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La nonviolenza e' in cammino. 344



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 344 del 16 gennaio 2002

Sommario di questo numero:
1. Domenico Gallo, codice di guerra
2. Giuliana Sgrena, raid sulle macerie afghane
3. Pax Christi, solidarieta' ai magistrati
4. Walter Benjamin, tesi di filosofia della storia
5. Riletture: Lorenzo Milani, "I care" ancora
6. La "Carta" del Movimento Nonviolento
7. Per saperne di piu'

1. IL PUNTO. DOMENICO GALLO: CODICE DI GUERRA
[Domenico Gallo e' un prestigioso magistrato. Questo intervento e' apparso
sul quotidiano "Il manifesto" del 16 gennaio]
Per la prima volta dal 1945, nell'ordinamento giuridico italiano e' entrato
di nuovo in vigore il Codice penale militare di guerra. Sotto il profilo
istituzionale, e' questa la vera novita' che emerge dalla partecipazione di
un corpo di spedizione italiano alla "guerra contro il terrorismo".
Per tutte le precedenti missioni all'estero compiute dalle forze armate
italiane, dalla guerra del Golfo, all'intervento in Somalia, a quello in
Bosnia e a quello nel Kosovo, e' stata sempre emanata una norma speciale
che, in deroga a quanto previsto dall'articolo 9 del Codice penale militare
di guerra, prevedeva che alla missione militare italiana all'estero
dovessero applicarsi le norme del codice penale militare di pace.
Molti giorni dopo il voto del Parlamento sulla partecipazione italiana, nel
silenzio generale, e' stato emanato un decreto legge (1 dicembre 2001, n.
421), che contiene norme urgenti per la partecipazione di personale militare
all'operazione multinazionale denominata "Enduring Freedom". Gli articoli 8
e 9 del decreto prevedono che "al corpo di spedizione italiano" si applica
il codice penale militare di guerra, con esclusione delle disposizioni di
natura processuale. In parole povere, i reati previsti dal codice penale
militare di guerra non saranno giudicati dagli speciali Tribunali militari
di guerra (che non esistono piu') ma dalla ordinaria giustizia penale
militare.
Nello stesso giorno il governo ha presentato al Senato un disegno di legge
che conteneva modifiche al codice penale militare di guerra. Queste
modifiche si riducono a ben poca cosa e lasciano interamente in piedi
l'impianto normativo e ideologico del codice penale militare di guerra,
compresa la giurisdizione dei Tribunali speciali militari, che - invece - il
decreto legge ha disapplicato, considerandola incostituzionale.
Ma introducono due peggioramenti significativi. Il primo e' che viene
ampliata la portata dell'articolo 9, prevedendo che in caso di missioni
all'estero (anche in tempo di pace), le disposizioni del codice penale
militare di guerra si applicano non solo al Corpo di spedizione, ma anche al
personale militare che svolge compiti di supporto nel territorio nazionale.
Il secondo e' che viene reintrodotto il cosiddetto "reato militarizzato",
che nell'ordinamento italiano era stato cancellato nel lontano 1956: i
Tribunali militari tornano ad avere competenza su molti reati comuni,
purche' commessi in divisa. Peraltro il "reato militarizzato" viene
introdotto con una ampiezza molto piu' estesa di quella vigente durante la
seconda guerra mondiale.
Non e' un caso che il disegno di legge per la conversione del decreto legge
Enduring Freedom e il disegno di legge per le modifiche al codice penale
militare di guerra siano stati presentati contestualmente. Sono funzionali
l'uno all'altro ed esprimono un unico indirizzo in tema di recupero e
riutilizzabilita' di leggi di guerra che affondano le loro radici nella
notte della storia.
Non si puo' negare che quando si compie una missione con contenuto bellico
sorga la necessita' che le operazioni militari siano disciplinate da un
corpo di norme specifiche, che nel codice penale militare di pace mancano.
Ci sono di mezzo parecchie convenzioni internazionali relative al diritto
umanitario di guerra, che tutelano la popolazione civile e i prigionieri,
convenzioni che vanno rese pienamente operative.
Nel codice penale militare di guerra esiste un intero capitolo (il titolo
IV) che disciplina i reati contro le leggi e gli usi di guerra, rendendo
punibili comportamenti che normalmente sono interdetti dalle Convenzioni
internazionali, come le sevizie e i maltrattamenti ai prigionieri. Gli
esempi si sprecano, uno per tutti i cappucci, i tranquillanti, le catene e
le gabbie di filo spinato impiegati dalle forze armate americane sui
prigionieri di al Qaeda. Per rendere operativa tale disciplina, pero', la
strada maestra non era quella di riesumare tutto il codice penale militare
di guerra, ma quella di richiamare la disciplina specifica relativa ai reati
contro le leggi e gli usi di guerra, dichiarandola applicabile
all'operazione "Enduring Freedom".
La strada seguita, paradossalmente, rende invece tale disciplina inoperante.
E' stato infatti riesumato anche l'articolo 165 che prevede che i reati
contro le leggi e gli usi di guerra sono punibili "in seguito a disposizione
del Comandante Supremo e solo in quanto lo Stato nemico garantisca parita'
di tutela penale allo Stato italiano ed ai suoi cittadini". E' evidente che,
nel caso della missione Enduring Freedom, questa condizione di punibilita'
potrebbe non verificarsi mai, per una semplice ragione: i "terroristi" non
sono uno Stato nemico. Il disegno di legge di modifica del codice penale
militare di guerra prevede infatti l'abrogazione di questa disposizione,
perche' contrasta con gli obblighi internazionali assunti dall'Italia e
derivanti dalle Convenzioni e dal Protocollo di Ginevra. Ma la disciplina
del decreto legge e' pienamente vigente, mentre le proposte modifiche del
codice penale militare di guerra non si sa se e quando saranno trasformate
in legge. Pertanto il decreto legge fallisce completamente l'obiettivo -
ammesso che l'abbia mai avuto - di rendere operanti ed applicabili a
Enduring Freedom le norme del diritto umanitario che l'Italia ha l'obbligo
di osservare.
Tuttavia questa riesumazione delle leggi di guerra non e' priva di effetti
collaterali. Per esempio, credete che la pena di morte sia stata abolita?
Nei fatti potrebbe non essere del tutto vero: e' stata richiamata in vita
una norma, l'articolo 183, che consente ai comandanti militari di passare
immediatamente per le armi le spie o i combattenti che non indossino
l'uniforme. Fatto anche piu' grave, sono state riesumate delle norme che non
si applicano soltanto ai militari ma a "chiunque", come l'articolo 76 che
punisce la divulgazione di notizie diverse da quelle ufficiali, o l'articolo
80 che punisce la pubblicazione di critiche o scritti polemici sulle
operazioni militari o sull'andamento della guerra, o l'articolo 87 che
punisce la denigrazione della guerra.
Ovviamente, dalla riesumazione del codice penale militare di guerra
effettuata con il decreto legge non deriva automaticamente che tali norme
siano concretamente operanti. A questo punto la questione diventa un
problema di interpretazione. E' interessante, pero', notare che queste
disposizioni contengono una sorta di codice deontologico dell'informazione
di guerra al quale tutti i mass media americani si attengono
scrupolosamente, e al quale si attengono spontaneamente una buona parte dei
mass media italiani, dai quali, anzi, cominciano a piovere intimazioni a
tacere. Si va dal grido "silete sociologi", lanciato da Panebianco sul
Corriere della Sera del 6 novembre, alla simpatica copertina di Libero che
l'8 novembre ha pubblicato le foto dei parlamentari traditori che "stanno
con il nemico", alle esternazioni del generale Fabio Mini che sul numero
4/2001 di Limes ha invocato una "lotta istituzionale" contro "la spazzatura
propagandistica e di disinformazione che ci viene propinata sotto le nobili
vesti del diritto al dissenso", aggiungendo con tono minaccioso che essa
"non sara' ne' semplice ne' indolore" (cfr. "Il manifesto" del 21 dicembre).
Insomma non e' stato riesumato solo un codice condannato dalla storia, ma e'
stata riesumata anche una cultura ante seconda guerra mondiale, che
credevamo sparita per sempre: tacete, il nemico vi ascolta.

