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La nonviolenza e' in cammino. 333



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 333 del 5 gennaio 2002

Sommario di questo numero:
1. Emmanuel Levinas, la giustizia
2. Hans Jonas, come agire
3. Paolo Barnard, cinque domande ai signori della guerra
4. Alcuni dati sulle violazioni dei diritti umani in Turchia nel 2001
5. Emilio R. Papa, sul ruolo del pubblico ministero e sui tentativi di
asservirlo al potere politico
6. Tiziana Filippi: un libro su Hannah Arendt, Simone Weil, Edith Stein,
Maria Zambrano
7. La "Carta" del Movimento Nonviolento
8. Per saperne di piu'

1. MAESTRI. EMMANUEL LEVINAS: LA GIUSTIZIA
[Da Emmanuel Levinas, Totalita' e infinito, Jaca Book, Milano 1980, 1990, p.
306.
Emmanuel Lévinas è nato a Kaunas in Lituania il 30 dicembre 1905 ovvero il
12 gennaio 1906 (per la nota discrasia tra i calendari giuliano e
gregoriano). "La Bibbia ebraica fin dalla più giovane età in Lituania,
Puskin e Tolstoj, la rivoluzione russa del '17 vissuta a undici anni in
Ucraina. Dal 1923, l'Università di Strasburgo, in cui insegnavano allora
Charles Blondel, Halbwachs, Pradines, Carteron e, più tardi, Guéroult. L'
amicizia di Maurice Blanchot e, attraverso i maestri che erano stati
adolescenti al tempo dell'affaire Dreyfus, la visione, abbagliante per un
nuovo venuto, di un popolo che eguaglia l'umanità e d'una nazione cui ci si
può legare nello spirito e nel cuore tanto fortemente che per le radici.
Soggiorno nel 1928-1929 a Friburgo e iniziazione alla fenomenologia già
cominciata un anno prima con Jean Hering. Alla Sorbona, Léon Brunschvicg. L'
avanguardia filosofica alle serate del sabato da Gabriel Marcel. L'
affinamento intellettuale - e anti-intellettualistico - di Jean Wahl e la
sua generosa amicizia ritrovata dopo una lunga prigionia in Germania; dal
1947 conferenze regolari al Collegio filosofico che Wahl aveva fondato e di
cui era animatore. Direzione della centenaria Scuola Normale Israelita
Orientale, luogo di formazione dei maestri di francese per le scuole dell'
Alleanza Israelita Universale del Bacino Mediterraneo. Comunità di vita
quotidiana con il dottor Henri Nerson, frequentazione di M. Chouchani,
maestro prestigioso -e impietoso- di esegesi e di Talmud. Conferenze
annuali, dal 1957, sui testi talmudici, ai Colloqui degli intellettuali
ebrei di Francia. Tesi di dottorato in lettere nel 1961. Docenza all'
Università di Poitiers, poi dal 1967 all'Università di Parigi-Nanterre, e
dal 1973 alla Sorbona. Questa disparato inventario è una biografia. Essa è
dominata dal presentimento e dal ricordo dell'orrore nazista (...)"
(Lévinas, Signature, in Difficile liberté). E' scomparso a Parigi il 25
dicembre 1995. Tra i massimi filosofi contemporanei, la sua riflessione
etica particolarmente sul tema dell'altro è di decisiva importanza. Opere di
Emmanuel Lévinas: segnaliamo in particolare En decouvrant l'existence avec
Husserl et Heidegger (tr. it. Cortina); Totalité et infini (tr. it. Jaca
Book); Difficile liberté (tr. it. parziale, La Scuola); Quatre lectures
talmudiques (tr. it. Il Melangolo); Humanisme de l'autre homme; Autrement qu
'être ou au-delà de l'essence (tr. it. Jaca Book); Noms propres (tr. it.
Marietti); De Dieu qui vient à l'idée (tr. it. Jaca Book); Ethique et infini
(tr. it. Città Nuova); Transcendance et intelligibilité (tr. it. Marietti);
Entre-nous (tr. it. Jaca Book). Per una rapida introduzione è adatta la
conversazione con Philippe Nemo stampata col titolo Ethique et infini. Opere
su Emmanuel Lévinas: Per la bibliografia: Roger Burggraeve, Emmanuel
Lévinas. Une bibliographie première et secondaire (1929-1985), Peeters,
Leuven 1986. Monografie: S. Petrosino, La verità nomade, Jaka Book, Milano
1980; G. Mura, Emmanuel Lévinas, ermeneutica e separazione, Città Nuova,
Roma 1982; E. Baccarini, Lévinas. Soggettività e infinito, Studium, Roma
1985; S. Malka, Leggere Lévinas, Queriniana, Brescia 1986; Battista Borsato,
L'alterità come etica, EDB, Bologna 1995; Giovanni Ferretti, La filosofia di
Levinas, Rosenberg & Sellier, Torino 1996; Gianluca De Gennaro, Emmanuel
Levinas profeta della modernità, Edizioni Lavoro, Roma 2001. Tra i saggi,
ovviamente non si può non fare riferimento ai vari di Maurice Blanchot e di
Jacques Derrida (di quest'ultimo cfr. il grande saggio su Lévinas, Violence
et métaphysique, in L'écriture et la différence, Editions du Seuil, Parigi
1967). In francese cfr. anche Marie-Anne Lescourret, Emmanuel Lévinas,
Flammarion; François Poirié, Emmanuel Lévinas, Babel]
La giustizia e' un diritto alla parola.

2. MAESTRI. HANS JONAS: COME AGIRE
[Da Hans Jonas, Il principio responsabilita', Einaudi, Torino 1990, 1993, p.
16.
Hans Jonas è nato a Mönchengladbach nel 1903, è stato allievo di Heidegger e
Bultmann, ed uno dei massimi specialisti dello gnosticismo. Nel 1933 si è
trasferito dapprima in Inghilterra e poi in Palestina, dal 1949 ha insegnato
in diverse università nordamericane, dedicandosi a studi di filosofia della
natura e di filosofia della tecnica. E' uno dei punti di riferimento del
dibattito bioetico. Al suo "principio responsabilità" si ispirano
riflessioni e pratiche ecopacifiste, della solidarietà, dell'etica
contemporanea. E' scomparso nel 1993. Opere di Hans Jonas: sono fondamentali
Il principio responsabilità, Einaudi, Torino 1993; la raccolta di saggi
filosofici Dalla fede antica all'uomo tecnologico, Il Mulino, Bologna 1994;
Tecnica, medicina ed etica, Einaudi, Torino 1997; Organismo e libertà,
Einaudi, Torino 1999; una raccolta di tre brevi saggi di autobiografia
intellettuale è Scienza come esperienza personale, Morcelliana, Brescia
1992. Si vedano anche Il concetto di Dio dopo Auschwitz, Il melangolo,
Genova 1995, e La filosofia alle soglie del Duemila, Il melangolo, Genova
1994; cfr. anche Lo gnosticismo, Sei, Torino 1995. Un utile libro di
interviste e conversazioni è Sull'orlo dell'abisso, Einaudi, Torino 2000.
