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La nonviolenza e' in cammino. 332



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 332 del 4 gennaio 2002

Sommario di questo numero:
1. David Maria Turoldo, amici
2. Francesco Comina: tornino i volti, ultimo riparo alla catastrofe
3. Giuliana Sgrena, la guerra continua
4. Giulio Vittorangeli, bambini
5. Stefano Catucci, La costruzione del nemico
6. Per contattare il Movimento Nonviolento
7. Riletture: Bruno Bettelheim, Un genitore quasi perfetto
8. Riletture: Howard Gardner, Formae mentis
9. Riletture: Marvin Harris, L'evoluzione del pensiero antropologico
10. La "Carta" del Movimento Nonviolento
11. Per saperne di piu'

1. MAESTRI. DAVID MARIA TUROLDO: AMICI
[Da David Maria Turoldo, Il mio amico don Milani, Servitium, Sotto il Monte
(BG) 1997, p. 54.
David Maria Turoldo e' nato in Friuli nel 1916, ordinato sacerdote nel 1940,
partecipò alla Resistenza; collaboratore di don Zeno Saltini a Nomadelfia,
fondatore con padre Camillo De Piaz della "Corsia dei Servi", poi direttore
del "Centro di studi ecumenici Giovanni XXIII" a S. Egidio Sotto il Monte.
Ha pubblicato numerose opere di riflessione religiosa, di intervento civile,
di poesia. E' scomparso nel 1992. Opere di David Maria Turoldo: della sua
vastissima produzione segnaliamo particolarmente alcune raccolte di versi:
Il sesto angelo (poesie scelte - prima e dopo il 1968), Mondadori, Milano
1976; e O sensi miei (poesie 1948-1988), Rizzoli, Milano 1990, 1993; Ultime
poesie (1991-1992), Garzanti, Milano 1999; ed almeno la raccolta di testi in
prosa La parabola di Giobbe, Servitium, Sotto il Monte 1996.  Per una
bibliografia più ampia: a) poesia: Io non ho mani, Bompiani, Milano 1948;
Udii una voce, Mondadori, Milano 1952; Gli occhi miei li vedranno,
Mondadori, Milano 1955; Preghiere tra una guerra e l'altra, Corsia dei
Servi, Milano 1955; Se tu non riappari, Mondadori, Milano 1963; Poesie, Neri
Pozza, Vicenza 1971; Fine dell'uomo?, Scheiwiller, Milano 1976; Il sesto
angelo, Mondadori, Milano 1976; Laudario alla Vergine, Dehoniane, Bologna
1980; Lo scandalo della speranza, Gianfranco Angelico Benvenuto, Napoli
1978, poi GEI, Milano 1984; Impossibile amarti impunemente, Quaderni del
Monte, Rovato 1982; Ritorniamo ai giorni del rischio, Cens, Liscate 1985; O
gente terra disperata, Paoline, Roma 1987; Il grande Male, Mondadori, Milano
1987; Come possiamo cantarti, o Madre?, Diakonia della theotokos, Arezzo
1988; Nel segno del Tau, Scheiwiller, Milano 1988; Cosa pensare., La Rosa
Bianca, Trento 1989; Canti ultimi, Carpena, Sarzana 1989, poi Garzanti,
Milano 1991; (con G. Ravasi), Opere e giorni del Signore, Paoline, Cinisello
Balsamo 1989; O sensi miei (poesie 1948-1988), Rizzoli, Milano 1990; Mie
notti con Qohelet, Garzanti, Milano 1992; Ultime poesie (1991-1992),
Garzanti, Milano 1999; b) teatro: La terra non sarà distrutta, Garzanti,
Milano 1951; Da una casa di fango (Job), La Scuola, Brescia 1951; La
passione di San Lorenzo, Morcelliana, Brescia 1961, poi Città Armoniosa,
Reggio Emilia 1978; Vigilia di Pentecoste, Giac (pro manuscripto), Milano
1963; Oratorio in memoria di frate Francesco, Messaggero, Padova 1981; Sul
monte la paura, Cens, Liscate 1983; La morte ha paura, Cens, Liscate 1983;
c) saggistica: Non hanno più vino, Mondadori, Milano 1957, poi Queriniana,
Brescia 1979; La parola di Gesù, La Locusta, Vicenza 1959; Tempo dello
Spirito, Gribaudi, Torino 1966; Uno solo è il Maestro, Signorelli, Milano
1972; Nell'anno del Signore, Palazzi, Milano 1973; Alla porta del bene e del
male, Mondadori, Milano 1978; Nuovo tempo dello Spirito, Queriniana, Brescia
1979; Mia terra addio, La Locusta, Vicenza 1980; Povero Sant'Antonio, La
Locusta, Vicenza 1980; (a cura di), Testimonianze dal carcere, Paoline, Roma
1980; Amare, Paoline, Roma 1982; Perché a te, Antonio?, Messaggero, Padova
1983; Ave Maria, Gei, Milano 1984; (con A. Levi, M .C. Bartolomei Derungs),
Dialogo sulla tenerezza, Cens, Liscate 1985; L'amore ci fa sovversivi,
Joannes, Milano 1987; Come i primi trovadori, Cens, Liscate 1988; Il diavolo
sul pinnacolo, Paoline, Cinisello Balsamo 1988; Il Vangelo di Giovanni,
Rusconi, Milano 1988; Per la morte (con due meditazioni di P. Mazzolari), La
Locusta, Vicenza 1989; Amar, traduzione portoghese, a cura di I. F. L.
Ferreira, Paulinas, São Paulo 1986; (con R. C. Moretti), Mani sulla vita,
Emi, Bologna 1990; La parabola di Giobbe, Servitium, Sotto il Monte 1996; Il
mio amico don Milani, Servitium, Sotto il Monte 1997; d) traduzioni: I
Salmi, Dehoniane, Bologna 1973; Salterio Corale, Dehoniane, Bologna 1975;
Chiesa che canta, volumi I-VII, Dehoniane, Bologna 1981-1982; (con G.
Ravasi), «Lungo i fiumi...» - I Salmi, Paoline, Cinisello Balsamo 1987;
Ernesto Cardenal, Quetzalcoatl, Mondadori, Milano 1989; e) narrativa: ... E
poi la morte dell'ultimo teologo, Gribaudi, Torino 1969.