2. INFORMAZIONE. GIULIANA SGRENA: RAID SULLE MACERIE AFGHANE
[Giuliana Sgrena e' giornalista e saggista. Questo articolo appare sul
quotidiano "Il manifesto" del 16 gennaio]
Un piccolo gruppo di americani, quattro per la precisione, che hanno perso
loro familiari nell'attentato alle torri di New York sono arrivati ieri in
Afghanistan per una visita di tre giorni. Incontreranno le famiglie vittime
dei bombardamenti fatti dagli americani, che continuano, come rappresaglia
agli attentati terroristici di New York. Tutte vittime civili di forme
diverse di violenza, tutte da condannare. Oltre 3.000 le vittime degli
attentati dell'11 settembre a New York, 4-5.000 (e sono solo stime) gli
afghani morti sotto le bombe dei caccia americani, e non e' ancora finita.
Tra gli americani arrivati a Kabul vi e' Derrill Bodley, un musicista
californiano, ha perso la figlia di vent'anni che si trovava sull'aereo
dirottato in Pennsylvania. Incontrera' il padre di una bambina di cinque
anni morta sotto i bombardamenti in una zona residenziale di Kabul. E nella
capitale afghana e' arrivata anche Rita Lasar, 70 anni, che ha perso il
fratello nelle torri gemelle. E Kelly Campbell, il cui fratello lavorava al
Pentagono. Il viaggio e gli incontri, che saranno numerosi e comprendono
anche una visita all'ospedale di Kabul, e' stato organizzato da una
organizzazione non governativa, la Global exchange. L'obiettivo: la
riconciliazione tra le due nazioni, dopo gli attentati e oltre tre mesi di
bombardamenti. Un compito non facile. La riconciliazione non sara' semplice
non solo tra Stati Uniti e Afghanistan, ma tra occidente e mondo islamico.
Il messaggio della crociata lanciata da Bush e dell'attacco all'islam
sostenuto da Osama bin Laden e' profondamente attecchito nelle societa' dei
paesi islamici, dove settori sempre piu' ampi (e anche laici) lo vivono come
uno scontro tra civilta'.
Un solco che si acuisce con il protrarsi delle operazioni militari che
stanno radendo al suolo la zona orientale di Khost, al confine con il
Pakistan. Dopo Tora Bora e Khawar Kili, il Pentangono ha annunciato che
tentera' di "ripulire" un'altra zona, per ora non precisata. Sempre alla
ricerca di basi di al Qaeda e del super ricercato Osama bin Laden. Che
pero', secondo un rapporto della stessa Cia (che sarebbe stato presentato
nei giorni scorsi al direttore George Tenet e i cui contenuti sono stati
rivelati ieri dalla televisione americana Abc, ma definiti "completamente
falsi" dall'intelligence), sarebbe gia' fuggito dall'Afghanistan ai primi di
dicembre, lasciando dietro di se' solo una scia di video. La fuga sarebbe
avvenuta probabilmente via mare e per questo il blocco navale istituito nel
mar arabico per perquisire le imbarcazioni di passaggio. Senza successo.
Secondo l'ipotesi della Cia rivelata da Abc il ricercato numero uno potrebbe
gia' aver raggiunto un approdo, insieme al suo braccio destro, il medico
egiziano Ayman Al Zawahiri, in un luogo dove gia' esistevano basi della sua
organizzazione. Le ipotesi: il sud est asiatico o le coste dell'Africa
orientale. Ovvero i paesi presi di mira dalla campagna antiterrorismo:
Filippine, Indonesia, Yemen e Somalia.
Se questa e' la convinzione della Cia, c'e' da chiedersi come mai continuano
i bombardamenti su un paese gia' distrutto e che oltretutto continuano a
colpire civili. Tanto che mentre si annuncia il rientro in Afghanistan dei
profughi altre migliaia di afghani fuggono dal paese o cercano di farlo,
perche' finche' il Pakistan mantiene le frontiere chiuse restano bloccati
nella terra di nessuno. Ieri l'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i
rifugiati, da Ginevra, ha lanciato un appello al Pakistan perche' accolga
circa 13.000 disperati fuggiti dalla zona a sud di Kandahar ancora meta
delle scorribande di taleban e di banditi. Ora si trovano in un campo di
transito alla frontiera di Chaman al gelo, senza ripari e senza assistenza
medica. Oltre a questi, altri 60.000 circa premono sul confine. "Siamo
preoccupati perche' decine di migliaia di afghani che vivono in campi
improvvisati a Spin Boldak in Afghanistan possono cercare di entrare in
Pakistan vista la mancanza di assistenza e il deterioramento della
situazione dal punto di vista della sicurezza", ha detto il portavoce
dell'Unhcr Kris Janowski. Ma il Pakistan, che gia' ospita sul suo territorio
circa 3 milioni di profughi, non vuole cedere.
Mentre continuano a piovere bombe sull'Afghanistan, la promessa pioggia di
dollari tarda ad arrivare e il paese rischia di sprofondare. Occorrono
subito 100 milioni di dollari, sostiene anche Ahmed Fawzi portavoce
dell'inviato speciale del segretario generale dell'Onu, Lakhdar Brahimi.
Per ora, in settimana, arrivera' la solidarieta' del segretario di stato Usa
Colin Powell, sulla strada per Tokyo dove presiedera' la conferenza
internazionale dei donatori che si tiene il 21 e 22 gennaio. In quella
occasione la solidarieta' politica dovrebbe tradursi anche in dollari. Per
la ricostruzione si calcola che occorrano 15 miliardi di dollari in dieci
anni. E mentre e' stato tolto l'embargo alla linea aerea afghana Ariana che
tornera' a volare, traffico aereo permettendo, ieri e' finalmente atterrato
a Baghram il C-130 dell'aeronautica militare con a bordo i primi 11
ufficiali del contingente italiano. Partiti 7 giorni fa da Pisa erano
rimasti bloccati dal tempo negli Emirati, come il secondo C-130 che dovrebbe
arrivare oggi.