Opere su Hans Jonas: si veda la parte su Jonas in AA. VV., Etiche della
mondialità, Cittadella, Assisi 1996, e la bibliografia critica lì segnalata.
Per un profilo sintetico ed una ampia nota bibliografica, cfr. anche
Giovanni Fornero, Jonas: la responsabilità verso le generazioni future,
nella Storia della filosofia fondata da Nicola Abbagnano, volume decimo,
Tea, Milano 1996]
"Agisci in modo che le conseguenze della tua azione siano compatibili con la
permanenza di un'autentica vita umana sulla terra", oppure, tradotto in
negativo: "Agisci in modo che le conseguenze della tua azione non
distruggano la possibilita' futura di tale vita", oppure, semplicemente:
"Non mettere in pericolo le condizioni della sopravvivenza indefinita
dell'umanita' sulla terra", o ancora, tradotto nuovamente in positivo:
"Includi nella tua scelta attuale l'integrita' futura dell'uomo come oggetto
della tua volonta'".

3. RIFLESSIONE. PAOLO BARNARD: CINQUE DOMANDE AI SIGNORI DELLA GUERRA
[Paolo Barnard e' giornalista di "Report", Rai 3. Questo intervento abbiamo
ripreso dall'ottimo sito pacifista e libertario "Nonluoghi",
www.nonluoghi.it]
Non mi perdo in preamboli: la nostra Guerra al Terrorismo sembra aver
prodotto finora un crimine contro l'umanita' pari a quello perpetrato l'11
Settembre 2001 a New York e a Washington, pari sia per l'assurdita' delle
intenzioni che, all'incirca, per il numero di vittime innocenti.
Ma la mia opinione vale quel tanto. Cio' che invece vale e' l'obiettivita'
dei seguenti punti, ai quali i sostenitori della Guerra al Terrorismo di
Bush, Blair e Berlusconi devono dare risposte precise. Ripeto: devono.
*
Primo punto: quanti civili afghani sono stati uccisi da questa guerra?
Infatti ancora non esistono cifre ufficiali sulle vittime innocenti della
triade di fuoco americana Cruise-Daisy Cutters-Cluster Bombs, fatta piovere
dal cielo sulle distese afghane. Tuttavia un tentativo di raccogliere dati
attendibili sui morti civili dei bombardamenti e' stato fatto, e il
risultato parla di 3.767 vittime finora ("A Dossier on Civilian Victims of
United States' Arial Bombing of Afghanistan", Prof. Marc Herold, Department
of Economics, University of New Hampshire, Usa); e' una cifra per difetto,
poiche' il Prof. Herold non ha tenuto conto:
1) dei decessi avvenuti in seguito alle ferite riportate;
2) delle morti avvenute fra il 10 dicembre 2001 e oggi;
3) delle morti per fame e gelo a causa dell'interruzione delle forniture
umanitarie imposta dai bombardamenti;
4) dei morti fra i contadini in fuga che sono incappati nelle vecchie mine
della guerra sovietica o nelle bombette Cluster appena sparse dagli
americani attorno ad alcuni villaggi.
E non si risponda che si tratta di morti accidentali, poiche' la decisione
di bombardare da alte quote e' stata presa a Washington e a Londra con lo
scopo preciso di risparmiare le vite dei loro piloti e dei loro marines.
Dopo la strage nel villaggio afghano di Chowkar-Karez (93 civili morti)
bersagliato da un AC-130 americano, il Pentagono ha commentato nel seguente
modo: "Quelli sono morti perche' li volevamo morti" (Pentagon Press Release,
October 2001). E se questa dichiarazione puo' sembrare inumana, vale la pena
ricordare che il cinismo piu' sconcertante e' la norma a Washington: quando
la giornalista americana Lesley Stahl chiese all'allora Segretario di Stato
M. Albright se la morte di 500.000 bambini iracheni era un prezzo che
Washington poteva moralmente pagare per mantenere le sanzioni contro Saddam
Hussein, la Albright rispose: "Dopo tutto, si', ne vale la pena" (CBS, 60
Minutes, 12 maggio 1996).
E precisamente le stesse parole erano state usate dal George Bush Senior per
commentare i 2.000 civili panamensi uccisi nel patetico tentativo americano
di rovesciare Manuel Noriega nel 1989: "Ne e' valsa la pena" (New York
Times, 22 dicembre 1989, p. 16). Di nuovo: quanti civili afghani sono stati
uccisi da questa guerra?
*
Secondo punto: quanti morti fra i civili afghani ci saranno? Sto parlando
dei futuri morti per freddo, per fame o per malattia in seguito
all'interruzione delle forniture umanitarie causata dai bombardamenti, e
alla quale la cosiddetta "liberazione" di Kabul ha posto assai pochi rimedi.
Sto parlando del pericolo futuro per i civili inermi (soprattutto per le
donne) rappresentato dalle bande di assassini, stupratori e coltivatori di
oppio che formano larga parte della cosiddetta Alleanza del Nord; e ancora,
sto parlando dei futuri morti perche' incappati nelle bombe Cluster o
perche' uccisi dalle famigerate mine sovietiche.
Ma andiamo con ordine.
Christian Aid, una delle piu' stimate ONG del mondo, ha dichiarato che
"Dall'11 settembre il nostro lavoro e' stato di fatto bloccato" e "Dal 12 di
novembre, data della liberazione di quasi tutto l'Afghanistan, la quantita'
di aiuti che ci e' concesso portare e' crollata di piu' della meta',
nonostante l'assenza dei Talebani." (Independent on Sunday, 9 dicembre
2001).
La giornalista del Sunday Telegraph Christina Lamb ha testimoniato di aver
visto in pieno Afghanistan "liberato" gente morire di fame e bambini in
fasce succhiare dagli stracci delle loro madri gia' morte di assideramento
(Maslakh, provincia di Herat, il 9 dicembre 2001).
Il responsabile degli aiuti dell'ONU, Kenzo Oshima, ha dichiarato: "Ci
saranno molti decessi di civili nelle prossime settimane se la situazione di
anarchia e violenza nell'Afghanistan liberato non cessera'" (Conferenza di
Berlino, dicembre 2001).
Norah Niland, dell'Uffico di Coordinamento dell'ONU a Kabul ha detto: "I
dissensi e la violenza fra le fazioni vittoriose hanno drasticamente ridotto
la nostra capacita' di prevenire sul terreno i disastri dell'inverno
imminente" (The Independent, 9 dicembre 2001).
Oxfam, un'altra autorevole ONG internazionale, ha semplicemente commentato:
"Stiamo lavorando sull'orlo del precipizio" (The Guardian, 22 novembre
2001).
