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La strategia di Riva a Taranto: fatti e retroscena
Griglia di analisi della "questione cokeria"
alla luce delle ultime dichiarazioni di Riva
Fatti e retroscena della
partita a scacchi fra un industriale e una città inquinata
20/8/2002
Di cosa si lagna Riva
"Non ho capito cosa vogliono da me", avrebbe detto
Emilio Riva a proposito della nota vicenda delle batterie fuori norma
(nonché cancerogene) della cokeria Ilva di Taranto. Ho letto le parole
con cui il proprietario del siderurgico si sarebbe lagnato dell'accordo
del 22 maggio che aveva sottoscritto con la Regione e il Comune e che non
avrebbe sortito l'effetto sperato: "Un documento 'storico' e
che si è rivelato carta straccia!" Questo avrebbe detto il patron
dell'Ilva.
La partita a scacchi
Vediamo di fare ordine in questa delicata "partita a
scacchi" - giocata fra vita, lavoro e profitto - e di capire in
primo luogo cosa si stava giocando quel 22 maggio sul tavolo
regionale di Fitto e di conseguenza perché oggi Emilio Riva fa
sapere, per interposta persona, di essere scontento.
L'accordo del 22 maggio
L'accordo del 22 maggio aveva una macroscopica lacuna:
stabiliva la tempistica del "risanamento" delle batterie (la
5/6 entro l'autunno del 2004 e la 3/4 entro il dicembre 2005) ma non
chiariva se nel frattempo tali impianti fuori norma dovessero
continuare ad inquinare violando la legge oppure no.
Cosa dissero subito Legambiente, Wwf e PeaceLink
Questo dubbio emergeva già dall'incontro del 12 febbraio
2002, quando il presidente della Regione Puglia Raffaele Fitto cominciò
la trattativa con Riva presso il suo "tavolo regionale". Ad
insinuare il dubbio furono le associazioni ambientaliste tarantine che,
in un documento del 13 febbraio firmato da Legambiente, Wwf e PeaceLink,
così si esprimevano: "Se si ha in mente di lasciare in funzione
per altri quattro anni quelle stesse batterie che oggi emettono fumi
cancerogeni in maniera preoccupante, allora noi non ci stiamo e lanciamo
l'allarme. Se le batterie cancerogene non fossero fermate - così come
chiedono le ordinanze e così come recentemente ha confermato la
Cassazione bocciando il ricorso presentato da Riva - allora ci troveremmo
di fronte ad una palese violazione della legge. Noi faremmo ricorso alla
magistratura sia come ambientalisti sia come cittadini: sarebbe
inammissibile rilasciare sui lavoratori e sulla città fumi cancerogeni
per altri quattro anni".
Lo scopo non ufficiale dell'accordo del 22 maggio
L'accordo del 22 maggio aveva uno scopo ufficiale nobile
(il "risanamento" delle batterie) e uno scopo meno nobile e
meno ufficiale: fare pressione sul Sindaco di Taranto perché ritirasse le
ordinanze sulla cokeria. "Tanto sono ormai superate dall'accordo
regionale", si diceva.
"Inopportuno il ritiro delle
ordinanze"
Le associazioni ambientaliste di Taranto hanno fatto
sentire la propria voce, ricordando che non erano venute meno le ragioni
di allarme sociale e sanitario per cui quelle ordinanze erano nate. Noi
ambientalisti sottolineammo che il ritiro delle ordinanze sindacali
sarebbe stato inopportuno nel momento in cui la Procura della Repubblica
di Taranto stava acquisendo - tramite un'apposita perizia sulle batterie
3/6 della cokeria - dati che si sarebbero rivelati, da lì a poco, assai
preoccupanti. La perizia infatti ha confermato scientificamente la
ragioni che stavano a base delle ordinanze del Sindaco di Taranto Rossana
Di Bello.
La fretta di Riva
La rapidità con cui Riva ha firmato il 22 maggio al tavolo
di Fitto era dovuta alla perizia della Procura che "stava per
terminare" e che avrebbe generato problemi. Come si sarebbero potute
ritirare le ordinanze se la perizia dava ragione al Sindaco? Ed ecco
allora la necessità di sollecitare il Sindaco da più parti, al fine di
ritirare le ordinanze sulla cokeria, il che sarebbe entrato in contrasto
con la perizia della magistratura, creando un disaccordo fra poteri
istituzionali.
