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ARRESTI A NAPOLI: LA PAROLA AI POLIZIOTTI



ARRESTI A NAPOLI: LA PAROLA AI POLIZIOTTI

Un ordine di custodia cautelare recentemente emesso dalla procura di Napoli 
ai danni di otto poliziotti, ha scatenato una serie di comunicati stampa 
diffusi dai principali sindacati di polizia, che rappresentano 
un'importante "cartina di tornasole" per capire fino in fondo i principi e 
i valori che hanno spinto molti agenti della polizia di stato a "fare 
quadrato" attorno ai loro colleghi. Sul lungo periodo, tuttavia, lo 
"spirito di corpo" rischia di trasformarsi in un pericoloso boomerang, che 
ha il potere di danneggiare l'immagine delle forze dell'ordine e il loro 
sereno rapporto con i cittadini molto piu' gravemente di quanto non possano 
fare la magistratura o i cosiddetti "no global".

Di Carlo Gubitosa <c.gubitosa@peacelink.it>

Sequestro di persona, violenza privata, lesioni personali: sono queste 
alcune delle accuse formulate dalla Procura contro otto poliziotti in 
servizio presso la questura di Napoli. Si tratta di un vicequestore 
aggiunto, Carlo Solimene, un commissario capo, Fabio Ciccimarra, e gli 
ispettori Pietro Bandiera, Michele Pellegrino, Francesco Incalza, Francesco 
Adesso e Luigi Petrone, tutti in servizio alla Squadra mobile della 
questura di Napoli. L'ottavo destinatario dei provvedimenti, Paolo 
Chianese, e' stato sorpreso dalle decisioni della magistratura durante il 
suo viaggio di nozze negli Stati Uniti.