E ora passo alla facile previsione di quanti afghani e (soprattutto) afghane
verranno uccisi dalla violenza endemica dei "nostri amici" dell'Alleanza del
Nord, che, ricordiamolo, fuggirono da Kabul nel 1996 inseguiti dai Talebani,
lasciandosi alle spalle 50.000 morti in soli 4 anni di governo
("Afghanistan, making human rights the agenda", Amnesty International,
Londra 13/11/2001). RAWA, l'associazione rivoluzionaria delle donne afghane
che ha vissuto sulla propria pelle gli orrori sia dei Talebani che dei loro
predecessori, ha scritto: "La nostra gente non ha dimenticato gli orribili
anni di terrorismo e oscenita' per mano dei Jehadis (l'Alleanza del Nord).
Sono degli assassini." (RAWA Statement, 11/10/2001).
Queste parole hanno fondamento, e infatti il giornalista e storico inglese
Robert Fisk scrive: "Rasoul Sayaf, oggi uno dei capi dell'Alleanza del Nord,
gestiva sia un centro di tortura per afghani sciiti che una tratta di
schiave del sesso per i suoi soldati (ZNet, 11/10/2001).
In un recente scritto Rasil Basu, che fu consulente del governo afghano per
conto del Programma di Sviluppo dell'ONU, ci ha rinfrescato la memoria su
chi veramente siano i "nostri amici" dell'Alleanza del Nord, i "liberatori"
oggi al governo a Kabul grazie soprattutto alle nostre bombe. Scrive Basu:
"Usavano violentare e torturare le donne come arma di controllo sulla
popolazione civile, e l'impunita' per le loro truppe era totale... Il
terrore degli stupri spinse molte donne al suicidio, e alcuni padri uccisero
le figlie per evitare quell'onta...
Gia' nel 1994 (con l'Alleanza del Nord al governo) la Suprema Corte di Kabul
ordinava alle donne afghane l'uso del velo su tutto il corpo e proibiva loro
di uscire di casa, e questo perche' erano considerate sediziose" ("The Rape
of Afghanistan", 31/12/2001, ZNet).
Non puo' mancare in conclusione l'autorevole intervento di Amnesty
International, per voce del suo Segretario Generale Irene Khan: "La
popolazione afghana e' oggi alla merce' di gruppi armati responsabili di
orrendi crimini contro i diritti dell'uomo" ("Afghanistan, making human
rights the agenda" Londra 13/11/2001).
Infine il pericolo ordigni abbandonati. Le bombe Cluster, lanciate dagli USA
sull'Afghanistan, esplodono spargendo a pioggia centinaia di bombette
micidiali. Mark Hiznay, ricercatore di Human Rights Watch di New York, ha
lanciato un allarme: "Per le circa 5.000 bombette inesplose (ma potrebbero
essere addirittura 70.000) sparse sul terreno afghano, che rimarranno una
minaccia per anni. Esse sono il risultato dell'uso americano di 350 bombe
Cluster, ciascuna contenente 202 bombette che possono esplodere al solo
tatto" (HRW press release 17/11/2001). Il fatto sconcertante e' anche che
queste micidiali bombette "sono quasi identiche per forma e colore alle
razioni alimentari che gli USA hanno fatto piovere dal cielo" (The
Independent, 17/11/2001), per cui si immagina la tragica ironia della
storia.
Di nuovo: quanti morti fra i civili afghani ci saranno?
*
Terzo punto: e' stato sconfitto, o almeno minato, il terrorismo islamico?
All'indomani delle stragi dell'11 settembre di New York e Washington, il
presidente Bush dichiarava: "Dobbiamo catturare i malvagi esecutori di
questo vile atto e dobbiamo trascinarli davanti alla giustizia". Partiva
dunque il bombardamento anglo-americano sull'Afghanistan. Il 19 dicembre
scorso, dopo tre mesi di guerra, miliardi di dollari spesi e migliaia di
morti in Afghanistan, il ministro della difesa statunitense, Donald Rumsfeld
dichiarava: "Ci aspettiamo altri attacchi terroristici devastanti, anche su
Londra" (Guardian Special Reports, 20/12/2001). Bel risultato.
Fin dalle prime ore dopo quel terribile 11 settembre abbiamo saputo che i
piu' spietati e determinati terroristi islamici della storia moderna erano
quasi tutti sauditi e di classe media, mentre il responsabile della
giustizia Usa John Ashcroft ci confermava che l'operazione era stata
pianificata in Germania. Per la maggior parte sono sauditi anche i
terroristi islamici che infestano Luxor, in Egitto, e saudita e' lo studio
legale che li difende ("Beirut to Bosnia", Channel 4, 1993, GB). Di origine
saudita e' anche il tipo di purismo islamico che ha ispirato i Talebani: si
chiama wahhabismo ("War Against the Planet", Vijay Prashad, Trinity College
Hartford, 9/2001). Saudita e' stato anche il grande sponsor dei Talebani
protettori di Bin Laden: si chiama principe Turki bin Feisal al-Saud, ex
capo dei servizi segreti di re Fahd ("Taliban", Ahmed Rashid, 2001).
E ancora. Nel 1994 Mohammed al-Khilewi, un diplomatico Saudita presso l'ONU,
chiese asilo politico negli Usa; con se' portava documenti riservati con le
prove dei finanziamenti sauditi a vari gruppi terroristici islamici, fra cui
Hamas.
Al-Khilewi incontro' gli agenti dell'FBI poco dopo, e piazzo' i documenti
sul tavolo, ma gli agenti si rifiutarono di prenderli ("King's ransom",
Seymour Hersh, The New Yorker, 22/10/2001). Nel 1996 l'FBI dovette
archiviare una indagine sulla World Assembly of Muslim Youth, una
organizzazione presieduta da Abdullah bin Laden, fratello di Osama, e
sospettata di terrorismo. L'ordine di archiviare venne dall'alto perche'
"bisognava evitare di coinvolgere la famiglia reale saudita e di indagare le
connessioni fra i sauditi e l'acquisizione di tecnologia nucleare da parte
del Pakistan" (The Guardian, 7/11/2001).
Questo per dire che solo un gonzo puo' credere che bombardando i piu'
disastrati Paesi del terzo mondo, ma lasciando intatti i grandi sponsor del
terrore, si potra' mai sconfiggere il terrorismo. Gli interessi in gioco
sono altri, e' evidente, e certamente non sono la nostra sicurezza come
cittadini ne', come si e' visto, quella dei diseredati del sud del pianeta,
che sotto le bombe ci muoiono.
Infine, e non volendo trattare qui le cause del profondo risentimento del
mondo islamico verso la triade Usa-GB-Israele, la vicenda di Richard Reid,
l'inglese che voleva massacrare 196 passeggeri sul volo AA 63 con una bomba
nelle scarpe, dimostra che gli addentellati del terrore islamico sono sparsi
come polvere in milioni di microcellule in tutto il mondo, occidentale e
non, e prova soprattutto che l'idea di risolvere il problema con la guerra e
con i B-52 e' ridicola e non merita considerazione. Solo opposizione.
Di nuovo: e' questa la vera lotta al terrorismo?
*
Quarto punto: quali dubbie cambiali politico-economiche sono state firmate
dall'Occidente per ottenere consenso internazionale a questa azione bellica?
