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La nonviolenza e' in cammino. 366



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO



Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it



Numero 366 del 26 settembre 2002



Sommario di questo numero:

1. Un errore di prospettiva

2. Solidarieta' con i richiedenti asilo

3. Campagna di obiezione di coscienza del/la cittadino/a per il disarmo
economico e militare

4. Rete Lilliput: mai piu' eserciti e guerre, costruiamo la pace

5. Secondo salone dell'editoria di pace a Venezia

6. Pietro Ingrao, potere assoluto

7. Claudio Tugnoli, il significato dell'opera di Rene' Girard

8. Violeta Parra, come sorridono i presidenti

9. Adrienne Rich, finche'

10. Riletture: Enrique Dussel, L'occultamento dell'"altro"

11. Riletture: Internazionale situazionista 1958-1969

12. Riletture: Virginia Vacca (a cura di), Vite e detti di santi musulmani

13. La "Carta" del Movimento Nonviolento

14. Per saperne di piu'



1. EDITORIALE. UN ERRORE DI PROSPETTIVA

In tanti appello contro la guerra che circolano in questi giorni c'e' un
errore di prospettiva, il solito, quello che rende inane e frivolo
l'impegno pacifista.

Il nostro problema non e' di dichiarare la nostra dissociazione, ma di
impedire che la guerra si faccia.

Ma per riuscirci non bastano le ragioni sofistiche e subalterne di chi
ancora crede nella "guerra giusta" e nella "violenza necessaria" (le
logiche di chi anche quando crede di opporvisi, e' complice degli
assassini poiche' ne condivide l'orizzonte teorico e alcuni automatismi
comportamentali): occorre la scelta della nonviolenza come opposizione
nitida e intransigente ad ogni violenza, ad ogni oppressione, ad ogni
uccidere.

Per questo l'opposizione alla guerra di tanti che siedono in parlamento
suona falsa e furbesca, e a nulla serve contro la guerra; per questo
l'opposizione alla guerra di alcuni gruppi scandalosamente divenuti
pressoche' egemoni nel cosiddetto movimento "no global" (ma meglio sarebbe
chiamarlo: per la globalizzazione dei diritti) e' ipocrita e strabica, e a
nulla serve contro la guerra; poiche' costoro sono del tutto interni alla
cultura della guerra e subalterni alle dinamiche sociali dominanti, e non
sono ne' nostri amici ne' nostri alleati.

Occorre la scelta della nonviolenza. Che non e' la caricatura di cui troppi
straparlano, ma una teoria-prassi complessa e pluridimensionale,
sperimentale e aperta, un campo di ricerche e di pratiche accostarsi al
quale non e' impegno da consumisti e collezionisti di mode, ma richiede un
prender sul serio se stessi ed i propri pensieri, che evidentemente non e'
compito agevole.

Saldi nella scelta della nonviolenza, la nostra opposizione alla guerra sia
suscitatrice di energie e di azioni. E molte iniziative occorrono. E ad
esempio:

1. denunciare alle competenti corti di giustizia l'illegalita' di una
guerra che viola i trattati internazionali e per quanto concerne l'Italia
la stessa carta costituzionale; e chiedere che i criminali violatori
stragisti (nel caso italiano: anche golpisti) siano perseguiti ai sensi di
legge;

2. Organizzare azioni dirette nonviolente (vere, non le pagliacciate e le
mistificazioni di chi ne ciancia senza saper quel che si dice) laddove
necessario e ragionevole (ovvero dove sia possibile ottenere risultati
concreti di contrasto alla macchina bellica, facendola finita con le
stupidaggini simboliche ovvero pubblicitarie a mero uso dei media);

3. promuovere campagne di disobbedienza civile contro la guerra e in difesa
della legalita' internazionale e costituzionale (disobbedienza civile vera:
in cui si assume diretta responsabilita' e non si espongono gli altri alla
morte);

4. promuovere lo sciopero generale contro la guerra;

5. recare soccorsi alle vittime (sia portando aiuti umanitari nell'area del
conflitto, sia accogliendo qui i profughi).



2. APPELLI. SOLIDARIETA' CON I RICHIEDENTI ASILO

[Questo appello sulla situazione dei richiedenti asilo in Italia abbiamo
ricevuto da "cds focus" (per contatti: info@dirittisociali.org); ad esso
naturalmente ci associamo]

I recenti tragici avvenimenti di Porto Empedocle dello scorso 14 settembre,
che hanno visto la morte di 36 persone, sono stati presentati all'opinione
pubblica come l'ennesimo tentativo di sbarco in Italia da parte di
clandestini o immigrati irregolari. Poche voci hanno sottolineato la
presenza, tra quelle persone, di tanti che sono scappati da realta' di
guerra o conflitto, come la Liberia, e che si attendevano di trovare in
Italia un aiuto di carattere umanitario e il riconoscimento del loro
diritto di asilo.

Tale episodio costituisce l'ennesima dimostrazione di come in Italia la
tutela del diritto di asilo sia divenuta, nel dibattito politico e
culturale in corso, una sorta di appendice del tema dell'immigrazione e non
il riconoscimento di un diritto umano fondamentale, sancito dalla nostra
Costituzione e da Convenzioni internazionali di cui l'Italia e' firmataria.

La situazione dei richiedenti asilo in Italia, gia' compromessa da diversi
anni per la mancanza di una legge organica in materia, si e' aggravata dopo
l'approvazione della cosiddetta legge Bossi-Fini.

In vista della piena efficacia degli articoli in materia di asilo (che
avverra' in seguito all'entrata in vigore del regolamento di attuazione,
non prima del 2003) e' iniziato una sorta di "periodo di attesa", nel quale
sono state sospese le gia' esigue misure di assistenza previste dalle
normative in vigore e la stessa procedura per il riconoscimento dello
status di rifugiato e' divenuta nebulosa e sempre piu' incerta.

Diversi i provvedimenti che vanno in questa direzione:

- i lunghi tempi di attesa  e la sospensione, in molti casi, delle
convocazioni dei richiedenti asilo, per l'esame della loro istanza, da
parte della Commissione Centrale per il riconoscimento dello status di
rifugiato;

- la sospensione, dal I agosto 2002, del contributo di prima assistenza,
erogato dalle Prefetture, per i richiedenti asilo;

- il mancato rinnovo di molti permessi di soggiorno concessi per motivi di
carattere umanitario;

- la mancata erogazione a rifugiati riconosciuti del contributo di
sostentamento previsto dalla attuale normativa. Inoltre, dal I aprile 2002
le Prefetture non stanno accettando nuove istanze;

- l'insufficiente finanziamento del Programma Nazionale Asilo, che ha
costretto molti centri a ridurre al minimo gli ospiti e molti Comuni a
ricorrere a fondi propri.

Le realta' firmatarie di questo appello:

- denunciano la condizione attuale dei richiedenti asilo in Italia, sempre
piu' grave e spesso insostenibile. Molti di loro si trovano ormai da molti
mesi senza assistenza, costretti a vagare ogni giorno da un Ufficio
all'altro, senza alcuna certezza sui tempi e le modalita' della propria
richiesta d'asilo;

- chiedono alle Istituzioni competenti di accelerare il piu' possibile
l'esame delle richieste di asilo gia' presentate e il rinnovo dei permessi
di soggiorno per motivi umanitari.

- Chiedono inoltre l'immediato ripristino delle forme di assistenza
previste dalla normativa vigente;

- invitano il Parlamento a porre al piu' presto in discussione le proposte
di legge gia' presentate in materia d'asilo, perche' anche l'Italia possa
dotarsi di uno strumento capace di prevedere, in forma organica, misure di
accoglienza, assistenza e integrazione di richiedenti asilo e rifugiati.

