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La nonviolenza e' in cammino. 325
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac@tin.it
Numero 325 del 28 dicembre 2001
Sommario di questo numero:
1. Clara Levi Coen, la vera caratteristica
2. Aldo Capitini, dire no alla guerra
3. Ettore Masina, nostra sorella Safiya
4. Dacia Maraini, storia di Safiya
5. Alcune azioni nonviolente per la pace in Palestina ed Israele (parte
quarta)
6. Umberto Santino, l'industria della morte: droghe, armi, organi umani
7. Bruno Cartosio, Ferruccio Gambino, la scomparsa di Marty Glaberman
8. Marcello Cini, quel no di Rasetti
9. Filippo Gentiloni, David Maria Turoldo a dieci anni dalla scomparsa
10. La "Carta" del Movimento Nonviolento
11. Per saperne di piu'
1. MAESTRE. CLARA LEVI COEN: LA VERA CARATTERISTICA
[Da Clara Levi Coen, Martin Buber, Edizioni cultura della pace, S. Domenico
di Fiesole (FI) 1991, p. 52]
La vera caratteristica dell'uomo consiste nell'assumere in pieno la propria
responsabilita'; questa responsabilita' e' immensa, poiche' da ogni uomo
dipende il destino del mondo.
2. MAESTRI. ALDO CAPITINI, DIRE NO ALLA GUERRA
[Da Aldo Capitini, Il potere di tutti, La Nuova Italia, Firenze 1969, pp.
157-158]
Noi siamo convinti che le popolazioni si fidano troppo dei governi. La
guerra e' voluta, preparata e fatta scoppiare da pochi, ma questi pochi
hanno in mano le leve del comando. Se c'e' chi preferisce lasciarli fare, e
non pensarci, divertirsi e tirare a campare, noi dobbiamo pensare agli
ignari, ai piccoli, agli innocenti, al destino della civilta',
dell'educazione e della progressiva liberazione di tutti. Noi dobbiamo dire
no alla guerra ed essere duri come le pietre.
3. INIZIATIVE. ETTORE MASINA: NOSTRA SORELLA SAFIYA
[Ettore Masina e' uno dei punti di riferimento della cultura della pace e
dell'impegno di solidarieta' internazionale. Per contatti:
ettore.mas@libero.it]
Non e' stato facile avere notizie esatte su una tragedia che stava
compiendosi in un villaggio africano: La prima notizia, arrivata sulle ali
di Internet, diceva semplicemente che una donna di trentíanni - Safiya
Husaini Tungar Tudu - era stata condannata a morte in uno stato della
Nigeria, chiamato Sokoto; La morte le sarebbe stata data per lapidazione.
L'avrebbero posta in una buca e sepolta sino all'altezza del seno, poi i
suoi compaesani l'avrebbero uccisa a colpi di pietre. La colpa di Safiya era
la seguente: avere dato alla luce una creatura senza essere sposata. Lo
stato del Sokoto e' uno dei dodici stati nigeriani che l'anno scorso ha
adottato la Sharia, cioe' una legge che si definisce islamica anche se e'
ben lontana dallo spirito miseircordioso del Corano: La Sharia prevede che
una madre "illegittima" possa allattare il bambino "della colpa" per 144
giorni, prima di essere uccisa, Safiya Tudu si era difesa dicendo di essere
stata violentata. Come quasi sempre accade in quei casi (e non soltanto in
Africa) i maschi che componevano il collegio giudicante non le hanno
creduto. Poteva provare, l'imputata, la violenza subita? No, non
chiaramente. E il maschio e' andato assolto.
Come e' certamente avvenuto a molti altri, quando ho letto quella notizia,
ho pensato che mi riguardava per via dei tanti fili che ci rendono solidali
con tutti gli oppressi e le oppresse che stanno sulla Terra: quei fili che,
se crediamo di poterli recidere con la smorfia di Caino ("sono forse io il
custode di mio fratello?") diventano catene pesanti alle nostre caviglie, ci
immobilizzano nelle gabbie dell'egoismo e di una solitudine disperata. Oltre
a tutto, mi e' sembrata intollerabile quella nuova infamia del maschilismo,
una incivilta' che anch'io so di portarmi dentro.
Percio' ho scritto a tutti gli amici e le amiche i cui nomi mi sono cari e
percio' stanno in una mia mailing-list: non potevamo fare insieme qualcosa
per Safiya? Mi ha risposto una meravigliosa fioritura di impegni.