Lorenzo Milani e' nato a Firenze nel 1923, proveniente da una famiglia della
borghesia intellettuale, ordinato prete nel 1947. Opera dapprima a S. Donato
a Calenzano, ove realizza una scuola serale aperta a tutti i giovani di
estrazione popolare e proletaria, senza discriminazioni politiche. Viene poi
trasferito punitivamente a Barbiana nel 1954. Qui realizza l'esperienza
della sua scuola. Nel 1958 pubblica Esperienze pastorali, di cui la
gerarchia ecclesiastica ordinerà il ritiro dal commercio. Nel 1965 scrive la
lettera ai cappellani militari da cui deriverà il processo i cui atti sono
pubblicati ne L'obbedienza non è più una virtù. Muore dopo una lunga
malattia nel 1967: è appena uscita la Lettera a una professoressa della
scuola di Barbiana. L'educazione come pratica di liberazione, la scelta di
classe dalla parte degli oppressi, l'opposizione alla guerra, la denuncia
della scuola classista che discrimina i poveri: sono alcuni dei temi su cui
la lezione di don Milani resta di grande valore. Opere di Lorenzo Milani e
della scuola di Barbiana: Esperienze pastorali, L'obbedienza non è più una
virtù, Lettera a una professoressa, pubblicate tutte presso la Libreria
Editrice Fiorentina (LEF). Postume sono state pubblicate le raccolte di
Lettere di don Lorenzo Milani priore di Barbiana, Mondadori; le Lettere alla
mamma, Mondadori; e sempre delle lettere alla madre l'edizione critica,
integrale e annotata, Alla mamma - Lettere 1943-1967, Marietti. Altri testi
sono apparsi sparsamente in volumi di diversi autori. La casa editrice
Stampa Alternativa ha meritoriamente effettuato nell'ultimo decennio la
ripubblicazione di vari testi milaniani in edizioni ultraeconomiche e
criticamente curate. La EMI ha appena pubblicato, a cura di Giorgio
Pecorini, lettere, appunti e carte varie inedite di don Lorenzo Milani nel
volume I care ancora. Opere su Lorenzo Milani: sono ormai numerose;
fondamentali sono: Neera Fallaci, Vita del prete Lorenzo Milani. Dalla parte
dell'ultimo, Rizzoli, Milano 1993; Giorgio Pecorini, Don Milani! Chi era
costui?, Baldini & Castoldi, Milano 1996; Mario Lancisi (a cura di), Don
Lorenzo Milani: dibattito aperto, Borla, Roma 1979; Ernesto Balducci, L'
insegnamento di don Lorenzo Milani, Laterza, Roma-Bari 1995; Gianfranco
Riccioni, La stampa e don Milani, LEF, Firenze 1974; Antonio Schina (a cura
di), Don Milani, Centro di documentazione di Pistoia, 1993. Un repertorio
bibliografico sintetico è in Peppe Sini, Don Milani e l'educazione alla
pace, CRP, Viterbo 1998. Segnaliamo anche l'interessante fascicolo
monografico di "Azione nonviolenta" del giugno 1997. Segnaliamo anche il
fascicolo Don Lorenzo Milani, maestro di libertà, supplemento a "Conquiste
del lavoro", n. 50 del 1987. Tra i testi apparsi di recente: il testo su don
Milani di Michele Ranchetti nel suo libro Gli ultimi preti, ECP, S. Domenico
di Fiesole 1997; David Maria Turoldo, Il mio amico don Milani, Servitium,
Sotto il Monte (BG) 1997; Liana Fiorani, Don Milani tra storia e attualità,
LEF, Firenze 1997, poi Centro don Milani, Firenze 1999; AA. VV., Rileggiamo
don Lorenzo Milani a trenta anni dalla sua morte, Comune di Rubano 1998;
Centro documentazione don Lorenzo Milani e scuola di Barbiana, Progetto
Lorenzo Milani: il maestro, Firenze 1998; Liana Fiorani, Dediche a don
Milani, Qualevita, Torre dei Nolfi (AQ) 2001. Indirizzi utili: Centro di
documentazione Don Milani, c/o biblioteca comunale, Vicchio di Mugello (FI);
Centro nuovo modello di sviluppo, via della barra 32, 56019 Vecchiano (PI);
Edoardo Martinelli: martinelli@dada.it; Giorgio Pecorini, piazza Libertà 21,
53031 Casole d'Elsa (SI); molti materiali di e su don Milani sono nel sito
http://www.etruria.org/nonsololibri/milani]
Cosi' eravamo amici, fino a urlare insieme la' dove non eravamo d'accordo.
Ma grandi amici: senza bisogno di ridurre l'altro alla nostra misura.

2. RIFLESSIONE. FRANCESCO COMINA: TORNINO I VOLTI, ULTIMO RIPARO ALLA
CATASTROFE
[Francesco Comina, giornalista, saggista, e' impegnato nel movimento
nonviolento di Pax Christi, per contatti: f.comina@ilmattinobz.it]
Tornino i volti. Líesortazione che fa da titolo al bel libro di Italo
Mancini (filosofo di Urbino morto sette anni fa) mi accompagna in questo
nuovo inizio dell'anno, quasi come fosse un imperativo categorico, una nuova
misura dell'essere, un punto esclamativo nel progetto culturale e politico
della nostra storia. Il volto non e' l'idea di una presenza e nemmeno una
dimensione oggettiva e vaga dell'uomo, come siamo stati abituati a fare con
le nostre filosofie e teologie universalistiche.
Il volto e' un soggetto distinto, individuabile, e' una parte del corpo che
trattiene nelle pupille degli occhi un universo di vita, di storia, di
esperienza e di sofferenza. Il volto e' la parte piu' scoperta
dell'individuo, la piu' rivelativa e la piu' vulnerabile. "Difficile -
scrive Mancini - sparare a qualcuno guardandolo in volto".
Per questo l'etica del volto oggi diventa l'ultimo riparo alla catastrofe,
la chiave di lettura della condizione umana nel terzo millennio, la via di
fuga dalla teoria e dalla prassi della guerra come manipolazione del diritto
e della politica, se e' vero, come e' vero, che "la guerra ha una sua
grammatica ma il suo cervello continua ad essere la politica" (Italo
Mancini, Il pensiero negativo e la nuova destra, Mondadori).
