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lotta armata



Proprio oggi che la giornata e' funestata dall'ennesimo attacco suicida che
ha ucciso 19 persone e dalla morte di due palestinesi nel pomeriggio mi
trovo a raccontarvi una storia che parla di resistenza armata. Io non
condivido questa scelta e con la mia vita sto cercando di trovare una
alternativa, ma leggere questa storia puo' servire a capire, rendere umano
che viene semplicemente definito terrorista, anche se nel caso che segue io
preferisco chiamarlo resistente. Abbiamo raccolto la storia qualche giorno
fa ed e' stata tradotta da Maurizio.
ciao Fabrizio


Prima di venire in palestina abitavamo ad Abu Dabi negli Emirati Arabi
Uniti, ci siamo trasferiti nella Striscia di Gaza nel 1992 in seguito agli
accordi di Oslo e alla creazione dell Autorita' Nazionale Palestinese. S.
aveva 11 anni, io [R. la sorella] 12 e il nostro fratello maggiore F. 13, le
mie sorelline erano molto piccole e i due fratellini sono nati qui. Quando
siamo arrivati ala periferia di Khan Younis vicino al check point di Al
Tufah, qui c'era solo sabbia e i soldati israeliani non sparavano a nessuno.
Mio padre torno' a Abu Dabi per lavorare un altro anno e noi rimanemmo qui a
vivere con i nonni, quando mio padre torno' aveva risparmiato abbastanza
soldi per costruire questa casa dove abitiamo con tutta la nostra famiglia.
La vita era buona e non c'erano probelemi con i soldati e noi potevamo vivere
in pace, e' stato solo nell' autunno del 2000 che la nostra vita si e'
trasformata in un inferno a causa di Sharon. Ho chiesto a mia madre se
ricordava altri periodi come questo e mi ha risposto di no, nemmeno la
guerra del 1976 e stata cosi' brutta. Questo e' il peggior periodo della
storia della Palestina. Molti nostri amici sono morti,erano ragazzi giovani
di 20, 21, 19 e 17 anni. Mio fratello S. era sempre molto arrabbiato per
quello che succedeva qua ad Al Tufah, a Rafah e anche per quello che si
vedeva in TV. Avevamo un amico che studiava all'universita' di Gaza e ogni
giorno attraversava il semaforo di Abu Hol, un giorno gli hanno sparato
mentre era seduto in macchina in attesa di passare e l'hanno ucciso. Lui
voleva solo andare a studiare, come molti altri quel giorno, ma l'hanno
ucciso, hanno sparato su tutte le macchine in attesa di passare il semaforo.
S. rimase molto turbato da quel fatto. Un giorno alcuni elicotteri Apache
fecero un incursione vicino al check point di Al Tufah e bombardarono alcune
case, mio fratello F. si era nascosto in una di queste e un muro gli  crollo'
addosso, un suo amico lo tiro' fuori dalle macerie salvandogli la vita e lo
accompagno' all ospedale, di ritorno dall'ospedale questo nostro amico ando'
a sparare ad Al Tufah e fu ucciso. Quel giorno S. disse che voleva anche lui
un kalashnikov per andare ad uccidere i soldati, per lui le continue
aggressioni e tutti quei morti erano diventati un incubo insopportabile,
cosi' insieme ai suoi amici andava a sparare alla torretta del check point di
Al Tufah, cosi' per la rabbia di aver perso tanti amici e per l'impotenza e
la disperazione di non aver alcun modo di difendersi dall'occupazione, solo
cosi' si poteva sentire meglio, perche' aveva fatto qualcosa, forse era
inutile ma almeno aveva fatto qualcosa. Noi a quel tempo non sapevamo nulla
di quello che faceva S., lui non ci raccontava nulla. Una volta gli
israeliani hanno risposto al fuoco con il gas velenoso e anche S. lo ha
respirato e lo hanno subito trasportato all ospedale, dove per una settimana
e rimasto immobile nel letto, stava molto male. Molti altri in questa zona
hanno respirato i gas velenosi dei soldati israeliani. Durante la
convalescenza all'ospedale S. inontro' un uomo della resistenza armata
palestinese che lo arruolo' per combattere i soldati israeliani, S. non
voleva uccidere civili ma voleva combattere i soldati perche' erano loro che
ci aggredivano continuamente. Piu' tardi quando usci' dall'ospedale fu
chiamato per una missione a Rafah, la citta' al confine con l'Egitto. In
quell'occasione fecero saltare in aria un carroarmato. Quando torno' a casa
mi disse che un carro israeliano era esploso a Rafah, io gli chiesi come lo
sapeva, perche' la TV non aveva detto nulla, ma lui rispose - solo io lo so -.