Eccone una lista che credo si commenti da sola:
1) All'Iran: fornitura di Jeep e binocoli notturni dalla GB - promessa di
cancellazione della richiesta danni per 10 miliardi di dollari come
risarcimento agli ostaggi Usa del 1979.
2) Alla Siria: nonostante sia classificato come Stato Terrorista, e' stato
ammesso da poco al Consiglio di Sicurezza dell'Onu come membro temporaneo, e
gli Usa non hanno posto il veto.
3) All'Egitto: promessi 26 sistemi missilistici, il Congresso Usa era
contrario prima dell'11 Settembre.
4) All'Oman: 12 caccia F-16C, sistemi di guida missili al laser, missili
aria-aria, missili Harpoon per la marina militare e radar.
5) Al Pakistan: promessa la cancellazione delle sanzioni, ristrutturazione
dei prestiti del FMI, piu' altri prestiti, aiuti militari approvati dal
Senato Usa per la lotta al terrorismo, concessioni commerciali della
Commissione Europea per un valore di 1,4 miliardi di dollari.
6) Alla Russia: carta bianca in Cecenia e nelle repubbliche musulmane ex
sovietiche.
7) Alla Cina: promessa di sbloccare la vendita americana a Pechino di pezzi
di ricambio per gli elicotteri Black Hawk, interrotta dopo la repressione di
Tiananmen.
8) Uzbekistan: rinvigoriti i rapporti fra Bush e il presidente uzbeko
Karimov (che tiene in galera 7.000 dissidenti politici), per facilitare il
progetto dell'oleo-gasdotto attraverso l'Afghanistan tanto caro alla
californiana Unocal.
9) Alla Turchia: promessi prestiti dal FMI e dalla BM per 1,7 miliardi di
dollari.
10) Alla Malesia: dalla GB promessi sistemi militari di spionaggio contro i
dissidenti malesi in cambio di intelligence su al-Qaeda (Jamie Wilson,
Suzanne Goldenberg, Jonathan Steele, The Guardian, 20/10/2001).
Da sottolineare che tutti gli Stati sopraccitati si macchiano da anni di
efferati abusi dei piu' elementari diritti umani (Amnesty International,
Rapporto 2000). Ancora: come puo' questo mercato di biechi interessi
contribuire alla stabilita' mondiale?
*
Quinto e ultimo punto: quali conseguenze avra' questa guerra (con il
precedente che ha creato) sul fragilissimo (ma preziosissimo) impianto della
legalita' internazionale?
La Guerra al Terrorismo porta il sigillo di due risoluzioni ONU: la 1368
(Condanna degli attacchi sugli Usa, 12/9/2001) e la 1373 (Contro il
terrorismo con ogni mezzo, 28/9/2001).
Nessuna delle due pero' sembra autorizzare quanto e' accaduto in
Afghanistan. Specificamente gli articoli 2 (4) e 51 della Carta delle
Nazioni Unite non prevedono cio' che invece e' stato fatto dagli Usa e dai
loro alleati (Michael Ratner, Center for Constitutional Rights, New York,
10/10/2001).
La guerra avrebbe anche violato l'art. 48 della Convenzione di Ginevra (A.
J. Chien, Institute for Social Justice, 12/10/2001).
Ma c'e' di piu'. La tracotanza dell'azione militare alleata, che ha ignorato
ogni sorta di legalita' in Afghanistan, rischia di bruciare sul nascere gli
storici, seppur incerti, passi avanti della fondamentale legalita'
internazionale.
Ci si chiede infatti: con quali mezzi la Corte Mondiale potra' nuovamente
sfidare i potenti del mondo, come accaduto quando il Nicaragua ha chiesto e
ottenuto la condanna degli Stati Uniti per "complicita' nel terrorismo"
assassino dei Contras (John Pilger, The New Statesman, 26/11/2001). Come
potranno i giudici belgi chiamare a processo Ariel Sharon, premier
israeliano, accusato di crimini di guerra per la sua complicita' nella
strage di 2.000 palestinesi a Sabra e Chatila (Libano) nel 1982. Il Belgio
e' oggi l'unica nazione al mondo che ha dato ai propri tribunali
giurisdizione sui criminali di guerra di tutto il mondo, indipendentemente
da dove si trovano. Washington concedera' l'estradizione di John Negroponte,
attuale Ambasciatore Usa all'ONU, sospettato di aver coordinato per anni gli
squadroni della morte del Centro America dalla sua sede diplomatica in
Honduras (Noam Chomsky, Composite Interview, 21/09/2001)? Verrebbe concessa
l'estradizione di Orlando Bosch, l'estremista di destra cubano implicato
nell'abbattimento di un aereo di linea cubano sopra le Barbados nel 1976,
con la morte di decine di innocenti ("Consistently Inconsistent", Tim Wise,
ZNet, 15/11/2001)?
L'opinione pubblica occidentale si sta rendendo conto che Bush e Blair e
altri leader, nel nome della Guerra al Terrorismo, stanno cancellando alcuni
essenziali caposaldi dei diritti civili?
Sapete per esempio che Katie Sierra, una quindicenne della Virginia (Usa),
dovra' comparire di fronte alla Suprema Corte dello Stato per aver espresso
a scuola la sua indignazione contro il bombardamento americano in
Afghanistan?
A. J. Brown, 19 anni e studentessa della North Carolina, e' stata agli
arresti domiciliari per "possesso di materiale anti-americano", e cioe' per
aver appeso in camera un poster contro Bush e la pena di morte. Caccia alle
streghe?
Neil Goffrey, 22 anni di Filadelfia, e' stato arrestato all'aeroporto
perche' possedeva un romanzo di un autore anarchico (The Guardian, Special
Report, 26/12/2001).
I tribunali militari speciali americani, illegali perche' voluti da Bush il
13 novembre senza prima ottenere dal Congresso una formale dichiarazione di
entrata in guerra (American Civil Liberties Union, 29/12/2001) potranno
processare i sospetti terroristi sulla base di prove circostanziali o di
semplici "sentito dire" (The Independent, 29/12/2001).
La Repubblica Ceca ha promulgato una legge che consente l'arresto di
chiunque esprima approvazione per gli attacchi dell'11 settembre, e il
giornalista Tomas Pecina del Britske Listy di Praga e' stato arrestato per
aver criticato la legge in questione (The Guardian, 26/12/2001).
Ancora, Alina Lebedeva, di 16 anni: e' stata arrestata e incriminata in
Latvia per aver schiaffeggiato con un fiore il Principe Carlo d'Inghilterra
durante una sua visita al Paese. Alina protestava contro la guerra e contro
la Nato. E' un'adolescente che rischia oggi 15 anni di galera.
Infine c'e' la Gran Bretagna, che dopo l'11 settembre ha riproposto la
carcerazione preventiva illimitata per i sospettati di terrorismo
(Internment Without Trial), una misura di sicurezza abietta e gia' fallita
nell'Irlanda del Nord, dove non produsse un singolo arresto di rilievo ma
solo infiniti errori giudiziari.
