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i retroscena del colpo di stato in Venezuela
I retroscena del colpo di stato in Venezuela
- Il golpe ai tempi della globalizzazione -
di Alessandro Marescotti
Golpe in Venezuela. La globalizzazione muta i protagonisti dei colpi di
stato e se nel 1973 il golpe aveva il volto di Pinochet oggi ha il volto
del presidente della confindustria venezuelana, Pedro Carmona Estanga. Il
presidente venezuelano Hugo Chavez, democraticamente eletto, da tempo non
era gradito alla Casa Bianca e recentemente era entrato in rotta di
collisione con Bush. Vediamo perché.
CHAVEZ, "DECISAMENTE IRRITANTE"
Hugo Chavez il 10 agosto 2000 fece scandalo: incontrò Saddam Hussein, primo
leader politico a rompere l'isolamento dell'Irak dall'inizio della Guerra
del Golfo. Chavez offerì all'Irak appoggio perché sia messo fine
all'embargo che grava sul Paese dal 1990.
Il portavoce del dipartimento di Stato Usa, Richard Boucher, definì
"decisamente irritante" il fatto.
Chavez era impegnato in un tour di dieci giorni che lo porterà in tutti i
Paesi appartenenti all'Opec, l'organizzazione che riunisce alcuni degli
Stati esportatori di petrolio: sosteneva la necessità che l'Opec tagliasse
la produzione giornaliera di barili di petrolio per mantenere alti i prezzi
del greggio. Il Pentagono fece sapere che gli USA stavano "perdendo la
pazienza". Chavez rispose: "Io, se voglio, vado pure all'inferno".
Aggiungendo: "Che cosa ci possiamo fare se gli americani si seccano? Noi
abbiamo una dignità, e il Venezuela è un Paese sovrano. Ha il diritto di
prendere le decisioni che ritiene nel proprio interesse". E di un altro
imperdonabile peccato si era già macchiato il suo governo: quello di aver
rotto dichiaratamente l'isolamento di Cuba non nascondendo anzi la propria
ammirazione per Fidel e per l'esperienza rivoluzionaria cubana.
PETROLIO PER DARE AI POVERI E TOGLIERE AI RICCHI
Ma ritorniamo al petrolio. Chavez intendeva fissare un livello
internazionale del prezzo del petrolio (25 dollari al barile): i paesi
produttori avrebbero fatto scattare automaticamente un aumento della
produzione se le quotazioni del barile fossero salite, decidendo una
diminuzione della produzione
se i prezzi fossero scesi sotto la soglia prevista. In pratica Chavez aveva
un'idea di autodeterminazione e di indipendenza che non era gradita alla
Casa Bianca: gli Usa dipendono massicciamente dal petrolio del Venezuela.
Il Venezuela è l'unica nazione dell'America Latina a far parte dell'Opec,
organizzazione centrata sulle nazioni del Medio Oriente. Prima di Chavez il
Venezuela era noto all'interno dell'Opec per la scarsa adesione alle
restrizioni imposte dal cartello dei Paesi produttori. Con Chavez la
politica di scambio stava cambiando: vendeva petrolio a un prezzo ridicolo
a Cuba, puntando ad un innalzamento dei prezzi negli scambi verso Usa e
paesi ricchi. E negli Usa, dopo due anni di politica estremamente cauta
condotta dai democratici nei suoi confronti (proprio per l'importanza
del paese nel settore energetico), i repubblicani nel 2001 cominciarono ad
accusare Chavez di appoggiare i gruppi guerriglieri di tutta la zona andina
e percepiscono la sua politica come ulteriore elemento di instabilità. La
Casa Bianca ha puntato a bloccare l'economia interna venezuelana, come nel
1973 fece per Salvator Allende, sostenendo un coacervo di forze che
facevano resistenza a Chavez. E vediamo perché.