Allora, se mettiamo al centro dei nostri pensieri il volto, anche la nostra
cultura si trasforma. Si trasforma il nostro modo di stare al mondo, la
nostra percezione dell'altro che ci sta di fianco, a cominciare dal compagno
di banco, dal collega di lavoro, dal nostro dirimpettaio.
Il volto sofferente del vagabondo di strada ci convoca alle nostre
responsabilita' di cittadini, al nostro senso civico, alla nostra "pietas"
umana.
Ancor prima di diventare un problema amministrativo, il lamento di chi dorme
a dieci gradi sotto zero deve essere un tormento esistenziale per ognuno di
noi che sente dentro di se' il peso del volto d'altri. Ecco perche' un
Giorgio La Pira o un don Tonino Bello sono apparsi immediatamente come dei
testimoni della politica e del vangelo. Il richiamo a fare qualcosa per il
povero non era un'esigenza professionale per togliersi di torno l'inciampo,
ma un orizzonte di reciprocita' umana, una spontanea risposta alla richiesta
di aiuto di chi e' in difficolta' e brancola nel buio dell'indigenza.
Ancora il volto ci appare dai sotterranei della morte nel deserto afghano
dove i missili cercano di sotterrarlo. Gino Strada e altri volontari che si
sono precipitati a soccorrere i disperati di Kabul non l'hanno fatto per un
dovere professionale, ma per strappare la vita, qualsiasi vita (quella
talebana come quella anti-talebana) al precipizio della morte.
Cosi' si spiegano le scelte della solidarieta' e della pace, si spiega il
viaggio infernale di Zanotelli nei gironi della miseria di Korogocho, si
spiega l'afflato cosmico di Rigoberta Menchu' per i diritti delle donne,
degli indigeni, dei fanciulli. L'altro mondo visto dalle periferie della
terra e' il contributo che ci viene da intellettuali come Leonardo Boff,
Eduardo Galeano, Frei Betto, Riszard Kapuscinsky, Tissa Balasurya. Ovunque
andiamo troveremo penne al servizio delle moltitudini che non hanno alcun
peso sul bilancino dei rapporti di forza economico-monetari di questo mondo.
E cosi' ci appare - come in un panorama vago - l'intreccio dei volti anonimi
che hanno vissuto tendenzialmente per gli altri e che le nostre cronache
altolocate non segnalano mai all'attenzione del lettore.
Se ci collochiamo dentro questa etica possiamo capire meglio perche' molta
gente rifiuta la violenza, perche' molti gruppi spontanei escono allo
scoperto per dire che un mondo piu' giusto e' possibile. Non c'e' solo il
gusto della ribellione e del dissenso verso le politiche neoliberiste che
governano il mondo, non c'e' la nostalgia per un orizzonte ideologico al
tramonto e neppure un pregiudizio di fondo sulla filosofia della
globalizzazione come spirito unificante.
C'e' un qualcosa di molto piu' profondo, ossia la consapevolezza che i volti
singoli di milioni e milioni di individui sono negati e deturpati, che le
vite sono spezzate e rovinate, che le memorie dei popoli sono assogettate e
violate, che le speranze delle tribu' della terra sono oscurate e
carbonizzate.
Il futuro, insomma, mi appare davanti nel frammento di una vita di
relazione. Sono passate le visioni rivoluzionarie della storia, i grandi
miti del passato, lo spirito imperialista a stelle e strisce se ne sta
accovacciato - nonostante tutto - sulle rovine delle Twin Towers. Quello che
rimane sono i volti: volti da guardare, da accarezzare, da rispettare.

3. IL PUNTO. GIULIANA SGRENA: LA GUERRA CONTINUA
[Giuliana Sgrena e' inviata del quotidiano "Il manifesto" in Afghanistan.
Questo articolo e' stato pubblicato il 3 gennaio]
La guerra non e' finita in Afghanistan e la dimostrazione piu' lampante, e
drammatica, e' la fuga che continua di migliaia di profughi verso il
Pakistan. A denunciarlo ieri, a Islamabad, e' stato il portavoce dell'Alto
commissariato delle Nazioni Unite per i profughi (Unhcr), Fatumata Kaba. In
contrasto rispetto alle segnalazioni degli ultimi giorni che accreditavano
una tendenza al rientro dei profughi nei villaggi d'origine, Kaba ha
riferito che ieri che circa 5.000 profughi sono arrivati al confine di
Chaman, tra Afghanistan e Pakistan. E altre migliaia di afghani starebbero
per abbandonare la citta' di Kandahar per raggiungere il confine con il
Pakistan, dove per ora sono trattenuti nella terra di nessuno, in condizioni
al limite della sopravvivenza.
Nella zona di Kandahar, ex roccaforte dei taleban, sta infatti continuando
la caccia al mullah Omar, la guida spirituale degli ex studenti di teologia.
Anche se nelle ultime ore la caccia si e' spostata piu' a nord-ovest, dove,
in un villaggio vicino a Baghran, secondo fonti ufficiali afghane, il
"ricercato numero due" si sarebbe rifugiato con circa 2.000 suoi
combattenti. Le notizie sulla imminente cattura del mullah Omar tuttavia si
sono fatte piu' caute dopo i fallimenti dei giorni scorsi.
E crescono le proteste e polemiche suscitate tra la popolazione per i
continui massacri di civili compiuti dai bombardamenti americani con il
pretesto di colpire presunte postazioni di al Qaeda, l'organizzazione di bin
Laden, o dei taleban. Tanto che ieri il portavoce del capo dell'intelligence
Haji Gullalai di Kandahar ha dichiarato: "siamo ancora in contatto con la
popolazione per cercare una soluzione pacifica a questo problema".
Situazione che ha indotto anche il neopremier Hamid Karzai a ribadire ieri
che non devono essere i civili a pagare il prezzo della lotta contro il
terrorismo. Pur confermando il pieno appoggio alla campagna di Bush, il
premier ad interim, in una intervista al New York Times, ha detto: "Noi
vogliamo che i terroristi scompaiano dall'Afghanistan ma dobbiamo anche
essere sicuri che i nostri civili non soffrano". Karzai ha anche manifestato
l'intenzione di voler discutere presto con il comando americano delle
vittime civili dei bombardamenti delle ultime settimane.