Non sono stato capace di amputare le gemme di questa fioritura neppure
quando ho saputo che si occupavano del "caso Safiya" alcune associazioni per
cosi' dire "specializzate", dalla Comunita' di Sant'Egidio, che per prima ha
sollevato il "caso Safiya" in Italia a "Nessuno tocchi Caino", da Amnesty
International alle eccellenti agenzie di stampa dei missionari e delle
missionarie. Io sono convinto, infatti, che la solidarieta' sia
particolarmente preziosa quando si innerva in tramiti fra persone, in
comuni indignazioni, in comuni dolori, in comuni speranze.
4. INIZIATIVE. DACIA MARAINI: STORIA DI SAFIYA
[Questo articolo della prestigiosa scritrice Dacia Maraini e' apparso sul
"Corriere della sera" dell'11 dicembre col titolo: Storia di Safiya: sara'
lapidata perche' hanno abusato di lei]
Safiya Husaini Tungar Tudu, della gente Fulani, nigeriana, e' la quinta di
dodici figli di un contadino che a tempo perso fa anche il guaritore. A
dodici anni la bambina Safiya viene sposata a un ragazzo amico di un
villaggio vicino, Yusuf Ibrahim. I due sembra che si conoscessero dalla
prima infanzia e si amassero. Insieme fanno quattro figli, tre bambine e un
bambino. Ma il matrimonio non dura. La ragazza, come raccontano i giornali
francesi che sono andati a trovarla, dice che filava di buon accordo con il
marito, ma le rispettive famiglie litigavano in continuazione. Tanto che,
dopo sette anni di convivenza, i due sono costretti a separarsi.
Poco dopo si presenta un altro pretendente, a cui la famiglia Husaini Tungar
consegna la ragazza di 19 anni. Ma il marito, dopo pochi mesi, se ne va
lasciandola sola, senza soldi, con quattro figli da mantenere. Per due anni
Safiya torna con i suoi bambini, a vivere in famiglia. Dove, a suo dire, le
facevano continuamente pesare le tante bocche da sfamare. E cosi', quando
arriva un altro possibile marito, i suoi la spingono velocemente ad
accasarsi. Safiya si marita per la terza volta, ma anche questo matrimonio
dura poco. Evidentemente non e' facile per un uomo, anche se di buona
volonta' e innamorato, mantenere dignitosamente quattro bambini che stanno
crescendo a vista d'occhio. L'uomo finisce per andare via lasciandola ancora
una volta sola con i figli da mantenere.
A quell'epoca, come racconta la giovane donna, un amico del padre, un certo
Yacubu Abubaker, di 60 anni, prende a insidiarla. Lei lo tiene a bada, ma
una mattina che si trova sola con lui, l'uomo, con la minaccia di un
coltello, la violenta. In seguito alla violenza nascera' un figlio, Adama,
che l'uomo riconoscera' come suo. Ma proprio dopo il parto, nel febbraio del
2001, Safiya viene arrestata per adulterio.
E la cosa avviene nel modo piu' grottesco: la giovane donna si presenta al
posto di polizia per chiedere che l'uomo che l'ha violentata e da cui ha
avuto un figlio sia costretto a darle dei soldi per mantenere il bambino.
Lei non ha niente e, dovendo badare agli altri quattro figli, non puo'
lavorare. A questo punto la polizia si accorge che la sua posizione e'
illegale e l'arresta. Secondo la sharia infatti una donna sposata, anche se
poi divorziata, commette adulterio se si accoppia con un altro uomo ed e'
condannata alla lapidazione. Il figlio in questo caso e' una prova a carico
della donna. "Non capisco", dice Safiya. "Devo morire per essere stata
violentata e l'uomo che l'ha fatto e' libero".
Dopo la condanna, che viene subito conosciuta in tutto il mondo per merito
di alcuni coraggiosi giornalisti francesi, il primo marito si rifa' vivo e
le propone di tornare a vivere con lei. "Eí un uomo buono", commenta Safiya,
"sarei felice di tornare nella sua casa".
Ma la legge islamica la punisce con la lapidazione: il rito consiste nello
scavo di una buca nel terreno appena fuori il villaggio, li' dentro viene
piantata la donna come fosse un albero, in piedi, ma in modo che sporga
dalle spalle in su, le braccia rimanendo sepolte anche loro come l'emblema
dell'impossibilita' a proteggersi e a muoversi. A questo punto i suoi
compaesani sono chiamati a raccogliere da una montagna di pietre quelle piu'
grosse e spigolose per lanciarle contro di lei. Dovranno colpirla finche'
morira', prendendola possibilmente sulla fronte e sulle tempie. Sara' una
gara di destrezza e di forza. Si tratta di una pratica spietata e orribile.
