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Apocalypse No

Fra pochi giorni, a Johannesburg, le sirene torneranno a suonare. Annunciano
nuvole nere: la più grave delle minacce incombe sul pianeta. La Terra è
ferita, l'aria irrespirabile, il mare e il cibo contaminati, il deserto
avanza mentre scompaiono foreste millenarie e i fiumi inaridiscono. È così
da qualche decennio, ma il suono delle sirene diventa puntualmente più
simile a quello delle campane di legno, quelle dei poveri, che non all'urlo
lancinante che sarebbe necessario a svegliare le coscienze di miliardi di
persone.
Dieci anni, oggi, sono un'eternità. Rio accese grandi speranze e raccolse
gli impegni più seri che si fossero visti. Gli esiti di quelle promesse sono
sotto gli occhi di tutti, quest'Almanacco ne racconta appena qualcuno.
Certo, il destino della terra non si decide nei summit: ogni giorno l'Arabia
saudita, influente membro della Commissione diritti umani delle Nazioni
unite, vende un milione e mezzo di barili di petrolio agli Stati uniti
ricevendone in cambio armi per milioni di dollari. Le guerre del petrolio
impazzano, e presto arriveranno quelle dell'acqua.
Come spieghiamo più avanti, l'appuntamento sudafricano potrebbe farci fare
un salto indietro di decenni, rispetto a Rio, anche se viene dedicato allo
"sviluppo sostenibile". L'aggettivo, per quel che valgono gli aggettivi,
segna il punto di arrivo di molti anni di battaglie ambientaliste, ma è
proprio in questi dieci anni che ha rivelato tutta l'ambiguità e
l'inefficacia dell'analisi che lo sostiene. L'accelerazione globale
dell'economia liberista, la guerra permanente, il dominio dei mercati sulle
persone hanno mostrato quanto l'idea stessa di sviluppo sia astratta e
indistinguibile da quella di "crescita".
Pochi mesi prima di lasciarci, Pierre Bordieu ricordava come un tempo negli
Usa si dicesse 'quel ch'è buono per la Ford, è buono per tutti'. Alla Ford
novecentesca si è sostituita una generica nozione di economia, con gli
addentellati di sempre, crescita e sviluppo. Il risultato non cambia. Mai
come oggi, però, è stato chiaro quanto quell'affermazione sia falsa. A
Johannesburg dovrebbero andare a spiegarlo, tra gli altri, quegli indigeni
della Colombia che, all'annuncio dell'ennesima diga che avrebbe portato
lavoro e progresso per tutti, risposero che fermare la corrente di un fiume
è come ostruire le vene di una persona: prima o poi la persona si ammala, e
la malattia si diffonde.

Tutto quello che non si dirà a Johannesburg, ve lo raccontiamo nel nuovo
numero di Carta, in edicola per tre settimane dal 8 al 28 agosto, che è un
numero monografico di 80 pagine.
Con i contributi di Sergio Baffoni, Paolo Cacciari, Lim Li Ching, Francisco
Coloane, Luca Colombo, fabrizio Fabbri, Jacopo Fo, Gary Gardner, Cathleen
Kneen, Andrea Masullo, Vincenzo Masi, Emilio Molinari, Anne Mosness,
Vincenzo Naso, Marco Paolini, Tonino Perna, Antonio Tricarico, Titta Vadalà.
E un reportage fotografico di Mario Boccia.

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