3. DOCUMENTI. PAX CHRISTI: SOLIDARIETA' AI MAGISTRATI
[Dalla segreteria nazionale di Pax Christi, movimento cattolico per la pace,
riceviamo e diffondiamo. Per contatti: Pax Christi Italia, segreteria
nazionale, via Petronelli 6, 70052 Bisceglie  (BA), tel. 0803953507, fax:
0803953450, e-mail: info@paxchristi.it, sito: www.paxchristi.it, o anche:
www.peacelink.it/users/paxchristi/]
Pax Christi Italia e il "Centro studi economico-sociali per la pace" di Pax
Christi esprimono solidarieta' ai magistrati italiani, che hanno manifestato
il loro dissenso nei confronti delle proposte di modifica dell'ordinamento
giudiziario avanzate dal Governo (nonche' le leggi di recente approvate che
diminuiscono la possibilita' di rendere giustizia - falso in bilancio,
rogatorie, ecc.), modificazioni, per quanto ci e' dato conoscere, fatte con
leggi ordinarie che svuotano di fatto i principi fondamentali della nostra
Costituzione repubblicana.
La tensione tra forze di Governo e Magistratura a parere nostro non e'
dovuta a posizioni arretrate e conservatrici della Magistratura stessa, che
in questi anni ha contribuito, per quanto le e' stato possibile, a fare
chiarezza su molti misteri del nostro Stato, ma al rischio che essa sia
privata della sua indipendenza dal potere politico.
Dal canto nostro vogliamo sottolineare ancora una volta le strane
coincidenze che fanno si' che le proposte governative sulla giustizia siano
analoghe a quelle contenute nel "piano di rinascita" della loggia massonica
P2, documenti sequestrati nel 1982 e acquisiti dal Parlamento italiano nella
IX Legislatura con l'istituzione di una Commissione d'inchiesta presieduta
dall'on. Tina Anselmi. Poiche' pero' molti cittadini, soprattutto i piu'
giovani, non conoscono il contenuto di questo piano eversivo ci permettiamo
di chiedere ai mezzi di informazione (Rai, giornali) di pubblicare anche le
proposte della P2 sull'ordinamento giudiziario stralciabili dagli atti
parlamentari, affinche' tutti possano fare un confronto chiaro con le
attuali proposte del Governo per meglio comprendere a chi giovano le nuove
leggi.
La rivista di Pax Christi "Mosaico di pace" continuera' a farsi voce di
questi problemi anche pubblicando alcuni dei testi citati che saranno quindi
a disposizione di quanti lo desiderano.
L'amministrazione della giustizia in Italia ha bisogno di essere piu'
celere, ma con regole che valgano per tutti: ricchi e poveri, potenti e
nullatenenti.
Tutti pero' abbiamo bisogno di riscoprire il valore della legalita' e del
bene comune, che e' garanzia di democrazia cosi' come ci veniva a suo tempo
autorevolmente chiesto dal documento dei vescovi italiani "Educare alla
legalita'".