Che fa balzare prepotentemente ai nostri occhi l'amara condizione di tante
donne che vivono fuori dalle zone piu' ricche e avanzate.
Troppo spesso ci siamo crogiolati nel pensiero che in questo inizio di
millennio avevamo raggiunto la parita', che le donne erano diventate
"uguali" per diritti e posizione agli uomini e che ormai il problema era
risolto. Ma chi si guarda intorno, chi ha avuto modo di viaggiare, sa che
l'Europa e' un piccolo giardino fortunato rispetto ai tanti Paesi in cui le
donne ancora sono trattate come schiave, considerate spesso incapaci di
intendere e di volere, scambiate e messe all'asta come carne da macello,
assoggettate e tenute segregate nelle case come serve a vita, senza diritti
e senza dignita'.
Nessuno parla dei due milioni di bambine che vengono escisse ogni anno nel
mondo, soprattutto in Africa. Per alcune si tratta del taglio della
clitoride, per altre di tutti i genitale esterni, grandi e piccole labbra
asportate con un coltello, da una anziana del villaggio, senza anestesia.
Dopo l'operazione, ogni accoppiamento risultera' per la donna un dolore
intollerabile, e la nascita di un figlio una vera tortura.
Forse l'orribile evento delle due torri di New York, che ha portato tanti
lutti e tanto dolore, che ha sconvolto il nostro modo di pensare e di
guardare Paesi e culture diverse, in mezzo a tanto orrore ha prodotto una
sola buona cosa: ha spezzato le sicurezze di chi si sentiva al centro del
mondo ed ha acuito lo sguardo verso altre culture e altre condizioni di
vita, cominciando da quella delle donne orientali, finora assolutamente
invisibile alla pubblica opinione occidentale.
Sono anni che i movimenti delle donne vanno denunciando cio' che i Paesi
poveri, tenuti sotto il dominio di regimi militari o religiosi, fanno alle
donne. Ma nessuno sembrava volere ascoltare. Solo ora, nell'impeto di una
guerra che pretende di chiamarsi di liberazione dal terrorismo, si scopre
l'indignazione per il grado di sottomissione e di infelicita' in cui sono
tenute le donne in molte parti del mondo. Non si tratta soltanto
dell'Afghanistan, infatti, ma di quasi tutta l'Africa, un continente intero,
di buona parte dei Paesi dell'Est, usciti mortificati e spogliati dallo
stalinismo, di intere zone depresse dell'America Latina, di una parte della
Cina, della Corea e altri Paesi.
Ovunque il potere politico e militare si instaura, stabilisce per prima cosa
regole severe per il controllo della vita e della morte dei suoi sudditi.
Per controllare le nascite dovra' sorvegliare il ventre delle donne, creando
regole e leggi punitive. Per appropriarsi del diritto di dare la morte,
bisognera' tenere in pugno l'esercito e la polizia. Senza il controllo di
questi due importanti gangli sociali, nessun potente si sentira' mai del
tutto sicuro.
In questi giorni ho firmato decine di appelli per Safiya. Il grande parlare
che si e' fatto sui giornali di tutto il mondo ha fermato la crudele legge
della lapidazione. Ma non per sempre. L'ha solo posticipata. A questo punto
chiediamo che non ci si nasconda dietro il rispetto delle diverse culture e
si chieda apertamente la fine di certe pratiche antiche, nel semplice nome
della sacralita' del corpo umano, della sua integrita' e della sua liberta'
di esistere.
5. INIZIATIVE. ALCUNE AZIONI NONVIOLENTE PER LA PACE IN PALESTINA ED ISRAELE
(PARTE QUARTA)
[Dal sito del Movimento Nonviolento (www.nonviolenti.org) riportiamo una
serie di comunicati concernenti varie iniziative nonviolente congiunte tra
israeliani e palestinesi per la pace e la convivenza]
Una pressione pacifica, internazionale e compatta, per fermare Ariel Sharon:
"ora e' il momento di dire basta", con manifestazioni alle ambasciate, per
telefono/fax o e-mail
Ora e' il momento di mandare immediatamente un messaggio chiaro e semplice a
tutti i leader politici del mondo, e specialmente al Presidente degli Stati
Uniti (e in copia a Sharon e Peres).
- Americani, contattate direttamente i vostri leader.
- Tutti gli altri: scrivete e protestate di fronte alle ambasciate degli
Stati Uniti. Il messaggio e' semplice:
"Fermate Sharon. Siate un arbitro, non un complice".