Il 22 dicembre un convoglio di anziani capi tribu' era stato colpito mentre
si stava dirigendo verso Kabul per assistere all'insediamento del governo
(65 vittime), il 27 con il pretesto di colpire la casa di un capo taleban
erano state distrutte case e uccise 40 persone, infine, domenica scorsa 107
persone, la maggior parte donne e bambini, sono rimasti sepolti dalle
macerie di un villaggio raso al suolo.
Questi attacchi indiscriminati hanno indotto anche l'ex presidente
sudafricano Nelson Mandela a rivedere il proprio appoggio alla campagna
antiterrorismo alla quale, all'inizio, aveva dato un "appoggio
incodizionato". "Mi e' stato fatto notare - si legge nel comunicato di
Mandela - che un appoggio cosi' incondizionato alla guerra in Afghanistan
puo' aver dato l'impressione che io non sia sensibile alle sofferenze patite
dal popolo afghano e dal paese".
Prese di posizione significative che per ora non hanno pero' indotto il
comando americano a ripensamenti. La caccia continua, anche se non si sa
dove si trova bin Laden. Ieri duecento marines hanno perlustrato sulle
montagne a nord di Kandahar un nascondiglio composto di quattordici
strutture dove sarebbero stati nascosti combattenti di al Qaeda e
sostenitori taleban. L'operazione doveva servire ad ottenere informazioni su
bin Laden e la sua organizzazione. Mentre un computer con gli archivi di al
Qaeda rinvenuto, si dice, in una delle sedi bombardate dagli americani nei
giorni scorsi, sarebbe finito nelle mani del Wall street journal che
l'avrebbe comprato da un commerciante di materiale elettronico al prezzo
assolutamente irrisorio, persino sul mercato afghano, di 1.100 dollari
(quanto prende un interprete in una settimana). Se il materiale rinvenuto
fosse autentico sarebbe veramente inquietante pensare che venga abbandonato
alla merce' dei passanti. Ma dopo la diffusione di video e il rinvenimento
di quantita' di documenti e schedari - anche da parte nostra quando abbiamo
visitato le basi degli "arabi" a Kabul - c'e' anche da interrogarsi sulla
loro autenticita' e/o sugli obiettivi del distratto abbandono.
Sotto le macerie provocate dai bombardamenti Usa sarebbe stato rinvenuto
anche il corpo del capo dei servizi dell'intelligence taleban, Qari
Ahmadullah. La morte, secondo Abdullah Tawheedi, vicecapo dell'attuale
intelligence, sarebbe avvenuta qualche giorno fa nella provincia di Khost.
Il tutto succede mentre nella capitale Kabul da ieri si sono installati, in
un ex club sportivo, i primi 25 militari provenienti da dodici nazioni
(Germania, Francia, Spagna, Italia, Olanda, Danimarca, Austria, Grecia,
Svezia, Norvegia, Finlandia e Romania) che si sono aggiunti ai britannici
gia' sul posto e che costituiscono il primo gruppo del contingente che
dovrebbe iniziare il pattugliamento della citta'. Intanto un gruppo di
ufficiali, arrivati a Kabul ieri, stanno preparando il dispiegamento della
International security assistance force (Isaf), che sara' comandata per i
primi tre mesi dal generale britannico John McColl, e che dovrebbe garantire
la sicurezza della capitale. Ma i compiti dell'Isaf sono tutt'altro che
chiari e questo accresce i rischi della missione. Secondo l'accordo di Bonn,
per esempio, le forze schierate nella capitale dovrebbero essere disarmate.
Ma pare che cosi' non sara'.

4. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: BAMBINI
[Giulio Vittorangeli e' una delle persone piu' lucide e generose impegnate
nella solidarieta' internazionale. Per contatti: giulio.vittorangeli@tin.it]
Davanti al caos internazionale del nuovo anno (ultimo arrivato il dramma del
popolo argentino, ex paese ricchissimo impoverito dalla lunga disuguaglianza
della globalizzazione) e dopo gli orrori del 2001, non possiamo non
ripartire che dai bambini; cioe' il futuro, la dimora della vita gioiosa.
Eppure, come non riconoscere che i molti regali che abbiamo fatto (per
Natale, o per riempire la vecchia calza della Befana) sono supeflui; o
peggio ancora, li sentiamo privi di un autentico significato di dono. Basta
citare la bambola Barbie, l'odiosissima apostola del consumismo infantile.
I bambini sono anime semplici, sanno vedere la magia del quotidiano e amano
contribuire a crearla; ma questa semplicita' li rende facilmente vittime del
consumismo illusorio della nostra moderna societa' del benessere
informatizzato. Cosi', puntualmente, ogni anno abbiamo un "personaggio
infantile" (per il Natale 2001 Harry Potter) che diventa contemporaneamente
un film, uno o piu' libri, un'infinita' di giochi dai semplici manuali, a
quelli sofisticati elettronici. Giocattolo consumista che sentiamo cosi'
lontano dalle fate e dalle streghe che hanno scosso di stupore e di terrore
la nostra infanzia; ad iniziare dalla Befana che e' passata mille volte sui
tetti a dipanare i nostri sogni interminabili.
Oggi, molti dei giocattoli in commercio, sono tanto sofisticati da diventare
oggetto di contemplazione e di utilizzo passivi; ammalati di immobilismo, di
silenziosita', di automatismo, di fruizione passiva e solitaria. Assistiamo
al prevalere di giocattoli-spettacolo, cioe' giocattoli che sono tanto
strutturati da non lasciare spazio alla creativita' e all'intervento attivo
dei bambini, piuttosto che gioccatoli-giocabili con cui il bambino puo'
relazionarsi e misurare il mondo. Cosi' molti bambini finiscono con l'avere
le loro camerette piene di giocattoli da contemplare.
