[Date Prev][Date Next][Thread Prev][Thread Next][Date Index][Thread Index]
Burka in Afghanistan: perchè le donne lo portano ancora?
Tratto dal giornale “The Guardian” di sabato 20 luglio 2002
Natasha Walter riporta da Kabul su cosa riserba il futuro per le donne
dell’Afghanistan.
I mujaheddin e i Talebani non erano proprio maniaci che ora sono spariti,
ma centinaia e migliaia di “volenterosi esecutori” uomini che violentano
in gruppo come spettanza delle loro guerre, come i mujaheddin fecero, o che
percuotevano violentemente le donne per aver mostrato le loro facce, come
fecero i Talebani. Questi uomini non sono andati via, e benché a Kabul essi
sono restati quieti sotto la presenza delle forze di sicurezza
internazionale, se questa si allontana, molte donne temono che le violenze
inizino nuovamente. “Naturalmente il burka non era la peggiore cosa del
periodo Talebano”, sottolinea Suheilia. “Ma finché non siamo sicure, non
possiamo togliercelo”. Anche ora cronache di violenze motivate
politicamente e religiosamente continuano contro le donne. Human Rights
Watch ha documentato violenze e assalti contro alcuni gruppi etnici nel
nord dell’Afghanistan. Le donne assistenti lavoratrici sono state
addirittura ritirate da Mazar-i-Sharif dopodiché violentate in gruppo. A
Kabul un mese fa, due donne che indossavano sciarpe al posto del burka
furono spruzzate di acido in volto. Così per le donne Afgane, l’anonimato
del burka dà ancora loro un senso di protezione. Zohal, che indossa anche
il burka quando esce, è d’accordo con Shueilia. “Certo che vorremo
togliercelo”, dice, “ma non è proprio possibile ancora”.
Alcune delle donne che hanno tolto il burka sono quelle che ora si muovono
nella politica. La mia visita coincide con l’avvio del loya jirga, il
raduno di un Consiglio di 1500 delegati che stanno decidendo la struttura
del governo futuro. Quasi 200 sono donne. Visito l’ufficio del Consiglio
dove dozzine di uomini Afghani circolano nel cortile, parlando
appassionatamente. Fuori sull’erba del parcheggio c’è una tenda, e dentro
la tenda soffocante ci sono 15 donne, delegate arrivate di recente dalla
provincia orientale del paese. Una donna appena sulla trentina, chiama
anche Zohal, parla entusiasticamente su ciò che questo vuol dire per lei.
La sua figlia di due anni gioca silenziosamente con una rosa appassita,
seduta sul grembo quando lei parla. “Le porte di qualsiasi cosa sono state
chiuse per così tanto”, lei dice. “Ora speriamo che le porte siano
orientabilmente aperte. Questo loya jirga è solo un primo passo, ma nel
futuro parlamento ci deve essere uguale rappresentanza per donne e uomini”.
Memore che perfino nelle regioni dell’ovest le donne non hanno raggiunto
simili rappresentanze, io chiedo alle altre donne nella tenda se loro
provano lo stesso. C’è un’eruzione di chiasso. “Sì, sono tutte d’accordo”,
dice solennemente il mio traduttore. “Loro dicono che le donne
costituiscono più di metà della popolazione afghana e che loro sono state
le prime vittime della guerra. Esse ora devono entrare in possesso dei loro
diritti”. (…)
Passo un pomeriggio a parlare con Kakur nel suo ufficio nel ministero delle
donne, costruito lo scorso anno dall’amministrazione temporanea. Kakur, il
deputato ministro delle donne, rimane seduta come un monumento alla sua
scrivania in vetro, i suoi capelli grigi tirati su sotto una grigia sciarpa
di voile. Lei è insolita tra le nuove donne della politica Afgana, perché
era tollerata perfino e accettò lei stessa dal regime dei talebani e
costruì una scuola per ragazzi a Kabul durante il loro governo. Ciò
nonostante, lei dice che i suoi sogni sono ora diventati realtà: “Sono così
felice di vedere le donne che vanno al lavoro e a scuola. Penso, è un
sogno? E’ realtà?” Ma nonostante tutte le sue parole ottimistiche, Kakur è
arrabbiata per la situazione corrente e gli uomini che tornano di nuovo al
potere: “Tutte le donne Afgane sanno di cosa sto parlando. Questi uomini
rapirono e violentarono le donne dell’Afghanistan. Finché le pistole non
saranno state tolte loro, le donne non avranno sicurezza”. (…)
Sarasia
In questo villaggio, tutte le donne indossano i burka; lo hanno sempre.
Nessuno può lasciare il villaggio senza il premesso degli uomini nella loro
famiglia, e nessuna delle donne nella stanza ha avuto alcuna educazione
regolare. E già, in qualche modo, esse hanno tenuta viva l’idea di una
società differente. Aisha, una donna di mezza età il cui marito è troppo
vecchio per lavorare, dice, “Proprio perché noi siamo analfabete non
sappiamo parlare fuori e difendere i nostri diritti. Noi non vogliamo
quello per le nostre figlie. Vogliamo che loro sappiano come parlare chiaro
di fronte agli estranei”. Ancora e ancora, chiedo se tutte le donne che
conoscono, perfino nelle famiglie più tradizionali, sentono lo stesso.
Vengono quasi arrabbiate cercando di convincermi, e la piccola stanza calda
sembra diventare più calda quando parlano tutte in una volta. “Certamente
vogliamo più libertà”, dice Soraya. “Perfino le donne che non hanno il
permesso di venire a questo corso vogliono quello. Ma i nostri mariti e
fratelli e padri non vogliono. I mullah sostengono che la libertà non va
bene per noi”.
Rawa
Il corso di alfabetizzazione a Sarasia è stato fondato dall’ Associazione
rivoluzionaria delle donne dell’Afghanistan (Revolutionary Association of
the Woman of Afghanistan). Questa straordinaria organizzazione è stata
fondata dal 1977 ed è una testimonianza della determinata capacità delle
donne dell’Afghanistan. Le migliaia di associate del Rawa hanno lavorato
segretamente e in esilio per quasi 30 anni contro il regime Sovietico, i
mujaheddin, i Talebani e sono ora più forti che mai. Ma benché Rawa stia
cominciando ad operare più apertamente, la maggior parte del suo lavoro è
ancora anonimo e clandestino. Stranamente, malgrado il maggiore supporto
occidentale per una società più libera, Rawa non ha mia ricevuto aiuto da
alcun governo. Ma le attiviste del Rawa sono ancora in agitazione per
l’uguaglianza delle donne e un governo laico, e sono anche
appassionatamente coinvolte nella ricostruzione di una società civile.
Translated by Daniele Marescotti
daniele.marescotti@libero.it