente del Consiglio: "Berlusconi sa come
sono andati i fatti".
Costa sempre più fatica, evidentemente, raccontare o analizzare con onestà
una realtà che ormai smentisce ogni sicurezza sulla bontà del sistema che
prevale nel mondo. E questa fatica è ancora più palese nelle risicate due
paginette che i grandi quotidiani in Italia riservano agli accadimenti del
resto del mondo.
La preoccupante piega che ha preso, per esempio, la politica interna ed
estera degli Stati Uniti, ha trovato, recentemente, una spiegazione seria
ed esplicita solo in un fondo di Luigi Pintor uscito sul "Manifesto". Un
fondo che qualche ipocrita stava sicuramente per definire "antiamericano"
se, proprio il giorno dopo, George W. Bush non avesse reso noto le 33
inquietanti pagine del "National security strategy of the United States",
cioè la insensata logica della guerra preventiva.
La scusa di chi sminuisce o fa finta di dimenticare fatti inoppugnabili, è
che bisogna essere "politicamente corretti". Come se mentire sulla realtà,
o eludere, ignorare, nascondere accadimenti fosse un esercizio morale,
giusto e accettabile. E la guerra preventiva, decisa senza l'autorizzazione
di nessuno, oltre "a stabilire un precedente imbarazzante", come ha
segnalato l'ex presidente degli Stati uniti Bill Clinton, è una realtà che
può essere spiegata con le sordide esigenze della grande industria delle
armi, dell'energia e del petrolio, non con motivazioni strategiche come,
con poca dignità, sostengono opinionisti provenienti perfino
dall'intellighenzia di sinistra.
Recentemente Galli della Loggia si dispiaceva del senso di rimorso molto
cattolico che buona parte dell'opinione pubblica sente verso le popolazioni
povere, mentre secondo lui dei guasti e dei disastri di questi paesi
sarebbero responsabili solo i loro governanti, megalomani e corrotti.
Corrotti da chi, professore? Avrebbe qualche indicazione da darci? Perchè
Galli della Loggia, nella sua requisitoria, si è dimenticato di chiarirci
perchè, ad esempio, le ricchezze minerarie del Congo non sono in mano dei
cittadini, ma proprietà della Compagnia generale delle miniere belga che,
per quasi 40 anni, dopo l'assassinio di Lumumba (voluto dalle nazioni
coloniali), ha imposto a Kinshasa, un dittatore come Mobutu Sese Seku. E il
professore si è dimenticato di spiegarci anche perchè in Sierra Leone è in
corso da tempo una guerra dimenticata per il possesso dei diamanti. Un
conflitto feroce combattuto da fazioni che utilizzano anche i ba! mbini
come soldati, al soldo di alcune delle democratiche nazioni d'Europa.
Questi stati, ufficialmente alleati tra loro, non possono farsi la guerra
in prima persona perchè "sarebbe sconveniente". E allora in vece loro
combattono adolescenti che imbracciano, spesso maldestramente, le armi più
moderne in circolazione. La fazione che vincerà questo conflitto porterà in
dote alla nazione "democratica" che l'ha sovvenzionata i diamanti della
Sierra Leone.
Galli della Loggia per rafforzare la sua teoria sulle colpe dei poveri,
comunque responsabili dei propri disastri (anche di quelli imposti dagli
speculatori della finanza) faceva l'esempio di Saddam Hussein che, per
smania di potere, ha fatto guerra per dieci anni all'Iran, dilapidando la
ricchezza che il petrolio regala all'Iraq. Per una disdicevole dimenticanza
però l'opinionista non ha segnalato che quella guerra fra fratelli la
vollero e la sostennero, per motivi strategici legati al mercato dei gas e
del greggio, proprio gli Stati Uniti (Bush senior era il capo della Cia)
che crearono e armarono Saddam insieme ad alcune civili nazioni europee.
Fra cui l'Italia che costruì per il rais, alla Oto Melara di La Spezia, il
super cannone e per oliare l'affare utilizzò la sede di Atlanta della Banca
Nazionale del Lavoro.
Qual è l'idea di verità che hanno questi intellettuali? In questi giorni i
maggiori giornali italiani hanno scandalosamente ignorato il tiro a segno
contro la casa, a La Plata (Argentina) di Estella Carlotto, presidentessa
delle nonne di Piazza di maggio. Un avvertimento macabro, con pallottole
dello stesso calibro di quelle usate per uccidere, 25 anni fa, la figlia
Laura, allora incinta, i cui resti sono stati ritrovati dopo anni di
"desaparecion". La colpa di Estella Carlotto? Aver denunciato, proprio alla
vigilia dell'attentato, la violenza della polizia argentina che il
fotografo Diego Levy ha documentato in un saggio pubblicato nel n. 78 della
rivista "Latinoamerica". Il messaggio, specie in questo momento di
disgregazione dell'Argentina è chiaro, mafioso e rivelatore, come ha
spiegato Estella Carlotto, che il clima di impunità e di incubo già vissuto
nella recente storia argentina sta per tornare, favorito proprio dalle
presunte misur! e "antiterrorismo" volute dagli Stati Uniti in America
Latina. Purtroppo questa deriva in una nazione come l'Argentina, che era