Allo stesso tempo percepiamo che, oggi come ieri, i giocattoli sono compagni
inseparabili nella vita dei bambini, e vengono caricati di investimenti
affettivi spesso di grande importanza. Anche per noi adulti: il giocattolo
come incantevole memoria del passato... il sogno di un giocattolo e' il
nostro sogno impossibile: far sorridere, saper sorridere, essere unici e
irripetibili per noi stessi perche' unici e imprescindibili per gli altri.
Sappiamo che, oggi come ieri, la vita di un giocattolo e' il suo uso. E'
l'essere toccato, sbattuto, messo in una scatola, gettato sul letto, amato,
abbracciato e preferito. Oppure, rompersi, finire dimenticato, sostituito e
buttato via; come certi sogni, irriverenti e sorridenti, che prima o poi si
infrangono al suolo. Ecco perche' continuiamo a cercare e regalare quei
giocattoli che possano dare disposizione sul come continuare a produrre nel
tempo la meraviglia per la quale la loro esistenza si giustifica. Giocattoli
per la testa, anche per il cuore, nel senso delle emozioni pure.
Ma i bambini non sono ne' buoni ne' cattivi. Sono solo quello che hanno la
possibilita' di diventare. E per noi, generazione adulta, inevitabilmente il
pensiero corre a tutta l'infanzia negata del cosiddetto Terzo Mondo. Alla
tragica realta' quotidiana dei bambini di strada dell'America Latina; o a
quella di chi popola i "barrios", i quartieri poveri e marginali
dell'America Centrale; o peggio ancora alle baraccopoli dell'Africa con le
loro discariche dove quel che resta degli esseri umani contende i rifiuti
agli animali. E poi, l'assassino dei bambini iracheni, che a causa di un
embargo ormai decennale, muoiono a diverse migliaia ogni mese; per finire
con lo sfruttamento di una massa crescente di operai bambini, a causa di
precisi meccanismi economici e finanziari le cui redini sono in mano
all'Occidente. Ricorderete lo scandalo scoppiato alla vigilia del Campionato
mondiale di calcio del 1998 in Francia, quando divenne pubblico lo
sfruttamento intensivo di minori nella fabbrica di palloni con marchio Coca
Cola a Sialkot (Pakistan). Le foto di alcune bambine di 11 anni che
incollavano e cucivano i palloni hanno fatto il giro del mondo, riprodotte
in decine di quotidiani e riviste di rilevanza internazionale. Ed ancora,
Nkosi Johnson, il piccolo sudafricano morto a 12 anni il primo giugno 2001,
diventato l'emblema della disperazione africana contro l'Aids, quando
inaugurando nel luglio 2000 la conferenza mondiale sull'Aids a Durban, aveva
chiesto cure per le donne incinte seriopositive. Nell'Africa a sud del
Sahara una donna incinta su tre e' sieropositiva.
Non bastasse questo, ci sono le drammatiche cifre dell'ultimo rapporto Onu
sull'infanzia: 11 milioni di bambini ogni anno muoiono per malnutrizione o
malattie che in altri paesi sarebbero facilmente curabili. Sono sfruttati
nel lavoro 250 milioni (a tempo pieno 120 milioni, part-time 130 milioni).
Di questi 153 milioni sono in Asia, 80 milioni in Africa, 17 milioni in
America Latina. 113 milioni di bambini non sono mai andati a scuola e 330
mila sono i bambini che vengono mandati a combattere nelle guerre.
Cosi' ci torna in mente quella "Lettera ai bambini" scritta, anni fa, dal
grande Gianni Rodari:
"E' difficile fare
le cose difficili:
parlare al sordo,
mostrare la rosa al cieco.
Bambini, imparate
a fare le cose difficili:
dare la mano al cieco,
cantare per il sordo,
liberare gli schiavi
che si credono liberi".

5. RIFLESSIONE. STEFANO CATUCCI: LA COSTRUZIONE DEL NEMICO
[Stefano Catucci, saggista, ha recentemente pubblicato una Introduzione a
Foucault, Laterza, Roma-Bari 2000. Questo articolo che recensisce due
recenti libri dello scrittore statunitense Gore Vidal e' apparso sul
quotidiano "Il manifesto" del 4 gennaio col titolo L'America ha il nemico
nel cuore]
A cosa serve un nemico? Nelle teorie classiche, l'esistenza del nemico
definisce in negativo l'identita' di un gruppo sociale, di una nazione, di
una comunita', disegnando il bordo che la delimita sia contro i pericoli che
la minacciano dall'interno, sia contro quelli che premono dall'esterno. Il
nemico interno viene escluso o perche' si e' macchiato di un crimine, e deve
percio' essere perseguito, oppure perche' e' portatore di conflitti il cui
potenziale politico deve essere disinnescato.
Contro il nemico esterno, invece, la comunita' serra le fila e fa muro,
mettendo fra parentesi ogni differenza politica per proteggere la sua
sopravvivenza e integrita'.
Gia' all'alba del XX secolo, questa relazione funzionale fra il nemico e
l'identita' comunitaria era stata messa in crisi dall'emergere di nuovi
scenari di conflitto. Sebbene la propaganda insistesse nel dipingere i
nemici come barbari o come animali, riattualizzando archetipi duri a morire,
durante la Grande Guerra si era diffusa sotto tutte le bandiere la
percezione della comune appartenenza a un sistema impersonale, dominato da
leggi anonime e internazionali come quelle dell'economia e dell'industria.
Sul campo, la figura del nemico diventava cosi' una variabile astratta, un
"numero", essendo la vita degli operai di trincea uguale su entrambi i
fronti. A definire il nemico, percio', non era la differenza delle divise,
ma la dimensione trasversale della lotta di classe, nella quale
discriminanti non erano le frontiere nazionali, ma le condizioni del lavoro
e dello sfruttamento.
"Le guerre cominciano e non finiscono mai", scriveva Celine, perche' lo
scontro vero e' quello nel quale i nemici hanno sempre la stessa divisa: da
ufficiali nell'esercito, da capitani d'industria nella vita civile. Negli
anni successivi, quando torno' prepontemente d'attualita', la figura del
nemico non era piu' solo il margine di un'identita', ma l'impalcatura di un
preciso sistema di potere. L'odio contro i nemici nazionali e di razza
divenne allora oggetto di un vero e proprio processo di mitologizzazione: il
pensiero di un nemico piu' mostruoso e piu' diffuso che mai, infatti,
metteva a tacere le dinamiche interne della lotta di classe e assicurava la
stabilita' di governi basati su pratiche di controllo sempre piu' pervasive.