4. MAESTRI. WALTER BENJAMIN: TESI DI FILOSOFIA DELLA STORIA
[Da Walter Benjamin, Angelus novus. Saggi e frammenti, Einaudi, Torino 1962,
1976, 1981, 1995 (ma noi abbiamo sotto gli occhi l'edizione del 1981).
Questo breve scritto e' a nostro avviso un'opera ad un tempo enigmatica e
capitale, fomite a molteplici riflessioni e prisma dai riflessi cangianti ad
ogni rilettura; e' proprio dei pensatori piu' grandi non trarti a un
consenso passivo, non emanare fogli d'ordini, ma suscitare riflessione altra
e ulteriore, convocare a una crisi e a un decidersi, disporsi ad un tempo
alla perplessita' ed alla persuasione, all'ascolto (sentire insieme:
consentire; sentire diversamente: dissentire) che chiama alla condivisione e
all'agire, farsi cercatori ed assumere responsabilita'. La traduzione e' di
Renato Solmi, maestro tra i maestri.
Walter Benjamin, nato a Berlino nel 1892, saggista di sconvolgente
profondità, all'avvento del nazismo abbandona la Germania, si uccide nel
1940 al confine tra Francia e Spagna per sfuggire ai nazisti. Opere di
Walter Benjamin: in italiano fondamentale è la raccolta di saggi e frammenti
Angelus novus, Einaudi, Torino; e quella che prende il titolo da L'opera d'
arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, Einaudi, Torino. Sempre
presso Einaudi (che ha in corso la pubblicazione delle Opere, a cura di
Giorgio Agamben) cfr. anche: Avanguardia e rivoluzione, Critiche e
recensioni, Diario moscovita, Il concetto di critica nel romanticismo
tedesco (Scritti 1919-1922), Il dramma barocco tedesco, Immagini di citta',
Infanzia berlinese, Metafisica della gioventu' (Scritti 1910-1918), Ombre
corte (Scritti 1928-1929), Parigi capitale del XIX secolo, Strada a senso
unico, Sull'hascisch, Teologia e utopia (Carteggio 1933-1940 con Gershom
Scholem), Tre drammi radiofonici, e le Lettere (1913-1940). Presso Adelphi
cfr. la sua antologia di lettere commentate di autori del passato, Uomini
tedeschi.  Opere su Walter Benjamin: per la bibliografia: M. Brodersen, Walt
er Benjamin. Bibliografia critica generale (1913-1983), Aesthetica, Palermo
1984; R. Cavagna, Benjamin in Italia. Bibliografia italiana, 1956-1980,
Sansoni, Firenze 1982. Saggi: cfr. almeno AA. VV. (a cura di Franco Rella),
Materiali su Walter Benjamin, Venezia 1982; AA. VV., Paesaggi benjaminiani,
fascicolo monografico della rivista "aut aut", nn. 189-190, 1982; AA. VV.,
Walter Benjamin. Tempo storia linguaggio, Editori Riuniti, Roma 1983;
Hannah Arendt, Il pescatore di perle, Mondadori, Milano 1993 (saggio incluso
anche in Hannah  Arendt, Il futuro alle spalle, Il Mulino, Bologna);
Fabrizio Desideri, Walter Benjamin. Il tempo e le forme, Editori Riuniti,
Roma 1980; Hans Mayer, Walter Benjamin, Garzanti, Milano 1993; Gershom
Scholem, Walter Benjamin e il suo angelo, Adelphi, Milano 1978; Gershom
Scholem, Walter Benjamin. Storia di un'amicizia, Adelphi, Milano 1992. Cfr.
anche Paolo Pullega, Commento alle "Tesi di filosofia della storia" di
Walter Benjamin, Cappelli, Bologna 1980]

1.
Si dice che ci fosse un automa costruito in modo tale da rispondere, ad ogni
mossa di un giocatore di scacchi, con una contromossa che gli assicurava la
vittoria. Un fantoccio in veste da turco, con una pipa in bocca, sedeva di
fronte alla scacchiera, poggiata su un'ampia tavola. Un sistema di specchi
suscitava l'illusione che questa tavola fosse trasparente da tutte le parti.
In realta' c'era accoccolato un nano gobbo, che era un asso nel gioco degli
scacchi e che guidava per mezzo di fili la mano del burattino. Qualcosa di
simile a questo apparecchio si puo' immaginare nella filosofia. Vincere deve
sempre il fantoccio chiamato "materialismo storico". Esso puo' farcela
senz'altro con chiunque se prende al suo servizio la teologia, che oggi,
com'e' noto, e' piccola e brutta, e che non deve farsi scorgere da nessuno.

2.
"Una delle caratteristiche piu' notevoli dell'animo umano, - scrive Lotze, -
e', fra tanto egoismo nei particolari, la generale mancanza di invidia del
presente verso il proprio futuro". La riflessione porta a concludere che
l'idea di felicita' che possiamo coltivare e' tutta tinta del tempo a cui ci
ha assegnato, una volta per tutte, il corso della nostra vita. Una gioia che
potrebbe suscitare la nostra invidia, e' solo nell'aria che abbiamo
respirato, fra persone a cui avremmo potuto rivolgerci, con donne che
avrebbero potuto farci dono di se'. Nell'idea di felicita', in altre parole,
vibra indissolubilmente l'idea di redenzione. Lo stesso vale per la
rappresentazione del passato, che e' il compito della storia. Il passato
reca seco un indice temporale che lo rimanda alla redenzione. C'e' un'intesa
segreta fra le generazioni passate e la nostra. Noi siamo stati attesi sulla
terra. A noi, come ad ogni generazione che ci ha preceduto, e' stata data in
dote una debole forza messianica, su cui il passato ha un diritto. Questa
esigenza non si lascia soddisfare facilmente. Il materialista storico lo sa.

3.
Il cronista che enumera gli avvenimenti senza distinguere tra i piccoli e i
grandi, tiene conto della verita' che nulla di cio' che si e' verificato va
dato perduto per la storia. Certo, solo all'umanita' redenta tocca
interamente il suo passato. Vale a dire che solo per l'umanita' redenta il
passato e' citabile in ognuno dei suoi momenti. Ognuno dei suoi attimi
vissuti diventa una "citation a l'ordre du jour" - e questo giorno e' il
giorno finale [der juengste Tag].

4.
"Cercate dapprima cibo e vestimento;
e il regno di Dio vi arrivera' da solo"
(Hegel, 1807)
La lotta di classe, che e' sempre davanti agli occhi dello storico educato
su Marx, e' una lotta per le cose rozze e materiali, senza le quali non
esistono quelle piu' fini e spirituali. Ma queste ultime sono presenti,
nella lotta di classe, in altra forma che non sia la semplice immagine di
una preda destinata al vincitore. Esse vivono, in questa lotta, come
fiducia, coraggio, umore, astuzia, impassibilita', e agiscono
retroattivamente nella lontananza dei tempi. Esse rimetteranno in questione
ogni vittoria che sia toccata nel tempo ai dominatori. Come i fiori volgono
il capo verso il sole, cosi', in forza di un eliotropismo segreto, tutto
cio' che e' stato tende a volgersi verso il sole che sta salendo nel cielo
della storia. Di questa trasformazione, meno appariscente di ogni altra,
deve intendersi il materialista storico.