E' in gioco il destino di migliaia di persone, spesso vittime di soprusi e
persecuzioni, e la dignita' delle nostre Istituzioni e del nostro Paese.

Assessorato alle Politiche Sociali- Comune di Roma, Caritas Diocesana di
Roma, Casa dei Diritti Sociali - Focus, Centro Astalli, Consiglio Italiano
per i Rifugiati (CIR), Consorzio della Cooperazione Sociale Sol.Co Roma,
Federazione delle Chiese Evangeliche (FCEI), Fondazione Internazionale don
Luigi Di Liegro, Fondazione Migrantes, ICS - Consorzio Italiano di
solidarieta', Progetto Casa Verde



3. INIZIATIVE. CAMPAGNA DI OBIEZIONE DI COSCIENZA DEL/LA CITTADINO/A PER IL
DISARMO ECONOMICO E MILITARE

[Questo appello di promozione della campagna di obiezione del cittadino
abbiamo ripreso dal sito del Movimento Nonviolento, www.nonviolenti.org]

Il no della coscienza alla violenza organizzata e all'omicidio come
soluzione dei conflitti si esercitava fino ad ora, nel nostro paese,
soprattutto nella forma del rifiuto del servizio militare, cioe'
dell'addestramento ad uccidere.

La nuova legge 230 del 1998 sull'obiezione di coscienza al servizio
militare, cosi' come quella pii' recente sull'istituzione del Servizio
civile nazionale, che compiono alcuni importanti passi avanti nella cultura
giuridica dell'obiezione al militare, sono arrivate contemporaneamente
all'abolizione pratica della leva e al passaggio graduale all'esercito
professionale.

Nella nuova situazione che si presenta il cittadino sembra non avere piu'
strumenti per esprimere il rifiuto della violenza strutturale e culturale,
non solo di quella diretta, e per costruirne il continuo superamento. Ci
sono invece da praticare obiezioni e da attuare programmi costruttivi sui
due lati della cultura del dominio, il modello economico (della produzione,
scambi e consumi) e il modello difensivo (della tutela da aggressioni e
della tutela del diritto ).

Percio' ci sembra urgente un rinnovato impegno, coordinato e coraggioso,
per una nuova Campagna di obiezione di coscienza del/la cittadino/a per il
disarmo economico e militare che sia contemporaneamente di resistenza al
nuovo militarismo e di costruzione dell'alternativa nonviolenta.

La campagna si articola su tre punti:

1. Una dichiarazione di obiezione del/la cittadino/a nella quale ci si
dissocia dalla politica di difesa del nostro paese e dalla NATO,
evidenziando l'incostituzionalita', l'immoralita' intrinseca di scelte
aggressive e la funzionalita' al sistema economico di rapina nel confronti
dei Paesi impoveriti del sud del mondo; da parte delle donne accompagnata
da una dichiarazione di rifiuto esplicito della cosiddetta "pari
opportunita'" di servire nell'esercito, da parte dei/delle giovani che
scelgono il servizio civile accompagnata da una dichiarazione che metta in
evidenza come la scelta fatta sia inconciliabile con il servizio militare,
escludendo la possibilita' di "richiami" in caso di guerra.

2. Una dichiarazione di opzione per la nonviolenza attiva che si
concretizzi attraverso i seguenti impegni:

- versamento e/o partecipazione ad un progetto di intervento nonviolento in
zona di conflitto (operazione Colomba, Io donna vado in Palestina, Caschi
bianchi, Berretti bianchi, Anch'io a Butembo/Kisangani, ecc);

- servizio civile o volontariato in progetti di difesa civile, mediazione o
formazione alla nonviolenza presso i nodi della rete di Lilliput,
associazioni o "uffici della Pace" in Italia o all'estero;

- versamento sul fondo nazionale per il servizio civile come opzione o
obiezione alle spese militari in vista del riconoscimento del diritto di
opzione fiscale;

- adesione all'iniziativa "Banche armate";

- adesione e/o sostegno ai movimenti nonviolenti organizzati.

3. Un impegno concreto a orientare i propri consumi tenendo conto dei
principi della semplicita' volontaria e del consumo critico che boicotta e
cerca di sottrarre risorse a quei settori della produzione, del commercio e
della finanza che sono implicati in modo piu' evidente nel sistema
militare/industriale di dominio.

*

Dichiarazione dei cittadini/e italiani/e di obiezione alla guerra e di
opzione nonviolenta per il disarmo economico e militare:

Al Presidente della Repubblica

Ai presidenti di Camera e Senato

Al Presidente del Consiglio dei ministri

Ai presidenti dei gruppi parlamentari

Ai parlamentari del collegio elettorale di ...

Al Sindaco del Comune di ...

Ai movimenti promotori di questa campagna

Io sottoscritto/a... nato/a... residente... come membro della famiglia
umana e cittadino/a della Repubblica Italiana, nata dalla opposizione e
dalla resistenza al fascismo e alla guerra, fondata per Costituzione sulla
dignita' inviolabile della persona umana e della sua coscienza, sul diritto
e dovere di lavorare per il bene comune, sulla risoluzione pacifica dei
conflitti, sull'equilibrio e sul controllo democratico dei poteri dichiaro
in piena consapevolezza:

- di dissociarmi, per primari e insuperabili motivi di coscienza, dalla
politica militare del nostro paese e della NATO, che ha dato luogo alle
guerre del "decennio orribile" 1991-2001 in luogo della politica di pace
planetaria resa possibile dalla svolta nonviolenta del 1989, nel quadro
giuridico cosmopolitico delle Nazioni Unite;

- che tale politica militare viola la Costituzione italiana e la Carta
delle Nazioni Unite; fa scelte belliche omicide e aggressive enormemente
immorali in luogo delle possibili soluzioni pacifiche; e' funzionale al
sistema politico di dominio e di privilegio e al sistema economico di
rapina; aggrava la distanza, l'incomprensione e i pericolosi risentimenti
tra le culture e le civilta' umane invece di favorire la comprensione e
cooperazione tra i popoli;

- il rifiuto esplicito e forte, come donna, della cosiddetta "pari
opportunita'" di servire nell'esercito;

- come giovane che ha deciso di scegliere il servizio civile,
l'inconciliabilita' di tale scelta con il servizio militare, escludendo la
possibilita' di essere richiamato in caso di guerra.

Per questi motivi mi dichiaro obiettore e oppositore politico di coscienza
alla cultura e alla politica prevalente nel mio paese su temi di importanza
assolutamente primaria come sono la pace e la giustizia mondiali,
impegnandomi a fare resistenza civile, nonviolenta e democratica a tale
linea culturale e politica fino a quando non la vedro' cambiare
sostanzialmente. Cerchero' di convincere altri cittadini a fare questa
scelta e accettero' le conseguenze di questa resistenza per lealta' verso
l'ordinamento civile del mio paese. In coerenza con questa mia scelta di
obiezione e opposizione mi impegno:

- a sostenere praticamente, col mio possibile contributo di riflessione, di
partecipazione e di finanziamento - "Se vuoi la pace finanzia la pace" -
quelle iniziative che crescono oggi nella societa' civile di intervento
civile e nonviolento nelle realta' di conflitto (operazione Colomba, Io
donna vado in Palestina, Caschi bianchi, Berretti bianchi, Anch'io a
Butembo/Kisangani, ecc ), al fine di prevenire e trasformare i conflitti,
di riconciliare i contendenti, di difenderli dalla manipolazione degli
interessi militari-industriali che intendono far degenerare i conflitti in
guerra;

- a detrarre dal mio reddito tassabile le somme destinate alle iniziative
di intervento civile e nonviolento nelle realta' di conflitto le quali,
supplendo ad una grave carenza dello stato, realizzano una funzione
politica necessaria e primaria, cioe' la pace invece della guerra, versando
il corrispettivo sul fondo nazionale per il servizio civile come opzione o
obiezione alle spese militari in vista del riconoscimento del diritto di
opzione fiscale;

- a partecipare al servizio civile o volontariato in progetti di difesa
civile, mediazione o formazione alla nonviolenza presso i nodi della rete
di Lilliput, associazioni o "uffici della Pace" in Italia o all'estero;

- ad aderire all'iniziativa "Banche armate";

- ad aderire e/o sostenere i movimenti nonviolenti organizzati;

- ad orientare i miei consumi al principio della semplicita' volontaria e
del consumo critico, boicottando e cercando di sottrarre risorse a quei
settori della produzione, del commercio e della finanza che sono implicati
in modo piu' evidente nel sistema militar-industriale di dominio,
sfruttamento e guerra;

- altro (specificare).

