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I mercanti del lavoro



Da: "Associazione TATAVASCO" <Info@tatavasco.it>
     I mercanti del lavoro
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Un' interessante Intervista a Francuccio Gesualdi,
responsabile del Centro Nuovo Modello di Sviluppo.


Come potremmo definire il fenomeno che va sotto il nome di globalizzazione ?
Il mondo e' stato trasformato in un unico grande mercato, perche' questo fa 
comodo alle multinazionali. Hanno spinto per avere un mondo senza barriere 
doganali, dove le merci possono girare liberamente: un mercato aperto a 
livello mondiale.
Questa dinamica ha trascinato con se' anche la globalizzazione della 
produzione.
Peccato che 35 anni di neocolonizzazione hanno lasciato fuori dal 
mercato  la maggior parte della popolazione mondiale.

Perche' una cosi' forte accellerazione della globalizzazione in questi 
ultimi anni ?
Perche' la scoperta di poter produrre ribassando i costi ha innescato la 
corsa a cercare partner nel Sud del mondo. L'obiettivo e' avere a 
disposizione manodopera a basso costo, e diciamo cosi', avere fabbriche 
dove non ci sono vincoli legislativi a tutela dei lavoratori.
La formula utilizzata e' quella del subappalto: l'impresa occidentale non 
si impegna direttamente nei Paesi, ma preferisce trovare partner locali che 
producano cio' che a loro serve. Finito il contratto, finito il rapporto. 
Cosi' la multinazionale conserva la totale liberta' di azione.
La popolazione del Sud del mondo accetta di lavorare in qualsiasi 
condizione per la poverta' in cui e' stata scaraventata.

La sua valutazione del fenomeno e' completamente negativa ?
Si, il motivo che spinge le imprese a delocalizzare la produzione e' 
unicamente la ricerca di costi di lavoro piu' bassi. Tanto e' vero che il 
subappalto e' cominciato in paesi come la Corea del Sud e Taiwan, quando 
c'erano regimi fortemente autoritari. Quando si e' rafforzato il movimento 
sindacale, e' finita la convenienza e la produzione si e' spostata in Cina, 
Indonesia o Thailandia.
Le scarpe che mettiamo ai piedi sono spesso prodotte da operai cinesi o 
indonesiani che a loro volta producono in fabbriche di imprenditori coreani 
o di Hong Kong. Il famoso episodio che coinvolse la Chicco, nel 1993, e' 
tipico: la fabbrica dove morirono 87 lavoratrici in Cina era di un padrone 
di Hong Kong che aveva con la Chicco un contratto di appalto.

Quella tragedia ha portato un recente accordo della Chicco con il sindacato.
Per l'azienda il problema era archiviato: siamo stati noi, organizzando la 
campagna di sensibilizzazione, che abbiamo spinto l'azienda a voler 
risolvere questa vicenda che le provocava un danno d'immagine... con un 
accordo che la impegna al rispetto dei diritti umani e sindacali fondamentali.
Purtroppo le multinazionali continuano a ragionare in termini di profitto, 
senza talvolta nemmeno guardare al valore della vita.
L'esito di questa storia, tuttavia, conferma che l'opinione pubblica ha un 
grosso potere di pressione, anche solo spedendo qualche migliaio di cartoline.
Alle multinazionali tentiamo di imporre dei codici di comportamento, anche 
nei confronti dei fornitori.

L' accusa che muovono le imprese ai gruppi di pressione, e' di chiedere la 
luna, per cui l'unico modo corretto di lavorare nel Sud del mondo sarebbe 
quello del commercio equo e solidale.
Io credo che, semplicemente, le aziende possano andare a produrre 
all'estero a condizione che rispettino i fondamentali diritti dei 
lavoratori e dell'ambiente. Non mi sembra che chiediamo la luna. La lotte 
che conduciamo in Italia, e in collegamento con gruppi di altri Paesi, 
puntano a ottenere questo.
L'obiettivo non e' quello di indurre le imprese che si comportano male a 
smettere di investire. In questo modo si provocano danni terribili 
all'occupazione locale. Si deve correggere la condotta sbagliata.
Il controllo e' indubbiamente una questione delicata e complessa, ma e' 
solo questione di volonta'.

Su un mercato produttivo come questo, chi e' piu' corretto rischia di 
essere penalizzato rispetto alla concorrenza. Come evitarlo ?
E' per questo che noi conduciamo la nostra lotta, ad esempio verso Nike e 
Reebok. che sono i leader del loro settore. Iniziamo dalla testa. Se le 
grandi aziende cambiano atteggiamento, diventa piu' facile indurre lo 
stesso atteggiamento nelle piu' piccole perche' e' mutato il contesto di 
tipo competitivo.

Bastano le campagne di denuncia e pressione ?
Penso si debba lavorare in piu' direzioni.
Occorre strappare alle imprese maggiori impegni, ma anche tentare di 
ottenere legislazioni nazionali nelle quali di impongano certe garanzie 
alle imprese che importano dall'estero.
Infine, bisogna pensare in grande: avere un progetto alternativo a questo 
sistema economico, che sta dimostrando costantemente di non essere in grado 
di salvaguardare la vita umana e l'ambiente.
E' una idea di globalizzazione che parte da presupposti diversi: le risorse 
della Terra sono patrimonio dell' umanita', occorre un'entita' 
sovranazionale che cominci a distribuirle in base ai bisogni.
Oggi c'e' un miliardo e mezzo di poveri assoluti, che non servono a 
nessuno. Mentre il Wto, l'Organizzazione mondiale del Commercio, dice che 
occorre la liberalizzazione assoluta dei mercati, noi diciamo che occorre 
partire dall'uomo e che il commercio deve adeguarsi alle necessita' delle 
popolazioni.


Trovate l'intervista completa sul libro:
"NO GLOBAL, gli inganni della globalizzazione sulla poverta' sull'ambiente 
e sul debito"
D.Demichelis, A.Ferrari, R.Masto, L.Scalettari  - editore Zelig


Approfondimenti sul nostro sito: www.tatavasco.it/boycott/frame.htm 
<http://www.tatavasco.it/boycott/frame.htm>