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La nonviolenza e' in cammino. 346



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 346 del 9 febbraio 2002

Sommario di questo numero:
1. Prosegue a Verona il corso di formazione promosso dal Movimento
Nonviolento
2. Ad Amelia un corso di formazione alla nonviolenza
3. In marzo a Verona un ciclo di incontri promosso da Pax Christi
4. Mariateresa Fumagalli Beonio Brocchieri: il primo passo da fare
5. Marco D'Eramo: Pierre Bourdieu, il grimaldello della ragione
6. Luigi Piccioni: Pierre Bourdieu, un marxiano a Parigi
7. Pierre Bourdieu: sono qui per dire il nostro sostegno...
8. Letture: Igor Man, L'islam dalla a alla z
9. Letture: Arundhati Roy, Guerra e' pace
10. Letture: Michele Sarfatti, Le leggi antiebraiche spiegate agli italiani
di oggi
11. Letture: "MicroMega" 1/2002: Resistere, resistere, resistere!
12. Letture: "Servitium" 138: Vivere i conflitti
13. La "Carta" del Movimento Nonviolento
14. Per saperne di piu'

1. INCONTRI. PROSEGUE A VERONA IL CORSO DI FORMAZIONE PROMOSSO DAL MOVIMENTO
NONVIOLENTO
[Dalla sede di Verona del Movimento Nonviolento (e-mail:
azionenonviolenta@sis.it) riceviamo e diffondiamo]
"Elementi di Nonviolenza": ciclo di 7 incontri.  Da gennaio ad aprile 2002
* Mercoledi 30 gennaio: Mohandas K.Gandhi: "La forza della Verita'"
Ore 18 - 19,30: Lettura collettiva guidata e proiezione filmati originali;
Ore 21 - 23: Incontro dibattito con Alfredo Mori, del Centro per la
Nonviolenza di Brescia.
* Lunedi 11 febbraio: Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto: "Una vigna per
vela"
Ore 18 - 19,30: Lettura collettiva guidata e proiezione filmati originali;
Ore 21 - 23: Incontro dibattito con Beppe Marasso, del Centro Sereno Regis
di Torino
* Mercoledi 27 febbraio: Lev Tolstoj: "La non-resistenza al male"
Ore 18 - 19,30: Lettura collettiva guidata e proiezione film;
Ore 21 - 23: Incontro dibattito con Emilio Butturini, Preside
all'Universita' di Verona.
* Lunedi 11 marzo: Martin Luther King: "L'efficacia dell'azione"
Ore 18 - 19,30: Lettura collettiva guidata e proiezione film;
Ore 21 - 23: Incontro dibattito con Sergio Bergami, del Mir di Padova.
* Mercoledi 27 marzo: Aldo Capitini: "Il potere di tutti"
Ore 18 - 19,30: Lettura collettiva guidata e proiezione filmati originali;
Ore 21 - 23: Incontro dibattito con Daniele Lugli, del Movimento Nonviolento
di Ferrara.
* Mercoledi 10 aprile: Lorenzo Milani: "L'arte della parola"
Ore 18 - 19,30: Lettura collettiva guidata e proiezione film;
Ore 21 - 23: Incontro dibattito con Don Rino Breoni, Abate di San Zeno
Maggiore in Verona.
* Lunedi 22 aprile: Alexander Langer: "Tradire la propria parte"
Ore 18 - 19,30: Lettura collettiva guidata e proiezione filmati originali;
Ore 21 - 23: Incontro dibattito con Edi Rabini, della Fondazione Langer di
Bolzano.
Tutti gli incontri si svolgeranno alla Casa per la Nonviolenza, in via
Spagna 8 a Verona. L'iscrizione all'intero ciclo e' di 25 euro. L'iscrizione
ad un solo incontro e' di 5 euro. Il numero degli iscritti e' limitato a 40.
Ai partecipanti verra' fornito materiale didattico. Al termine del ciclo
verra' rilasciato un attestato di frequenza. Il corso e' coordinato da Mao
Valpiana, Direttore della rivista "Azione nonviolenta".
Per informazioni: Movimento Nonviolento, via Spagna 8, 37123 Verona, tel.
0458009803, fax: 0458009212, e-mail: azionenonviolenta@sis.it, sito:
www.nonviolenti.org

2. INCONTRI. AD AMELIA UN CORSO DI FORMAZIONE ALLA NONVIOLENZA
Iniziera' ad Amelia (Terni) sabato 23 febbraio, e si svolgera' per cinque
sabati consecutivi, un corso di formazione alla nonviolenza promosso da vari
movimenti del nodo lillipuziano della provincia di Terni. Per informazioni e
contatti: gabaq@libero.it
Riportiamo la traccia di programma del corso.
* Una ovvia premessa
Naturalmente questa proposta e' solo una delle molte possibili; nel primo
incontro discuteremo insieme se il programma di lavoro che di seguito si
propone puo' andare bene o se apportare modifiche e quali.
L'approccio alla nonviolenza che si propone e' quello descritto
nell'incontro che facemmo ad Amelia domenica 16 dicembre 2001: la
nonviolenza e' proposta come un concetto complesso e pluridimensionale, come
una teoria-prassi aperta, sperimentale, contestuale, critica e problematica,
compatibile con diverse tradizioni di pensiero, non dogmatica, non
esaustiva, non esclusiva.
Vale a dire che in questa serie di incontri la nonviolenza e' interpretata e
proposta non come una visione del mondo sistematica o un'ideologia chiusa,
ma come un insieme di riflessioni e di esperienze, di tecniche e di
convincimenti, di proposte e di problemi.
E' evidente che la descrizione che si proporra' della teoria e della prassi
nonviolenta e' semplicemente introduttiva ed inevitabilmente parziale; come
abbiamo avuto occasione di mettere in evidenza nell'incontro del 16 dicembre
praticamente tutti coloro che si accostano alla nonviolenza apportano ad
essa una diversa prospettiva, ne danno una personale interpretazione, la
arricchiscono e rendono piu' complessa con il loro originale punto di vista,
con la loro riflessione, il loro modo di sentire ed il loro agire; la
nonviolenza e' una teoria-prassi in continuo creativo sviluppo, ed un campo
di ricerche, di riflessioni ed esperienze, in cui si incontrano (e quindi si
intrecciano e si armonizzano, ma anche si interrogano reciprocamente e
talora confliggono) tradizioni e prospettive diverse.
* Proposta di scansione degli incontri
1. Primo incontro: violenza e nonviolenza nei conflitti sociali e politici
a) conflitto, comunicazione, mutamento sociale
b) alcune caratteristiche fondamentali della violenza e della nonviolenza
c) il rapporto tra mezzi e fini ed il principio responsabilita'
2. Secondo incontro: la nonviolenza come insieme di tecniche deliberative e
di azione
a) il metodo del consenso nel processo deliberativo
b) le tecniche di lotta nonviolente
c) l'addestramento alla nonviolenza
3. Terzo incontro: progettazione di una campagna nonviolenta
a) le premesse ed i fini
b) la strategia
c) la preparazione
d) la gestione
e) la valutazione
4. Quarto incontro: esperienze e riflessioni
a) analisi di alcune esperienze storiche di lotta nonviolenta
b) analisi delle riflessioni e delle proposte di alcune figure dell'impegno
nonviolento
5. Quinto incontro: verifica e conclusione
a) valutazione del corso
b) stesura collegiale di una relazione conclusiva.