Poche parole per concludere. I sostenitori della Guerra al Terrorismo devono
rispondere a questi punti. Il silenzio o risposte incomplete appartengono
alla sfera della disonesta' morale, o peggio.

4. MATERIALI. ALCUNI DATI SULLE VIOLAZIONI DEI DIRITTI UMANI IN TURCHIA NEL
2001
[Questi dati abbiamo ripreso da "Newroz 2002",  n. 1 del 4 gennaio 2002,
notiziario a cura dell'associazione "Azad", redazione c/o Villaggio globale,
ex-mattatoio, Lungotevere Testaccio snc, 00154 Roma, tel 0657302933,
3396504639, 3333510598, fax/segr. 0657305132, e-mail: ass.azad@libero.it]
* Atti di repressione:
Omicidi per mano ignota: 12
Bilancio di esplosione di mine: 16 morti, 21 feriti
Omicidi extragiudiziali e uccisioni per mancato rispetto dell'ordine di
fermarsi: 37
Morti in combattimento: 86
Operazioni rivolte contro la popolazione civile: 42 morti, 68 feriti
Arrestati di cui non si hanno notizie, da presumere "desaparecidos": 4
Casi di tortura o trattamenti inumani conosciuti e/o denunciati: 832
Persone tratte in arresto (per motivi politici): 55.389
Persone incarcerate (per motivi politici): 3.224
Feriti in seguito a interventi contro manifestazioni: 269
Morti e feriti in seguito ad attacchi delle forze di sicurezza: 17 morti e
21 feriti
Persone obbligate con minacce a prestarsi a collaborare: 44
Casi di lesioni fisiche in seguito ad assalti (delle forze di sicurezza):
129
Esiti di bombardamenti o incendi di centri abitati: 64 localita', 11 morti,
21 feriti
Villaggi e centri abitati forzosamente evacuati: 2
* Violazioni nel sistema penitenziario:
Persone ferite o violentate nel corso di attacchi (delle forze di
sicurezza): 55
Detenuti ai quali e' stata negato o impedito un trattamento terapeutico: 275
Persone morte in seguito a sciopero della fame: 40
Detenuti morti per suicidio con il fuoco: 6
Detenuti morti in seguito a mancato trattamento terapeutico: 2
Altri detenuti morti in seguito a presunto suicidio: 7
* Violazioni dei diritti del lavoro:
Licenziamenti illegittimi per motivi politici o economici: 58.669
Lavoratori colpiti da trasferimenti, sospensioni, allontanamenti, sanzioni
amministrative: 1.944
Ricorsi giudiziari contro provvedimenti illegittimi: 9.757
Incidenti sul lavoro: 45 morti, 41 feriti
* Violazioni della liberta' di pensiero, espresione, organizzazione ed
opinione:
Chiusure di sedi associative e politiche, centri culturali e organi di
stampa: 114
Incursioni in sedi associative e politiche, centri culturali e organi di
stampa: 196
Organi di stampa sequestrati e/o vietati: 245
Iniziative o attivita' vietate: 38
Funzionari pubblici rimossi o sottoposti a divieti per motivi di opinione:
162
Pene richieste per reati di opinione: 1.921 casi, 3.758 anni e 2 mesi di
prigione
Pene irrogate per reati di opinione: 66 casi, 132 anni e 6 mesi di prigione,
pene pecuniarie per 42.500.000.000 lire turche
"Prigionieri di coscienza" detenuti per reati di opinione: 93
Sospensione di trasmissioni radiotelevisive (da 1 giorno a 180 giorni):
complessivamente 94 mesi (2.836 giorni)
Spettacoli teatrali e film vietati: 6
Partiti politici messi al bando: 1 (Partito della Virtu')
Presidenti provinciali e distrettuali del partito Hadep arrestati: 30
Presidenti provinciali e distrettuali del partito Hadep incarcerati: 9
Dirigenti provinciali, distrettuali e cittadini dell'Hadep arrestati: 182
Dirigenti provinciali, distrettuali e cittadini dell'Hadep incarcerati: 93
Membri del partito Hadep arrestati: 1.303
Membri del partito Hadep incarcerati: 28
Dirigenti provinciali del partito Hadep scomparsi: 2
Dirigenti provinciali del partito Hadep aggrediti: 1
Dirigenti provinciali del partito Hadep minacciati: 3
Sindaci eletti nelle liste dell'Hadep rimossi dall'incarico: 2
Membri del partito Sip arrestati a causa delle loro attivita': 50 circa
Membri e dirigenti del partito Emep arrestati a causa delle loro attivita':
40
* Inoltre:
a. e' stato aperto un procedimento penale in base all'art.8 della Legge
antiterrorismo contro il presidente del partito Odp (Partito della
Democrazia e della Pace), perquisita la sua sede provinciale di Diyarbakir e
impedito un convegno sulla Costituzione turca
b. un altro partito e' in procinto di essere chiuso solo a causa della
presenza nel suo nome del termine "comunista"
* Esuli e profughi:
secondo statistiche ufficiali solo nell'anno 2001 sono stati 12.800 i
cittadini turchi costretti a riparare all'estero.

5. RIFLESSIONE. EMILIO R. PAPA: SUL RUOLO DEL PUBBLICO MINISTERO E SUI
TENTATIVI DI ASSERVIRLO AL POTERE POLITICO
[Emilio R. Papa e' professore di storia del diritto medievale e moderno alla
facolta' di economia dell'universita' di Bergamo. Questo intervento e'
apparso sul quotidiano "Il manifesto" del 4 gennaio]
Dalle anticipazioni di un ampio piano governativo di riforma giudiziaria e'
dato intendere che l'asse di rotazione di siffatto progetto e' l'istituto
del Pubblico Ministero.
Purtroppo, non mi par proprio possibile poter cogliere nell'impegno dei
riformatori una sollecitudine motivata dalla situazione senz'altro non
brillante del funzionamento della giustizia nel nostro paese. Il significato
dell'impresa si colloca in effetti nella ventilata bipartizione delle
carriere in magistratura. Nel contesto di un piano complessivo nel quale
cio' che conta e' ridurre poteri e funzioni dei magistrati (soprattutto di
quelli piu' scomodi, del ramo inquirente: del Pubblico ministero per
l'appunto).
Rileggevo in questi giorni alcune pagine di Alessandro Galante Garrone, di
un suo manuale di educazione civica, uscito negli anni cinquanta.
Presentando la figura del magistrato fra politica e societa' civile, nella
storia europea dell'otto-novecento ed in particolare italiana, Galante
Garrone la porgeva, con alta levatura di storico e di giurista, in un
intreccio di pressioni e di interferenze dalle quali alfine il nostro paese
uscito dallo spirito rigeneratore della Resistenza, pareva averla tratta a
riva. E m'e' venuto fatto di pensare alle polemiche di questi giorni:
ricorrenze non poco inquietanti mi hanno ricondotto quale studioso di storia
delle istituzioni sulla traccia di non piacevoli evocazioni.