La Di Bello non cade nel "trappolone
Di fronte a questo "trappolone" il Sindaco
Rossana Di Bello ha saputo temporeggiare, ha saputo ascoltare le varie
ragioni e alla fine ha deciso di tenere duro: le ordinanze non sono state
ritirate. Ha fatto una scelta saggia e lungimirante mentre Riva (e un
coro di altri compartecipi) le stavano proponendo il dietro front
istituzionale e preparando di fatto un'imboscata politica.
L'"effetto sperato" svanisce
L'accordo del 22 maggio non ha avuto così l'effetto
sperato e in tal modo ci spieghiamo perché Riva fa oggi sapere
di essere rimasto deluso di quell'accordo in cui contava, più di quanto
che era scritto, ciò che era sottinteso.
La logica impeccabile della Procura
Il sindaco di Taranto ha saputo invece gestire il processo
operando in sintonia con la Procura della Repubblica la quale ha seguito
una logica impeccabile da un punto di vista giuridico e improntata a
grande pragmatismo e buon senso. Infatti nella perizia sulla cokeria
commissionata dalla Procura si prende atto del "fatto positivo"
che Riva intende ricostruire le batterie della cokeria e nel
frattempo chiede che tali impianti abbiano una conduzione "a
norma di legge". Come? Allungando i tempi di cottura del carbon
coke. Con "tempi lungi" di cottura i periti infatti hanno
rilevato valori di emissione che in media rasentano - senza tuttavia
sfondare - i tetti massimi di inquinamento.
L'extralegalità negata
I periti della Procura hanno cioè fornito ai magistrati la
soluzione dell'arduo problema posto dalle associazioni ambientaliste (e
soprattutto dalla legge): si sarebbe dovuto chiudere un occhio per
quattro anni (il che significava dare di fatto un passaporto temporaneo
di extralegalità) o si sarebbe dovuto trovare un rimedio temporaneo che
fosse rispettoso della legge?
Cottura lunga o cottura breve?
I dirigenti dell'Ilva si sono lamentati perché la
"cottura lunga" (seppur più "ecologica") non era
adatta agli impianti Ilva. Ma - e questo è paradossale - sono stati
proprio i dirigenti Ilva ad impostare gli impianti di cokeria sulla
"cottura lunga" facendo rilevare ai periti valori di
inquinamento più contenuti. Come mai quando sono arrivati i periti della
Procura l'Ilva ha fatto la "cottura lunga"? L'Ilva ha cotto il
coke con cicli fino a 32 ore "sfornando" dati
"ecocompatibili", e così offrendo ai periti un quadro ben
lontano da quelli della realtà quotidiana della cokeria. Poi il gran
rifiuto di Riva: "Non possiamo cuocere così a lungo perché è
improduttivo e pericoloso". La cosa, per chi l'ha seguita con
attenzione, è di una paradossalità unica: prima si fa la cottura lunga e
poi si dice che non si può fare!
I parametri dell'ACGIH
Va comunque notato che, nonostante le furbizie e
nonostante i tentativi di offrire ai periti dati
"addomesticati", i risultati complessivi - come ha avuto modo
di comunicare il procuratore dott. Aldo Petrucci - si sono rivelati
egualmente preoccupanti. Essi sono mediamente al di sopra dei parametri
stabiliti dall'ACGIH (American Conference of Governmental Industrial
Hygienists), presi dalla giurisprudenza italiana quale riferimento
normativo. In particolare gli indicatori biologici (ossia ciò che
si è trovato nelle urine, nelle feci e nella saliva degli operai) hanno
dato responsi allarmanti. I periti hanno proposto una durata di 28 ore
per il ciclo di distillazione, al fine di far rientrare le emissioni
entro il tetto massimo di inquinamento, ma i tecnici di Riva hanno detto
che 28 ore erano troppe.