3. INCONTRI. IN MARZO A VERONA UN CICLO DI INCONTRI PROMOSSO DA PAX CHRISTI
[Da Sergio Paronetto (per contatti: e-mail: paxchristi_paronetto@yahoo.com)
riceviamo e diffondiamo]
Pax Christi di Verona e la Comunita' cristiana di San Nicolo' organizzano
per il mese di marzo 2002 un ciclo di incontri su "Volti di pace", testimoni
e profeti del nostro tempo.
* Venerdi primo marzo: Tonino Bello, La pace e' convivialita' delle
differenze.
Relatore: Sergio Paronetto, Pax Christi, Verona.
* Venerdi 8 marzo: Emmanuel Levinas, L'etica del volto, futuro di pace.
Relatore: Roberto Vinco, docente di teologia e parroco di S.Nicolo'.
* Venerdi 15 marzo: David Maria Turoldo, La poesia come canto-profezia di
pace.
Relatori: Luigi Adami, parroco di S. Zeno di Colognola ai Colli e Marco
Campedelli, prete, uomo di teatro.
* Venerdi 22 marzo: Etty Hillesum, La pace come cuore pensante.
Relatrice: Letizia Tomassone, pastore della Chiesa valdese di Verona.
Gli incontri si terranno alle ore 21 presso la sala "Pighi" della parrocchia
di San Nicolo' all'Arena, piazza S.Nicolo' (dietro l'Arena), Verona; per
informazioni: tel. 0458000167, 045565646.

4. FRASI COLTE AL VOLO. MARIATERESA FUMAGALLI BEONIO BROCCHIERI: IL PRIMO
PASSO DA FARE
[Da Mariateresa Fumagalli Beonio Brocchieri, Massimo Parodi, Storia della
filosofia medievale, Laterza, Roma-Bari 1989, 1996, p. 30. L'autrice e'
un'illustre studiosa della filosofia e della cultura medioevale]
In questa societa', compressa nei suoi bisogni e depauperata nelle
motivazioni culturali e scientifiche, il primo passo da fare sembra quello
di una ricostruzione della funzione comunicativa del linguaggio inteso anche
come elemento coesivo di una compagine di uomini di diversa origine.

