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Articolo da Khan Younis
Da Fabrizio - Apgxxiii in Palestina
>5.06.02
>C'è una strada che scorre nella striscia di Gaza, entra dall'entroterra, da
>Israele e dopo qualche curva va diretta verso il mare Mediterraneo.
>L'asfalto di questa strada è nero, le linee bianche di mezzaria e quelle
>gialle che ne delimitano le corsie laterali spiccano e tutto l'insieme fa
>capire che è una strada nuova. Non ho visto altre strade cosi'
>"colorate" qui.
>C'era una volta un uomo di nome A., di origine beduina, elettricista di
>professione, era stato lontano da casa molte volte per mettere da parte un
>po' di soldi che servissero a costruire una vita dignitosa alla sua
>famiglia. Per molto tempo A. ha lavorato a Telaviv, in Israele, e stato poi
>in Ucraina e negli Emirati Arabi. Nel 94 con l'arrivo dell'Autorità
>Palestinese si era anche arruolato nella polizia che ha poi abbandonato
>perché quel lavoro lo metteva troppo in conflitto con la gente e perché
>l'uniforme gli impediva di sentirsi libero. Con i soldi accumulati con i
>sacrifici A. costruisce una piccola ma dignitosa casa, non riesce a
>rifinirla bene ma il più è fatto. L'altra scommessa è l'allevamento di polli
>che costruisce proprio a trenta metri da casa, c'è poi un campo con degli
>ulivi. I polli sono tremila, danno da lavorare ma danno anche da vivere. A.
>ha sei figli: due maschi e quattro femmine. Il problema di A. è pero'
>la strada. E' vero, abitare vicino ad una grande strada trafficata è un
>problema, io lo so la mia abitazione in Italia si affaccia su di una strada
>statale. I camion che passano senza sosta le macchine, lo smog e
>l'inquinamento acustico sono cose che non migliorano la vita. Ancora non ci
>sono, il problema di A. è la strada ma non per via dei camion che passano
>senza sosta le macchine, lo smog e l'inquinamento acustico, il problema di
>A. è un altro. La strada è quella nuova che di notte è illuminata a giorno
>dalla luce gialla dei lampioni. Quella strada non è per i palestinesi,
>quella strada taglia in due la striscia di Gaza e prima di rendere difficile
>il movimento da nord a sud divide le famiglie. C'è chi ha i parenti
>dall'altra parte della strada a trecento metri e non puo' andare a
>trovarli se non passando per il check point di Abu Holi e aspettare ore se
>non giorni. La strada è per i coloni israeliani che hanno deciso, (alcuni
>trent'anni fa molti altri negli ultimi anni) di prendersi la terra della
>striscia di Gaza e di viverci da padroni. Il 30 novembre del 2000 i soldati
>israeliani, senza alcun preavviso, sono arrivati con i tank e i bulldozer ed
>hanno abbattuto l'allevamento di polli di A. e della sua famiglia. I tremila
>polli che c'erano dentro sono morti, uccisi dai bulldozer. Il sogno di A. è
>finito per "motivi di sicurezza", probabilmente i suoi polli potevano recare
>danno alla strada che sorge a cento metri. Anche sessanta ulivi sono stati
>sradicati per lo stesso motivo quella notte. A guardia della strada, vicino
>alla casa di A. e alle rovine dell'allevamento sorge una torretta militare
>israeliana con tanto di bandiera. Queste torrette sono una presenza costante
> in questa parte di mondo diviso. A. ci invita a dormire a casa sua, noi
>occidentali italiani, per capire meglio, per sapere di più, io spero anche
>che la nostra presenza dia un po' di coraggio ad A. e ai suoi figli che ci
>fanno capire a gesti che gli israeliani sparano. Facciamo un giro a salutare
>i vicini ma ci dobbiamo sbrigare, sono quasi le otto, e comincia il
>coprifuoco. Molte zone abitate lungo la strada vivono la stessa situazione.