Tirare sul Pubblico ministero nella storia della nostra civilta' giudiziaria
e' un esercizio non nuovo. Ed appare tuttora gratificante. Da sempre il Pm
e' la testa di turco di tutte le polemiche nel campo del difficile rapporto
fra magistratura e politica. Vale a dire, fra i due poli entro i quali si
misura il livello civile e di sviluppo democratico di uno stato di diritto.
E' una problematica questa, alla quale nella seconda meta' dell'800
all'epoca del cosiddetto stato liberale, dedico' un libro di coraggiosa
denunzia Francesco Saverio Merlino, avvocato napoletano, ideologo del
socialismo libertario, un giurista che fu implacabile accusatore
dell'asservimento del sistema giudiziario italiano al potere esecutivo. E
indico' in quale contesto di fondo il Pm fungeva da strumento della volonta'
politica del governo rivelandosi prezioso: per la diligenza con la quale in
certi casi esercitava l'azione penale, o per la diligenza con la quale, in
certi casi, non la esercitava affatto.
Posti "sotto la direzione del ministro della giustizia", i membri
dell'ufficio del Pm non godevano di quel tanto di guarentigie che lo statuto
Albertino pur accordava ai magistrati giudicanti (limitatamente ad una
inamovibilita' ch'era peraltro divenuta ben presto oggetto di
interpretazione restrittiva), e potevano essere dal ministro censurati,
ammoniti, sospesi, destituiti, per quanto a questi ed ai suoi collaboratori
non piacesse del loro modo di svolgere le indagini. L'esecutivo, il governo,
era il potere forte, il potere vero, ed il potere giudiziario finiva con
l'esserne un complemento.
Il Pm, la carriera del quale era nelle mani dei politici (dai notabili
locali al ministro) divenne il bersaglio di quanti della non indipendenza
della magistratura si dolevano. Il Pm era superiore gerarchico del pretore,
dirigeva la polizia giudiziaria, esercitava l'azione penale. Era dunque uno
strumento importante, in una logica nella quale il governo nominava i capi
degli uffici giudiziari, e fruiva - per una direzione anche mediata del
corpo giudiziario - della organizzazione di tipo gerarchico della
magistratura. Una organizzazione giustificata con motivazioni di tipo
meritocratico (come attualmente - e' un caso? - da parte dei fautori di un
liberale ritorno all'antico in tema di poteri dell'ordine giudiziario, a
dispetto della lezione di un liberale quale Luigi Einaudi: "dare
indipendenza alla magistratura e' abolire assolutamente ogni carriera nella
magistratura stessa. Questa - egli scriveva - e' la prima fondamentale
esigenza della nuova vita nazionale").
Non erano vicende italiane soltanto, quelle contro le quali si rivolgeva la
coraggiosa polemica di F. S. Merlino. Nell'ottica degli stati nazionali
europei dell'800, che erano di sedicente riferimento liberale, di quello
francese in particolare, il Pm, in una sua ibrida natura di organo
intermedio fra il potere politico e il potere giudiziario ("organo
amministrativo" e non "organo della giurisdizione", lo voleva la dottrina
ufficiale) divenne senz'altro "il rappresentante del potere esecutivo presso
l'autorita' giudiziaria" (secondo l'art. 77 dell'ordinamento giudiziario
italiano del 1923, che ricalcava in pieno l'art. 129 dell'ordinamento
giudiziario del 1865, ch'era nato a sua volta in piena rifrazione del
sistema giudiziario francese). In Francia, il ruolo servile del Pm veniva
sovente irriso dalla stampa, e ad esso dedico' una sua esilarante piece ("Un
client serieux") Georges Courteline: servo di tutti coloro che contano il
Pm, meno che della giustizia.
Quando venne l'ora del fascismo, il Pm divenne una cerniera del regime
sull'apparato giudiziario, e venne accentuato il peso della sua
subordinazione al governo. Ma furono tempi nei quali tirare sul Pm non
incanto' piu' di tanto. Critiche e critici... venivano rispettivamente
vietate e messi a tacere. Lo statalismo autoritario confondeva stato e
governo, politica e giustizia, in un unico abbraccio accentratore, e la
dottrina giuridica ufficiale... si uniformo'.
Con la costituzione repubblicana il cambiamento. Il Pm (dal rdl del '46
posto non piu' sotto la "direzione", ma sotto la semplice "vigilanza" del
guardasigilli) diviene organo giudiziario, avente come tale l'obbligo di
esercitare l'azione penale, al di fuori di ogni discrezionalita'; viene
inoltre equiparato alla magistratura giudicante quanto ad autonomia e
indipendenza "da ogni altro potere", ed e' il rappresentante della pretesa
punitiva dello stato nei confronti di chi viola la legge. L'ultimo comma
dell'art. 107 della Costituzione, precisa tuttavia ch'egli "gode delle
garanzie stabilite nei suoi riguardi dalle norme sull'ordinamento
giudiziario". La specifica attribuzione di garanzie contemplate da leggi
ordinarie - e dunque, piu' facilmente modificabili - anziche' da norme
costituzionali, fu lo scotto che si pago' al termine di un non facile
dibattito (nel quale a sostegno della tesi del Pm-organo dell'esecutivo si
distinse Giovanni Leone). Tanto non valse e non vale tuttavia a contraddire
la chiara enunciazione costituzionale che ha proclamato il Pm organo
giudiziario autonomo e indipendente.
Tornando al Pm "testa di turco": chi tira sul Pm oggi? Tira sul Pm chi parte
esattamente da una prospettiva ideale opposta rispetto ai protagonisti della
ricordata querelle ottocentesca, contraria alla soggezione del Pm
all'esecutivo. Tira sul Pm oggi chi non trova comodo che questi sia stato
affrancato nel corso storico dal suo abito servile d'antan, e che possa far
valere le ragioni della legge a 360 gradi, contro chiunque la violi la
legge. E chiede:
- carriere separate fra Pm e magistrati giudicanti (che servano nuove norme
per regolare il passaggio ed il ritorno dall'una all'altra funzione - e non
carriera - all'interno del corpo giudiziario, e' senz'altro un problema da
affrontare, ma cio' non significa dare il via ad una sottrazione di garanzie
costituzionali nei confronti di chi esercita la prima delle due predette
funzioni; valga fra l'altro considerare che i giudicanti valutano nel
giudizio persone e comportamenti in ordine ai quali e' il Pm ad aver
esercitato l'azione penale, e pertanto, limiti e scelte eventualmente
imposti a quest'ultimo, condizionano pesantemente l'opera dei giudicanti).
- due Csm, uno per i giudicanti e l'altro per i Pm (simile ghettizzazione
del Pm mentre contraddice la formulazione costituzionale del Csm,
porterebbe, fatalmente, ad una discriminazione sul piano delle garanzie:
significherebbe distinguere fra due tipi di magistrato: uno, giudicante, che
si finge volerlo autonomo e indipendente (ma che tale non puo' essere se non
fruisce del libero concorso dell'altro), e l'altro, inquirente, che autonomo
e indipendente non lo e' al punto da venir significativamente riferito ad un
diversificato organismo di autotutela (una sorta di Csm di serie B).