5.
La vera immagine del passato passa di sfuggita. Solo nell'immagine, che
balena una volta per tutte nell'attimo della sua conoscibilita', si lascia
fissare il passato. "La verita' non puo' scappare" - questo motto, che e' di
Gottfried Keller, segna esattamente il punto, nella concezione storicistica
della storia, in cui essa e' spezzata dal materialismo storico. Poiche' e'
un'immagine irrevocabile del passato che rischia di svanire ad ogni presente
che non si riconosca significato, indicato in esso. (La lieta novella che lo
storico del passato porta senza respiro, viene da una bocca che forse, gia'
nel momento in cui si apre, parla nel vuoto).

6.
Articolare storicamente il passato non significa conoscerlo "come
propriamente e' stato". Significa impadronirsi di un ricordo come esso
balena nell'istante di un pericolo. Per il materialismo storico si tratta di
fissare l'immagine del passato come essa si presenta improvvisamente al
soggetto storico nel momento del pericolo. Il pericolo sovrasta tanto il
patrimonio della tradizione quanto coloro che lo ricevono. Esso e' lo stesso
per entrambi: di ridursi a strumento della classe dominante. In ogni epoca
bisogna cercare di strappare la tradizione al conformismo che e' in procinto
di sopraffarla. Il Messia non viene solo come redentore, ma come vincitore
dell'Anticristo. Solo quello storico ha il dono di accendere nel passato la
favilla della speranza, che e' penetrato dall'idea che anche i morti non
saranno al sicuro dal nemico, se egli vince. E questo nemico non ha smesso
di vincere.

7.
"Considerate il buio e il freddo grande
di questa valle echeggiante di lacrime"
(Brecht, L'opera da tre soldi)
Fustel de Coulanges raccomanda allo storico che voglia rivivere un'epoca di
cacciarsi di mente tutto cio' che sa del corso successivo della storia. Non
si potrebbe definire meglio il procedimento con cui il materialismo storico
ha rotto i ponti. E' un procedimento di immedesimazione. La sua origine e'
la pigrizia del cuore, l'acedia, che dispera di impadronirsi dell'immagine
storica autentica, balenante per un attimo. Essa era considerata, dai
teologi del Medioevo, come il fondamento ultimo della tristezza. Flaubert,
che ne aveva fatto la conoscenza, scriveva: "Peu de gens devineront combien
il a fallu être triste pour ressusciter Carthage". La natura di questa
tristezza si chiarisce se ci si chiede in chi propriamente "si immedesima"
lo storico dello storicismo. La risposta suona inevitabilmente: nel
vincitore. Ma i padroni di ogni volta sono gli eredi di tutti quelli che
hanno vinto. L'immedesimazione nel vincitore torna quindi ogni volta di
vantaggio ai padroni del momento. Con cio' si e' detto abbastanza per il
materialista storico. Chiunque ha riportato fino ad oggi la vittoria,
partecipa al corteo trionfale in cui i dominatori di oggi passano sopra
quelli che oggi giacciono a terra. La preda, come si e' sempre usato, e'
trascinata nel trionfo. Essa e' designata con l'espressione "patrimonio
culturale". Esso dovra' avere, nel materialista storico, un osservatore
distaccato. Poiche' tutto il patrimonio culturale che egli abbraccia con lo
sguardo ha immancabilmente un'origine a cui non puo' pensare senza orrore.
Esso deve la propria esistenza non solo alla fatica dei grandi geni che lo
hanno creato, ma anche alla schiavitu' senza nome dei loro contemporanei.
Non e' mai documento di cultura senza essere, nello stesso tempo, documento
di barbarie. E come, in se', non e' immune dalla barbarie, non lo e' nemmeno
il processo della tradizione per cui e' passato dall'uno all'altro. Il
materialista storico si distanzia quindi da essa nella misura del possibile.
Egli considera come suo compito passare a contrappelo la storia.

8.
La tradizione degli oppressi ci insegna che lo "stato di emergenza" in cui
viviamo e' la regola. Dobbiamo giungere a un concetto di storia che
corrisponda a questo fatto. Avremo allora di fronte, come nostro compito, la
creazione del vero stato di emergenza; e cio' migliorera' la nostra
posizione nella lotta contro il fascismo. La sua fortuna consiste, non da
ultimo, in cio' che i suoi avversari lo combattono in nome del progresso
come di una legge storica. Lo stupore perche' le cose che viviamo sono
"ancora" possibili nel ventesimo secolo e' tutt'altro che filosofico. Non e'
all'inizio di nessuna conoscenza, se non di quella che l'idea di storia da
cui proviene non sta piu' in piedi.

9.
"La mia ala e' pronta al volo,
ritorno volentieri indietro,
poiche' restassi pur tempo vitale,
avrei poca fortuna"
(Gerhard Scholem, Il saluto dell'angelo)
C'e' un quadro di Klee che s'intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo
che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha
gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L'angelo della storia
deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una
catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua
rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi,
destare i morti e ricomporre l'infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso,
che si e' impigliata nelle sue ali, ed e' cosi' forte che egli non puo' piu'
chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui
volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo.
Cio' che chiamiamo il progresso, e' questa tempesta.

10.
Gli oggetti che la regola dei conventi dava in meditazione ai fratelli,
avevano il compito di distoglierli dal mondo e dalle sue faccende. Il
pensiero che svolgiamo qui nasce da una determinazione analoga. Esso si
propone, nel momento che i politici in cui avevano sperato gli avversari del
fascismo giacciono a terra e ribadiscono la disfatta col tradimento della
loro causa, di liberare l'infante politico mondiale dalle pastoie in cui lo
hanno avviluppato. La considerazione muove dal fatto che la cieca fede nel
progresso di quei politici, la loro fiducia nella loro "base di massa", e
infine il loro servile inquadramento in un apparato incontrollabile, non
erano che tre aspetti della stessa cosa. Essa cerca di dare l'idea di quanto
deve costare, al nostro pensiero abituale, una concezione della storia che
eviti ogni complicita' con quella cui quei politici continuano ad attenersi.