Alcuni indirizzi:
Presidente USA George W. Bush president@whitehouse.gov
Segretario di Stato, Colin Powell secretary@state.gov
Segretario Generale delle Nazioni Unite Kofi Annan ecu@un.org, coi@un.org
Mr. Terje Rod Larsen Rappresentante del Segretario Generale delle Nazioni
Unite in Palestina unsco@palnet.com
Ms. Mary Robinson Alto Commissario ONU per i Diritti dell'Uomo
webadmin.hchr@unog.ch
Unione Europea civis@europarl.eu.int
Parlamento Europeo Ufficio di Bruxelles epbrussels@europarl.eu.int
Consiglio Europeo public.info@consilium.eu.int
Belgian Representative belrep@belgoeurop.diplobel.fgov.be
karin.roxman@consilium.eu.int
christian.jouret@consilium.eu.int
Javier.Sancho-Velazquez@consilium.eu.int
Inviare copie a:
Primo Ministro Ariel Sharon webmaster@pmo.gov.il
Portavoce del Primo Ministro dover@pmo.gov.il
Ministro della Difesa Benjamin Beneliezer sar@mod.gov.il
Deputy Defense Minister Dalia Rabin Pilosof sgansar@mod.gov.il
Ministro degli Esteri Shimon Peres sar@mofa.gov.il
Primo Ministro Ariel Sharon: l'Ufficio del Primo Ministro, Kiryat
Ben-Gurion, Jerusalem, Israel, Office tel. 972-2-6705555/10, fax:
972-2-566-4838/6705415
Ministro degli Affari Esteri Shimon Peres: HaKirya Romema Jerusalem 91950,
Israel, tel. 972 2 5303531/3631/530, fax (+972-2) 5303506 /5303896 5303367
Presidente George W. Bush, fax: +1-202-456-2461
Segretario di Stato Colin Powell, fax: +1-202-261-8577
*
Manifestazioni pacifiste per bloccare la violenza: un invito di Peace Now
Cari amici,
stiamo assistendo ad un livello ancora piu' alto di violenza. Dobbiamo
restare uniti e pronti e bloccarla prima che diventi realta'.
Peace Now sta preparando due iniziative in risposta agli eventi sia recenti,
sia in corso.
Vi invitiamo ad una prima manifestazione sabato 15 dicembre alle 19,30, di
fronte alla residenza di Gerusalemme del Primo Ministro, al motto di
"Facciamo cadere questo governo di sangue", "La sicurezza risiede solo in
due stati".
*
Dichiarazione di Gush Shalom, 14 dicembre 2001
Chi e' il vero invasore?
Se Sharon riesce a far cadere Arafat e a distruggere l'autorita'
palestinese, Israele non ha piu' futuro.
Basterebbe una sola frase, 30 parole: "Israele propone di riavviare
immediatamente i negoziati di pace riconoscendo i diritti del popolo
palestinese a stabilire il loro stato in tutti i territori occupati nella
Guerra dei Sei Giorni".
Il governo sa che questo annuncio sarebbe sufficiente a causare un
cambiamento immediato e rivoluzionario nelle relazioni tra Israeliani e
Palestinesi; un cambiamento che comincerebbe con un cessate il fuoco e
porterebbe ad un trattato di pace. Il governo lo sa, ma continua a tacere.
Lo sa, ma si rifiuta. Perche' per questo governo la difesa dei territori ha
priorita' rispetto alla pace e alla sicurezza del suo popolo.
Questo governo e' il vero invasore.
*
Tel-Aviv, mezzanotte del 12 dicembre 2001
Perche' oggi e' impossibile una tregua tra Israele e Palestina
Proprio ieri il mediatore americano Anthony Zinni ha cercato di stabilire
una tregua di 48 ore tra Israele e Palestina. Poche ore piu' tardi, alcuni
elicotteri israeliani hanno ucciso quattro palestinesi nella Striscia di
Gaza. Nel mattino, a questo ha fatto seguito l'uccisione di due ragazzi
palestinesi, che i soldati accusavano di aver gettato pietre contro un
avamposto dell'esercito. I media israeliani hanno sorvolato su questi
eventi - e su altri, come una incursione armata nella citta' palestinese di
Jenin.
I funerali, con migliaia di presenti furiosi, non sono stati affatto
mostrati sulla TV di Israele.
L'organizzazione di Hamas ha reagito la sera stessa. Nove israeliani sono
stati uccisi e molti di piu' feriti. L'evento e' stato mostrato al pubblico
come un atto di terrorismo senza ragione: uccidere per il gusto di uccidere.