In fede,

Firma

Data...



4. APPELLI. RETE LILLIPUT: MAI PIU' ESERCITI E GUERRE, COSTRUIAMO LA PACE

[Questo documento e' stato realizzato e diffuso dal Gruppo di Lavoro
Tematico "Nonviolenza e conflitti" della Rete di Lilliput (per contatti:
e-mail: glt-nonviolenza@retelilliput.org, sito: www.retelilliput.org)]

A ridosso dell'anniversario del terribile attacco terroristico alle torri
gemelle di New York e' in fase di preparazione un'altra guerra, un'altra
strage, questa volta contro il popolo iracheno. Purtroppo non sono bastati
la folle guerra del golfo del 1991 e 12 anni di un embargo assassino che
hanno decimato la gia' martoriata popolazione irachena, che ancora oggi
muore di radiazioni per il plutonio e l'uranio impoverito, di cui erano
composti i proiettili usati dagli americani, che hanno contaminato acqua,
aria e suolo; ora assistiamo ad un perverso ritorno della logica della
guerra.

Il presidente americano Bush e i suoi fedeli alleati affermano che
l'attacco all'Iraq e' necessario per ristabilire la pace mondiale e perche'
questo paese sostiene e crea i gruppi terroristici arabi. Pensiamo che,
come spesso accade nelle guerre, siano altre le vere ragioni che spingono
gli Usa a premere per l'attacco, fra queste la supremazia mondiale degli
Usa e il controllo del petrolio della zona.

Riteniamo che siano ormai maturi i tempi in cui le controversie tra nazioni
siano risolte in modi diversi dall'uso delle armi. Per noi nessuna violenza
giustifica l'uso di un'altra violenza, non e' con la morte di altre persone
che si fermano i gruppi terroristici, ne' si fa giustizia alle vittime del
terrorismo. Sosteniamo quindi a grande voce che non esistono violenze e
guerre giuste e chiunque porta avanti questa tesi si rende esso stesso
complice degli assassini.

E' la pace nel mondo che noi intendiamo costruire. In tutto il mondo finora
e' imperato solo un discorso: l'armarsi e il mettere in piedi testate
nucleari, armamenti di tutti i tipi, carri armati e cannoni. Gli stati
dovrebbero avvalersi di tecniche e/o metodi diversi da quelli militari,
pratiche come peace keeping, risoluzione nonviolenta dei conflitti, caschi
bianchi, diplomazia nonviolenta, prevenzione del conflitto, interposizione
nonviolenta, non sono per niente prese in considerazione dai nostri
governanti tutti (indipendentemente dalla ideologia che professano). In
questi anni solo delle organizzazioni non governative hanno provato a
sperimentare queste metodologie, e spesso con successo, ma ovviamente
questi piccoli successi potrebbero essere moltiplicati se a mobilitarsi con
questi mezzi fossero uno Stato o meglio ancora una organizzazione di Stati.
Se anche una piccola parte di quello che si spende annualmente in armamenti
venisse destinata agli interventi civili nonviolenti e alla creazione e
addestramento di corpi civili di pace ci sarebbero piu' speranze per la
soluzione dei conflitti. Per noi, solo queste scelte permetteranno di
interrompere la spirale di violenza che si autogenera con la guerra e che,
anche nel caso del ventilato attacco all'Iraq, riuscira' solamente ad
alimentare nuove spinte verso un terrorismo fondamentalista.

La via maestra e' quella del dialogo con tutte le parti in causa,
conoscerne e riconoscerne torti e ragioni, vedere e far vedere la
sofferenza e il dolore di tutte le vittime, aiutare i persecutori a
riumanizzarsi, analizzare i traumi subiti mediante una sorta di grande
terapia collettiva che apra la strada alla riconciliazione del genere umano.

Non ci sara' vera pace senza giustizia e non ci saranno ne' pace ne'
giustizia senza una cultura della nonviolenza attiva.

Per questi motivi chiediamo alle lillipuziane e ai lillipuziani di farsi
carico di questo pesante progetto e di imboccare con determinazione la
strada della nonviolenza attiva, facendosi promotori nelle loro citta' di
una seria politica di opposizione alla guerra. Questo ci permetterebbe
anche di non restare stritolati da chi ci vuole vedere schierati o con il
"bene occidentale" o con il "male mediorientale". Noi dobbiamo essere
"altro" e questa differenza ci puo' essere data solo dalla scelta della
nonviolenza attiva. Dobbiamo essere in prima linea soprattutto con la lotta
allo strapotere militare, dobbiamo dare energie e appoggio a chi si propone
di realizzare modelli di difesa basati sulle tecniche di lotta nonviolenta.
Dobbiamo chiedere a gran voce una riforma democratica dell'Onu, promuovere
boicottaggi verso le industrie belliche, dare priorita' assoluta
all'abolizione degli eserciti anche attraverso una seria disobbedienza
civile di massa.

Chiediamo quindi fin da subito che tutti i nodi della Rete di Lilliput
attivino le loro energie per ostacolare la minaccia di una nuova guerra.
Per agevolare i nodi il Gruppo di Lavoro Tematico "Nonviolenza e Conflitti"
della Rete di Lilliput sta curando la preparazione di un kit di azione
contro la guerra contenente proposte di mobilitazioni, bozze di volantini e
documenti di approfondimento; esistono gia' moltissime idee, dalla Bandiera
della Pace appesa ai nostri balconi al fazzoletto bianco proposto da tempo
da Emergency, ma vi chiediamo di contribuire portando a conoscenza tutta la
Rete delle vostre iniziative particolari. A giorni verra' anche presentata
la "Campagna di obiezione/opzione di coscienza del cittadino/a", vera e
propria campagna quadro pensata come utile strumento per appoggiare le
tante iniziative di opposizione alla guerra.