11.
Il conformismo, che e' sempre stato di casa nella socialdemocrazia, non
riguarda solo la sua tattica politica, ma anche le sue idee economiche. Ed
e' una delle cause del suo sfacelo successivo. Nulla ha corrotto la classe
operaia tedesca come l'opinione di nuotare con la corrente. Lo sviluppo
tecnico era il filo della corrente con cui credeva di nuotare. Di qui c'era
solo un passo all'illusione che il lavoro di fabbrica, trovandosi nella
direzione del progresso tecnico, fosse gia' un'azione politica. La vecchia
morale protestante del lavoro celebrava la sua resurrezione - in forma
secolarizzata - fra gli operai tedeschi. Il programma di Gotha reca gia'
tracce di questa confusione. Esso definisce il lavoro come "la fonte di ogni
ricchezza e di ogni cultura". Allarmato, Marx ribatte' che l'uomo che non
possiede altra proprieta' che la sua forza-lavoro, "non puo' non essere lo
schiavo degli altri uomini che si sono resi... proprietari". Ciononostante
la confusione continua a diffondersi, e poco dopo Josef Dietzgen proclama:
"Il lavoro e' il messia del tempo nuovo. Nel... miglioramento... del
lavoro... consiste la ricchezza, che potra' fare cio' che nessun redentore
ha compiuto". Questo concetto della natura del lavoro, proprio del marxismo
volgare, non si ferma troppo sulla questione dell'effetto che il prodotto
del lavoro ha sui lavoratori finche' essi non possono disporne. Esso non
vuol vedere che i progressi del dominio della natura, e non i regressi della
societa'; e mostra gia' i tratti tecnocratici che appariranno piu' tardi nel
fascismo. Fra cui c'e' anche un concetto di natura che si allontana
funestamente da quello delle utopie socialiste anteriori al '48. Il lavoro,
come e' ormai concepito, si risolve nello sfruttamento della natura, che
viene opposto - con ingenuo compiacimento - a quello del proletariato.
Paragonate a questa concezione positivistica, le fantasticherie che hanno
tanto contribuito a far ridere di Fourier, rivelano un senso
meravigliosamente sano. Secondo Fourier, il lavoro sociale ben ordinato
avrebbe avuto per effetto che quattro lune avrebbero illuminato la notte
terrestre, che il ghiaccio si sarebbe ritirato dai poli, che l'acqua del
mare non avrebbe piu' saputo di sale, e che gli animali feroci sarebbero
entrati al servizio degli uomini. Tutto cio' illustra un lavoro che, lungi
dallo sfruttare la natura, e' in grado di sgravarla dalle creature che
dormono latenti nel suo grembo. Al concetto corrotto del lavoro appartiene
come suo complemento la natura che, per dirla con Dietzgen, "esiste
gratuitamente".

12.
"Noi abbiamo bisogno della storia, ma ne abbiamo bisogno altrimenti che il
fannullone viziato nei giardini del sapere"
(Nietzsche, Sull'utilita' e il danno della storia)
Il soggetto della conoscenza storica e' la classe stessa oppressa che
combatte. In Marx essa appare come l'ultima classe schiava, come la classe
vendicatrice, che porta a termine l'opera della liberazione in nome di
generazioni di vinti. Questa coscienza, che e' tornata ad affermarsi per
breve tempo nella Lega di Spartaco, e' sempre stata ostica alla
socialdemocrazia. Nel corso di trent'anni essa e' riuscita ad estinguere
quasi completamente il nome di un Blanqui, che ha fatto tremare col suo
timbro metallico il secolo precedente. Essa si compiaceva di assegnare alla
classe oepraia la parte di redentrice delle generazioni future. E cosi' le
spezzava il nerbo migliore della sua forza. La classe disapprese, a questa
scuola, sia l'odio che la volonta' di sacrificio. Poiche' entrambi si
alimentano all'immagine degli avi asserviti, e  non all'ideale dei liberi
nipoti.

13.
"Forse che la nostra causa non diventa ogni giorno piu' chiara, e il popolo
ogni giorno piu' saggio?"
(Wilhelm Dietzgen, La religione della socialdemocrazia)
La teoria socialdemocratica, e piu' ancora la prassi, era determinata da un
concetto di progresso che non si atteneva alla realta', ma presentava
un'istanza dogmatica. Il progresso, come si delineava nel pensiero dei
socialdemocratici, era, anzitutto, un progresso dell'umanita' stessa (e non
solo delle sue capacita' e conoscenze). Era, in secondo luogo, un progresso
interminabile (corrispondente a una perfettibilita' infinita dell'umanita').
Ed era, in terzo luogo, essenzialmente incessante (tale da percorrere
spontaneamente una linea retta o spirale). Ciascuno di questi predicati e'
controverso, e da ciascuno potrebbe prendere le mosse la critica. Ma essa,
se si vuol fare sul serio, deve risalire oltre questi predicati e rivolgersi
a qualcosa di comune a essi tutti. La concezione di un progresso del genere
umano nella storia e' inseparabile da quella del processo della storia
stessa come percorrente un tempo omogeneo e vuoto. La critica dell'idea di
questo processo deve costituire la base della critica dell'idea del
progresso come tale.

14.
"L'origine e' la meta"
(Karl Kraus, Parole in versi I)
La storia e' oggetto di una costruzione il cui luogo non e' il tempo
omogeneo e vuoto, ma quello pieno di "attualita'" [Jetztzeit]. Cosi', per
Robespierre, la Roma antica era un passato carico di attualita', che egli
faceva schizzare dalla continuita' della storia. La Rivoluzione francese
s'intendeva come una Roma ritornata. Essa richiamava l'antica Roma
esattamente come la moda richiama in vita un costume d'altri tempi. La moda
ha il senso dell'attuale, dovunque esso viva nella selva del passato. Essa
e' un balzo di tigre nel passato. Ma questo balzo ha luogo in un'arena dove
comanda la classe dominante. Lo stesso balzo, sotto il cielo libero della
storia, e' quello dialettico, come Marx ha inteso la rivoluzione.