Se si vuole affermare che e' giusto che i giudicanti dipendano soltanto
dalla legge, mentre l'istituto del Pm vale soltanto a una politica di mera
attuazione dell'ordinamento, si percorre una strada pericolosa, e si finisce
coll'incidere la pelle della liberta'.
La crisi della prima repubblica, una crisi politica di fondo, ha a volte
portato la magistratura ad assumere un ruolo "di supplenza", e non sono
mancati fenomeni di protagonismo e di anche spettacolare invadenza, non
fronteggiati dall'indebolito prestigio dell'esecutivo. Ma non sono mancati
esempi di insegnamento civile, di professionale equilibrio (e di sacrificio)
offerti da tanti magistrati. Ricondurre il potere giudiziario fuori dal
campo di improprie attese, e' cosa per certo auspicabile, ma non per
costringerlo in un raggio d'azione controllato, al fine di garantire
immunita' e via libera a interessi del potere politico ed economico
dominante (non incline per sua rivelata natura al vaglio della liceita' nel
segno del pubblico interesse).
Si e' chiesto troppo alla magistratura nell'immaginario popolare, negli anni
di tangentopoli. All'immagine semplicistica del giudice vindice, ad una
folata di totalizzante giustizialismo, e' poi seguita una fatalistica
indifferenza. Ha scritto un grande processualista, Salvatore Satta: "ci sono
dei momenti nella storia e nella vita dei popoli nei quali non si chiede
nulla al giudice. Dei momenti in cui gli si chiede tutto, e si attende da
lui la salvezza della societa'. Sono questi i momenti meno felici di un
popolo, perche' segnano la sua decadenza, il venir meno dei valori
fondamentali che da soli non riusciamo a conservare... Chiediamo al giudice
quello che egli non puo' dare... con l'unico risultato di mettere in crisi
venerande istituzioni". E venerandi principi.
Ma c'e' una distinzione da compiere sul piano storico, in ordine al rapporto
fra potere giudiziario e collettivita', e popolo.
Voler chiedere e non dover chiedere al giudice (perche' la domanda si
porrebbe al di fuori del potere giurisdizionale di questi), e' fenomeno
significativo di una insoddisfatta esigenza morale in particolari contesti
di partecipazione popolare alla vita politico-istituzionale; e mortifica
risorse e valori i quali attengono non al retto funzionamento della
giustizia, ma al processo di formazione e di scelta della classe politica.
Voler chiedere, e non poter chiedere al giudice quanto e' invece legittimo
chiedergli (perche' rientra o dovrebbe rientrare nel suo potere
giurisdizionale) significa, ce lo spiega la storia, avere giudici (e leggi)
di regime.

6. RIFLESSIONE. TIZIANA FILIPPI: UN LIBRO SU HANNAH ARENDT, SIMONE WEIL,
EDITH STEIN E MARIA ZAMBRANO
[Questo articolo e' apparso sul "Corriere del Ticino" del 28 novembre 2001,
noi lo abbiamo trovato segnalato nel sito della "Libreria delle donne" di
Milano e lo riprendiamo dal sito del "Corriere del Ticino", www.cdt.ch]
Nel 1954 Hannah Arendt, denunciando la crisi della morale contemporanea,
scriveva all'amica Mary McCarthy che era andata perduta "la fiducia nel
fondamento sensoriale del buon senso o senso comune". Questa e' una tra le
tante tematiche che sono state affrontate nell'ambito di un interessante
ciclo di conferenze, tenutesi nel febbraio del 2000 presso la biblioteca del
Comune di Arcore, volte a profilare lo stile di pensiero di alcune delle
piu' importanti pensatrici del '900: Arendt, Weil, Stein, Zambrano.
Recentemente la Tre Lune edizioni ha pubblicato questi interventi in un
volume dal titolo Filosofia Ritratti Corrispondenze, affidandone
l'introduzione e la cura a una giovane studiosa, Francesca De Vecchi, che
sta svolgendo un dottorato di ricerca presso l'Universita' di Ginevra.
Senza alcuna pretesa di esaustivita', questi saggi ci presentano dei veri e
propri ritratti che tratteggiano la riflessione di queste filosofe. E in
questo senso sono una bella occasione per chi, non conoscendone il pensiero
vorrebbe avvicinarvisi. D'altra parte in ogni incontro le relatrici hanno
impostato la loro analisi sulla base di testi tutti tradotti solo
recentemente in italiano, fornendo preziosi elementi di approfondimento per
chi invece gia' le conosce.
* La morale di Hannah Arendt
Cosi' Laura Boella, che insegna filosofia morale all'Universita' Statale di
Milano, ha dato una esemplificazione del pensiero di Hannah Arendt parlando
del suo carteggio con l'amica Mary McCarthy (Sellerio, 1999). Il carteggio
con l'amica americana e' significativo in relazione all'impossibilita' per
la Arendt di formulare una dottrina di morale politica dopo Auschwitz, che
ha rivelato il crollo dei valori morali e religiosi. Il problema e' quello
che conosciamo come la banalita' del male, incarnata nel nazista Eichmann:
poverta' di esperienza, vuoto di emozioni e di pensiero, una vita interiore
e delle azioni codificate da ordini e norme. Il totalitarismo, in tutte le
sue forme, per la Arendt ha tragicamente messo in luce la fragilita' delle
categorie morali della tradizione, ha fatto emergere l'adesione ipocrita di
donne e uomini europei a codici morali di riferimento dati per ovvi e
acquisiti. La questione morale nuova posta dal totalitarismo e'
sintetizzabile nel comportamento degli amici che si sono uniformati
all'opinione della maggioranza, che si sono messi al passo con il regime
nazista. L'esperienza di scacco di valori e di credenze dati per consolidati
si presenta come un problema di vuoto di relazione tra le persone, indicato
nel momento in cui uno o una decide di allinearsi, rinunciando alla propria
autonomia di giudizio, alla propria dignita'.
L'impossibilita' per la Arendt della rifondazione di un sistema di valori
non significa che la morale non possa far parte dell'esperienza umana,
tutt'altro. Ma e' proprio nella poverta' dell'esperienza degli uomini e
delle donne contemporanei che si radica l'assenza della morale: quello che
va riattivato non e' dunque un sistema di valori, ma la capacita' di ciascun
essere umano di distinguere il bene dal male, il bello dal brutto, il vero
dal falso.
Su questo problema la Arendt dirigera' la propria attenzione nella sua opera
postuma La vita della mente, curata dall'amica Mary McCarthy , continuando
cosi' fino alla fine della sua vita a interrogarsi su come liberare lo
spazio per una moralita' vissuta in prima persona, nella forma di relazioni
concrete che ci facciano accedere alla realta', e che impediscano
l'annichilimento del pensare.