In questi giorni ci troviamo tutti nell'emergenza e cerchiamo di attivare
il maggior numero possibile di energie e persone; facendo cosi' corriamo
pero' anche il rischio di agire in fretta e male anche perche', purtroppo,
ci accorgiamo sempre piu' che le guerre non sono avvenimenti straordinari
bensi' fatti di "fredda e ordinaria amministrazione". Basta pensare che
l'Iraq e' solo il primo della lista dei 62 "stati canaglia" per capire che
dobbiamo attivarci per tempo e con costanza su questi temi. Proprio per
questi motivi il Gruppo di Lavoro Tematico "Nonviolenza e Conflitti" della
Rete di Lilliput ha proposto la creazione dei Gruppi di Azione Nonviolenta
(GAN) presso ogni nodo, pensati come veri e propri strumenti per attivare
con la nonviolenza i nostri dissensi. Una presenza costante dei GAN ci
consentirebbe infatti di non trovarci spiazzati ad ogni emergenza.
Proponiamo quindi che nei nodi si formino dei Gruppi di Lavoro Tematici sui
temi legati a pace, guerra e nonviolenza e che questi gruppi cerchino di
avviare un processo calmo e ragionato ma deciso che porti alla formazione
di un GAN in ogni nodo. Prima tappa fondamentale di questo processo e'
sicuramente il Seminario Nazionale: "Nonviolenza. Attivarsi per un mondo
diverso" che si terra' il 27-28-29 settembre a Roma Ciampino (info su
www.retelilliput.org ).

Chiediamo che in ogni citta' dove la Rete e' presente i lillipuziani e le
lillipuziane si facciano promotori nell'avviare sinergie e collaborazioni
con altri soggetti appartenenti alla "societa' civile organizzata" sulla
base dell'obiettivo comune di contrastare la guerra apportando
quell'aggiunta creativa che in molti ci riconoscono. A livello nazionale in
questi giorni stiamo cercando di fare la stessa cosa; infatti il sub-nodo,
in stretta collaborazione con il Gruppo di lavoro tematico sulla
nonviolenza, si sta muovendo per cercare di allargare la rete di
opposizione alla guerra, verificando con altre associazioni pacifiste
esterne alla rete se esistano le condizioni per percorsi comuni di lotta.
Sulla base di questo daremo anche il nostro contributo propositivo alla
proposta nata in sede ESF di una giornata di mobilitazione nazionale contro
la guerra indetta per sabato 5 ottobre, partecipando e invitando tutte/i
voi a partecipare numerosi.

Il nostro impegno per la difesa dei diritti umani, per la giustizia
sociale, per la difesa dell'ambiente e quella dei deboli del mondo intero
nulla potra' mai finche' permarra' questo orrendo strumento generatore di
morte e di violenza diretta che e' la guerra.



5. INCONTRI: SECONDO SALONE DELL'EDITORIA DI PACE A VENEZIA

Da venerdi' 6 a domenica 8 dicembre si svolgera' a Venezia il secondo
salone dell'editoria di pace. Un appuntamento che gia' alla prima edizione
e' stato di fondamentale importanza per l'incontro tra quanti operano per
una cultura della pace nel nostro paese.

Le case editrici e quanti producono materiali informativi possono prenotare
stand espositivi per una visibile proficua presenza; come gia' lo scorso
anno il salone ospitera' incontri e dibattiti e dara' un contributo alla
riflessione e alla conoscenza reciproca.

Per tutte le informazioni e per la partecipazione contattare Giovanni
Benzoni, responsabile per la Fondazione Venezia per la ricerca sulla pace
del Progetto Iride, tel. e fax: 041.5206960, cell. 328.2517362,  e-mail:
gbenzoni@tin.it



6. RIFLESSIONE. PIETRO INGRAO: POTERE ASSOLUTO

[Questo intervento di Pietro Ingrao e' apparso sul quotidiano "Il
manifesto" del 24 settembre 2002. Pietro Ingrao, nato nel 1915 a Lenola
(LT), laureato in giurisprudenza e lettere, partecipa alla lotta
clandestina antifascista e alla Resistenza. Giornalista, direttore de
ăLâUnitˆä dal 1947 al 1957, dal 1948 deputato del PCI al Parlamento per
varie legislature e tra il 1976 e il 1979 presidente della Camera dei
Deputati. Collabora attualmente al quotidiano ăIl manifestoä. Sono di
grande rilievo le sue riflessioni sui movimenti, le istituzioni, la storia
contemporanea e le tendenze globali attuali. Opere di Pietro Ingrao: Masse
e potere, Editori Riuniti, Roma 1977; Tradizione e progetto, De Donato,
Bari 1982; Le cose impossibili, Editori Riuniti, Roma 1990; Interventi sul
campo, Cuen, Napoli 1990; Appuntamenti di fine secolo, Manifestolibri, Roma
1995 (con Rossana Rossanda ed altri)]

Quanto conta una frase? Puo' contare poco o nulla, o molto. Conta di certo
se la pronunzia il Presidente degli Stati Uniti. La frase a cui penso e'
contenuta nel messaggio di 33 pagine che George Bush ha inviato al
Congresso americano e che ritualmente si chiama The Nationale Security
Strategy of the United States. Il messaggio riguarda, come dice il nome, i
problemi della sicurezza della nazione americana, e in questo quadro essa
si allarga - di solito - a tutta una lettura della situazione mondiale.

Cosi' e' stato anche per questo messaggio di Bush junior: e non si sbaglia
dicendo che esso e' una esaltazione univoca della grande potenza americana,
vista nella maesta' della sua saggezza e della sua forza. E ogni parola del
testo sembra segnata dall'orgoglio infinito con cui proclama che gli Usa
non permetteranno ad alcuno di incrinare la grandiosa supremazia, che
l'America ha raggiunto dopo la caduta dell'Urss. E tutto questo - si puo'
dire - non costituisce una novita'. Conosciamo l'uomo e il suo volto
aggrondato e perentorio, e il sussulto sottile di piacere che prova nel
gonfiare i muscoli.

C'e' pero' una frase in quel messaggio che allarma pesantemente per la sua
pericolosa novita'. E' la' dove il Presidente afferma: "Non esiteremo ad
agire soli se necessario, per esercitare il nostro diritto di autodifesa
agendo preventivamente". Non si puo' sbagliare. Il Presidente americano
rivendica il diritto e il potere di fare ricorso alla guerra preventiva.

Ne abbiamo conosciuto tante, e diverse, di guerre "preventive" nel
sanguinoso Novecento. E ne ricavammo una repulsione e un allarme che nel
corso del secolo non si sono indeboliti. Difatti scrivemmo nella
Costituzione italiana che all'Italia era lecita solo la guerra di difesa.
Poi quell'articolo della Costituzione italiana e' stato cassato, senza
nemmeno dirlo, e senza che ne' il Capo dello Stato ne' il Parlamento
italiano nemmeno lo riconoscessero pubblicamente.

Come sembra lontana e patetica quell'affermazione che nella Carta italiana
ammetteva solo la guerra di difesa. Ora il capo della piu' grande potenza
comunica al mondo che l'America e' pronta per la guerra preventiva.

E neppure si preoccupa di sfumare o velare quella dichiarazione dirompente.
Anzi rivendica assoluta liberta' per il suo potere. Non fa piu' alcun
riferimento ne' al consenso dell'Onu, ne' a quello della Nato, o in ogni
modo al vaglio di una qualsiasi collettivita' internazionale. Bush junior
affida quel ricorso terribile alle guerra di prevenzione solo alla missione
americana di regolare le sorti del mondo. E' schietto questo Presidente
yankee: non ricorre neppure a ipocrisie, tanto e' convinto dei suoi titoli
a decidere.

Che dicono gli altri? Che risponde l'Europa? Che ne pensano i sindacati, o
i partiti che si dicono di sinistra? E quelli che si richiamano al
pacifismo?

I punti capitali della "Security" americana come la vede George Bush jr.
sono stati riportati in tutte le gazzette del mondo. Bisogna dire la
verita': non c'e' stato nel globo ne' sdegno, ne' inquietudine. Non s'e'
turbata la gente. Come se ormai sia "naturale" la pratica possibile della
guerra preventiva: senza nemmeno l'ipocrisia di mostrare un po' di disgusto.