5. MAESTRI. MARCO D'ERAMO: PIERRE BOURDIEU, IL GRIMALDELLO DELLA RAGIONE
[Questo articolo di Marco D'Eramo in occasione della scomparsa di Pierre
Bourdieu e' apparso sul quotidiano "Il manifesto" del 25 gennaio 2002.
Marco D'Eramo e' un giornalista ed intellettuale democratico di
straordinaria vastita' di interessi e penetrante finezza intepretativa;
scrive sul quotidiano "Il manifesto"]
Ieri e' morto un maestro che odiava la nozione di maestro. Uno di quei rari
umani che ai propri lettori e discepoli regalano occhiali magici con cui
guardare il mondo, la societa', gli individui, le motivazioni: sono lenti
mentali che consentono all'improvviso di scorgere impensati paesaggi,
inopinate configurazioni umane, ci offrono alla comprensione quel che prima
appariva terra incognita.
Ieri ci ha lasciato Pierre Bourdieu, a soli 71 anni. E la magia che regalava
a chi lo leggeva, gli parlava, studiava con lui, era la magia piu' antica,
piu' sovversiva, piu' trasgressiva del mondo: quella della buona, vecchia
ragione.
Non e' esagerato affermare che se Immanuel Kant sottopose la ragione umana
al tribunale della ragione, Pierre Bourdieu ha cercato per tutta la sua
operosissima vita di sottoporre le ragioni della societa' al tribunale della
ragione sociale: uno dei suoi volumi piu' ponderosi, La distinzione (1979),
porta un sottotitolo inequivocabilmente kantiano, Critica sociale del
giudizio. Il suo colossale progetto di analisi della societa' umana, del suo
strutturarsi in campi, e delle loro reciproche interazioni, ha un'ambizione
globale e un procedimento sistematico. Un progetto che si e' articolato -
oltre che in piu' di trenta volumi - in quella straordinaria opera
collettiva che e' stata ed e' la rivista che lui ha fondato nel 1976 e da
allora ha diretto, "Actes de la recherche en sciences sociales".
In un'epoca che esalta la ragione frammentaria e il pensiero debole, Pierre
Bourdieu e' andato contro corrente: il suo e' davvero un pensiero forte. In
questo senso, hanno ragione le biblioteche universitarie statunitensi che
collocano le sue opere negli scaffali della filosofia piuttosto che della
sociologia, disciplina sotto cui e' di solito etichettato. Un'etichetta che
per decenni gli ha ostruito l'ingresso nella cultura italiana, cosi' ostile
alla sociologia: da destra - a causa dello storicismo idealista gentiliano e
crociano che vedevano nella sociologia solo una volgare spremuta di
positivismo determinista; e da sinistra - per cui la sociologia era solo la
risposta capitalista a Marx. Contro questi luoghi comuni, il sociologo
Pierre Bourdieu ha sempre rivendicato la sua ascendenza marxiana: "Marco, ma
cosa ho fatto per tutta la vita se non articolare l'idea marxiana per cui la
societa' e' strutturata in classi?" mi e' sbottato un giorno, in una
stanzetta della Maison des Sciences de l'Homme, a Boulevard Raspail a
Parigi. Fin troppo modesto. In realta' il compito che Bourdieu si e'
prefisso e' stato quello di dirimere il nodo teorico che la tradizione
marxista ha sempre lasciato irrisolto e che nel marxismo volgare e' noto
come "rapporto tra struttura e superstruttura" ("e solo il fatto di
chiamarlo cosi' rende il problema insolubile", notava Bourdieu).
Gia' il suo primo studio, del 1961 (Sociologie de l'Algerie) riguarda la
materialita' economica dello scambio simbolico in Kabilia. Vi si vede subito
l'allievo di Karl Marx, Max Weber, e soprattutto Emile Durkheimer, che
dimostra come - con buona pace del buonismo polanyano e del terzo settore -
il dono e' sempre falsamente disinteressato, perche' attende sempre di
essere ricambiato.
Siamo negli anni '60, con Jean-Paul Sartre a sostenere che "l'intellettuale
e' un tecnico del sapere pratico" e Louis Althusser a descrivere la
riproduzione ideologica come opera di apparati. La rivoluzione copernicana
di Bourdieu sta nel sostituire alla domanda sartriana "cosa e' un
intellettuale?", la domanda "come si diventa intellettuali?", e quindi "che
interesse ha una persona a diventare intellettuale?". La risposta, Bourdieu
la cerca allora nelle inchieste sugli iscritti alle Grandi Scuole francesi,
sulle loro origini, le loro pratiche culturali. Da qui nasce Les heritiers:
les etudiants et la culture (1964) scritto con il primo dei suoi discepoli,
Jean-Claude Passeron, in cui si dimostra come nella societa' borghese il
titolo di studio costituisce l'equivalente di quel che nel feudalesimo era
il titolo nobiliare. Simili i meccanismi d'inflazione: all'inizio il titolo
piu' elevato era barone; poi - per compensare l'inflazione di baroni - si
dovettero creare i conti, poi, i duchi, poi gli arciduchi, poi i principi.
Cosi', a sancire l'appartenenza alla classe dominante, un tempo bastava la
maturita' classica (indispensabile allora per essere ammessi al corso
allievi ufficiali), poi servi' la laurea; ora, con l'inflazione di lauree,
serve un titolo post-universitario. E se i cadetti della nobilta' venivano
mandati nel clero o nelle colonie, quelli delle famiglie borghesi diventano
giornalisti, fotografi, pubblicitari.
Come si vede, quella di Bourdieu e' nello stesso tempo una sociologia dei
beni simbolici e una disamina dei meccanismi di riproduzione della classe
dominante. Ed e' facile capire quanto sia stato importante questo libro
quando e' scoppiato il maggio '68 e gli studenti parigini se lo sono trovati
li', bello e pronto, a descrivere i meccanismi di selezione e riproduzione
contro cui lottavano. Les heritiers e' stato alla Sorbona quello che a
Berkeley fu L'uomo a una dimensione di Herbert Marcuse.
Les heritiers e' la prima di una lunga serie di ricerche in cui Bourdieu
disvela le costellazioni di gusti, pratiche culturali, strategie