LE RIFORME MAL DIGERITE
Il 13 Novembre 2001 in diretta televisiva, Chavez ha annunciato il
passaggio di un vasto pacchetto di riforme economiche, ben 49, che
intendevano modificare, a volte anche radicalmente, i più differenti
settori dell'economia del paese: i più controversi sono quelli relativi
alla Legge sulla terra e a quella
sugli Idrocarburi.
La Legge sulla terra avrebbe permesso al governo di confiscare e
ridistribuire terreni privati coltivati che eccedano una certa dimensione e
che siano giudicati improduttivi; la legge dava inoltre allo stato il
potere di controllare l'utilizzo agricolo dei terreni. Inoltre gli
agricoltori dovranno mostrare
i titoli di proprietà delle terre che utilizzano a iniziare dal 18 Dicembre
(8 giorni dopo l'entrata in vigore della legge) onde evitare
l'espropriazione. Il Miami Herald, riportando uno studio fatto
dall'Istituto Nazionale Agricolo del Venezuela, stima che quasi il 95% dei
proprietari terrieri nel paese non possiede titoli legali delle proprie
proprietà.
CONTESTATO DA LATIFONDISTI, SINDACALISTI E PETROLIERI
Ecco perché i grandi latifondisti li abbiamo visti protestare in piazza. La
terra agli indios poveri sarebbe stata una vera ingiustizia, per loro. In
piazza, con i latifondisti, sono scesi negli scorsi giorni anche gli
industriali e i sindacati.
Ma perche' anche i "sindacati" sono scesi in piazza contro Chavez? Ecco
svelato il mistero: Chávez aveva dichiarato di voler "demolire" l'ex
Confederazione dei lavoratori del Venezuela, tanto burocratica quanto
corrotta, per creare una centrale sindacale "bolivariana"; il governo aveva
poi deciso di considerare come rappresentanti della "società civile" solo
le organizzazioni non governative (Ong) non finanziate dall'estero.
La legge sugli Idrocarburi - l'altra molto contestata - capovolgeva
vent'anni di liberalizzazione nell'industria del settore. Nella riforma era
prevista la maggioranza del governo nella proprietà
di tutte le nuove joint ventures legate al settore petrolifero, e veniva
inoltre decretato l'innalzamento delle royalties che le compagnie straniere
devono allo stato, passando dall'attuale 16,6% al 30%. Una manovra che va
in piena controtendenza rispetto al trend mondiale; negli ultimi anni
infatti le potenti compagnie petrolifere erano riuscite, in molti dei paesi
produttori di petrolio, a far scendere
le royalties che andavano corrisposte ai governi. Una misura che stando ad
alcuni commenti riportati dal Financial Times avrebbe inciso sullo sviluppo
di molti progetti, rendendoli da un punto di vista economico poco
attraenti. E la globalizzazione è appunto questo: niente intralci,
boicottiamo gli impiccioni, facciamo crollare l'economia delle nazioni che
si pongono di traverso. E Chavez, tentando di coinvolgere l'Opec in questo
disegno di recupero del potere contrattuale degli stati, era un impiccione
a livello internazionale. L'amministrazione Chavez era considerata un
governo radicale, dotata per di più di con un mandato popolare che
legittimava riforme di vasta portata.
Chavez era un militare, ma democraticamente eletto. L'allora sindaco di
Molfetta, Guglielmo Minervini, un pacifista allievo di don Tonino Bello,
era andato nel marzo del 1999 a far visita ai molfettesi emigrati in
Venezuela. Dichiarò: "Il recente cambio di regime politico che ha condotto
al governo il militare Chavez sta suscitato diffuse speranze di
moralizzazione della vita pubblica,
di giustizia sociale e di stabilità economica".