Anche dopo la Seconda Guerra, la mitologizzazione del nemico e' diventata
d'appoggio alla politica, al punto che la difesa da nemici reali o
immaginari e' stata spesso invocata "a posteriori", all'interno dei regimi
democratici, per giustificare un insieme di pratiche illegali compiute nel
nome di un principio di civilta'.
Gli esempi non mancano, specie in Italia, ed e' penoso constatare come
l'abitudine al "mea culpa" della sinistra abbia finito per conferire
un'apparenza di legittimita' a chiunque confessi di aver violato le leggi
dello stato pur di difenderlo dalla "minaccia comunista". Ad affermazioni
come queste si reagisce per lo piu' con fatalismo: eravamo la periferia di
un impero, si dice, ed e' normale che una periferia goda solo di una
sovranita' limitata sul proprio territorio. Ma se cosi' e' stato in
periferia, cos'e' accaduto al centro? Cos'ha voluto dire, per gli Stati
Uniti, vivere per quasi mezzo secolo proiettati contro un nemico? Cosa ha
significato averlo perduto e cosa, oggi, averlo ritrovato?
Dopo il crollo del sistema sovietico e la fine del bipolarismo, la logica
dell'impero si e' ulteriormente trasformata. E' diventata, come scrivono
Michael Hardt e Toni Negri, una "macchina mondiale" del controllo che si
regge sul commercio e sulla comunicazione, sulla produzione del consenso e
sull'idea che la forza sia al servizio della pace, del diritto, della
sicurezza. Che senso ha, in questo contesto, rinnovare l'investimento
mitologico sulla figura del nemico, quali le analogie e le differenze
rispetto al passato?
Domande come queste suscita la lettura di un romanzo recente di Gore Vidal,
L'eta' dell'oro (Fazi, pp. 534, lire 35.000), pubblicizzato come il racconto
della "vera storia" dell'attacco giapponese a Pearl Harbour. I parallelismi
che i media hanno proposto, nelle scorse settimane, fra i due grandi
attacchi al cuore dell'America, fra il 7 dicembre 1941 di Pearl Harbour e
l'11 settembre 2001 di New York, basterebbero da soli a giustificare
l'interesse per il libro. La realta', tuttavia, e' diversa. Non solo perche'
il parallelismo e' improprio, perche' la guerra fra due stati non e'
paragonabile a un attacco terroristico, ma soprattutto perche' il libro
racconta un'altra storia: non la "verita'" su Pearl Harbour, sulla quale gli
storici si interrogheranno ancora a lungo, ma la nascita di una democrazia
limitata, ovvero il processo che negli Stati Uniti, fra il 1939 e il 1954,
ha trasformato realmente lo stato d'eccezione in una regola e ha fatto del
nemico la condizione necessaria per la progressiva riduzione dell'esercizio
effettivo della sovranita' popolare.
"L'eta' dell'oro" del titolo e' gia' sul punto di finire quando il libro
comincia, sta tutta "prima" dell'epoca inaugurata dalla terza rielezione di
Franklin D. Roosevelt, a sua volta coincidente con l'inizio della guerra e
con la fine del New Deal. L'eta' dell'oro e' il tempo della grande
aristocrazia finanziaria americana, ricchissima ma illuminata, fedele ai
valori democratici che avevano dato vita alla nazione e all'American Idea.
La politica, in senso stretto, non ha molto rilievo da questo punto di
vista. Non importa, cioe', se i politici protagonisti di una stagione
appartengano al Partito Democratico o a quello Repubblicano. La distinzione
e' inessenziale e risponde piu' a logiche immediate di potere che non a
posizioni realmente rilevanti circa il futuro di una democrazia. Per questo,
all'inizio del romanzo, quando Roosevelt sostiene l'entrata in guerra degli
Stati Uniti a fianco degli inglesi, contro Hitler, le parole piu'
preoccupate sono quelle di vecchi conservatori come Herbert Hoover,
presidente nel quadriennio 1928-1932. "Vedo qualcosa di peggio della guerra
all'orizzonte", dice Hoover, "sono certo che la prossima guerra ci
trasformera' completamente. Le grandi corporazioni avranno piu' potere. Il
Governo avra' piu' potere. Il popolo ne avra' meno. Ecco quel che temo.
Perche' una volta che inizia, questo processo e' inarrestabile. Non si puo'
estendere il dominio del Governo sulla vita quotidiana di un popolo senza
renderlo padrone dei pensieri e dell'anima della gente, esattamente nel modo
in cui hanno fatto i fascisti e i bolscevichi".
Gli Stati Uniti sulla strada del totalitarismo? A pensarla cosi' non e' solo
Hoover, ma tutti quei personaggi che, nel libro, vivono come una tragedia
personale la scelta sul "che fare". Roosevelt opta per la strada piu'
rapida, ma anche piu' rischiosa e autocratica, per decidere quel che andava
fatto: combattere Hitler in Europa. Di fronte al dilagare dei nazisti, il
fronte politico americano era diviso non solo fra interventisti e
isolazionisti, ma anche fra chi pensava che il nemico principale fosse
Hitler e chi, invece, il comunismo di "Joe" Stalin.
Roosvelt avverte, dunque, la necessita' di forzare la situazione: in
campagna elettorale aveva promesso che l'America sarebbe entrata in guerra
solo se fosse stata attaccata. Ora, attraverso un'abilissima politica fatta
di provocazioni diplomatiche, embarghi economici e campagne di stampa,
spinge i giapponesi a prendere l'iniziativa di un attacco che avrebbe dovuto
essere clamoroso, proprio per rendere unita la nazione e "necessaria" la
decisione dell'intervento. Gli avversari politici del presidente lo
denunciano: Pearl Harbour, dicono, e' stata un'invenzione di Roosevelt, il
quale non ha avuto scrupoli nel sacrificare vite americane pur di accentrare
su di se' il potere di decidere. Resteranno inascoltati.