Fatta eccezione per un breve richiamo di Yoram Binur sul secondo canale TV,
e' stato dato ben poco spazio al fatto che le vittime di oggi erano coloni
che occupavano illegalmente la West Bank e che gli attacchi di oggi,
comunque crudeli, mostrano un cambiamento nella precedente politica di
Hamas, mirata a colpire casualmente i civili israeliani nei centri
maggiormente popolati - un cambiamento che puo' essere considerato un
risultato diretto della enorme pressione internazionale sul popolo
palestinese.
Per come viene informata dai principali media, la societa' israeliana guarda
alle uccisioni odierne come ad una continuazione dei 26 omicidi di Hamas due
settimane fa nel centro di Gerusalemme e di Haifa. Come sempre in questi
casi, hanno dato voce a politici che spaziano da una posizione estrema ad
una ultra-estrema. I bombardamenti dell'Aviazione Militare di Israele erano
gia' iniziati, includendo obiettivi che non avevano la piu' remota
connessione con il terrorismo o la lotta armata, come il Ministro
Palestinese delle Scienze a Nablus; e rappresaglie ancora piu' pesanti sono
previste dal gruppo dirigente di Sharon con i suoi ministri, tutti a
sostegno del Ministro della Difesa. La rivendicazione dell'attacco da parte
di Hamas non evitera' che Arafat venga criticato come sempre e che i suoi
uomini portino il peso delle violenze.
Prima che questo cataclisma si abbattesse su di noi, ci stavamo preparando a
inviare una relazione di Gush Shalom, scritta la notte precedente in
risposta alle uccisioni di due bambini palestinesi a Hebron, quando gli
elicotteri di Israele hanno deciso di colpire "l'obiettivo militare" di un
giovane che appariva sulla lista dei ricercati di Sharon.
Il modesto successo della mobilitazione pacifista di ieri, con 60-70 persone
in piedi nelle strade di Tel-Aviv, sembra gia' molto lontano. Cio'
nonostante, la decisione di proseguire la protesta di fronte all'ambasciata
degli Stati Uniti - piuttosto che, come facciamo solitamente, di fronte
all'abitazione del Ministro della Difesa - sembra giustificata dagli eventi
delle ultime ore (il nostro slogan era: "Siate un arbitro, non un
complice!").
Il Governo degli Stati Uniti - nello specifico, il Presidente George W. Bush
in persona - porta su di se' una grossa fetta di responsabilita' per
l'incalzare della violenza, avendo rinunciato alle ultime pretese di essere
un mediatore onesto e di offrire apertamente una mano a Sharon per ridurre
le misure piu' brutali contro i palestinesi. La richiesta pressante nei
confronti di Arafat di bloccare i terroristi di Hamas, senza chiedere niente
in cambio allo stato di Israele, e' fortemente ingiusta per quella che e' e
rimane la parte piu' debole del conflitto - e comunque molte delle terribili
immagini degli attacchi terroristici sono state usate per nascondere questa
verita'.
Il sostegno di Bush a Sharon e' un favore di natura incerta per Israele:
contribuire a rafforzare il potere di un uomo altamente pericoloso e
immorale, che non puo' offrire nessuna soluzione ai problemi del paese.
Nel dibattito dei giorn passati, molti riferimenti erano stati fatti a
quello che e' avvenuto prima del 1996, quando Arafat riusci' ad imporsi su
Hamas in modo fermo e severo, in circostanze che ad un occhio superficiale
sembrano simili al tempo presente - l'ondata di kamikaze a Gerusalemme e a
Tel-Aviv. Ma questo e' avvenuto quando Israele aveva ancora un governo
impegnato ad andare oltre i negoziati di Oslo del 1993. Allora Arafat e'
riuscito a dire al suo popolo che con i negoziati si apriva una prospettiva
promettente, e che i terroristi suicidi di Hamas stavano bloccando quella
prospettiva. Piu' precisamente, Arafat ha potuto dirlo ai giovani membri
della polizia e dei servizi di sicurezza palestinesi, cui si chiedeva di
eseguire gli arresti.
In questo momento, non sta avvenendo niente di lontanamente paragonabile. Al
contrario - l'attuale governo di Israele e' ben determinato a continuare
l'occupazione e la costruzione degli insediamenti, e si e' dato una gran
pena per mostrare che i palestinesi non devono aspettarsi assolutamente
niente dai negoziati.