Seppi che era stato lui solo dopo la sua morte quando me lo racconto' un suo
amico, si era specializzato in esplosivi e lo comandavano in missioni per
far esplodere i carri armati e i bulldozer che demoliscono le nostre case.
Tutti i giorni andava con i suoi amici e partecipava a queste missioni
oppure andava a spare al check point di Al Tufah, ma non ci diceva nulla,
solo che usciva con gli amici. Una sera usci' di casa per andare ad una festa
e mio padre gli disse di non fare tardi, verso la mezzanotte e mezzo,
qualcuno busso' alla porta e disse che c'era stato un ferito durante uno
scontro a fuoco al check point di Al Tufah, lo avevano portato davanti a
casa nostra, in strada, e volevano un auto per accompagnarlo all'ospedale.
F., mio fratello maggiore, usci' per prendere l'auto e quando vide il ferito
si rese conto che era S., suo fratello rimase li' davanti al corpo
insanguinato di S. che era privo di sensi, rimase li' e non sapeva cosa fare.
Poi finalmente lo portarono all'ospedale e videro che era ferito a una
gamba, lo medicarono e lo ingessarono, S. rimase a casa immobilizzato dal
gesso per due mesi, poi comincio' ad essere impaziente e ando' a chiedere al
dottore di cavargli il gesso, ma il dottore si rifiuto' perche' non era
ancora guarito, S. insistette e minaccio' il dottore, lui doveva liberarsi
dal gesso che lo costringeva a camminare con la stampella, quella li' appesa
al muro. Cosi' nonostante il dottore gli avesse proibito di togliersi il
gesso S. ando' da un amico e con il suo aiuto se lo tolse, quando torno' a
casa stava molto male e rimase a letto per quattro giorni. Poi venne a
cercarlo il suo amico Ahmed, ma io gli dissi che S. stava riposando e che
non volevo svegliarlo, ma lui insistette che era molto importante cosi andai
a chiamare S., che usci' insieme ad Ahmed per andare al matrimonio di un loro
amico. Dopo la festa partirono per una missione. I miei genitori erano
andati a trovare dei parenti quella sera, e qualcuno telefono' a mio padre
sul cellulare per informarlo che c'erano stati tre feriti sul fronte di
Rafah, mio padre che lavora alla TV palestinese trasmise la notizia in
redazione, senza farci troppo caso. Poi il suo amico lo chiamo' nuovamente e
gli chiese dove fosse S., mio padre rispose che era ad una festa, non poteva
immaginare che invece era morto a Rafah, e il suo amico non sapeva come
dirglielo, cosi' gli chiese di mandare qualcuno a cercarlo. F. ando' a
cercare S. ma non lo trovo' in nessun posto. Mio padre capi' che doveva essere
successo qualcosa di grave e richiamo' il suo amico, il quale gli disse che
S. era stato ferito gravemente e stava all'ospedale di Rafah. Cosi' mio
padre prese l'auto e corse a Rafah, quando arrivo' all'ospedale vide i tre
corpi di S., A. e M., erano morti. Stavano preparando due mine anticarro da
usare contro i buldozer, ma i soldati li avevano visti e gli avevano sparato
una granata che aveva fatto esplodere anche le mine uccidendoli sul colpo.
S. era tutto punteggiato di sheggie sul volto e gli altri due erano
sfigurati e irricinoscibili. Quando mi dissero che S. era stato ferito non
volli crederci, lui aveva moltissimi amici ed erano tutti la' fuori, in
strada, a sparare e piangere di rabbia, ma io non riuscivo a credere che gli
fosse successo qualcosa e non volevo neppure uscire in strada, non volevo
sapere nulla, i miei sentimenti mi soffocavano e non riuscivo a muovermi.
Rimasi in casa a piangere per molte ore, mentre fuori gli amici di S.
sparavano in aria, poi portarono a casa il corpo di S. per un ultimo saluto
prima del funerale, allora lo vidi e credetti alla sua morte. Mio padre mi
disse che Dio ci aveva dato il meglio e che S. era morto da martire. S.
diceva sempre che lui viveva per questa terra, la nostra terra e che non
voleva nulla per se', solo morire per la sua terra.
S. aveva 19 anni, sua sorella R. di 22 ci ha raccontato la sua storia.