I fatti in questione risalgono al marzo 2001, quando la citta' di Napoli 
ospita il "Global Forum" sul "governo elettronico" organizzato dall'agenzia 
europea Ocse (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico). 
In quell'occasione si verificano pesanti scontri dopo l'ingresso in Piazza 
Municipio dell'ultimo spezzone di corteo, quando le forze dell'ordine 
chiudono la piazza impedendo sia l'arretramento che l'avanzata verso 
Palazzo Reale. Le responsabilita' in corso di accertamento non riguardano 
pero' i fatti di Piazza Municipio, bensi' una presunta "retata" che gli 
agenti dei reparti mobili avrebbero effettuato negli ospedali cittadini, 
portando in caserma persone prelevate nelle sale del pronto soccorso, che 
in un secondo tempo hanno deciso di sporgere denuncia sostenendo di essere 
stati vittime di abusi. Secondo il Giudice per le Indagini Preliminari 
Isabella Iaselli, che ha risposto affermativamente alla richiesta della 
procura firmando gli ordini di custodia cautelare per gli otto agenti, gli 
arresti domiciliari si sono resi necessari per la "negativa personalita' 
degli indagati, che hanno dimostrato la tendenza ad abusare della loro 
qualita' di pubblici ufficiali ai danni della collettivita' e spinti solo 
da desiderio di violenza fine a se stessa". Non la pensano cosi' i 
sindacati di Polizia, che nelle ore successive ai provvedimenti disposti 
dalla procura hanno diramato numerosi comunicati per esprimere una decisa 
condanna dell'operato della magistratura, manifestata anche dal vivo con 
una "catena umana" fatta di poliziotti che hanno circondato la questura 
prendendosi per mano e addirittura ammanettandosi l'un l'altro, ritardando 
di fatto l'effettiva notifica degli arresti domiciliari. In un secondo 
tempo i protagonisti della vicenda hanno diffuso un comunicato in cui si 
afferma che "i provvedimenti di arresto sono stati notificati nel pieno 
rispetto della legge senza alcun tentativo di volerne ostacolare 
l'esecuzione [...] questa e' la posizione ufficiale di tutto il personale 
della squadra mobile. Le altre sono solo voci a titolo personale, da 
qualunque parte provengano". Col senno di poi, tuttavia, questa "catena 
umana" di solidarieta' tra colleghi si e' trasformata in un clamoroso 
"autogol" mediatico, che ha dato ai cittadini l'immagine distorta di una 
polizia ostile alla magistratura, che non accetta condanne sul proprio 
operato e che si arroga il diritto di impedire, anche se solo 
simbolicamente, che la giustizia faccia il suo corso. L'azione di protesta 
dei poliziotti di Napoli apre anche inquietanti interrogativi: che cosa 
sarebbe successo se gli otto condannati fossero stati dei normali cittadini 
e se cittadini altrettanto normali avessero deciso di circondare la 
questura con una catena umana in segno di protesta contro una sentenza 
ritenuta ingiusta? Probabilmente sarebbero volati dei lacrimogeni, e 
qualcuno degli "anelli" della catena umana avrebbe rischiato 
l'incriminazione per adunata sediziosa o resistenza a pubblico ufficiale. 
In questo caso l'unico intervento dell'autorita' pubblica e' stato un 
garbato approccio del questore Izzo, che ha tentato di calmare gli animi 
parlando singolarmente con i "manifestanti" e invitando a smorzare il clima 
di tensione che si era venuto a creare. Viene da chiedersi quale sara' il 
messaggio simbolico consegnato dai protagonisti di questo gesto ai loro 
colleghi piu' giovani appena entrati in polizia, e se in futuro la 
magistratura verra' vista ancora dagli appartenenti alle forze dell'ordine 
come un prezioso alleato per la lotta contro il crimine, o al contrario 
prevarra' l'immagine distorta di un'istituzione diventata improvvisamente 
"nemica dei poliziotti", regalando un'altra vittoria ai nemici della 
legalita' e dello stato di diritto, che brinderanno sicuramente con gioia a 
questa lotta interna ai poteri dello stato. Il corporativismo e la difesa 
ad oltranza dei colleghi "nonostante tutto" e' un atteggiamento umanamente 
comprensibile e istintivo, che pero' rischia di danneggiare tutta la 
Polizia nel tentativo di evitare danni ad un gruppo ristretto di persone, 
che non possono essere processate dai colleghi o dalla piazza, ma solo 
dalla magistratura, pur con tutti i suoi limiti e le sue carenze, che 
tuttavia non ricadono solamente sugli "otto di napoli", ma su tutte le 
migliaia di persone sottoposte a misure di custodia cautelare. Lo sforzo 
richiesto in questa delicata circostanza ai rappresentanti dello Stato e' 
quello di uscire dalla logica dello schieramento acritico, che ha spaccato 
in due l'italia senza che nessuno abbia una conoscenza dettagliata di quali 
sono le accuse, le testimonianze, le circostanze, gli indizi, le 
attenuanti, le prove a carico e a discolpa dei poliziotti indagati. Non si 
puo' difendere ciecamente un poliziotto solo perche' e' un "collega" e non 
si possono attaccare indiscriminatamente le forze dell'ordine solo perche' 
indossano una divisa: e' questo l'unico messaggio di civilta' e di 
giustizia che puo' nascere da questa esperienza, un messaggio che finora 
nessuno ha deciso di voler trasmettere preferendo la logica dello scontro e 
della faziosita', perdendo quella capacita' di attenersi ai fatti, di 
produrre documenti e di organizzare le informazioni che e' alla base del 
lavoro quotidiano di tutti i poliziotti, e facendo il gioco di chi utilizza 
come "benzina" per la propria macchina politica quello scontro sociale tra 
cittadini in borghese e cittadini in divisa che si consuma tragicamente 
sotto lo sguardo divertito dei potenti di ogni colore. Dopo aver subito le 
conseguenze di uno scenario di repressione tracciato a Napoli e Genova da 
governi di sinistra e destra, molti sindacati di polizia non sono riusciti 
a mantenere la necessaria lucidita' per sottrarsi ad ogni tentativo di 
strumentalizzazione, come dimostra un comunicato del Siap (Sindacato 
Italiano Appartenenti Polizia), in cui si legge che "parlare delle forze 
dell'ordine come banditi in divisa e' pari ad uccidere nuovamente tutte le 
vittime del dovere, ovvero tutti coloro che, per difendere ideali di 
giustizia e democrazia, hanno immolato la propria vita. Anche se siamo nel 
paese in cui si e' proceduto all'arresto dei Nocs per presunte percosse ai 
brigatisti che avevano in ostaggio il Generale Dozier [...] noi non 
possiamo sottacere davanti ad esternazioni di tale gravita'". Tralasciando 
il fatto che porre agli arresti domiciliari otto poliziotti e' cosa ben 
diversa dal dipingere tutte le forze dell'ordine come "banditi in divisa", 
va detto che la denuncia delle torture subite dai sequestratori del 
Generale Dozier non e' partita da terroristi, da sovversivi o da 
simpatizzanti della sinistra extraparlamentare, ma da Riccardo Ambrosini, 
un poliziotto con un senso dello Stato e una concezione della giustizia 
talmente radicati da non lasciare spazio nella sua coscienza a nessun tipo 
di compromesso. E' per questo che la vicenda di Ambrosini non va ricordata 
come un episodio oscuro nella storia della Polizia di Stato, ma come uno 
dei momenti piu' luminosi nella storia dello Stato di diritto, dove ha 
trovato piena applicazione il principio costituzionale in base al quale "e' 
punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a 
restrizioni di liberta'".