Cotture corte cancerogene ma economiche
E' chiaro che produrre con cicli inferiori (21-24 ore)
significa risparmiare tempo, operai e quindi denaro, ma le "cotture
corte" danno un risultato fortemente cancerogeno: fare il coke in
fretta fa ammalare di tumore. Con impianti così malandati la
"cottura lunga" dà purtroppo anche coke più friabile, di minore
consistenza, di scarso rendimento e perciò meno utilizzabile.
Coke dall'estero
Questo ha fatto pendere la scelta dell'Ilva per la
chiusura delle batterie anziché per la loro gestione temporanea con la
"cottura lunga". E l'Ilva ha deciso di comprare il coke
dall'estero.
Doppio bivio per Riva
In conclusione Riva si è trovato di fronte ad un bivio:
disobbedire alla magistratura e andare dritto di nuovo nell'aula del
tribunale, o eliminare una situazione che lo poneva al di fuori della
legge. E facendo questa seconda scelta si trovava di fronte ad un nuovo
bivio: cottura lunga o fermata delle batterie 3-4-5-6. Ha scelto
quest'ultima opzione.
A Roma non si bloccherà la chiusura delle batterie 5 e
6
Da quanto evidenziato appare improbabile che l'incontro
con il Governo del 5 settembre possa scongiurare la fermata delle
batterie 5 e 6. Perché? Perché esse sono fuori norma: rientrerebbero
nella norma solo con la "cottura lunga", cosa che sembra essere
definitivamente rifiutata dalla dirigenza dell'Ilva.
I fumi non sono una media statistica
Alcuni dicono che con la chiusura delle due batterie si è
drasticamente ridotta l'emissione delle polveri e dei fumi, scendendo ben
al di sotto del taglio di un terzo della produzione chiesto dalla
Procura. Costoro ritengono che Riva voglia chiudere le altre due batterie
solo per fare uno sgarbo agli operai. Non è così. La Procura non ha in
realtà chiesto un taglio globale di un terzo dell'inquinamento
delle quattro batterie (così come si era erroneamente interpretato in un
primo tempo) ma ha chiesto un allungamento - per tutte le batterie
incriminate - di un terzo del tempo di distillazione al fine di far
sfornare meno coke (e di qualità meno inquinante). Tale richiesta si
applica a tutte le batterie incriminate e quindi non è corretto
pensare che se ne possano fermare due e due possano operare in condizioni
tali da superare i parametri stabiliti dall'ACGIH (American Conference
of Governmental Industrial Hygienists). Se le batterie 5 e 6
funzionassero sotto le 28 ore di cottura esse sarebbero fuori norma anche
se le altre sono spente. Il ragionamento della Procura non è cioè
finalizzato a contenere solo l'ammontare complessivo
dell'inquinamento ma è finalizzato a ridurre anche quello di ogni
singola batteria, in quanto gli operai vengono messi al lavoro
sulle batterie accese e non su batterie spente. Gli operai non respirano
la media dei fumi ma gli specifici fumi delle specifiche
batterie in funzione che, prese singolarmente, sono fuori norma e
fortemente cancerogene con le "cotture brevi" che l'Ilva in
genere adotta.
Un atto dovuto
Ecco perché Riva spegnerà le batterie 5 e 6: a Roma non si
potrà impedire che la legge venga applicata per ogni singola
batteria. Quello di Riva è un atto dovuto e non un comportamento
antisindacale o dispettoso: è un chinare il capo davanti alla
legge.
Occupazione Ilva e rallentamento dello svuluppo
Quanto poi al non rinnovo dei contratti di
formazione-lavoro, va detto che questa contrazione ci sarebbe stata
comunque in quanto le previsioni di sviluppo del PIL per il 2003 sono
variate, passando dall'ottimistico 2,3% di Tremonti allo 0,5% degli
economisti più realisti (e pessimisti): lo sviluppo avrà ritmi inferiori
di almeno 4 volte rispetto al previsto e anche rispetto alle medie a cui
era abituata la locomotiva produttiva. Riva non può produrre a pieno
ritmo per un mercato in crisi. A ciò si aggiunge la difficile fase di
recessione internazionale dovuta alla chiusura dei mercati americani
all'acciaio estero con dazi del 30-40% che mettono "fuori
mercato" l'acciaio europeo. Se ci fosse stato sviluppo anziché
recessione Riva avrebbe assunto lavoratori; con questo panorama
"nero" invece non avrebbe rinnovato i contratti precari anche
nel caso che la cokeria fosse stata dissequestrata. In sintesi si può
dire che le scelte occupazionali di Riva sono dettate dal mercato, che
oggi non tira, e non dal richiamo della magistratura al rispetto delle
norme.