professionali che formano le traiettorie sociali di ogni persona e a loro
volta ne vengono determinate. Anche dai suoi discepoli, gli e' stata spesso
rivolta l'accusa di determinismo (una delle migliori caratteristiche di
Bourdieu come maestro e' che tutti i suoi migliori allievi, e coautori dei
suoi libri, alla fine lo hanno criticato, ne hanno preso le distanze, e
hanno seguito la propria via sociologica: cosi' Passeron, cosi' Jean-Claude
Chamboredon, Luc Boltanski...). Ma e' un determinismo che, per poter essere
efficace, deve farsi meno cogente, piu' elastico: una delle sue fonti
epistemologiche e' Gaston Bachelard, che non e' proprio un positivista.
Cosi', al posto del capitale inteso in senso puramente economico, Bourdieu
introduce tre forme diverse di capitale, a) economico, b) culturale e c)
sociale, e mostra le interazioni, i travasi tra questi tre capitali. Anche
le posizioni di classe si articolano: gli intellettuali vanno visti di volta
in volta come frazione dominata della classe dominante oppure come frazione
dominante della classe dominata, e il viavai fra queste due posizioni e' di
per se' un fattore determinante delle loro pratiche.
E' inutile qui mettersi a fare il Bignami della complessissima teoria
sociologica di Bourdieu. Basti un esempio: per Bourdieu la percezione che
ognuno di noi ha della propria posizione sociale non coincide mai con questa
posizione: cioe', ognuno ha un'immagine alterata, errata di se' nella
societa'. Il punto e', dice Bourdieu, che la distanza tra la nostra
percezione di noi e la nostra reale posizione cresce man mano che scendiamo
nella scala sociale: e' cosi' che, per esempio, un impiegatuccio parla con
disprezzo del "popolino". E poiche' noi agiamo in base al punto da cui
pensiamo di partire, questo divario spiega come mai gli errori di strategia
non sono mai cantonate individuali ma tendenze sociali.
Ecco perche' per tutti gli anni '70 e '80 nessuno ha vivisezionato la
retorica della sinistra (del "discorso dominato legittimo") in modo piu'
spietato di Bourdieu: perche' la lente davvero sovversiva degli occhiali che
ci ha regalato e' quella di svelare le strategie di denegazione e di
eufemizzazione: un artista non potra' mai perseguire il proprio interesse se
non e' sinceramente convinto del proprio disinteresse (l'arte per l'arte);
se appena e' cosciente di voler guadagnare e fare carriera, non ci riuscira'
mai. Ma questo disvelamento e' possibile solo se il sociologo si pone 1) in
rapporto autoriflessivo e critico con il proprio essere sociologo, e 2) al
di qua della politica.
1) In uno sguardo sospettoso con il proprio essere sociologo, per non cadere
nel tranello della meta-sociologia che si presenta come la teoria
sociologica di tutte le sociologie possibili. Da questo punto di vista, la
lezione introduttiva (La leçon sur la leçon) che Bourdieu tenne al College
de France nel 1982 costituisce nella sua brevita' un classico del pensiero
che ha la stessa succinta profondita' di un'Epistola a Meneceo, e che
tutt'oggi suscita riflessioni ed echi vertiginosi.
2) Al di qua della politica, perche' la guarda come un campo relativamente
autonomo, in cui gli agenti operano spinti dalle proprie traiettorie
sociali, dai propri habitus. L'impegno politico del sociologo si rifiuta al
libro inteso come comizio politico. Fa politica senza dirlo, smontando le
motivazioni sociali del discorso militante e filosofico, come ha fatto
Bourdieu in quel classico della demistificazione del galateo filosofico che
e' L'ontologia politica di Martin Heideger (1988) dove infine la filosofia
non viene letta come pretende di esserlo, cioe' ontologicamente,
all'indicativo presente della terza persona singolare ("l'esserci e'"), ma
contestualizzandola e senza facili cortocircuiti, alla Farias, tra
heideggerismo e nazismo. Il sociologo fa politica ricercando sul campo i
meccanismi della "costruzione politica dello spazio" geografico e sociale,
come nella straordinaria, commovente opera collettiva del 1993, in cui
compaiono gli ultimi testi piu' densamente teorici: La Misere du monde, un
volumone di 950 fitte pagine che fu venduto a 300 mila copie in Francia e
tradotto in 13 lingue.
Per' nell'ultimo decennio, Bourdieu e' come venuto meno al proprio precetto
e i suoi libri non sono piu' stati intrisi di politica, ma direttamente
politici. E' stato un atteggiamento di prodigalita': ha speso il suo nome,
il suo prestigio, la sua energia per tutte le cause, a cominciare da Attac,
che tanti altri "maestri" hanno disertato. Dopo aver polemizzato tanti anni
con Sartre (e con Foucault), Bourdieu ha come ripreso nelle proprie mani il
testimone che Jean-Paul aveva lasciato, quello dell'impegno. I suoi libri
pero' ne hanno perso interesse, hanno somigliato sempre piu' a pamphlet,
sempre meno a quegli appassionanti viaggi nell'ignoto sociale cui Bourdieu
ci aveva abituati.
Con lui, ieri si e' chiusa definitivamente la grande stagione in cui la
Francia ha insegnato al mondo, da Sartre a Barthes, da Foucault a Deleuze.
Ma Bourdieu ha una dote specifica, un'ironia un po' spaccona dovuta forse
alle sue origini guascone (come d'Artagnan, e' nato nel Bearn), un modo
sorridente di smontare la societa' umana, con il ciuffo ribelle sulla fronte
ampia e il bel viso aperto, come quando per compiti ci dette a scelta questi
due temi: a) "Spiegare perche' una persona ragionevole sarebbe pronta a
tutto, anche a vendere la madre per essere nominato decano di un istituto di
filologia romanza"; b) "Spiegare perche' un salumiere investe una quantita'
di milioni sufficienti a comprare un altro negozio, solo perche' suo figlio
impari a memoria esametri greci".