Anche la denuncia di Ambrosini fece scattare gli inesorabili meccanismi 
della solidarieta' corporativa, ed e' per questo che il Siap ricorda 
quell'episodio dei primi anni '80 come un'infamia compiuta ai danni delle 
forze dell'ordine, dimenticando il prezzo pagato da Ambrosini per le sue 
dichiarazioni: fu emarginato, gli bruciarono la porta di casa, fu costretto 
a lasciare il Siulp (Sindacato Unitario Lavoratori di Polizia), alla cui 
fondazione aveva contribuito in maniera determinante. Una testimonianza, 
quella di Ambrosini, che ancora oggi rappresenta un imprescindibile punto 
di partenza per ritrovare quel rapporto tra i cittadini e le forze 
dell'ordine ormai incrinato da tanta, troppa violenza di piazza. La 
questione del corporativismo era stata affrontata gia' nel 1982, in 
occasione del primo congresso nazionale del Siulp, dove lo stesso Ambrosini 
fa risuonare parole di una stupefacente attualita': "il malessere delle 
forze di Polizia non e' di natura diversa da quello ampiamente diffuso oggi 
nella societa' civile, che ha come sua causa di fondo la inadeguatezza di 
proposta politica di sintesi ideale e dei bisogni dei diversi settori 
sociali. L'individualismo e il corporativismo non sono una proposta 
politica, derivano semmai dalla frantumazione di contesti ideali un tempo 
forti e capaci di coagulo. [...] Chi ha sbagliato lo ammetta apertamente e 
smetta di adottare la politica dello struzzo, quello che viviamo oggi non 
e' il nostro ineluttabile destino, ma l'esito a cui ci ha portato una 
politica miope e codarda, di cui e' urgente fare piazza pulita. [...] C'e' 
allora bisogno di una proposta di grande respiro che a partire dalla 
ridefinizione del rapporto tra Stato e cittadino, tra garanzie di liberta' 
e tutela sociale, tra partecipazione ed efficienza, giunga a dare un quadro 
forte e stimolante ai problemi umani e professionali degli operatori di 
polizia". Anche il Sap (Sindacato Autonomo di Polizia) si e' lanciato in un 
durissimo processo alla magistratura napoletana, e si propone addirittura 
come "verificatore" dell'operato dei giudici, affermando che "verificheremo 
l'esistenza dei presupposti invocati dall'autorita' giudiziaria di Napoli 
per l'adozione delle misure cautelari degli arresti domiciliari nei 
confronti dei nostri colleghi". Nel comunicato del Sap si traccia anche un 
possibile scenario di scontro aperto con i giudici, riservandosi di 
decidere "se sia il caso di adottare iniziative conflittuali e di protesta 
nei confronti dell'Autorita' Giudiziaria di Napoli". Il Siulp non fornisce 
dati o informazioni che permettano di valutare la fondatezza delle 
decisioni della procura, ma nel comunicato firmato dal segretario Oronzo 
Cosi ci si limita ad affermare che si tratta di "un provvedimento 
ingiusto", con una dichiarazione che esce dall'ambito dei poteri attribuiti 
alla polizia giudiziaria per sostituirsi di fatto alle valutazioni della 
magistratura. In un altro inquietante passaggio, lo stesso sindacato 
costruito anche grazie all'impegno di Ambrosini, un uomo capace di 
denunciare i suoi colleghi per aver torturato dei terroristi, si teorizza 
la legittimita' morale di una applicazione "elastica" del codice di 
procedura penale nei confronti di soggetti che si sono resi protagonisti di 
atti di violenza. Nel comunicato del Siulp, infatti, si invitano ad "una 
amara riflessione tutti quei poliziotti chiamati a contrastare, a proprio 
rischio e pericolo, quei 'guerriglieri urbani' che quando fanno guerriglia 
applicano tutte le regole barbare della guerra; ma quando vengono messi con 
le spalle al muro invocano tutti quei diritti che loro stessi fino ad un 
istante prima hanno disconosciuto agli altri cittadini". In poche parole, i 
diritti bisogna "meritarseli" con il proprio comportamento. Nello stesso 
comunicato la lista dei "nemici" della Polizia viene arricchita esprimendo 
"il ragionevole dubbio che i nostri unici problemi non siano piu' quelli 
derivanti da chi usa la piazza per esercitare violenza, ma che ve ne siano 
anche ad opera di chi, dovendo applicare le regole certe delle giustizia, 
finisce a volte con realizzare grossolane ingiustizie". In buona sostanza, 
non dobbiamo guardarci le spalle solamente dai Black Bloc, ma anche dai 
magistrati. Il tutto si conclude con un'affermazione dal sapore lievemente 
eversivo: "non bisogna comunque dimenticare che lo Stato siamo noi", 
alludendo con quel "noi" alle forze di polizia, che fortunatamente non sono 
lo Stato (altrimenti ci troveremmo in uno stato di polizia anziche' in uno 
stato di diritto), ma solamente una sua componente fondamentale e 
imprescindibile, comunque soggetta all'interazione e al dialogo con altri 
poteri. La posizione espressa dal LI.SI.PO (Libero Sindacato Polizia) nel 
suo comunicato stampa e' piu' moderata, e ci si limita a constatare che 
allo stato attuale delle cose il sindacato "non ha elementi per contestare 
le decisioni dei Magistrati", e allo stesso tempo si lancia una proposta 
provocatoria, sintetizzabile con lo slogan "se proprio volete condannarci, 
almeno scendete in piazza anche voi e rendetevi conto di persona". Il 
LI.SI.PO. infatti, "ritiene che nei vari servizi di ordine pubblico debba 
essere presente un Magistrato che affianchi il funzionario nella direzione 
del servizio, anche per dare la possibilita' agli Operatori di Polizia, di 
avere l'esatta cognizione di come comportarsi per impedire le violenze a 
persone e cose, di individui con casco protettivo, armati di bastoni ecc., 
che incendiano cassonetti, distruggono tutto cio' che trovano sul loro 
cammino. A giudizio del LI.SI.PO., proprio in questi casi, e' 
indispensabile la presenza di un Magistrato, per capire, come operare per 
impedire violenze e non incorrere al tempo stesso in guai di carattere 
giudiziario". Il problema e' che i fatti contestati agli otto di Napoli non 
si riferiscono a cose accadute nel vivo degli scontri, ma a fatti accaduti 
in caserma, quando i fermati e gli arrestati erano ormai immobilizzati.