l'allieva più ubbidiente delle ricette neoliberali del Fondo monetario e
della Banca mondiale, è sfuggita all'attenzione dei più importanti mezzi
d'informazione italiani.
Paolo Mieli, nella prestigiosa rubrica delle lettere del "Corriere della
Sera", rispondendo ad un lettore che lo invitava a parlare dei gulag dei
paesi comunisti alcuni dei quali sarebbero ancora in funzione, ha
dimenticato questa realtà consueta anche nella "macelleria" Colombia del
presidente Uribe, sodale di George W. Bush, oltre che dei narcotrafficanti
e degli squadroni della morte, e normale anche nel Messico del presidente
Fox, dove più di 200 persone sono scomparse negli ultimi anni nei
commissariati di polizia. Mieli non ha accennato nemmeno alla Birmania o
all'Indonesia dei feroci militari, alleati del governo di Washington, che,
in un recente passato, hanno fatto fuori 500 mila "comunisti", e messa a
ferro e fuoco, fino a ieri, Timor est. In compenso ha indicato il Vietnam e
perfino Cuba, incurante del fatto che qualunque rapporto annuale di Amnesty
International lo smentirebbe. L'unico gulag in funzione a Cuba è infatti
quello creato a Guanta! namo dal governo degli Stati Uniti per rinchiudere,
in condizioni penose, i prigionieri talebani.
Se ne dimenticano anche molte belle anime riformiste del contraddittorio
mondo della sinistra italiana, giustamente attente ai dissidenti cubani, ma
colpevolmente disinteressati invece a conoscere la reale situazione dei
diritti della gente in molte presunte democrazie latinoamericane, africane
o asiatiche dove, al contrario di Cuba, non c'è nessun rispetto per la
dignità dell'uomo. A molte di queste nazioni convenienti per i nostri
commerci viene quasi sempre perdonato tutto, come all'Argentina dell'epoca
dei desaparecidos. Ed è triste notare come anche questi famosi riformisti,
siano incapaci di proporre qualunque iniziativa che vincoli la possibilità
di stabilire rapporti economici con questi governanti all'impegno di
instaurare nei loro paesi una credibile realtà sociale, civile e
democratica.
Il problema di fondo è che tutte le efferatezze commesse nel nome del
capitalismo sono considerate deprecabili "effetti collaterali", come le
bombe che in Iraq o in Afghanistan colpivano i civili innocenti, e comunque
accadimenti ineluttabili. Così il fatto che l'amministrazione di George W.
Bush stia ricattando il governo del Costarica per istituire in quel paese
una super scuola di polizia che controlli il disagio crescente delle masse
povere del continente, magari con i metodi crudeli usati dai militari
latinoamericani formati a Fort Benning o nella "Escuela de las americas",
non interessa più nè all'informazione di quella che fu la borghesia
illuminata, nè alla politica rinunciataria di parte di quella che fu la
sinistra italiana.
Anzi crea fastidio come l'appello del grande poeta argentino Juan Gelman
che, dopo aver ritrovato la nipote partorita dalla nuora desaparecida e
data in adozione dagli aguzzini della dittatura alla famiglia di una
poliziotto di Montevideo, ora insiste con un appello via internet perchè
l'opinione pubblica internazionale costringa il presidente uruguaiano
Battle a impegnarsi a ritrovare i resti della nuora in una delle tante
fosse comuni sorte in America latina negli anni '70. Le fosse comuni come
gli squadroni della morte o il terrorismo di stato, erano gli "effetti
collaterali" dell'Operazione Condor, una delle più spietate campagne di
repressione contro qualunque opposizione, messa in atto dalla fine della
seconda guerra mondiale ad oggi, e voluta in America Latina, negli anni
'70, dal presidente nordamericano Richard Nixon.
All'Operazione Condor si deve fra l'altro il genocidio negli anni '80 delle
popolazione maya in Guatemala, l'ultimo sfregio del secolo dopo quello
nazista. I dati che il rapporto Onu "Memoria del silenzio" ha documentato,
solo tre anni fa, sono agghiaccianti: duecentomila morti, trentamila
desaparecidos, seicentoventisette massacri accertati, quattrocento villaggi
scomparsi dalla carta geografica, quasi tremila fosse comuni. Il rapporto
documentò anche la complicità del governo di Washington nel genocidio tanto
che Bill Clinton volò a Città del Guatemala per chiedere scusa agli eredi
dei maya. È per storie indecenti come questa che Bush junior osteggia e
rifiuta il Tribunale penale internazionale.
Ho ricordato questi accadimenti tante volte e anche in una lettera a Mieli
che mi aveva chiamato in causa nella sua rubrica. Purtroppo di questo
terrorismo di stato tanto recente e ancora incombente nella società che
viviamo, quella della "guerra continua", pochi si vogliono ricordare forse
perchè più inquietanti di molte efferatezze del comunismo.
L'esercizio della verità, il rispetto della memoria, la forza inconfutabile
di certe realtà non sono convenienti e quindi vanno elusi. Con buona pace
dell'etica dell'informazione.