6. MAESTRI. LUIGI PICCIONI: PIERRE BOURDIEU, UN MARXIANO A PARIGI
[Ringraziamo Lugi Piccioni per averci messo a disposizione questo testo
scritto per una rivista militante della "zona del cuoio" nei pressi di Pisa.
Luigi Piccioni, impegnato sin dai primi anni '90 nell'ecopacifismo e nel
commercio equo e solidale pisano, ha collaborato con Francesco Gesualdi
nella redazione della "Guida al consumo critico" e alla diffusione delle sue
tematiche in Italia grazie a molte decine di incontri pubblici. Di mestiere
storico dell'ambiente e dell'ambientalismo, insegna presso l'Universita'
degli Studi della Calabria. Ha pubblicato, tra le altre cose, Il volto amato
della patria, ricostruzione delle vicende del primo movimento di protezione
della natura in Italia, tra la fine dell'Ottocento e i primi anni '30 del
Novecento. Ha curato l'edizione italiana del libro di Jeremy Brecher e Tim
Costello, Contro il capitale globale, Feltrinelli, Milano. Collabora con il
"Centro nuovo modello di sviluppo" di Vecchiano e con la Rete di Lilliput..
Per contatti: t.noce@humnet.unipi.it]
La morte di Pierre Bourdieu lascia un vuoto davvero difficilmente colmabile
nella scena pubblica internazionale. Il necrologio piu' puntuale e
condivisibile che io abbia letto e' quello di Marco D'Eramo su "il
manifesto" del 25 gennaio, ma ad esso voglio aggiungere qualche notazione
personale.
Da una decina d'anni a questa parte Bourdieu era divenuto una sorta di eroe
dell'antiliberismo mediante un'operazione apparentemente scandalosa e
comunque profondamente inattuale: quella di tramutare una figura
istituzionale di primissimo piano come lui aveva saputo diventare mediante
una monumentale opera scientifica in un generoso e combattivo portavoce di
tutti coloro che nel mondo chiedevano dignita', democrazia, eguaglianza.
Questa mossa (lo ripeto: inattuale anche se per nulla anacronistica),
maturata verso la fine degli anni '80, aveva commosso e infiammato alcuni e
irritato profondamente altri, ma non aveva in realta' sorpreso chi conosceva
bene Bourdieu, quantomeno attraverso la sua opera scientifica.
Io avevo scoperto l'opera del sociologo francese verso la meta' degli anni
'80 ed era stato amore a prima vista. Colpiva la monumentalita' dell'impresa
scientifica, il legame assai stretto (proprio del grande sociologo) tra
costruzione teorica, conoscenza dei fondamenti della disciplina e capacita'
di praticarla sul campo, la costante vigilanza critica e autocritica.
Colpiva soprattutto, pero', lo stile della scrittura e dell'argomentazione:
denso, rigoroso, articolato e al tempo stesso alieno da qualsiasi
compiacimento letterario o intellettuale. Uno stile che andava dritto
all'oggetto ma in modo ricco, estremamente complesso e raffinato, aiutato da
una delle poche scritture che sono state mai capaci di farmi provare un
vero, intenso piacere. Ha scritto bene Marco D'Eramo, sottolineando un altro
aspetto "inattuale" della sua opera, che Bourdieu e' stato un pensatore
decisamente e consapevolmente "forte" proprio in tempi di pensiero debole e
lo e' stato con una costante fiducia nell'indagine scientifica, dei cui
aspetti ideologici e di potere era comunque un radicale demistificatore. E
illuminante e' anche un'altra testimonianza di D'Eramo quando racconta che
Bourdieu si considerava soprattutto un articolatore dell'idea marxiana della
strutturazione della societa' in classi.
Quest'opera di articolazione e' passata attraverso l'invenzione di intere
costellazioni di categorie sociologiche e attraverso memorabili ricerche
empiriche che hanno dato respiro e profondita' all'analisi delle
disuguaglianze sociali e dei rapporti di potere, a partire da Les heritiers
del 1964 fino a La misere du monde del 1993, senza mai una caduta nella
retorica letteraria tanto cara all'intellettualita' francese del dopoguerra
ne' nelle rigidita' linguistiche delle vulgate ideologiche egemoniche
attorno al 1968. A questo proposito vale la pena ricordare due circostanze.
La prima circostanza e' che nel 1966 Bourdieu pubblico' sulla "Revue
française de sociologie" un saggio dal titolo "L'ecole conservatrice. Les
inegalites devant l'ecole et devant la culture" che argomentava in modo
sorprendentemente analogo a Lettera a una professoressa, che sarebbe poi
uscito appena qualche mese dopo: c'era il '68 che incombeva, d'accordo, ma
la consonanza di accenti e di tempi tra il sociologo e il sacerdote non puo'
non colpire. La seconda circostanza e' che nei primissimi anni '70
(disgraziatamente non ritrovo in questo momento l'indicazione bibliografica
esatta) Bourdieu riusci' a far irritare con lui i marxisti ortodossi piu' di
quanto gia' non lo fossero tirando una bordata micidiale ad un'opera di
Etienne Balibar. La cosa piu' spassosa e' che Bourdieu faceva lunghe
citazioni del legnosissimo (allora) gergo marxista di Balibar e chiamava
direttamente Karl Marx a criticarle mediante delle immagini del filosofo
tedesco e dei fumetti. Un modo corrosivo di mettere alla berlina la pretesa,
tipica di quegli anni, di legittimarsi filosoficamente e politicamente non
tanto attraverso un'analisi corretta e radicalmente critica della realta' ma
mediante l'utilizzo di un gergo esoterico. Anche questo richiamo alla misura
e al rigore fecero erroneamente pensare a lungo a Bourdieu come a un
moderato.
Questa inconsueta accoppiata di radicalita' critica e di sobrieta'
espressiva ha infatti occultato per lunghi anni il fatto che l'impegno di
Bourdieu era un impegno effettivamente marxiano, per quanto del tutto sui
generis. Chi lo conosceva bene non poteva non vedere tutto cio', ma da
lontano egli poteva apparire un solido e persino ieratico portatore
dell'ufficialita' accademica francese al suo massimo grado, un altro
brillante ambasciatore nel mondo dell'esprit de finesse nazionale,
giustamente premiato con il College de France proprio mentre si spegnevano
gli ultimi fuochi del '68.
L'illusione e' durata poco. Stupendo molti, a partire dai primi anni '90
Bourdieu si e' letteralmente rimboccato le maniche e si e' messo a fare
quello che negli anni '50 e '60 non aveva mai fatto: l'intellettuale
militante. Ancora e sempre nel suo stile un militante acuminato e modesto,
lontano da qualsiasi compiacimento e da qualsiasi boria ma anche
perfettamente consapevole dell'importanza del proprio apporto sia come
costruttore di analisi e di legami sia come figura pubblica di grande
prestigio. Per descrivere quest'ultima, coerentissima come ho cercato di
mostrare, fase della sua vita quasi tutti i testimoni hanno utilizzato
l'aggettivo "generoso". Una capacita' di spendersi non piu' solo come
docente e ricercatore ma anche come animatore culturale, come giornalista,
come editore, come opinionista di prestigio internazionale, come
manifestante in tante occasioni cruciali. Anticipando di qualche anno,
oltretutto, la fioritura di un movimento mondiale di critica all'ordine
liberista che in lui ha poi avuto un riferimento solido e autorevole. In
questo senso Bourdieu e' davvero morto a "soli" (come ha scritto D'Eramo) 71
anni: era una di quelle persone da cui ci si aspettava un costante
contributo di analisi e di esempio, una fucina di risorse intellettuali di
quelle che quando scompaiono lasciano un senso di smarrimento profondo,
lacerante.
Ci sarebbero tanti modi per ricordarlo, ma io ne scelgo uno che trovo di
bruciante attualita'. Il gesto che consacro' definitivamente la nascita del
Bourdieu attivista fu l'intervento allo sciopero dei ferrovieri del 1995. Un
intervento lucido e appassionato, che vale la pena di riportare
integralmente.