15.
La coscienza di far saltare il continuum della storia e' propria delle
classi rivoluzionarie nell'attimo della loro azione. La grande rivoluzione
ha introdotto un nuovo calendario. Il giorno in cui ha inizio un calendario
funge da acceleratore storico. Ed e' in fondo lo stesso giorno che ritorna
sempre nella forma dei giorni festivi, che sono i giorni del ricordo. I
calendari non misurano il tempo come orologi. Essi sono monumenti di una
coscienza storica di cui in Europa, da cento anni a questa parte, sembrano
essersi perdute le tracce. Ancora nella Rivoluzione di Luglio si e'
verificato un episodio in cui si e' affermata questa coscienza. Quando scese
la sera del primo giorno di battaglia, avvenne che in molti luoghi di
Parigi, indipendentemente  e nello stesso tempo, si sparasse contro gli
orologi delle torri. Un testimone oculare, che deve forse la sua divinazione
alla rima, scrisse allora: "Qui le croirait! on dit, qu'irrités contre
l'heure / De nouveaux Josués au pied de chaque tour / Tiraient sur les
cadrans pour arrêter le jour".

16.
Al concetto di un presente che non e' passaggio, ma in bilico nel tempo ed
immobile, il materialista storico non puo' rinunciare. Poiche' questo
concetto definisce appunto il presente in cui egli per suo conto scrive
storia. lo storicismo postula un'immagine "eterna" del passato, il
materialista storico un'esperienza unica con esso. Egli lascia che altri
sprechino le proprie forze con la meretrice "C'era una volta" nel bordello
dello storicismo. Egli rimane signore delle sue forze: uomo abbastanza per
far saltare il continuum della storia.

17.
Lo storicismo culmina in linea di diritto nella "storia universale"
[Universalgeschichte]. Da cui la storiografia materialistica si
differenzia - dal punto di vista metodico - forse piu' nettamente che da
ogni altra. La prima non ha un'armatura teoretica. Il suo procedimento e'
quello dell'addizione; essa fornisce una massa di fatti per riempire il
tempo omogeneo e vuoto. Alla base della storiografia materialistica e'
invece un principio costruttivo. Al pensiero non appartiene solo il
movimento delle idee, ma anche il loro arresto. Quando il pensiero si
arresta di colpo in una costellazione carica di tensioni, le impartisce un
urto per cui esso si cristallizza in una monade. Il materialista storico
affronta un oggetto storico unicamente e solo dove esso gli si presenta come
monade. In questa struttura egli riconosce il segno di un arresto messianico
dell'accadere o, detto altrimenti, di una chance rivoluzionaria nella lotta
per il passato oppresso. Egli la coglie per far saltare un'epoca determinata
dal corso omogeneo della storia; come per far saltare una determinata vita
dall'epoca, una determinata opera dall'opera complessiva. Il risultato del
suo procedere e' che nell'opera e' conservata e soppressa l'opera
complessiva, nell'opera complessiva l'epoca e nell'epoca l'intero decorso
della storia. Il frutto nutriente dello storicamente compreso ha dentro di
se' il tempo, come il seme prezioso ma privo di sapore.

18.
"I cinque scarsi decenni dell'homo sapiens, - dice un biologo moderno, -
rappresentano, in rapporto alla storia della vita organica sulla terra,
qualcosa come due secondi al termine di una giornata di ventiquattr'ore. La
storia infine dell'umanita' civilizzata occuperebbe, riportata su questa
scala, un quinto dell'ultimo secondo dell'ultima ora". Il tempo attuale [die
Jetztzeit], che, come modello del tempo messianico, riassume in una
grandiosa abbreviazione la storia dell'intera umanita', coincide esattamente
con la parte che la storia dell'umanita' occupa nell'universo.
a) Lo storicismo si accontenta di stabilire un nesso causale fra momenti
diversi della storia. Ma nessun fatto, perche' causa, e' gia' percio'
storico. Lo diventera' solo dopo, postumamente, in seguito a fatti che
possono esserne divisi da millenni. Lo storico che muove da questa
constatazione cessa di lasciarsi scorrere fra le dita la successione dei
fatti come un rosario. Coglie la costellazione in cui la sua propria epoca
e' entrata con un'epoca anteriore affatto determinata. E fonda cosi' un
concetto del presente come del "tempo attuale", in cui sono sparse schegge
di quello messianico.
b) E' certo che il tempo non era appreso dagli indovini, che cercavano di
estrarne cio' che si cela nel suo grembo, come omogeneo ne' come vuoto. Chi
tenga presente questo, puo' forse giungere a farsi un'idea del modo in cui
il passato era appreso nella memoria: e cioe' nello stesso. E' noto che agli
ebrei era vietato investigare il futuro. La thora' e la preghiera li
istruiscono invece nella memoria. Cio' li liberava dal fascino del futuro, a
cui soggiacciono quelli che cercano informazioni presso gli indovini. Ma non
per questo il futuro divento' per gli ebrei un tempo omogeneo e vuoto.
Poiche' ogni secondo, in esso, era la piccola porta da cui poteva entrare il
Messia.