Dopo la Prima Guerra Mondiale, ha scritto Paul Valery, "le civilta' hanno
scoperto di essere mortali". Dopo Pearl Harbour, le democrazie moderne sanno
di non essere innocenti. Le conseguenze della manovra di Roosevelt vengono
misurate da Gore Vidal su due piani distinti. Da un lato la pratica di
governo, che obbedisce ad automatismi tali da imporre a chiunque scelte
molto simili, determinate dalle leggi di un mercato che si regge
strutturalmente su un sistema di menzogne. Dall'altro l'organizzazione
sociale, sempre piu' legata a una logica di dominio mondiale che fa della
menzogna il suo principio di funzionamento regolare.
E' dopo Roosevelt, pero', alla fine della guerra, nel momento in cui il
nuovo Presidente, Harry Truman, decide di sganciare una "inutile" bomba
atomica su Hiroshima solo per ristabilire un vantaggioso rapporto di forze
nel confronto con l'Unione Sovietica, che la menzogna si stabilizza nel
sistema e da' origine a una nuova mitologia del nemico. Che una societa'
democratica debba vivere confrontandosi continuamente con avversari politici
trasformati in apocalittici nemici e' la bugia che ora giustifica cio' a cui
Roosevelt, secondo Gore Vidal, non sarebbe mai arrivato: la demonizzazione
dell'Unione Sovietica e del comunismo, la fine della convivenza pacifica e
l'inizio di una lunga escalation militare. Il grigio Truman tira fuori le
unghie e proclama la sua Dottrina: "io credo che la politica degli Stati
Uniti debba consistere nel sostenere i popoli liberi che resistono ai
tentativi di assoggettamento da parte di minoranze armate e pressioni
esterne". Eppure, commenta uno dei personaggi, "anche gli Stati Uniti erano
sia armati sia esterni alla Grecia e alla Turchia". Come giustificare questa
menzogna? Nessuna risposta da Truman, solo un'aggiunta: "credo che dobbiamo
aiutare i popoli liberi a decidere della loro sorte nel modo che
desiderano".
Vidal si chiede allora cosa sia un popolo libero. "Gli americani erano forse
mai stati liberi da una classe dominante che spesso agiva contro la volonta'
della maggioranza, da cui avrebbe invece dovuto trarre la sua legittimazione
politica?".
Il nuovo inganno di Truman era il coronamento di un sistema di potere che
aveva da sempre considerato la volonta' della maggioranza un lussuoso
intralcio. La bomba all'idrogeno assicurava il predominio degli Stati Uniti
sul mondo, avrebbe avviato l'Unione Sovietica verso una corsa alle armi
insostenibile, avrebbe reso l'America piu' ricca che mai, ma al tempo stesso
avrebbe dato avvio alla "militarizzazione piu' vasta e dispendiosa della
storia", finanziata da quegli stessi cittadini americani ai quali, di fatto,
il perenne pericolo del nemico non consentiva alternativa alcuna. "Quello
che il 'popolo di Truman' ha imparato in tempo di guerra dall'atto
necessario di Roosevelt e' come usare, durante la pace, gli stessi metodi
per finanziare un apparato federale sempre in espansione, che ci salvi da un
avversario selvaggio, che ci vuole distruggere. Tengono la nazione per le
palle, ed e' questo il motivo per cui sono grati alle furie dementi di
McCarthy".
L'invenzione di un nemico esterno ha come ricaduta la restrizione delle
liberta' civili sul fronte interno: questo il corollario che discende dalla
logica della menzogna e che trasforma la democrazia in una favola. Percio',
portati alle estreme conseguenze, comunismo e capitalismo sono equivalenti:
"laddove lo stato socialista ideale del comunismo userebbe la ricchezza
nazionale per il bene dei cittadini, con una rigida regolamentazione, va da
se', imposta da un governo centralizzato, noi, per difenderci da un nemico
satanico e senza Dio (e' un punto molto importante questo 'senza Dio',
quando si appioppano tasse cosi' alte a dei semplici americani di profonda
fede religiosa), stiamo creando uno stato sociale militarizzato" che ignora
piccole inezie come l'effettivo benessere del popolo e i principi
democratici a cui deve la sua esistenza.
Il sogno di una societa' giusta, ha scritto Michel Foucault, si e' scontrato
nella modernita' con il sogno militare di una societa' intesa come una
macchina perfettamente funzionale i cui ingranaggi dovevano essere
accuratamente subordinati e il cui principio non era la democrazia dei
diritti, ma la garanzia della sicurezza contro un nemico. Militare e' anche
la nuova dimensione di un'America che, al momento di risvegliarsi dai suoi
sogni, scopre di avere in mano il campo del potere mondiale. "Il merciaio
Truman, l'avvocato Acheson e il militare Marshall stanno creando un'economia
e uno stato militarizzati che fanno mangiare la polvere a quei due poveracci
di Stalin e Mao". Per far funzionare il gioco basta un'unica regola:
continuare a mentire e a circondarsi di nuovi nemici. Ecco un altro
significato dello slogan "siamo tutti americani", in nome del quale sono
sfilati in molti anche in Italia: "siamo tutti militari".
L'immagine del nemico necessario, e' facile constatarlo, conserva anche oggi
un'efficacia innegabile, ma che forse non e' piu' quella dell'epoca della
guerra fredda e ha bisogno di essere ristudiata nel contesto della nuova
logica imperiale.
Resta il fatto che la mitologia di un nemico dai tratti ricorrenti -
satanico, distruttivo, senza Dio o con un Dio "altro", nemico della
civilta', prima che di una politica determinata - e' il mezzo attraverso il
quale le liberta' civili vengono limitate e i diritti dei cittadini
confiscati. La politica delle destre si alimenta della presenza del nemico,
che diventa per lei un fortissimo strumento di consenso.
Funzionali a questo sistema, a loro volta, coloro che incarnano la parte del
nemico ricavano potere, legittimazione politica e forza economica da una
posizione che non intendono abbandonare. Per questo il loro interesse non e'
risolvere i conflitti, ma renderli endemici, come avviene con Hamas in
Palestina, l'altra faccia del gioco politico di Sharon.