"PARA LIMPIAR TOTA ESA MIERDA"
Ma oggi Chavez viene definito "populista" e basta quella parola per
liquidarlo senza neppure sentire il bisogno di spiegare quanto qui abbiamo
cercato di raccogliere e raccontare. Di Chavez si racconta la sua storia di
colonello golpista del febbraio '92 ma non il suo successivo successo
democratico in elezioni libere che, con 57% dei voti, lo avevano
catapultato alla presidenza. Con lui partiti e partitini
- prevalentemente nazionalisti e di sinistra - del "Polo Patriottico"; di
fronte a lui il suo popolo, centinaia di migliaia di descamisados in
rappresentanza di quell'80% dei 23 milioni di venezuelani ridotti alla fame
in uno dei paesi più ricchi del mondo, che l'avevano appena eletto
presidente della
repubblica "para limpiar toda esa mierda". Dall'altra parte, fisicamente
assenti ma presentissimi, gli sconfitti del "Polo democratico" e "il
putrido sacco di tutti i corrotti", con dentro gli esponenti del "patto
tacito" fra i poteri forti che dalla cacciata dell'ultimo dittatore
militare, il generale Marcos Pérez Jiménez nel '58, aveva governato la
democrazia venezuelana per 41 anni filati. L'oligarchia, gli imprenditori
pubblici e privati, la banca, la burocrazia, i sindacati, i giudici, i
militari, la chiesa cattolica e i due grandi partiti tradizionali del
duopolio di governo - i social-democratici di Acción democratica e i
social-cristiani del Copei - che da allora si erano alternati ogni cinque
anni al palazzo stile rococò di Miraflores, e che nelle elezioni del 6
dicembre avevano raccolto, insieme, la miseria di meno del 9% dei voti. Era
il 6 dicembre 1998 e Chavez aveva impresso al Venezuela una svolta mediante
regolari elezioni monitorate a livello internazionale: per gli Usa c'era
Jimmy Carter, l'ex presidente americano in veste di osservatore per
elezioni giudicate "a rischio". Ora il golpe fa capire che quelle elezioni
non avevano dato buoni frutti, e la Casa Bianca usa oggi il sistema di
Vittorio Emanuele II il quale a metà Ottocento avvisava gli elettori che
avrebbe fatto ripetere le votazioni se il verdetto non fosse stato di suo
gradimento.
PERCHE' VOTARONO CHAVEZ?
Ma perché gli elettori avevano scelto Chavez?
I venezuelani si chiedevano dove fossero finiti i 300 miliardi di dollari
incassati dal petrolio negli
ultimi 25 anni. Negli ultimi 20 anni i venezuelani hanno visto evaporare il
70% del potere d'acquisto
dei loro redditi. La disoccupazione era al 40%, i bambini e gli adolescenti
senza scuola erano il 45%, secondo la Banca mondiale solo il 4% della
popolazione aveva accesso alla giustizia.
Chavez era stato votato per questa rabbia popolare e aveva portato - dopo
le elezioni - il salario minimo da 175 dollari al mese a 190, divorato
all'istante dal 40% di inflazione.
Aveva cambiato i manager statali del petrolio. Già, aveva toccato quei
dirigenti della Pdvsa, la compagnia petrolifera statale, con salari da
48mila dollari al mese e pensionati d'oro da 24mila dollari. Di chi erano
le frodi fiscali e doganali che facevano sparire nelle banche di Miami o
Ginevra 6 miliardi di dollari l'anno, l'equivalente dei due terzi del
deficit fiscale del '98?
E arriviamo ad un'altra pestata di piedi, quella ai sindacalisti corrotti.
Molti dei 2000 dirigenti sindacali della poderosa Ctv - la Confederación de
trabajadores de Venezuela - erano finiti sotto il torchio "giustizialista"
di Chávez: dovevano spiegare perché erano diventati milionari dopo aver
firmato contratti di lavoro, dei bidoni per i lavoratori in cambio di
favori personali. La confindustria venezuelana - di concerto con questa
burocrazia sindacale - è arrivata a pagare la giornata di lavoro a chi
manifestava in strada in questi giorni a sostegno del golpe.