7. MAESTRI. PIERRE BOURDIEU: SONO QUI PER DIRE IL NOSTRO SOSTEGNO...
[Il testo seguente e' quello del discorso tenuto da Pierre Bourdieu
all'assemblea dei ferrovieri in sciopero, alla Gare de Lyon a Parigi il 12
dicembre 1995. Il testo francese e' in P. B., Contre-feux, Raisons d'Agir,
Paris 1998, pp. 30-33 col titolo "Contre la destruction d'une civilisation".
Pierre Bourdieu (1930-2001) e' stato un grande sociologo, un intellettuale e
un militante. Directeur d'études all'Ecole Pratique des Hautes Etudes di
Parigi, impegnato nel movimento contro la globalizzazione neoliberista e per
l'umanita'. Dall'Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche
riprendiamo la seguente presentazione: "Pierre Bourdieu e' nato a Denguin,
il 10 agosto 1930. Dopo aver studiato al liceo di Pau, e poi al liceo
Louis-le-Grand a Parigi, entra all'Ecole normale superieure nel 1951.
Agrege' di Filosofia nel 1954, insegna l'anno successivo al liceo di
Moulins. Tra il 1955 e il 1958 fa il servizio militare in Algeria, allora in
guerra. Diventa quindi assistente all'Universita' di Algeri. Tornato in
Francia nel 1960, come assistente alla Sorbona, nel 1961 e' professore
incaricato all'Universita' di Lille. Nel 1964 viene nominato direttore di
studi all'Ecole pratique des hautes etudes (VI sezione) e nel 1981 e'
chiamato alla cattedra di Sociologia del College de France. Dirige il Centro
di Sociologia Europea (del College de France e dell'Ecole des hautes etudes
en sciences sociales), e le riviste "Actes de la recherche en sciences
sociales" (fondata nel 1975) e "Liber". E' dottore honoris causa della Freie
Universitat di Berlino (1989), membro dell'Accademia Europea e dell'American
Academy of Arts and Sciences, medaglia d'oro del CNRS (1993), dottore
honoris causa dell'Universita' Johann Wolfgang Goethe di Frankfurt (1996).
Influenzato contemporaneamente dal marxismo e dallo strutturalismo, Bourdieu
si e' dedicato in particolare alla sociologia dei processi culturali,
elaborando il concetto originale di "violenza simbolica", connessa secondo
lui con i processi educativi. I suoi studi sul ceto studentesco
universitario francese ebbero vasta eco negli anni attorno al 1968, in piena
agitazione studentesca. Bourdieu ha rinnovato la tradizione francese
dell'engagement, prendendo posizione negli eventi piu' significativi del
nostro tempo, in difesa di Solidarnosc, al fianco degli studenti nelle lotte
del 1986, e con gli intellettuali algerini: interventi sostenuti tutti dalla
sua competenza di sociologo". E' deceduto nel gennaio 2002. Opere di Pierre
Bourdieu: Sociologie de l'Algerie, P.U.F., Paris 1956; The Algerians, Beacon
Press, Boston 1962; con A. Darbel, J. P. Rivet e C. Seibel, Travail et
travailleurs en Algerie, Mouton, Paris 1963; con A. Sayad, Le deracinement.
La crise de l'agriculture traditionnelle en Algerie, Minuit, Paris 1964; con
J. C. Passeron, Les heritiers, Minuit, Paris 1964; con J. C. Passeron, Les
etudiants et leurs etudes, Mouton, Paris 1964; con L. Boltanski, R. Castel e
J.C. Chamboredon, Un art moyen. Essai sur les usages sociaux de la
photographie, Minuit, Paris 1965; con J. C. Passeron e M. de Saint-Martin,
Rapport pedagogique et communication, Mouton, Paris 1965; con A. Darbel,
L'Amour de l'art, Minuit, Paris 1966; con J. C. Passeron e J. C.
Chamboredon, Le Metier de sociologue, Mouton-Bordas, Paris 1968; Zur
Soziologie der symbolischen Formen, Suhrkamp, Frankfurt 1970; con J.-C.
Passeron, La reproduction. Elements pour une theorie du systeme
d'enseignement, Minuit, Paris 1970; Esquisse d'une theorie de la pratique,
Droz, Geneve 1972; La distinction. Critique sociale du Jugement, Minuit,
Paris 1979; Le Sens pratique, Minuit, Paris 1980; Questions de sociologie,
Minuit, Paris 1980; Ce que parler veut dire. L'economie des echanges
linguistiques, Fayard, Paris 1982; Homo academicus, Minuit, Paris 1984;
Choses dites, Minuit, Paris 1987; L'ontologie politique de Martin Heidegger,
Minuit, Paris 1988; La noblesse d'etat, Paris 1988; Reponses. Pour une
anthropologie reflexive, Paris 1992; Les Regles de l'art. Genese et
structure du champ litteraire, Seuil, Paris 1992; La Misere du monde, Paris
1993; Libre-echange, Paris 1994; Raisons pratiques. Sur la theorie de
l'action, Seuil, Paris 1994. Tra i testi disponibili in traduzione italiana:
La distinzione, Il Mulino, Bologna 1984; Führer della filosofia? L'ontologia
politica di Martin Heidegger, Il Mulino, Bologna 1989; La responsabilità
degli intellettuali, Laterza, Bari 1991; Risposte. Per un'antropologia
riflessiva, Bollati Boringhieri, Torino 1992; Ragioni pratiche, Il Mulino,
Bologna 1995; Sulla televisione, Feltrinelli, Milano 1997; Meditazioni
pascaliane, Feltrinelli, Milano 1998; Il dominio maschile, Feltrinelli,
Milano 1999. Tra i libri di intervento militante piu' recenti segnaliamo
particolarmente: Contre-feux, Éditions Raisons d'agir, Paris 1998;
Contre-feux 2, Éditions Raisons d'agir, Paris 2001. A provvisoria
integrazione riportiamo la seguente notizia bibliografica, apparsa sul
quotidiano "Il manifesto" del 25 gennaio 2002: "E' quasi impossibile citare
tutti i volumi scritti o diretti da Pierre Bourdieu, per non parlare degli
oltre suoi 200 saggi e articoli di sociologia. Tra i piu' importanti:
Sociologie de l'Algerie (1961), Le déracinement (con A. Sayad, 1964), Les
héritiers (con J.-C. Passeron, 1964), Un art moyen: essay sur les usages
sociaux de la photographie (con L. Boltanski, R. Castel e J.-L. Chamboredon,
1965); L'amour de l'art (con A. Darbel, 1966); Le métier du sociologue, con
J.-C. Passeron e J.-C. Chamboredon, 1968); Pour une sociologie des formes
symboliques (1970): La reproduction (con J.-C. Passeron, 1971); Esquisse
d'une théorie de la pratique (1972, da poco ristampato da Seuil e di
prossima traduzione per Raffaello Cortina Editore con il titolo "La teoria
della pratica"); La distintion: critique sociale du jugement (1979, tradotto
dalla casa editrice Il Mulino con il titolo La distinzione e ripubblicato
nel 2001); Le sens pratique (1980); Ce que parler veut dire (1982); Leçon
sur la leçon (1982); Homo academicus (1984); L'ontologie politique de Martin
Heidegger (1989); Réponses: pour une anthropologie réflexive (con L.
Wacquant, 1992); La misère du monde (a cura di, 1993); Méditations
pascaliennes (1997); La domination masculine 1998 (Il dominio maschile,
Feltrinelli); Sulla televisione (Feltrinelli 1997); "Meditazioni pascaliane"
(Feltrinelli 1998); Il mese scorso la Manifestolibri ha pubblicato
"Controfuochi 2. Per un nuovo movimento europeo". Oltre che degli "Actes de
la recherche en sciences sociales", Bourdieu ha diretto "Liber" e ha fatto
il caporedattore della rivista di tendenza "Inrockuptibles" 'per dar voce a
chi e' considerato irresponsabile dalla politica ufficiale'."]
Sono qui per dire il nostro sostegno a tutti coloro che lottano da tre
settimane contro la distruzione di una "civilta'" associata all'esistenza