Io invece ho paura. Mi sembra un altro, grave passo in quella che ho
chiamato la "normalizzazione della guerra" - la fine della grande paura che
a tanti di noi in quel fatidico maggio del `45 fece dire: mai piu'.

Bisogna dirlo crudamente: le armi, le guerre non fanno piu' scandalo. Ieri,
o ancora poco fa, gli Stati Uniti, esponendo la loro politica mondiale,
parlavano ancora di "dissuasione" e di "contenimento". Oggi parlano di
"guerra preventiva".

E io - lo confesso - non riesco a capire come mai la gente del mio tempo, i
miei contemporanei non siano allarmati, non affaccino almeno qualche
piccola riserva: almeno per far sentire al Presidente americano che il
ricorso preventivo alle armi ci ricorda catastrofi che ci hanno segnati per
sempre.



7. RIFLESSIONE. CLAUDIO TUGNOLI: IL SIGNIFICATO DELL'OPERA DI RENE' GIRARD

[Questo saggio di Claudio Tugnoli, il cui titolo completo e': "Il
significato dell'opera di Rene' Girard. L'opposizione di verita' e menzogna
nell'interpretazione della Passione", e' stato pubblicato sulla rivista "Il
margine", nel fascicolo n. 2 del 2002. Ringraziamo l'autore per avercelo
messo a disposizione. Claudio Tugnoli  (per contatti:
tugnoli@iprase.tn.it), studioso di filosofia, educatore e saggista,
impegnato per la pace e i diritti umani, ha dato un grande contributo alla
promozione di una cultura della nonviolenza. Tra le sue opere: La
dialettica dell'esistenza. L'hegelismo eretico di John McTaggart, Angeli,
Milano 2000; AA.VV. (a cura di), Tra il dire e il fare. L'educazione alla
prassi dei diritti umani, Angeli, Milano 2000; AA.VV. (a cura di),
Diacronia e sincronia. Saggi sulla misura del tempo, Angeli, Milano 2000;
AA. VV. (a cura di), Maestri e scolari di nonviolenza, Angeli, Milano 2000;
Girard. Dal mito ai Vangeli, Edizioni Messaggero Padova, Padova 2001]

Rene' Girard, nato ad Avignone nel 1923, ha iniziato la sua carriera negli
Stati Uniti come docente di letteratura francese presso la Indiana
University a partire gia' dal 1947. Ha insegnato in numerose universita'
americane prima di ottenere la cattedra di lingua, letteratura e civilta'
francese presso la Stanford University, nel 1981. Girard e' autore di una
mole sterminata di saggi, articoli e interviste, ma i suoi lavori
fondamentali sono tre: Mensonge romantique et verite' romanesque (1961), La
violence et le sacre' (1972), Des choses cachees depuis la fondation du
monde (1978). Girard ha dedicato il suo primo libro, Mensonge romantique et
verite' romanesque (Menzogna romantica e verita' romanzesca)
all'interpretazione della grande letteratura europea come depositaria di
una sapienza relativa al processo mimetico: i grandi scrittori hanno
perfettamente compreso la vera natura del desiderio, che e' mimetico,
perche' ha sempre bisogno di un modello. Ma la loro comprensione e' andata
ben oltre. Essi hanno rappresentato in modo magistrale l'evoluzione del
processo mimetico nella dialettica del rapporto modello/rivale, per cui il
modello, imitando a sua volta il discepolo che lo ha assunto come guida e
ispiratore, diventa discepolo del discepolo, mentre il discepolo diventa
modello del modello. Il meccanismo che Girard mette a fondamento della sua
antropologia non e' l'imitazione passiva o il conformismo di massa, bensi'
l'imitazione reciproca, gia' compresa e illustrata nella grande letteratura
dei Cervantes e degli Shakespeare, dei Dostoevskij e dei Proust.
L'imitazione reciproca trasforma il modello in rivale e apre la strada alla
violenza della vendetta interminabile. Ne La violence et le sacre' Girard
mostra che le comunita' umane sono sorte attraverso un meccanismo di
espulsione della violenza che consiste nell'assassinio fondatore di una
vittima. Su questa vittima e' trasferita la violenza diffusa grazie
all'intervento di un mediatore dell'odio, che trasforma il risentimento di
ciascuno per il proprio rivale in quel legame collettivo a spese di una
vittima che Girard chiama tutti contro uno. Il sacrificio eseguito
periodicamente rinnova l'efficacia del linciaggio fondatore. La violenza
che periodicamente devasta la comunita' e ne mette a rischio la
sopravvivenza puo' essere espulsa mediante l'individuazione di una vittima
che i suoi persecutori ritengono colpevole. Anche la vittima partecipa a
questa unanimita' persecutoria che da' come fatto acquisito la sua
colpevolezza: quando la causa del male - la vittima stessa - e' sradicata,
allora la pace e l'ordine regnano tra gli uomini. Girard chiama mitico
questo universo persecutorio: qui la violenza e' espulsa al prezzo di una
menzogna intollerabile, la colpevolezza della vittima. Se i persecutori
riconoscessero l'innocenza della loro vittima, non potrebbero piu' dirigere
su di essa la loro violenza e nessuna sacralizzazione avrebbe luogo. Il
sacro del mito deve tutta la sua forza alla violenza espulsa con la
violenza. La vittima espulsa e' sacralizzata proprio in virtu' del fatto
che essa incarna il male assoluto agli occhi dei suoi persecutori. La
falsita' del mito si contrappone alla verita' dei vangeli. Soprattutto a
partire da Des choses cachees depuis la fondation du monde, Girard sostiene
che i vangeli sono scienza perche' essi, rivelando l'innocenza della
vittima, disvelano in modo definitivo il meccanismo vittimario. Ma
l'innocenza della vittima e' la verita', contrapposta alla menzogna del
mito. Le due prospettive, quella del mito e quella dei vangeli, non si
contrappongono come due interpretazioni equivalenti. La forza dirompente
del pensiero di Girard, cio' che impone la sua opera come modello culturale
in campo pedagogico, etico e politico, consiste nel dissolvimento di ogni
relativismo, nella rimozione di ogni ambiguita' ermeneutica riguardo alla
nozione di verita'. Diviene finalmente possibile costringere i nipotini di
Nietzsche e di Heidegger a comprendere che l'esaltazione di Dioniso
contrapposto al Crocifisso e' l'affermazione netta e decisa (questa si'
senza ambiguita') della logica sacrificale del mito, la difesa disperata di
un meccanismo vittimario ormai definitivamente smontato dai vangeli, la
riproposizione della prospettiva persecutoria quando ormai l'innocenza
della vittima ispira il pensiero e l'azione di uomini che non possono piu'
fare a meno di prendersi cura delle vittime. Dioniso contro il Crocifisso
significa per Girard l'opposizione radicale tra il sacrificio arcaico e la
Passione. Quello di Gesu' e' e non e' un sacrificio, giacche' si colloca
totalmente al di fuori dell'universo sacrificale che e' venuto a smontare.
Gesu', il Dio delle vittime, disattiva il meccanismo sacrificale mitico
mediante la verita' che incarna: se la vittima e' innocente ed e'
riconosciuta come tale, allora il sacrificio arcaico non ha piu' senso e si
abolisce da se'.