5. RILETTURE. LORENZO MILANI: "I CARE" ANCORA
Lorenzo Milani, "I care" ancora, Emi, Bologna 2001, pp. 480, lire 35.000,
euro 18,08. Curata da Giorgio Pecorini, con una presentazione di Alessandro
Zanotelli, una raccolta di lettere, progetti, appunti e carte varie inedite
e/o restaurate del priore di Barbiana. Materiali utilissimi.
Il curatore, Giorgio Pecorini, e' un grande giornalista e saggista,
redattore e collaboratore di vari giornali e periodici, ha anche condotto
inchieste televisive per la Rai e la Televisione svizzera; e' stato un
fedele amico di don Milani, su cui ha scritto recentemente un libro
fondamentale. Opere di Giorgio Pecorini: oltre a vari saggi su riviste
culturali e in volumi collettivi, ha pubblicato cinque libri: La suora - La
monaca, Vallecchi, 1961; A messa coi carabinieri, La Locusta, 1968;
Dizionario della scuola democratica, M edizioni, 1977; Il milite noto,
Sellerio 1983; Don Milani! Chi era costui?, Baldini & Castoldi, 1996. Per
contatti: piazza Libertà 21, 53031 Càsole d'Elsa (SI).
L'autore delle pagine di presentazione, Alessandro Zanotelli, e' missionario
comboniano, ha diretto per anni la rivista "Nigrizia" conducendo inchieste
sugli aiuti e sulla vendita delle armi del governo italiano ai paesi del Sud
del mondo, scontrandosi con il potere politico, economico e militare
italiano: rimosso dall'incarico negli anni '80 è tornato in Africa a
condividere vita e speranze e lotte dei poveri. E' direttore responsabile
della rivista "Mosaico di pace", promossa da Pax Christi. Opere di
Alessandro Zanotelli: La morte promessa. Armi, droga e fame nel terzo mondo,
Publiprint, Trento 1987; Il coraggio dell'utopia, Publiprint, Trento 1988; I
poveri non ci lasceranno dormire, Monti, Saronno 1996; Leggere l'impero. Il
potere tra l'Apocalisse e l'Esodo, La meridiana, Molfetta 1996; Sulle strade
di Pasqua, Emi, Bologna 1998; Inno alla vita, Emi, Bologna 1998; Ti no ses
mia nat par noi, Cum, Verona 1998; La solidarietà di Dio, Emi, Bologna 2000.
Per contatti: "Nigrizia", vicolo Pozzo 1, 37129 Verona; "Mosaico di pace",
via Petronelli 6, 70052 Bisceglie (BA).
Lorenzo Milani e' nato a Firenze nel 1923, proveniente da una famiglia della
borghesia intellettuale, ordinato prete nel 1947. Opera dapprima a S. Donato
a Calenzano, ove realizza una scuola serale aperta a tutti i giovani di
estrazione popolare e proletaria, senza discriminazioni politiche. Viene poi
trasferito punitivamente a Barbiana nel 1954. Qui realizza l'esperienza
della sua scuola. Nel 1958 pubblica Esperienze pastorali, di cui la
gerarchia ecclesiastica ordinerà il ritiro dal commercio. Nel 1965 scrive la
lettera ai cappellani militari da cui deriverà il processo i cui atti sono
pubblicati ne L'obbedienza non è più una virtù. Muore dopo una lunga
malattia nel 1967: è appena uscita la Lettera a una professoressa della
scuola di Barbiana. L'educazione come pratica di liberazione, la scelta di
classe dalla parte degli oppressi, l'opposizione alla guerra, la denuncia
della scuola classista che discrimina i poveri: sono alcuni dei temi su cui
la lezione di don Milani resta di grande valore. Opere di Lorenzo Milani e
della scuola di Barbiana: Esperienze pastorali, L'obbedienza non è più una
virtù, Lettera a una professoressa, pubblicate tutte presso la Libreria
Editrice Fiorentina (LEF). Postume sono state pubblicate le raccolte di
Lettere di don Lorenzo Milani priore di Barbiana, Mondadori; le Lettere alla
mamma, Mondadori; e sempre delle lettere alla madre l'edizione critica,
integrale e annotata, Alla mamma - Lettere 1943-1967, Marietti. Altri testi
sono apparsi sparsamente in volumi di diversi autori. La casa editrice
Stampa Alternativa ha meritoriamente effettuato nell'ultimo decennio la
ripubblicazione di vari testi milaniani in edizioni ultraeconomiche e
criticamente curate. La EMI ha appena pubblicato, a cura di Giorgio
Pecorini, lettere, appunti e carte varie inedite di don Lorenzo Milani nel
volume I care ancora. Opere su Lorenzo Milani: sono ormai numerose;
fondamentali sono: Neera Fallaci, Vita del prete Lorenzo Milani. Dalla parte
dell'ultimo, Rizzoli, Milano 1993; Giorgio Pecorini, Don Milani! Chi era
costui?, Baldini & Castoldi, Milano 1996; Mario Lancisi (a cura di), Don
Lorenzo Milani: dibattito aperto, Borla, Roma 1979; Ernesto Balducci, L'
insegnamento di don Lorenzo Milani, Laterza, Roma-Bari 1995; Gianfranco
Riccioni, La stampa e don Milani, LEF, Firenze 1974; Antonio Schina (a cura
di), Don Milani, Centro di documentazione di Pistoia, 1993. Un repertorio
bibliografico sintetico è in Peppe Sini, Don Milani e l'educazione alla
pace, CRP, Viterbo 1998. Segnaliamo anche l'interessante fascicolo
monografico di "Azione nonviolenta" del giugno 1997. Segnaliamo anche il
fascicolo Don Lorenzo Milani, maestro di libertà, supplemento a "Conquiste
del lavoro", n. 50 del 1987. Tra i testi apparsi di recente: il testo su don
Milani di Michele Ranchetti nel suo libro Gli ultimi preti, ECP, S. Domenico
di Fiesole 1997; David Maria Turoldo, Il mio amico don Milani, Servitium,
Sotto il Monte (BG) 1997; Liana Fiorani, Don Milani tra storia e attualità,
LEF, Firenze 1997, poi Centro don Milani, Firenze 1999; AA. VV., Rileggiamo
don Lorenzo Milani a trenta anni dalla sua morte, Comune di Rubano 1998;
Centro documentazione don Lorenzo Milani e scuola di Barbiana, Progetto
Lorenzo Milani: il maestro, Firenze 1998; Liana Fiorani, Dediche a don
Milani, Qualevita, Torre dei Nolfi (AQ) 2001. Indirizzi utili: Centro di
documentazione Don Milani, c/o biblioteca comunale, Vicchio di Mugello (FI);
Centro nuovo modello di sviluppo, via della barra 32, 56019 Vecchiano (PI),
e-mail: coord@cnms.it; Edoardo Martinelli: martinelli@dada.it; Giorgio
Pecorini, piazza Libertà 21, 53031 Casole d'Elsa (SI); molti materiali di e
su don Milani sono nel sito http://www.etruria.org/nonsololibri/milani

6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

7. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org ;
per contatti, la e-mail è: azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
http://www.peacelink.it/users/mir . Per contatti: lucben@libero.it ;
angelaebeppe@libero.it ; mir@peacelink.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it . Per
contatti: info@peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 344 del 16 gennaio 2002