Il sindacato SO.DI.PO. (Solidarieta' di Polizia), descrive esplicitamente 
l'attrito tra polizia e magistratura affermando che "la scelta di arrestare 
gli otto poliziotti a Napoli, ripropone drammaticamente il confronto tra 
due poteri dello Stato che, dal G8 di Genova in poi, si sono trovati spesso 
in "rotta di collisione". Il comunicato prosegue a toni forti: "i 
poliziotti sono stufi di rischiare la pelle in strada e di essere 
perseguitati da una certa magistratura che ci arresta per non aver impedito 
che altri colleghi (secondo l'accusa) eccedessero nell'uso dei mezzi di 
coercizione fisica. [...] La corda e' tesa come non mai e il morale dei 
poliziotti, di TUTTI i poliziotti, e' a pezzi". Di tutt'altro tenore il 
comunicato del COISP (Coordinamento per l'Indipendenza Sindacale Delle 
Forze Di Polizia), che rifiuta lo scenario di scontro dipinto dalle altre 
forze sindacali e afferma che "gli uomini della Polizia appartengono ad 
un'istituzione dello Stato e non accettano di diventare strumento 
all'interno di contrapposizioni politiche o di essere rimbalzati al centro 
delle cronache come categoria di turbolenti o ribelli". Di fronte a questo 
scenario fatto di "conflitti incrociati" tra destra e sinistra, tra 
poliziotti e cittadini, tra polizia e magistratura, tra magistratura e 
politica, il rischio piu' grave per il Paese e' che la rabbia ingenua di 
molti operatori delle forze dell'ordine, usata strumentalmente da molti 
"volponi" della politica, possa creare ad arte uno scontro tra "amici dei 
poliziotti" e "difensori dei manifestanti", quando invece, ora piu' che 
mai, c'e' bisogno di unire le forze migliori della societa' civile e della 
polizia per combattere fino in fondo una "battaglia di legalita'" contro 
chi si ritiene al di sopra dello stato di diritto. E' una battaglia da 
vincere per strada e nelle piazze, contro la violenza politica espressa a 
Napoli e Genova dall'anima "nera" della contestazione, ma che va combattuta 
anche dentro le caserme e gli istituti penitenziari, luoghi teoricamente 
destinati al trionfo del diritto. A chi fa comodo questo scenario di 
conflitto sociale ? Certamente ad una politica ormai spenta e priva di 
contenuti, che spera di trarre nuova linfa vitale dalla rabbia e dal 
disagio dei poliziotti o dei manifestanti, per nascondere il vuoto delle 
proposte politiche dietro una battaglia che ha come unica vittima 
potenziale la nostra democrazia. Nessuno e' "senza peccato", quando si 
parla del rapporto tra le istituzioni e le forze dell'ordine, nessuno ha il 
diritto di "scagliare la prima pietra" verso l'avversario politico di 
turno. A quella destra che oggi pretende di accreditarsi come l'unica 
"sponda" possibile per la Polizia, va ricordata la pesante eredita' di quel 
Movimento Sociale Italiano che fu una tra le poche forze politiche a votare 
contro la riforma dell'81, una riforma che ha smilitarizzato le guardie di 
pubblica sicurezza trasformandole nella "Polizia di Stato" e ha dato forza 
a migliaia di poliziotti sfruttati e sottopagati, permettendo al sindacato 
di Polizia di uscire da quella clandestinita' che e' stata pagata da molti 
con il carcere militare. Alla sinistra, che si fa portavoce della 
sofferenza di chi e' stato coinvolto suo malgrado negli scontri tra le 
forze dell'ordine e i gruppi di estremisti, bisognerebbe ricordare che le 
violenze di Napoli non sono il frutto di un "regime cileno", ma di un 
governo guidato da persone che non molti anni fa erano in prima linea nelle 
contestazioni di piazza, e che malgrado il loro passato "militante" hanno 
adottato senza esitazione la politica della "tolleranza zero", non solo 
contro i manifestanti ma anche contro gli immigrati rinchiusi in quei 
"centri di permanenza temporanea" descritti da molte voci autorevoli come 
strutture ai margini dello stato di diritto.