L'ambiguita' tra l'universo mitico della persecuzione vittimaria e la
proclamazione dell'innocenza delle vittime, ancora presente in Giobbe, si
dissolve completamente nella figura di Gesu', che si presenta come
difensore delle vittime. Invece di riaffermare la presenza di un Dio che
esige vendetta e minaccia ritorsioni contro gli uomini accusati di una
malvagita' senza rimedio, che li soffoca con l'insegnamento della
connessione causale tra colpa e sofferenza, Gesu' proclama la realta' di un
Dio che conosce e insegna l'innocenza delle vittime. Per imporsi
all'attenzione di un'umanita' sempre trascinata dai meccanismi della
vendetta mimetica, in un universo sacrificale dove la sola alternativa
all'uccidere e' l'essere uccisi, Gesu' puo' svelare il meccanismo del capro
espiatorio e proclamare il rifiuto di uccidere solo diventando vittima a
sua volta. Per imporre la cessazione della violenza mimetica, Gesu' deve
scegliere tra una violenza ancora piu' brutale di quella cui deve porre
rimedio (ma perpetuandola all'infinito in quanto persecutore implacabile di
nuove vittime) e la sola via che nega la violenza senza contraddizione.

Perche' il suo insegnamento fosse efficace e incisivo, Gesu' non poteva
limitarsi a proclamare accademicamente l'innocenza delle vittime, al pari
degli intellettuali che "denunciano" le "mistificazioni" del potere o gli
errori dei loro contemporanei; Egli doveva al contrario perire come
vittima, fare della sua esistenza di vittima innocente il rovesciamento
della tesi vittimaria per eccellenza, quella che istituisce un nesso tra
colpa e sofferenza (e che i tre "amici" suggeriscono con insistenza a
Giobbe per ottenerne il consenso alla vittimizzazione). La Passione nega
cosi' apertamente l'esistenza di una relazione causale tra sofferenza e
colpa: e' il punto di vista delle vittime, la negazione piu' radicale
dell'universo mitico di persecuzione. Essa e' presente in modo esplicito
nell'insegnamento di Gesu', il quale riprende le critiche di Giobbe contro
la nozione di ricompensa, senza cadere nell'ateismo. Questo non significa
che i Vangeli siano privi di richiami alla ricompensa, in senso positivo o
negativo - Girard non intende affatto negarlo - ma il Regno dei Cieli e' un
guadagno in un senso assai diverso da quello vittimario; esso e' infatti la
condizione in cui si troveranno gli uomini che avranno rinunciato alla
violenza mimetica imitando la rinuncia di Gesu', persino a costo di
divenire vittime a loro volta.

Il Dio delle vittime non si erige ad arbitro delle vicende umane, perche'
Egli sa bene che nella violenza mimetica non ci sono giusti o ingiusti.
Gesu' si sforzera' di persuadere gli uomini a imitarlo, a uscire dal
circolo delle rivalita' mimetiche, il dominio di Satana, da sempre
accusatore e assassino. Ma, rivelando la verita' del meccanismo vittimario,
Gesu' finisce vittima della stessa potenza satanica accusatrice che ha gia'
travolto Giobbe. Egli e' vittima della logica del mondo proprio perche' la
combatte senza farla propria. D'altra parte, come potrebbe il Dio delle
vittime agire con la potenza smisurata che gli uomini giudicano divina solo
perche' e' superiore alla loro violenza e li schiaccia? C'e' dunque una
logica rigorosa nella vicenda tragica in cui Gesu' diviene vittima della
violenza degli uomini allo scopo di svelarla. Se Dio e' tra gli uomini, nel
momento in cui la vittima e' sola di fronte all'unanimita' violenta dei
persecutori, Egli non potra' trovarsi tra i persecutori, ma potra' essere
solo la vittima. Il Dio delle vittime non potrebbe diventare persecutore
senza rinnegare il significato essenziale della sua azione; e' giusto che
Egli soccomba e sia "impotente" come le vittime di cui ha preso le difese;
e' giusto che perisca vittima di quella violenza che intende abbattere
senza imitare, perche' imitarla significherebbe perpetuarla. La morte di
Gesu' come vittima colpevole puo' essere un sacrificio solo dal punto di
vista arcaico dei suoi persecutori, certamente non nel senso inaudito del
Logos che guida il Dio delle vittime. La sconfitta di Dio agli occhi del
mondo - la sua messa a morte da parte dei persecutori - non ripete la
violenza fondatrice del sacrificio arcaico del capro espiatorio, ma al
contrario rappresenta il disvelamento di quel sacrificio, la dimostrazione
della sua falsita' orribile. Per questo l'apparente sconfitta nella
Passione e' in realta' una vittoria sul mondo, l'incarnazione della verita'
del Logos del Dio che prende la difesa della vittima innocente. Mettendo a
morte un essere innocente, gli uomini sono sopraffatti dalla resurrezione
del Cristo, che esprime questo trionfo del Dio delle vittime sulla logica
della potenza cruenta che unisce i persecutori nella loro cecita'.



Con la sua vita, prima ancora che con la sua morte, Gesu' ha messo a nudo i
meccanismi del capro espiatorio mettendo l'innocenza delle vittime al posto
della loro colpevolezza. Una volta svelati, questi meccanismi non sono piu'
efficaci. Il loro crollo e' dovuto ai Vangeli. Numerosi passi confermano il
rifiuto della stereotipia e di tutti gli atteggiamenti che caratterizzano
la mitologia del capro espiatorio. I persecutori, osserva Girard, odiano
senza causa, ma senza saperlo; in realta' essi credono sempre nella
colpevolezza oggettiva della loro vittima come causa del loro odio. Essi
non riescono neppure a concepire la possibilita' di agire - nel bene e nel
male - senza una causa precisa. A Iahwe che ricorda a Satana quanto sia
"integro e retto, timorato di Dio e alieno dal male" il suo servo Giobbe,
Satana insinua: "Forse Giobbe teme Dio per niente, senza nulla in cambio?".
Satana e i suoi seguaci, i persecutori, non riescono neppure a concepire la
possibilita' che un'azione si possa commettere senza una ragione, solo
perche' le corrisponde un valore. Essi non sanno immaginare la possibilita'
di agire in modo disinteressato. Sarebbe impossibile per loro perire come
vittime per dimostrare l'innocenza delle vittime, sia perche' credono nella
loro colpevolezza, sia perche' non sanno agire senza nulla in cambio. La
rappresentazione persecutoria aderisce a un causalismo rigido e dogmatico
senza il quale il meccanismo del capro espiatorio non potrebbe funzionare.
Per questo i vangeli, per sconfiggere la rappresentazione persecutoria,
devono distruggere il causalismo deterministico della sua mitologia. Non e'
forse eloquente la scelta di Gesu' il quale, senza nulla in cambio, sceglie
di essere messo a morte come vittima innocente al solo scopo di abrogare
definitivamente l'universo persecutorio gia' messo in crisi nei testi del
Vecchio Testamento?

La divinita' di Gesu', e la sua resurrezione come solo Dio risorge, e' la
condizione necessaria per la comprensione degli eventi che culminano nella
resurrezione. Infatti, quella stessa resurrezione apparira' come un segno
della divinita' intrinseca di Gesu' a coloro che ne affermano l'innocenza,
mentre per i persecutori essa sara' la prova della falsita' e della
nequizia della loro azione, perche' essi stessi, dinanzi a una vittima che
resiste a ogni tentativo di colpevolizzazione, che accetta di essere messa
a morte mossa da pieta' per i suoi carnefici e che infine risorge, non
potranno piu' interpretare quella resurrezione come divinizzazione del
capro espiatorio, come effetto della trasformazione della potenza malefica
in potenza benefica; anche i persecutori dovranno rendersi conto che e'
mancata la condizione fondamentale alla sacralizzazione della vittima: il
consenso della vittima alla sua colpevolizzazione, che assicura
l'unanimita' vittimaria perfetta di cui il meccanismo espiatorio ha bisogno
per funzionare in tutte le sue fasi.