del servizio pubblico, quella dell'eguaglianza repubblicana dei diritti,
diritti all'educazione, alla salute, alla cultura, alla ricerca, all'arte e,
soprattutto, al lavoro.
Sono qui per dire che noi capiamo questo movimento profondo, cioe' la
disperazione e le speranze che si esprimono in esso, e delle quali ci
sentiamo anche noi partecipi; per dire che non capiamo (o che capiamo fin
troppo bene) coloro che non lo capiscono, come quel filosofo che nel
"Journal du dimanche" del l0 dicembre scopre con stupore "l'abisso tra la
comprensione razionale del mondo" incarnata, secondo lui, da Juppe' - come
dice esplicitamente -, "e i desideri profondi della gente".
Questa opposizione tra la visione a lungo termine dell'"elite" illuminata e
le pulsioni di vista corta del popolo o dei suoi rappresentanti e' tipica
del pensiero reazionario di tutti i tempi e di tutti i paesi; ma essa prende
oggi una forma nuova con la nobilta' di Stato che pone la convinzione della
propria legittimita' nel titolo scolastico e nell'autorita' della scienza,
soprattutto economica. Per questi nuovi governanti di diritto divino non
soltanto la ragione e la modernita' ma anche il movimento e il cambiamento
sono appannaggio dei governanti, dei ministri, dei padroni o degli
"esperti", mentre al popolo, ai sindacati e agli intellettuali critici
pertengono l'irrazionalita' e l'arcaismo, l'inerzia e il conservatorismo.
E' questa sicumera tecnocratica che esprime Juppe' quando scrive: "lo voglio
che la Francia sia un paese serio e felice". La frase puo' essere tradotta
cosi: "lo voglio che la gente seria, cioe' le elite, gli enarchi, coloro che
sanno dov'e' il bene del popolo, siano in grado di fare la felicita' del
popolo anche suo malgrado, cioe' contro la sua volonta': e infatti, accecato
dai suoi desideri, quelli di cui parla il filosofo, il popolo non conosce
affatto la propria felicita' - e soprattutto la felicita' di essere
governato da persone che - come Juppe' - conoscono la sua felicita' meglio
di esso". Ecco come pensano i tecnocrati e come intendono la democrazia. E
si comprende che essi non capiscano come mai il popolo, a nome del quale
pretendono di governare, scenda per le strade - colmo dell'ingratitudine! -
per opporsi ad essi.
Questa nobilta' di Stato, che predica la sparizione dello Stato e il regno
incontrastato del mercato e del consumatore, sostituto commerciale del
cittadino, ha fatto man bassa dello Stato; essa ha fatto del bene pubblico
un bene privato, della cosa pubblica, della repubblica, una cosa sua.
Cio' che oggi e' in gioco e' la riconquista della democrazia contro la
tecnocrazia: e' necessario farla finita con la tirannia degli "esperti"
stile Banca Mondiale o Fondo Monetario Internazionale che impongono senza
discussione i verdetti del nuovo Leviatano, "i mercati finanziari", e che
non intendono negoziare ma "spiegare"; e' necessario rompere con la nuova
fede nell'inevitabilita' storica professata dai teorici del liberalismo; e'
necessario inventare le nuove forme di un lavoro politico collettivo in
grado di prendere atto dei vincoli, soprattutto economici (questo potrebbe
essere il compito degli esperti), ma per combatterli e, in caso non ci si
riesca, per neutralizzarli.
La crisi odierna e' una occasione storica per la Francia e senza dubbio
anche per tutti coloro che, ogni giorno piu' numerosi, in Europa e altrove
nel mondo rifiutano la nuova alternativa "liberalismo o barbarie".
Ferrovieri, lavoratori delle poste, insegnanti, impiegati dei servizi
pubblici, studenti e tanti altri, impegnati attivamente o passivamente nel
movimento, attraverso le loro manifestazioni, le loro dichiarazioni, le
innumerevoli riflessioni che hanno fatto scattare e che il coperchio
mediatico si sforza invano di soffocare, hanno posto dei problemi
assolutamente fondamentali, troppo importanti per essere lasciati a dei
tecnocrati, adeguati o meno che siano: come restituire a coloro maggiormente
interessati, cioe' a ciascuno di noi, la definizione illuminata e razionale
dell'avvenire dei servizi pubblici, della sanita', dell'educazione, dei
trasporti, eccetera, soprattutto in collegamento con coloro che, negli altri
paesi d'Europa, sono esposti alle medesime minacce? Come reinventare la
scuola della Repubblica, rifiutando la progressiva messa in opera, a livello
di insegnamento superiore, di una educazione a due velocita' simbolizzata
dalla opposizione tra le grandi scuole e le facolta'? La medesima questione
si puo' porre per quanto riguarda la sanita' e i trasporti. Come lottare
contro la precarizzazione che colpisce tutto il personale dei servizi
pubblici e che implica delle forme di dipendenza e di sottomissione
particolarmente funeste: nelle imprese della diffusione culturale; come
radio, televisione e giornalismo (a causa della censura che vi si esercita),
o anche nell'insegnamento?
Nel lavoro di reinvenzione dei servizi pubblici, gli intellettuali, gli
scrittori, gli artisti, le persone colte, hanno un ruolo determinante da
giocare. Essi possono anzitutto contribuire a rompere il monopolio
dell'ortodossia tecnocratica sui mezzi di comunicazione, ma possono anche
impegnarsi, in maniera organizzata e permanente e non soltanto negli
incontri occasionali dovuti ad un periodo di crisi, a fianco di coloro che
sono in condizione di orientare efficacemente l'avvenire della societa', in
particolare associazioni e sindacati, e lavorare ad elaborare delle analisi
rigorose e delle proposte creative sulle grandi questioni che l'ortodossia
mediatico-politica vieta di porre. Penso in particolare alla questione
dell'unificazione del campo economico mondiale e degli effetti economici e
sociali della nuova divisione mondiale del lavoro, o alla questione delle
pretese bronzee leggi dei mercati finanziari in nome delle quali sono
sacrificate tante iniziative politiche, o ancora alla questione del ruolo
dell'educazione e della cultura in economie in cui il capitale
informazionale e' divenuto una delle forze produttive decisive. Ma molto
altro si potrebbe aggiungere.
Questo programma puo' apparire astratto o puramente teorico, ma io penso che
sia possibile respingere il tecnocratismo autoritario senza ricadere in un
populismo al quale i movimenti sociali del passato si sono troppo spesso
votati e che, una volta di piu', fa il gioco dei tecnocrati.
Cio' che ho voluto esprimere, in ogni caso, forse in modo maldestro e me ne
scuso con chi ho potuto colpire o irritare, e' una solidarieta' reale con
coloro che oggi si battono per cambiare la societa'. Penso in effetti che
non si puo' combattere la tecnocrazia nazionale e internazionale se non
affrontandola sul suo terreno privilegiato, quello della scienza e in
particolare quella economica, e opponendo alla conoscenza astratta e monca
di cui essa si avvale una conoscenza piu' rispettosa degli uomini e delle
realta' che essi hanno di fronte.