>A casa con tutta la famiglia riunita si gioca un po' con i bambini e si
>parla dei mondiali di calcio ma anche della situazione. A. dice di voler
>vivere in pace, di non essere d'accordo con la strategia degli attentati
>suicidi, perché finiscono per ammazzare donne e bambini. L'ingiustizia,
>perٍ, è lى di fuori dalla finestra: rovine, torretta, strada
>illuminata. Prima di andare a dormire facciamo in tempo a vedere un carro
>armato che corre nella fascia di sicurezza vicino alla strada. Buona notte
>A., buona notte bambini. Alle due e trenta pero' la buona notte
>diventa rumorosa il rumore secco delle armi automatiche che sparano; a chi?
>Dove lo deduco dalla vicinanza dei colpi. Niente paura, tutto normale, non
>come due mesi fa quando i soldati, in piena notte, hanno fatto uscire tutta
>la famiglia dalla casa e gli hanno fatti rimanere in strada per due ore:
>"motivi di sicurezza". Viene mattina, A. accende la tv, vicino ad Haifa un
>auto bomba si è lanciata contro un autobus: 14 morti e molti feriti. A.
>scrolla il capo, sa che questa disperata lotta di resistenza fatta di
>suicidi, bombe e morti innocenti (forse questa volta pero' sono soldati
>tornati dal fronte, vorrebbe dire un attacco contro l'esercito e non contro
>i civili) fa il gioco di chi vuol dipingere i palestinesi come un popolo di
>terroristi. Salutiamo A. con la volontà di dormire ancora in case come la
>sua se non altro per dare coraggio a chi ci abita. Penso a chi sta dentro
>quella torretta e che è strumento di una politica sbagliata. Come mi capita
>spesso qui, pare non ci sia speranza. La speranza la trovo nelle parole dure
>di un riservista che si è rifiutato di servire nei territori perché ha
>capito.
>"Bandiera nera. Come ufficiale graduato dell'IDF (Israel Defence Force -
>Forza di Difesa Israeliana), ho prestato servizio in Cisgiordania e alla
>striscia di Gaza. Non sono un ingenuo, alcune volte bisogna uccidere per
>sopravvivere. Per conto dello Stato di Israele ho cacciato bambini che mi
>tiravano pietre. Ho ispezionato campi profughi in lungo e in largo. Ho
>sparato alle loro porte alle ore piccole della mattina. Ho sentito i bambini
>piangere. Ho trascinato persone fuori dal letto e cancellato i loro slogan
>attaccati alle pareti. Ho imposto coprifuochi. Ho tirato giù bandiere
>palestinesi che sventolavano. Ho ritirato documenti di riconoscimento. Ho
>portato prigionieri ammanettati nella parte posteriore della mia jeep. Ho
>sparato ai rivoltosi. Ho fermato centinaia di veicoli ai posti di blocco. Ho
>dato un occhiata dal tetto di una pasticceria sulla strada principale di
>Gaza. La routine dell'occupazione. Ogni giorno, ogni ora, trentacinque anni.
>Ho creduto che fosse una guerra senza scelta. Dopo tutto non abbiamo
>lasciato nemmeno una pietra al suo posto nella nostra ricerca di pace.
>Abbiamo costruito più di 400 insediamenti, inviando 200.000 coloni a
>viverci. Abbiamo perso soldati, bambini, madri. Tutto per il gusto della
>sicurezza nazionale. Per la pace. Per fermare il prossimo attentatore
>suicida. Per trentacinque anni una bandiera nera ha sventolato sopra le
>nostre teste, ma abbiamo rifiutato di vederla, mai più! (la bandiera nera è
>il simbolo del disonore)"
>Capitano riservista Itai Haviv ha ricevuto ventuno giorni d'arresto per
>essersi rifiutato di prestare servizio il 14 marzo 2002