Assumendo il ruolo di capro espiatorio, Dio evita di farsi divinizzare come
tale: il significato essenziale di questa espulsione consiste allora nel
fatto che Dio si rivela nel preciso momento in cui accetta di essere
espulso. La sua espulsione e' la conseguenza necessaria della sua
rivelazione - Egli si rivela come Dio delle vittime - ma la sua
divinizzazione in quanto capro espiatorio contraddirebbe in pieno la sua
rivelazione, perche' restituirebbe dignita' e valore alla menzogna dei
persecutori. Dio deve allora essere espulso e deve risorgere, ovvero
trionfare in quanto Dio sulla menzogna del mito di persecuzione, facendo
della propria morte un atto di accusa nei confronti dei persecutori - un
atto di accusa definitivo, irripetibile, unico. Cosi' diventa intellegibile
la Trinita': Dio Padre, Gesu' inviato da Dio e il Paracleto, di cui Girard
spiega l'etimologia come "difensore delle vittime". Anche il peccato
originale si chiarisce immediatamente se lo interpretiamo sulla base del
Prologo di Giovanni, che inverte la scena del Genesi: non e' Dio che ha
espulso l'uomo, ma l'uomo che ha espulso Dio.



In ogni caso, l'evento decisivo dei Vangeli e' la croce, la quale deve
pero' essere liberata dall'interpretazione sacrificale che ne ha
profondamente distorto il significato. La croce concentra in se' il senso
fondamentale del Vangelo in quanto antitesi al sacrificio, in grado di
rivelare il meccanismo vittimario, nonostante il tentativo compiuto dalle
potenze di questo mondo di trasformare la croce in sacrificio arcaico. La
sapienza di Gesu' era sconosciuta ai principi di questo mondo, i quali, se
l'avessero conosciuta, non lo avrebbero crocifisso. I Vangeli pero' non
hanno ceduto di fronte al mito. Le potenze di questo mondo, scrive Girard,
non sono riuscite a far trionfare il meccanismo fondatore che hanno messo
in moto contro Gesu'. Le potenze sono state sconfitte a posteriori, perche'
non sarebbe piu' possibile, a questo punto, una seconda crocifissione di
Gesu', anche se si ricominciasse da capo. Ormai l'incantesimo perverso
della violenza sacrificale si e' dissolto per sempre. Ribellarsi al Regno
significa rifiutare il sapere sulla violenza che Gesu' introduce con la sua
azione di sovvertimento della logica sacrificale. La ribellione al Regno
puo' assumere anche la forma del fraintendimento della Parola di Dio,
allorche' la passione e' interpretata in modo distorto come sacrificio
nell'accezione arcaica del mito. L'espressione di Gesu' "sia fatta la tua
volonta' e non la mia" non e' pronunciata per obbedire a qualche comando
sacrificale del Padre, scrive Girard, ma rende manifesta la decisione di
sottrarsi alla violenza nell'unico modo consentito dall'universo mitico -
accettando di morire. Tuttavia, accettando di morire per sottrarsi alla
violenza Gesu' non obbedisce al Padre, ma vi e' costretto dagli uomini. Per
sottrarsi alla violenza degli uomini, non potendo egli stesso diventare un
persecutore, il Dio delle vittime accetta di morire: l'errore della lettura
tradizionale, secondo la quale la morte di Gesu' e' la conseguenza di un
comando sacrificale imposto dal Padre - pur essendo anche il Padre Dio
delle vittime - sarebbe gravido di conseguenze, perche' permetterebbe ai
nemici del cristianesimo di utilizzare questa impostazione sacrificale allo
scopo di dimostrare che il cristianesimo si riduce allo schema espiatorio
arcaico di tutte le religioni primitive. Gesu' invece muore non per
obbedire a un comando sacrificale - fosse anche quel comando che,
attraverso Dio Padre, il Dio delle vittime rivolge a se stesso - ma solo
per amore dell'umanita'.



La divinita' di Gesu' e' la condizione imprescindibile che rende
intellegibile la passione e la teologia dell'Incarnazione. Girard respinge
l'obiezione che gli viene rivolta, di aver soppresso ogni differenza tra
Dio e l'umano e di aver divinizzato, con Feuerbach, la stessa umanita'. In
Gesu' infatti la pienezza dell'umano e del divino sono la stessa cosa,
perche' solo Cristo ha vissuto fino in fondo, scrive Girard, l'amore per
l'umanita'. Solo la lettura non sacrificale della passione, avverte Girard,
puo' rivelare il senso profondo della trascendenza divina: solo il Cristo
e' il Mediatore tra il regno della violenza mimetica e quello dell'amore.
Solo il Cristo e' Dio, esecutore fedele della parola del Padre. Solo Gesu'
ha rivelato la vera trascendenza dell'amore, in antitesi alla falsa
trascendenza, quella del capro espiatorio divinizzato, la trascendenza
proiettiva e immaginaria della potenza malefica trasformata in potenza
benefica. Percio' e' proprio la lettura sacrificale che fa della divinita'
di Gesu' un effetto secondario della sua crocifissione, mentre Girard
insiste sulla sua divinita' originaria come condizione necessaria della sua
opposizione alla logica vittimaria: solo Dio, il Dio delle vittime, poteva
opporsi al troppo umano della violenza vendicatrice. Un Dio, questo, che,
per essere tale, non avrebbe potuto contare su alcuna divinizzazione
postuma in qualita' di capro espiatorio, un Dio la cui divinita' avrebbe
dovuto essere accettata, da coloro che intendano veramente il senso della
sua opera, indipendentemente da e contro qualsiasi meccanismo vittimario.
Chi se non Dio poteva trascendere quella violenza che tiene l'uomo
prigioniero, chi se non Dio poteva trascendere la falsa trascendenza della
vendetta sacrificale, della violenza che ha l'ultima parola? Persino la
verginita' di Maria, se correttamente intesa, e' coerente con questa
interpretazione. In tutti i suoi aspetti la concezione verginale manifesta
il senso della non violenza; essa perfeziona il superamento della
concezione sacrificale della divinita'.



La pace che Gesu' annuncia non e' quella assicurata dal sacrificio
espiatorio e dal rituale corrispondente. La novita' sconvolgente e' la
divinita' di un Dio il quale, non avendo nulla di umano, porta una pace
che, pur essendo in contraddizione con l'umanita' come e' sempre stata in
precedenza, puo' trasformarla in profondita' e redimerla. Infatti questa
contraddizione non e' definitiva, non e' un'antitesi radicale, come
dimostra la stessa incarnazione: convertendosi all'amore del Cristo,
appropriandosi della sua morte, gli uomini trovano la vita eterna nel
momento in cui abbandonano una violenza mimetica "naturale". In quanto Dio
e uomo, Gesu' e' la prova che il superamento di questa contraddizione non
e' impossibile. Dio non si fa uomo nel senso che assume l'inclinazione alla
violenza dell'umanita', e neppure nel senso che l'uomo si fa Dio da se',
abbandonando la violenza mimetica: in entrambi i casi la contraddizione di
umano e divino non e' superata, ma e' solo occultata dalla sottrazione di
uno dei due poli contraddittori. Dio allora si e' fatto uomo nel solo senso
in cui il Dio delle vittime, nella realta' della sua trascendenza, accetta
di subire come uomo cio' che solo un Dio poteva accettare di subire nella
sua rinuncia perfetta alla logica persecutoria: se l'uomo abbandonasse la
violenza mimetica e voltasse le spalle al sacrificio vittimario in tutte le
sue forme, seguirebbe l'esempio del Cristo, sarebbe come lui, ma non
sarebbe per questo Dio. Il Dio delle vittime e' uno solo e l'Incarnazione
un evento irripetibile.