8. LETTURE. IGOR MAN: L'ISLAM DALLA A ALLA Z
Igor Man, l'islam dalla a alla z, Garzanti, Milano 2001, pp. 128, lire
12.000, euro 6,20. Una raccolta di articoli introduttivi su temi, fatti,
strutture e personaggi del mondo islamico. Igor Man e' un prestigioso
giornalista, piu' volte insignito di riconoscimenti per la sua opera per la
pace. Il libro ha come sottotitolo "Dizionario di guerra scritto per la
pace".

9. LETTURE. ARUNDHATI ROY: GUERRA E' PACE
Arundhati Roy, Guerra e' pace, Guanda, Parma 2002, pp. 198, euro 14, lire
27.101. Una bella raccolta di saggi contro la guerra e per i diritti umani e
la difesa della biosfera della scrittrice indiana (nel volume sono
recuperati anche i saggi gia' apparsi nel suo precedente libro La fine delle
illusioni).

10. LETTURE. MICHELE SARFATTI: LE LEGGI ANTIEBRAICHE SPIEGATE AGLI ITALIANI
DI OGGI
Michele Sarfatti, Le leggi antiebraiche spiegate agli italiani di oggi,
Einaudi, Torino 2002, pp. 110, euro 7,50. Un puntuale saggio introduttivo,
arricchito da una rigorosa appendice documentaria e statistica. L'autore e'
tra i massimi studiosi dell'argomento. Un libro che sarebbe utile far
leggere nelle scuole.

11. LETTURE. "MICROMEGA" 1/2002: RESISTERE, RESISTERE, RESISTERE!
"MicroMega" 1/2002, Resistere, resistere, resistere!, pp. 288, euro 10,50,
lire 20.330. Questo volume monografico della bella rivista animata da Paolo
Flores D'Arcais e' dedicato a "Mani pulite, dieci anni dopo". Ospita scritti
di Paolo Flores D'Arcais, di Marco Travaglio, di Paolo Biondani, un
colloquio con Guido Rossi, e dialoghi tra Antonio Tabucchi e Francesco
Saverio Borrelli, Carlo Lucarelli e Antonio Di Pietro, Andrea Camilleri e
Carla Del Ponte, Gianfranco Bettin, Omid Firouszi e Gherardo Colombo,
Giuliano Ferrara e Piercamillo Davigo; non compare invece un dialogo tra
Paolo Flores D'Arcais e Massimo D'Alema (le 50 pagine ad esso dedicate sono
state soppresse a seguito di un veto opposto alla pubblicazione
dall'ex-presidente del Consiglio, e sostituite da una nota redazionale di 14
righe che da' brevemente conto dell'accaduto).

12. LETTURE: "SERVITIUM" 138: VIVERE I CONFLITTI
"Servitium" 138, novembre-dicembre 2001, Vivere i conflitti, pp. 120, lire
14.000, euro 7,23. "Servitium" e' la bella collana di quaderni di ricerca
spirituale legata al ricordo di David Maria Turoldo; questi volume
monografico e' curato da Enrico Peyretti ed ospita contributi, oltre che del
curatore, di Rosanna Virgili, Rinaldo Fabris, Francesco Santi, Stefano
Allievi, Angela Dogliotti Marasso, Brunetto Salvarani, Alberto Signorini,
Pietro Prini, Bianca Marengo, Marco Bertoluzzo, Alberto L'Abate. Lo
raccomandiamo vivamente. Per richieste: tel. e fax 035657820, e-mail:
info@servitium.it, sito: www.servitium.it

13. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

14. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org ;
per contatti, la e-mail è: azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
http://www.peacelink.it/users/mir . Per contatti: lucben@libero.it ;
angelaebeppe@libero.it ; mir@peacelink.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it . Per
contatti: info@peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 346 del 9 febbraio 2002