[L'articolo è apparso sul quotidiano "Il manifesto" del 2 ottobre 2002]

Appello di Amnesty International all'Unione Europea
 Amnesty International ha consegnato ai governi europei, in coincidenza con
il Consiglio dell'Unione del 30 settembre 2002, un appello corredato dalle
prime 40 mila adesioni per salvaguardare la neonata Corte Penale
Internazionale dagli attacchi illegali messi in atto dal governo degli
Stati Uniti che, in opposizione ai principi difesi da tale corte, stanno
cercando di garantire che i propri cittadini non siano sottoposti alla
giurisdizione della Corte per genocidio, crimini contro l'umanità e crimini
di guerra. La Corte penale internazionale avrà il compito di indagare e di
promuovere azioni giudiziarie su persone accusate di genocidio, crimini
contro l'umanità e crimini di guerra, ma gli Stati Uniti stanno attaccando
questo nuovo sistema di giustizia internazionale facendo pressioni sui
paesi di tutto il mondo perché sottoscrivano accordi tali da garantire
l'impunità dei cittadini statunitensi davanti a! lla Corte penale
internazionale. In molti casi il governo di Washington, minacciando il
ritiro dell'assistenza economica e militare agli Stati che rifiuteranno di
aderire, ha già ottenuto i suoi frutti con ben 13 Paesi (Afghanistan,
Honduras, Israele, Isole Marshall, Mauritania, Micronesia, Palau,
Repubblica Dominicana, Romania, Tagikistan, Timor Est e Uzbekistan) mentre
con altri, tra cui Colombia e Argentina, le cose sarebbero già a buon
punto. L'appello con le firme (oltre 3.200 raccolte nel nostro paese) è
stato recapitato anche al nostro presidente del Consiglio dal quale ci si
aspetta una formale dichiarazione relativa all'illegalità di questi accordi
rispetto al diritto internazionale dal momento che potrebbero minare gli
sforzi internazionali per impedire ai criminali di continuare ad agire e a
commettere i più gravi reati che l'umanità abbia conosciuto. Difendere la
Corte internazionale, proprio quando si prospetta all'orizz! onte una nuova
offensiva militare americana, significa ribadire la necessità e la
legittimità di un sistema di diritto internazionale di fronte al quale
nessuno sia privilegiato. Chi volesse firmare l'appello lo può fare
visitando il seguente url:
http://web.amnesty.org/web/icc_petition.nsf/act_ita


Sostengono il monopolio televisivo
Valida fino al 31 dicembre 2002
Reparto acque
Uliveto
Rocchetta
San Pellegrino
Vera
Ferrarelle
Levissima
Panna
Acqua Parmalat
Reparto formaggi
Vitasnella
Yogurt Joy Parmalat






Reparto sottozero
Gelati Motta
Gelati Algida




Reparto dolciumi
Besquik
Nestea
Mulino Bianco
Oro Saiwa
Succhi Santal
Succhi "I Briosi"
Reparto Paste
Pasta Barilla
Sughi Barilla
Sughi Star

Reparto oli - alimentari
Tonno e patè Riomare
Maionese Calvè
Latte FrescoBlu

Altro
Sgrassatore Smac
Omino Bianco
Depilatori Veet
Detersivi Sole/Ava Mondadori
Napisan
Borotalco Roberts
Fiat
Prodotti L'Oreal
Sulla base del monitoraggio volontario Core

Ringraziamo Umberto Eco, tutti coloro che ci sostengono e incoraggiano, e
tutti quelli che ci aiuteranno a rendere la nostra cara Italia un po' più
democratica e libera.

Un saluto cordiale

Movimento di Cunegonda
Critica del consumo per la democrazia
Missione attuale: la fine del monopolio dell'informazione televisiva

http://www.cunegonda.info