Quale sia il prezzo da pagare alla logica del nemico e' molto chiaro, come
suggerisce ancora Gore Vidal in un altro libro portato a termine poco dopo
l'11 settembre: La fine della liberta' (Fazi, pp. 121, lire 25.000). "Lo
spaventoso danno fisico che Osama e compagnia ci hanno provocato durante il
Martedi delle Tenebre - scrive Vidal - non e' nulla in confronto al doppio
colpo da KO inflitto alle nostre liberta' in via d'estinzione". La guerra
contro il nemico, infatti, ha giustificato negli Usa provvedimenti come
l'Anti-Terrorism Act del 1991, una legge speciale che sospende "l'habeas
corpus, il cuore della liberta' anglo-americana", o come la recente
richiesta al Congresso di poteri supplementari che comprendono, fra l'altro
l'autorizzazione di intercettazioni telefoniche e di arresti senza mandato
giudiziario. La minaccia del nemico si traduce cosi' in una serie di leggi
speciali che riducono gli spazi di liberta' e danno vita a un vero e proprio
"stato di polizia", versione "neo-imperiale" del vecchio apparato militare
messo in piedi all'epoca della Seconda Guerra. Ma e' necessario assecondare
una politica che si sostiene sull'immagine del nemico? Allinearsi a una
simile strategia non equivale forse, per l'opposizione, a revocarsi il
diritto di parola, rinunciando a ogni forma di antagonismo sociale? Come
scriveva Gilles Deleuze, che sia al governo o all'opposizione, la sinistra
ha sempre il dovere di "scoprire il tipo di problemi che la destra vuole
nascondere a ogni costo".
Denunciare la mistificazione del nemico, smascherare la menzogna che porta
consenso alla riduzione delle conquiste democratiche, e' forse un passo
necessario per ricostruire una cultura critica che non si lasci ingannare
dalla fine, solo apparente, dei "pensieri forti" e delle ideologie.

6. RIFERIMENTI. PER CONTATTARE IL MOVIMENTO NONVIOLENTO
[Riportiamo qui l'indirizzario degli organi eletti al XIX Congresso del
Movimento Nonviolento svoltosi a Pisa il 29 ottobre - primo novembre 1999.
Questa scheda abbiamo ripreso dal sito www.nonviolenti.org cui rinviamo per
ogni ulteriore informazione. Per contatti via e-mail:
azionenonviolenta@sis.it]
Presidente:
- Sandro Canestrini, via Paoli 33, 38068 Rovereto (TN), tel. 0464436688
Segreteria:
- Angela Dogliotti Marasso, via Tommaso Gulli 27, 10147 Torino, tel.
011253740
- Daniele Lugli, via Mortara 287, 44100 Ferrara, tel. 0532750869
- Luciano Capitini, via Molini 75, 61020 Monteciccardo (PS) tel. 072132926
Comitato di coordinamento:
- Stefano Benini, via Monte Suello 115, 25015 Desenzano del Garda (BS), tel.
0309914838
- Marco Brandini, via Merano 5, 37135 Verona, tel. 045585037
- Giovanni Mandorino, via Carneluti 18, 56100 Pisa, tel. 0508006748
- Alfredo Mori, via Ontini 44, 25135 Brescia, tel. 030362195
- Massimiliano Pilati, via Napoli 10, 40139 Bologna, tel. 051454757
- Rocco Pompeo, via Ernesto Rossi 62, 57125 Livorno, tel. 0586899312
- Paolo Predieri, via Capriolo 21, 25122 Brescia, tel. 0303773571
- Pasquale Pugliese, viale IV Novembre 7, 42100 Reggio Emilia, tel.
0522434767
- Piercarlo Racca, via Venaria 85/8, 10148 Torino, tel. 011 2264077
- Flavia Rizzi, via Monte Grappa 215, 20099 Sesto San Giovanni (MI), tel.
0222474900
- Matteo Soccio, via Anguissola 15, 36100 Vicenza, tel. 0444500457
Direttore di "Azione nonviolenta":
- Mao Valpiana, via Tonale 18, 37123 Verona, tel. 045918081
Comitato editoriale:
- Sergio Albesano, Strada di Lanzo 155, 10148 Torino, tel. 0112262403
- Claudio Cardelli, via Boccaccio 15, 40026 Imola (BO), tel. 054229323
Comitato scientifico:
- Rocco Altieri, Largo Duca D'Aosta, 56123 Pisa tel. 050551380
- Grazia Honegger Fresco, via Dandolo 2, 21053 Castellanza (VA), tel.
0331503951
- Alberto L'Abate, via Mordini 3, 50136 Firenze, tel. 055690838
- Nanni Salio, via Po 3, 10124 Torino, tel. 0118120850
- Gianni Tamino, via Busiago 33, 35010 Vigodarzare (PD), tel. 049767041
Sedi:
- Brescia: via Milano 65, 25126 BS, tel. 030317474, fax 030318558
- Torino: via Garibaldi 13, 10122 TO, tel. 011532824, fax 0115158000
- Verona: via Spagna 8, 37123 VR (sede nazionale), tel. 0458009803, fax
0458009212

7. RILETTURE. BRUNO BETTELHEIM: UN GENITORE QUASI PERFETTO
Bruno Bettelheim, Un genitore quasi perfetto, Feltrinelli, Milano 1987, pp.
456. Tra i pochi libri che effettivamente aiutano i genitori e' uno dei piu'
belli.

8. RILETTURE. HOWARD GARDNER: FORMAE MENTIS
Howard Gardner, Formae mentis, Feltrinelli, Milano 1987, 1991, pp. 464, lire
65.000. Il giustamente celebre "saggio sulla pluralita' dell'intelligenza"
che costituisce un'utile lettura per tutti.

9. RILETTURE. MARVIN HARRIS: L'EVOLUZIONE DEL PENSIERO ANTROPOLOGICO
Marvin Harris, L'evoluzione del pensiero antropologico, Il Mulino, Bologna
1971, 1994, pp. 1.108, lire 65.000. Una storia critica del pensiero
antropologico scritta dal grande studioso autore di Cannibali e re.

10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

11. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org ;
per contatti, la e-mail è: azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
http://www.peacelink.it/users/mir . Per contatti: lucben@libero.it ;
angelaebeppe@libero.it ; mir@peacelink.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it . Per
contatti: info@peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 332 del 4 gennaio 2002