A questo va aggiunta la deriva militarista creata dagli ex "compagni" che 
hanno deciso di trasformare l'arma dei Carabinieri nella quarta forza 
armata, e la creazione di corpi speciali, strutturalmente predisposti 
all'autoreferenzialita', come i Gruppi Operativi Mobili (GOM), nati 
all'interno della Polizia Penitenziaria con un decreto firmato dal ministro 
comunista Oliviero Diliberto. Per queste e per mille altre ragioni non c'e' 
nessuno schieramento politico che nel nostro paese possa atteggiarsi a 
"padrino" o "protettore" delle forze dell'ordine, soprattutto quando alla 
solidarieta' fumosa espressa a parole non corrispondono iniziative concrete 
indirizzate alla formazione e riqualificazione del personale impiegato nei 
servizi di ordine pubblico, che sicuramente sarebbe in grado di tutelare 
con molta piu' professionalita' e rigore i diritti delle persone fermate ed 
arrestate se oltre alla formazione di carattere "militare" venissero 
forniti adeguati strumenti per la preparazione psicologica, per la gestione 
degli stati emotivi di rabbia e di frustrazione, per la conoscenza 
approfondita del diritto costituzionale e delle norme di procedura penale, 
per la comprensione dei movimenti di piazza con le loro componenti 
pacifiche, antagoniste e aggressive. Ma forse tutto questo e' un po' 
eccessivo, e basterebbe discutere di quella pratica disumana divenuta ormai 
consuetudine comune, che consiste nell'impiegare i reparti mobili fino a 
"cessata esigenza" con turni prolungati capaci di trasformare in una belva 
anche il piu' mansueto dei poliziotti. Dei rapporti tra polizia, politica e 
magistratura si e' gia' occupato tempo addietro anche il Silp (Sindacato 
Lavoratori Polizia). Sul numero di ottobre 2001 del mensile "Polizia e 
Democrazia" il segretario generale del Silp Claudio Giardullo affermava che 
"alcuni poliziotti avvertono che nello scontro tra Polizia e magistratura 
l'anello debole della situazione possono essere loro, i poliziotti, e 
quindi vedono con fastidio l'attacco che una parte della maggioranza sferra 
alla magistratura. [...] Appare chiaro che dietro attacchi di questo tipo 
c'e' il tentativo di creare un solco tra forze di polizia e magistratura, 
cioe' di avvicinare ancora di piu', magari ideologicamente, le forze di 
polizia a una parte della maggioranza di governo. Questo i poliziotti lo 
considerano irresponsabile; in fondo in questi 20 anni una condizione 
importante della tenuta della legalita' democratica e' stata anche il forte 
rapporto di fiducia tra poliziotti e magistrati, sia sul fronte della lotta 
al terrorismo, sia sul fronte della lotta alla mafia, ma anche nell'azione 
quotidiana di garanzia contro la criminalita' diffusa".