Le idee della Arendt su queste questioni si erano formate anche nella sua
esperienza di amicizia con la scrittrice Mary McCarthy. Il loro carteggio
che va dal 1949 al 1975 e' in primo luogo la preziosa testimonianza di una
profonda relazione d'amicizia tra due donne, fatta di valori vissuti e
sperimentati in prima persona che sostituiscono per cosi' dire i trattati di
morale, ormai impossibili da scrivere. Nel loro dialogo epistolare le due
amiche riflettono criticamente su alcuni fatti di cronaca mettendo a fuoco
il grande tema della banalita' del male: similmente ad Eichmann,
tendenzialmente nessuno vorrebbe ammettere la possibilita' di agire
moralmente, e tutti preferiremmo scaricare la responsabilita' delle nostre
azioni malvagie su altri o altro. Per le due amiche la condotta morale e'
una questione di rispetto nella relazione con se stessi e con gli altri,
vale a dire che la deresponsabilizzazione si puo' correggere solo con un
gesto di orgoglio.
* La relazione magistrale di Simone Weil
Nell'intervento su Simone Weil Maria Concetta Sala, che dell'autrice
prescelta ha curato parecchie opere nell'edizione italiana, si e' occupata
delle Lezioni di filosofia (Adelphi,1999) che sono gli appunti presi da
un'allieva durante le lezioni della Weil, insegnante a Roanne nel '33-'34, e
della raccolta Piccola cara. Lettere alle allieve (Marietti, 1998). In esse
troviamo anticipate alcune questioni che impegneranno Simone Weil nelle
opere successive e ne orienteranno l'azione (in particolare il linguaggio
come strumento di ri-creazione del mondo e di scambio tra esseri umani, il
rapporto tra teoria e pratica, l'azione metodica).
Esse ci offrono anche una spaccato sulla qualita' della relazione magistrale
intessuta dalla Weil con le sue allieve: una relazione costruita sul rigore,
la liberta', la fiducia e il rispetto reciproci. Anche sulla gioia perche'
per la Weil - che non aveva alcuna fiducia negli espedienti pedagogici - il
pensiero umano e l'intelligenza si nutrono sostanzialmente di gioia. E
perche', dice la Weil con parole attualissime, chi insegna possa avvertire e
mettere in atto a sua volta la gioia dell'insegnare, occorre che abbia
sentito e senta la gioia dell'apprendere, dell'esplorare, del "rischiarare"
sotto la spinta del desiderio.
L'impegno di Simone Weil andava nel senso di rendere capaci le sue allieve
di ritrarsi da se' per poter esercitare la facolta' di attenzione all'altro
da se', agli esseri umani e alle cose che ci circondano, in modo da
comprendere il mondo nel quale siamo stati gettati e amarlo.
* L'"inattenzione" di Edith Stein
L'attenzione e' al centro della riflessione anche di un' altra grande
filosofa: Edith Stein, che, come e' noto, di famiglia ebraica si era
convertita al cattolicesimo, facendosi carmelitana per poi morire ad
Auschwitz nel '42. Nel suo contributo Roberta de Monticelli, che insegna
filosofia moderna e contemporanea all'Universita' di Ginevra, ne introduce
il pensiero mettendo in evidenza il contributo notevole e innovativo che la
Stein, in particolare nella sua Introduzione alla filosofia (Citta' Nuova,
1998), ha apportato alla filosofia fenomenologica.
Edith Stein formula una teoria dell'inattenzione che mostra quanto noi
esseri umani non siamo mai veramente attenti alla realta' nella sua
individualita' e nelle sue esigenze, poiche' cio' non e' necessario alla
nostra sopravvivenza e neppure alle routines previste da un comportamento
reputato socialmente corretto. La nostra quotidiana distrazione rende spesso
inadeguato il nostro comportamento ordinario rispetto alla portata e al
valore di cio' che succede attorno a noi nella realta'.
La teoria dell'inattenzione della Stein ci consente di illuminare
ulteriormente quell'atroce fenomeno che la Arendt avrebbe chiamato la
banalita' del male. (Questa e' tra l'altro una problematica che De
Monticelli, con un altro percorso di riflessione, aveva proposto nel corso
di una conferenza, organizzata la primavera scorsa dall'Associazione
Dialogare, all'Universita' della Svizzera Italiana). Il vuoto di pensiero
del nazista Eichmann possiamo rappresentarlo come vuoto estremo di
attenzione, cioe' come scelta di un soggetto di neutralizzare la portata di
tutte le informazioni che il mondo trasmette, per mettersi in una condizione
di estrema sordita' e cecita' affettiva, una condizione di atrofizzazione
della parte profonda di noi stessi, che e' un recedere della vita.
Per la Stein la perdita della capacita' di attenzione va di pari passo con
la perdita di identita' morale individuale. All'opposto c'e' la liberta' di
un percorso di approfondimento di noi stessi: noi conosciamo noi stessi
facendo venire alla luce cio' che ci sta a cuore, le nostre preferenze di
valore , ed e' risvegliando a nuova vita una parte di noi che non viveva che
arriviamo a scoprire il regno dei valori.
* Il riscatto di Maria Zambrano
Infine l'intervento di Rossella Prezzo, filosofa e redattrice della rivista
"aut aut", che ha affrontato il pensiero della spagnola Maria Zambrano
parlando della sua autobiografia Delirio e destino (curata e introdotta
nell'edizione italiana dalla stessa Prezzo, Cortina, 2000), scritta in
esilio tra il '52 il '53, e rimasta inedita fino all'88. Attraverso stupende
pagine narrative e meditative, difficilmente sintetizzabili, la Zambrano
mostra nello stesso farsi di una vita quell'idea - teorizzata nella sua
produzione filosofica - della necessita' di un pensiero che riscatti il
vivere, che di per se e' confusione e dispersione. Riscattare, che e' usato
da Zambrano nel senso originario di tornare a prendere liberando, significa
recuperare, pagando il doloroso pegno della memoria, quel vivere che si e'
perduto ma che e' irrinunciabile. Non per realizzare il sogno impossibile di
rivivere la vita vissuta , ma per accordarle il tempo che non le e' stato
concesso per essere del tutto vita viva, il tempo per una nascita in un
altro modo.
Nella situazione limite della grave malattia e dell'esilio, similmente allo
stato originario della nascita, la vita si ri-presenta nella nudita'
d'essere. Ma e' accettando la fatica che il vivere comporta che possiamo
"tornare alla luce", continuare a nascere. Un pensiero che riscatti il
vivere nella sua interezza oltre ai deliri deve trarre fuori dal silenzio
anche i fallimenti: recuperare quella speranza che meritava di non essere
sconfitta, dare nuovo tempo a quell'alba che era stata interrotta.

7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

8. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org ;
per contatti, la e-mail è: azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
http://www.peacelink.it/users/mir . Per contatti: lucben@libero.it ;
angelaebeppe@libero.it ; mir@peacelink.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it . Per
contatti: info@peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 333 del 5 gennaio 2002