Sotto la presidenza di Chavez viene revocata l'immunità a vita di politici
e deputati accusati di corruzione. Vengono riconosciute garanzie
costituzionali alla lingue e culture dei 500mila indios
superstiti. Si proibisce la pena di morte, l'ergastolo, la tortura e
"qualsiasi pena infamante". Si proibisce la privatizzazione del petrolio.
Si riduce la settimana lavorativa da 48 a 44 ore. Si garantisce la
proprietà privata subordinandone tuttavia per legge l'uso "all'interesse
sociale". Si pongono limiti all'autonomia della Banca centrale. Ai tre
poteri classici di Montesquieu, Chavez ne aggiunge un altro, il potere
morale, da lui definito "la quarta gamba della democrazia", preso
dall'ideario del suo idolo Simon Bolívar, col compito di vegliare sui
giudici e contro la corruzione.
Disse: "La voce del popolo è la voce di Dio e la voce dell'oligarchia è la
voce del diavolo".
DI LUI SI E' DETTO TUTTO
Diversi giudizi vennero dati su Chavez: populista, dittatore in pectore,
erede di Nasser, nuovo
Gheddafi, comunista camuffato, amico di Castro, leader di un governo con
troppi ministri che erano stati di sinistra, anti-capitalista,
anti-liberista, sognatore bolivariano, visionario terzomondista. Ormai è
impossibile verificarne la fondatezza: un colpo di stato lo ha spazzato via.
KEYNES FUORI TEMPO MASSIMO
In realtà Chavez ha applicato politiche ispirate a Keynes, finalizzate a
una spesa pubblica orientata
a stimolare la domanda, e al potenziamento dell'istruzione pubblica e del
sistema sanitario. Aveva respinto la privatizzazione del sistema
pensionistico. Insomma, sono politiche di una tranquilla sinistra che, alla
luce dei tempi globalizzatori, viene dipinta come ingenua e demodé, però è
temuta perché è un ostacolo ai desiderata in voga.
INVESTIRE NELL'ISTRUZIONE
I consiglieri economici del governo proponevano un modello "umanista,
autogestito e competitivo" nel quale "il principale investimento è
l'istruzione, ossia il capitale umano". Chávez intendeva spendere in
assistenza sociale - scuole, ospedali, case, tecnologia e sicurezza - i
circa 2,1 miliardi
di dollari che provengono dalle riserve di cambio della Banca centrale del
Venezuela (Bcv).
POCO ADDOMESTICABILE
Chavez si era rivelato poco addomesticabile. Bush - e con lui i signori
della globalizzazione - hanno premuto il bottone e ne hanno decretato la
fine. Ma tutte queste cose non ce le spiegano quei telegiornali e quei
giornalisti che - loro sì ben addomesticati - si limitano a far apparire un
golpe militare come una festosa rivolta di tutto il popolo venezuelano
contro Chavez, il populista.
Alessandro Marescotti
redattore volontario del sito PeaceLink
a.marescotti@peacelink.it
www.peacelink.it
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Questo testo può essere liberamente diffuso e pubblicato. Il testo si
avvale delle molteplici informazioni tratte dai seguenti siti Internet:
http://www.cnnitalia.it/2000/MONDO/mediooriente/08/10/chavez
http://www.tightrope.it/USER/CHEFARE/archivcf/cf53/chavez.htm
http://www.cnnitalia.it/2000/MONDO/mediooriente/08/11/chavez/index.html
http://www.fuoriluogo.it/arretrati/2001/gen_8.html
http://www.equilibri.net/americhe/venezuelasciopero.htm
http://www.iqsnet.it/quindicigiorni/marzo99/sinven.htm
http://www.larivistadelmanifesto.it/archivio/1/1A19991210.html
http://www.axiaonline.it/promemoria/mercati_emergenti/report_Venezuela.htm
http://www.patchanka.it/_bakeka/0000013c.htm
http://www.latinoamerica-online.it/archivio2001/sec44.html
http://www.ilmanifesto.it/MondeDiplo/LeMonde-archivio/Novembre-2000/0011lm18.01.html