Purtroppo questi discorsi sono scomodi per tutti, e i veri problemi che 
affliggono le forze dell'ordine, molto piu' gravi e rilevanti delle vicende 
giudiziarie di otto singoli agenti, verranno probabilmente congelati fino 
al prossimo scoppio di violenza nelle piazze, quando i sindacati di 
polizia, come brace che cova sotto la cenere, faranno nuovamente sentire la 
loro voce per vedere chi corre per primo a promettere garanzie e tutele. 
Anche la prossima volta, rispettando un copione ormai consolidato, 
dall'altra parte ci sara' la risposta di una classe politica che in cambio 
di un appoggio incondizionato da parte dei poliziotti sara' pronta a 
difendere da un attacco dei magistrati persino il diavolo, per dimenticarsi 
gia' il giorno dopo di tutti quegli "angeli" che nella Polizia fanno il 
loro mestiere con onesta', e di cui nessuno si ricorda solamente perche' 
non sono finiti nell'aula di un tribunale. "C'e' una sola collocazione per 
i poliziotti ed essa e' all'interno del grande movimento dei lavoratori, al 
fianco della stragrande maggioranza dei cittadini democratici". Dopo i 
fatti di Napoli e Genova, una nuova luce di attualita' illumina queste 
parole scritte dal giornalista Franco Fedeli all'alba della riforma del 
1981, quando i poliziotti abbandonavano le stellette per diventare 
cittadini tra i cittadini e lavoratori tra i lavoratori.

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Carlo Gubitosa e' un giornalista freelance che collabora con la rivista 
"Altreconomia" e con l'associazione di volontariato dell'informazione 
"PeaceLink" <www.peacelink.it>. Ha gia' pubblicato i volumi "Telematica per 
la Pace" (1996), "Oltre Internet" (1997), "Italian Crackdown" (1999).

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