In queste condizioni, Arafat dovrebbe scegliere tra alcune mosse che
potrebbero portare a una guerra civile interna al popolo palestinese, o dare
pieni poteri alle forze armate israeliane puntate contro di lui con il
sostegno delle sanzioni internazionali.
Adam Keller - Gush Shalom
*
Tel-Aviv, 15 dicembre 2001. Sabato sera, quasi mezzanotte.
"Gli spariamo in testa, e non c'e' proprio niente da chiedere" (Notizie
ghiotte da un weekend deprimente)
* Una verita' impossibile
Come sono morti sei poliziotti palestinesi, ieri a Salfeet nella parte
settentrionale della Cisgiordania? Il portavoce delle forze armate
israeliane proclama che sono stati uccisi in una battaglia contro le truppe
israeliane. Fonti palestinesi dicono che sono stati uccisi dopo essere stati
catturati e disarmati. Probabilmente la verita' non verra' mai a galla.
* Con le pietre, contro i carri armati
Minori dubbi sui quattro palestinesi uccisi oggi a Beit Hanun, nella
Striscia di Gaza. Sembra che tre di essi fossero ragazzi, che resistevano
disarmati - se non di pietre - contro le forze israeliane che stavano
invadendo la loro citta', fanteria, carri armati e mezzi corazzati per il
trasporto delle truppe.
* Un militare: "Riceviamo una consegna precisa"
Ieri, in prima serata, sul primo canale della TV israeliana, una intervista
con un soldato riservista fresco da un giro di orrore nei Territori. Un
giovane di bella presenza, leggermente stempiato, con un bambino sulle
ginocchia. Di fronte a lui in un salotto semplicemente arredato, sua moglie
con un altro bambino.
La moglie:"Sto in pena ogni volta che devi andare. So quanto sia difficile
per te, nel dubbio costante se sparare oppure no".
Il soldato: "A dire il vero, attualmente il dilemma non e' poi cosi' forte.
Abbiamo un mandato abbastanza chiaro dai leader sia militari che politici.
Gli spariamo in testa e non c'e' niente da chiedere" (sorride mentre
accarezza la testa del suo bambino).
La moglie: "Tu vuoi diventare un eroe, ma alla fine succedera' che dovro'
crescere da sola i nostri bambini".
(A questo punto non viene nessuna protesta dai leader militari o politici
che questa sia la "chiarezza" data ai soldati. L'intervista non ha causato
alcuna reazione di rabbia - il che e' un dato di per se' davvero
significativo).
* Curiosa affermazione di Shimon Peres
Una curiosa intervista con il Ministro degli Esteri Shimon Peres su Yediot
Aharonot.
"Alcune delle operazioni militari di Sharon mi lasciano terrorizzato...
Spero che la politica di liquidare l'avversario non venga estesa ai capi
politici palestinesi. Se sara' cosa', ben presto verremo dichiarati
criminali di guerra dalla comunita' internazionale".
Dopo questa affermazione, intende dimettersi?
"Certo che no. Spero ancora di riuscire a svolgere un lavoro fruttuoso
insieme ad Ariel Sharon".
* "Il Tribunale dell'Aja ti aspetta!"
Questa sera, alla manifestazione di Peace Now di fronte alla residenza del
Primo Ministro a Gerusalemme, molte voci cantavano all'unisono "Sharon,
Sharon, l'Aja ti aspetta" - ritmate da grandi tamburi portati dai
partecipanti.
Il canto era ben udibile dentro alla casa e nelle vie intorno, e la
manifestazione e' apparsa prepotentemente tra le notizie tv, in qualche modo
intaccando le difese di Sharon che sostiene di avere alle spalle "una
nazione unita".
Alcuni partecipanti gridavano: "Peres, Peres, non disperare - al Tribunale
dell'Aja c'e' un posto anche per te!".
* Una piccola storia nonviolenta
Una storia minore dug up da Nahum Barnea di Yediot Aharonot: una o alcune
persone sconosciute hanno recentemente scritto con uno spray le parole
"criminale di guerra" su alcune macchine che portavano militari in licenza
nell'area di Tel-Aviv, inclusa quella di un generale dell'aviazione.
L'esercito ha liquidato la questione come "L'atto di uno squilibrato"; cio'
nonostante, e' stato annunciato che nel giro di sei mesi verranno
gradualmente ritirate le tipiche targhe nere che decorano le auto delle
forze armate sin dalla creazione dell'esercito di israele, e vengono
utilizzate anche dai soldati in licenza; al loro posto, le automobili dei
militari avranno delle targhe gialle in tutto uguali a quelle dei veicoli
civili.