Sono i grandi numeri del panorama economico globale a dettare le scelte.
Le decisioni di Riva non nascono dalla questione cokeria.
Come riassorbire l'esubero degli operai della
cokeria
Va osservato che un esubero di duecento operai
(corrispondenti a quelli delle batterie da chiudere) può essere
riassorbito agevolmente non solo in una situazione di crescita ma anche
in una situazione di stallo: l'esubero si riassorbe riducendo gli
straordinari di un corpo lavorativo di oltre dodicimila lavoratori.
Confusione fra cokeria e crisi del mercato
dell'acciaio
Ma oggi si fa gran confusione collegando le mancate
assunzioni dei precari alla vicenda cokeria. Le scelte di non assunzione
non a caso oggi si applicano sui precari, ossia sulla fascia di
lavoratori che è maggiormente esposta all'oscillazione della congiuntura
internazionale.
Quello che si può fare
Che fare allora? Occorre ridurre gli straordinari e
applicare con rigore le clausole dei contratti di formazione-lavoro che
prevedono almeno un terzo di ore come "formazione": quanti
ragazzi all'Ilva fanno un giorno di formazione ogni due giorni di lavoro?
In questo caso l'applicazione della legge non toglierebbe lavoro ma ne
creerebbe, e tanto…
Automatizzare la cokeria
Infine va osservato che la "definizione delle linee
guida per l'individuazione delle migliori tecniche disponibili relative
agli impianti di cokeria" (così come recita l'accordo del 22 maggio)
significa essenzialmente una cosa: automazione delle lavorazioni della
cokeria. Pertanto costruire "nuove batterie secondo le migliori
tecniche" equivale a dire arrivare a batterie automatizzate che
tendenzialmente facciano il minimo ricorso alla mano d'opera, secondo
quella logica di automazione che ha drasticamente ridotto se non
eliminato del tutto (è il caso dei pericolosissimi reparti verniciatura
del settore auto) gli operai nei reparti ad alto rischio. Se il sindacato
alla Fiat avesse contestato l'automazione nei reparti killer della
verniciatura avrebbe fatto una battaglia di retroguardia inutile, dannosa
e antistorica. E pertanto un eventuale braccio di ferro sindacale sulla
cokeria deve prevedere che la miglior cokeria del futuro è una cokeria
automatizzata e possibilmente senza operai. I posti di lavoro soppressi
nei reparti killer vanno ricreati nella gestione ecostostenibile dello
sviluppo. Ad esempio servono decine di tecnici che - dentro e fuori della
fabbrica (Asl) - facciano buona manutenzione e collaudino gli impianti al
fine di dare ogni quattro anni le autorizzazioni previste dalla legge. Se
l'ecocompatibilità viene applicata effettivamente allora si può dire che
il rispetto della legge crea occupazione così come oggi la revisione
periodica delle auto ha creato un indotto occupazionale.
Il sindacato del futuro
Una battaglia sindacale che guardi al futuro è finalizzata
ad ottenere la certificazione ambientale degli impianti e la diffusione
di analisi rigorose che misurino le concentrazioni dei metaboliti degli
inquinanti come IPA e benzene (agenti cancerogeni) nei liquidi biologici
dei singoli lavoratori.
"Quanto benzene hai assorbito?"
"Quanto benzene entra nel tuo corpo?" Provatelo
a chiedere ad un campione statistico di cento lavoratori Ilva: dubito che
ne troverete uno che lo sappia. Eppure l'azienda dovrebbe misurare gli
indicatori biologici e i singoli lavoratori dovrebbero essere informati
con tanto di referti di laboratorio alla mano.
Alessandro Marescotti
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Alessandro Marescotti
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