Lo sconvolgimento del sistema sacrificale si propone di sostituire la
pacificazione che risulta dal sacrificio espiatorio con la vera pace,
quella profonda, sostanziale e duratura che deriva dalla rinuncia a
qualsiasi ritorsione. La radicale opposizione di Gesu' al sistema
sacrificale - cosi' come si manifesta nella lettura non sacrificale di
Girard - incontra un'obiezione, per la quale un uomo che rifiutasse per
principio di essere un persecutore dovrebbe rassegnarsi a perire come
vittima della violenza mimetica, dato che nel frattempo il mondo degli
uomini non si e' convertito alla nonviolenza e il mito sacrificale continua
a generare vittime espiatorie dappertutto sulla Terra, come se il Cristo
fosse passato inutilmente. Ma dal punto di vista di Girard e del Dio delle
vittime questa obiezione ripropone la logica sacrificale, perche'
attribuisce alla passione il significato di un sacrificio espiatorio piu'
efficace di tutti quelli che lo hanno preceduto, in modo da poter dire:
ecco, il Cristo e' stato crocifisso invano, perche' gli uomini continuano a
combattersi e a farsi violenza. L'obiezione ha senso solo se la morte di
Gesu' e' intesa come sacrificio e l'unica risposta che ammette e' la
confessione dell'insufficienza di quel sacrificio. Cosi', il Cristo e'
fatto morire invano proprio dalla stessa obiezione che sembra esigere il
contrario, poiche' se si ammette che il sacrificio di Gesu' e' stato
inutile o inefficace, ci si dispone all'individuazione di altri capri
espiatori, a proseguire indefinitamente nella logica persecutoria che
invece Gesu' ha voluto sconfiggere. Dopo la passione, gli uomini sanno che
e' possibile opporsi alla violenza, se si e' disposti a perire come vittime
innocenti; che l'innocenza della vittima non ammette deroghe o compromessi;
che essa puo' trionfare anche nella sconfitta, anche nel dilagare della
violenza mimetica, sorda a qualsiasi richiamo; e che la vittima innocente
non diventa Dio per il solo fatto che e' messa a morte - la divinizzazione
e' infatti la conseguenza del sacrificio espiatorio - ma che l'essere messa
a morte e' la sola giustizia possibile in un mondo in cui la maggioranza,
se messa alle strette, opta decisamente per il ruolo di persecutore.
L'amore del prossimo contro l'amore di se', la vittima contro il
persecutore, la verita' contro la menzogna, il Dio delle vittime contro la
divinizzazione delle potenze del mondo: questa rimane l'alternativa in cui
il cristiano e' chiamato a scegliere ogni giorno.

Il cristiano non puo' certo invocare la prosecuzione della violenza dopo la
passione come dimostrazione dell'inutilita' della crocifissione, dato che
con questa obiezione egli dimostrerebbe di non essere mai stato veramente
cristiano, di essere sempre stato vittima della lettura sacrificale del
Vangelo, in opposizione al senso fondamentale e inaudito del Dio delle
vittime. La passione e' esemplare nel solo senso possibile di un evento
unico, irripetibile e definitivo, a partire dal quale il meccanismo
espiatorio non puo' piu' funzionare come prima, perche' esso e' stato
finalmente svelato. L'abbandono della prospettiva persecutoria e il trionfo
del Dio delle vittime non sono contraddetti dalla sopravvivenza della
logica espiatoria alla quale si assiste persino all'interno del
cristianesimo storico. La passione e' infatti l'evento a partire dal quale
ogni sacrificio espiatorio, in qualsiasi forma sia consumato, deve apparire
in tutta la sua funesta menzogna, in tutta la sua inattuale decrepitezza.



8. MAESTRE. VIOLETA PARRA: COME SORRIDONO I PRESIDENTI

[Da Violeta Parra, Canzoni, Newton Compton, Roma 1979, estraiamo questo
frammento dalla canzone "Guardate" nella traduzione di Ignazio Delogu a p.
150. Violeta Parra fu pittrice, poetessa, musicista, ricercatrice e
interprete di canzoni della cultura popolare cilena. Nata nel 1917 da padre
professore di musica e madre contadina, sorella di Nicanor, si suicida nel
1967. Ha scritto Eduardo Galeano in Memoria del fuoco: "... quella cantante
contadina, dalla voce flebile, che nelle sue canzoni provocatorie seppe
celebrare i misteri del Cile. Violeta era peccatrice e piccante, amava la
chitarra, le chiacchiere e l'innamoramento, e spesso, per ballare e fare la
buffona, le si bruciavano le empanadas. "Grazie alla vita, che mi ha dato
tanto", canto' nella sua ultima canzone; e un sussulto d'amore la sbalzo'
nella morte"]

Guardate come sorridono

i presidenti

quando fanno promesse

agli innocenti.



9. MAESTRE. ADRIENNE RICH: FINCHE'

[La citazione seguente abbiamo estratto dall'intervista di Marina Camboni
ad Adrienne Rich dal titolo "Donne, poesia, cultura: un'intervista a
Adrienne Rich", nella rivista "Nuova dwf", n. 10-11, 1979, alle pp. 211-220
(il frammento riportato e' a p. 219). Adrienne Rich e' una grandissima
poetessa femminista americana, di straordinaria intensita' e profondita'.
Tra le sue opere: Nato di donna, Garzanti, Milano 1978; Esplorando il
relitto, Savelli, Roma 1979; Segreti silenzi bugie, La tartaruga, Milano
1982]

Finche' leggevamo le poetesse come parte di una tradizione maschile, in
realta' non comprendevamo cio' che stavamo facendo.



10. RILETTURE. ENRIQUE DUSSEL: L'OCCULTAMENTO DELL'"ALTRO"

Enrique Dussel, L'occultamento dell'"altro", La Piccola Editrice, Celleno
(Vt) 1993, pp. 230, lire 30.000. Una densa raccolta di conferenze del
grande filosofo della liberazione.



11. RILETTURE. INTERNAZIONALE SITUAZIONISTA 1958-1969

Internazionale situazionista 1958-1969, Nautilus, Torino 1994, pp. XXIV +
758, lire 37.000. Traduzione italiana integrale dei 12 fascicoli di
"Internationale situationniste" pubblicati a Parigi dal giugno 1958 al
settembre 1969. Una acuta esperienza di riflessione critica.



12. RILETTURE. VIRGINIA VACCA (A CURA DI): VITE E DETTI DI SANTI MUSULMANI

Virginia Vacca (a cura di), Vite e detti di santi musulmani, Tea, Milano
1988, pp. 416, lire 12.000. Un'ampia scelta dalle Vite di Sha'rani (con
alcuni inserti da altre fonti); il volume e' la riedizione economica del
libro edito dalla Utet nel 1968 (una piu' ristretta silloge la stessa
studiosa aveva curato per le Edizioni Paoline nel 1963).



13. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova
il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.

Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:

1. l'opposizione integrale alla guerra;

2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;

3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;

4. la salvaguardia dei valori di cultura e dellâambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dellâuomo.

Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.

Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio,
l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.



14. PER SAPERNE DI PIU'

* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org
; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it

* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in
Italia: http://www.peacelink.it/users/mir . Per contatti: lucben@libero.it
; angelaebeppe@libero.it ; mir@peacelink.it

* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it . Per
contatti: info@peacelink.it



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO



Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
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Numero 366 del 26 settembre 2002