* Celebrato un nuovo insediamento, sotto la protezione dei militari
Tanto verra' fatto per rispondere all'atto di uno squilibrato, ed ora le
attivita' previste per coloro che sono considerati sani di mente:
domani (domenica 16/12), a mezzogiorno e mezzo, i coloni della Cisgiordania
intendono svolgere la cerimonia di inaugurazione di un nuovo insediamento,
con una processione, guardata a vista dai militari, da quello gia' esistente
di Enav (a sudest di Tul Karm in Cisgiordania) fino ad una collina del nord,
dove il nuovo insediamento sara' eretto.
* A Sa Nur una moschea viene trasformata in sinagoga
Tre ore piu' tardi, alle 3,30 del pomeriggio, in un altro insediamento di
coloni, Sa Nur, ci sara' una cerimonia per trasformare una moschea in una
sinagoga.
La moschea era stata eretta in quel luogo dai soldati dell'esercito della
Giordania che avevano un campo adiacente prima del 1967, ed era poi stata
usata occasionalmente dagli abitanti del luogo. Quando un insediamento
israeliano chiamato Sa Nur e' stato eretto in quel luogo, la moschea e'
stata inclusa all'interno della zona fortificata e successivamente i fedeli
musulmani si sono visti negare l'accesso.
Ora, i coloni di Sa Nur, membri del movimento ultra-ortodosso Chabad, hanno
l'intenzione di trasformarla in sinagoga e di sistemare il rotolo della
Torah nella nicchia che i primi costruttori avevano costruito secondo la
tradizione islamica in direzione della Mecca.
Adam Keller e Beate Zilversmidt
*
L'occupazione uccide: proteste internazionali contro l'occupazione in
Palestina
Martedi 18 dicembre decine di civili statunitensi ed europei protesteranno
contro il proseguimento della occupazione di Israele e contro la nuova
invasione delle citta' e dei villaggi palestinesi. I movimenti
internazionali marceranno da Manara Square in Ramallah fino ai luoghi in cui
si trovano i carri armati a Irsal con lo slogan "L'occupazione uccide".
Cittadini stranieri intraprenderanno nei confronti delle forze occupanti una
azione diretta nonviolenta, con lo sforzo di inviare un messaggio al governo
di Israele, ai governi dei rispettivi paesi di provenienza, e al mondo
intero.
6. MATERIALI. UMBERTO SANTINO: L'INDUSTRIA DELLA MORTE: DROGHE, ARMI, ORGANI
UMANI
[Il seguente testo di Umberto Santino abbiamo estratto da un suo piu' ampio
scritto dal titolo "I crimini della globalizzazione. Voci per un glossario",
disponibile integralmente nel sito del Centro siciliano di documentazione
"Giuseppe Impastato". Umberto Santino, fondatore e presidente del Centro, e'
il piu' grande studioso del fenomeno mafioso e fondamentale figura di
riferimento del movimento antimafia. Per contatti: Centro Siciliano di
Documentazione "Giuseppe Impastato", via Villa Sperlinga 15, 90144 Palermo,
e-mail: csdgi@tin.it, sito: www.centroimpastato.it]
* Il traffico di droghe
Il traffico internazionale di sostanze stupefacenti negli ultimi anni ha
visto il moltiplicarsi delle sostanze classificate come psicoattive e
abitualmente denominate droghe (ai derivati della cannabis, agli oppiacei e
alla cocaina si sono aggiunte varie droghe sintetiche, tra cui la piu'
diffusa e' l'ecstasy), il proliferare di gruppi criminali dediti alla
produzione e alla commercializzazione, la diffusione del consumo.
Le zone tradizionali di produzione sono: per l'oppio il Triangolo d'oro
(Birmania, Laos, Thailandia) e la Mezzaluna d'oro (Afghanistan, Iran,
Pakistan); per la foglia di coca: Bolivia, Colombia, Peru', Ecuador; per la
marijuana: Messico, Colombia, Giamaica; per l'hashish: Libano, Pakistan,
Afghanistan, Marocco.
Negli ultimi anni coltivazioni di coca e di papavero da oppio sono state
installate in nuove aree del mondo, per esempio la coca nella Repubblica
democratica del Congo e il papavero in Kenya.
Secondo il World Drug Report dell'Undcp (Programma antidroga delle Nazioni
Unite) del gennaio 2001, la produzione di cocaina sarebbe diminuita del 20%,
mentre sarebbe stabile quella di oppio, invertendo il precedente andamento
di crescita, e la produzione di derivati dalla cannabis sarebbe di circa
30.000 tonnellate all'anno. Il traffico invece si sarebbe globalizzato,
pero' i dati sui sequestri dimostrerebbero che molti paesi hanno cominciato
ad affrontare seriamente il problema.
Sempre secondo il rapporto dell'Undcp negli ultimi anni '90 i consumatori di
droghe sono stati circa 180 milioni: 144 milioni di cannabis, 29 milioni di
stimolanti tipo amfetamine (Ats), 14 milioni di cocaina, 9 milioni di
eroina.
Negli USA si sarebbe registrata una diminuzione del 40% del consumo
complessivo di droghe, del 70% per la cocaina, in seguito all'incremento
degli investimenti per la riduzione della domanda.
Questi dati vengono contestati da organismi e studiosi che considerano il
rapporto falsato da una volonta' apologetica del lavoro svolto dall"Undcp:
nel rapporto non si parla delle droghe sintetiche, della criminalita'
organizzata e del riciclaggio e i dati sarebbero stati manipolati.
Quel che e' certo e' che le campagne di eradicazione hanno portato a una
diminuzione della produzione di coca in Bolivia e Peru', compensata
dall'incremento in Colombia (da 44.700 ettari del 1994 si e' passati a
122.500 ettari nel 1999) dove fino a dieci anni fa non c'erano coltivazioni
di oppio mentre oggi si producono piu' di 100 tonnellate: il paese e'
diventato il quarto produttore mondiale e il primo fornitore di eroina per
gli Stati Uniti. C'e' stata una diminuzione della produzione di oppio in
Pakistan ma un aumento in Afghanistan. In Pakistan e' aumentato il consumo
di eroina: i tossicodipendenti sarebbero circa un milione e mezzo, piu'
dell'intero mercato europeo e statunitense.
Nel caso delle droghe naturali i profitti piu' rilevanti vanno ai paesi
consumatori, con uno scarto tra il prezzo delle materie prime e del prodotto
finito e distribuito in piccole dosi tra 1000 e 2500 per cento.
Le stime dei proventi oscillano tra i 300 e gli 800 miliardi di dollari
l'anno, tra droghe naturali e sintetiche. Piu' contenuta la valutazione del
Gafi (Gruppo d'azione finanziaria internazionale): 122 miliardi di dollari.
Il proibizionismo introdotto nel 1914 negli Stati Uniti si e' imposto a
livello internazionale con la stipula di convenzioni, la piu' recente e'
quella di Vienna del 1988. Si parla di una vera e propria "guerra alla
droga" con la presidenza di Ronald Reagan e l'avvio delle campagne di
eradicazione delle piante da droga realizzate attraverso l'intervento
militare, particolarmente pesante in America Latina. Recentemente, con uno
stanziamento del Congresso Usa di 1.374 milioni di dollari, e' stato varato
il Plan Colombia, un programma di fumigazioni delle coltivazioni di coca e
di sostegno alla politica del presidente colombiano Andres Pastrana, che
comporta l'intervento militare diretto degli Stati Uniti non solo sul
territorio colombiano, dove da molti anni operano gruppi guerriglieri, ma in
un'area piu' vasta.
* Droghe e armi
La droga e' stata la ragione per lo scatenamento di conflitti armati, come
le guerre dell'oppio tra Inghilterra e Cina (la prima dal 1839 al 1842, la
seconda dal 1856 al 1858), o ha funzionato come moneta per il finanziamento
dei conflitti, come nel Sud-est asiatico, in Afghanistan, in America
centrale (i contras antisandinisti in Nicaragua), con un ruolo di primo
piano dei servizi segreti, in particolare della Cia, e piu' recentemente in
America latina e nei Balcani, e il traffico di droghe spesso e' collegato
con quello delle armi e da qualche tempo con quello di materiali nucleari.
Gia' negli anni '70 e '80 l'inchiesta del giudice Carlo Palermo aveva
portato alla luce un fitto intreccio di traffici di armi e droga che vedeva
al centro esponenti di organizzazioni criminali (mafia siciliana,
turco-siriana, altri trafficanti), compagnie di trasporti, imprese, la
loggia massonica P2, servizi segreti, da quello bulgaro alla Cia, e
riforniva di armi (dai carri armati agli elicotteri, alle bombe atomiche)
vari paesi.
Negli ultimi anni, in seguito al crollo dei paesi socialisti, con lo
smantellamento degli arsenali, e in coincidenza con i conflitti nell'area
dei Balcani, il traffico di armi si e' intensificato e ha visto affermarsi
il ruolo delle mafie dell'Est. Nell'aprile del 2001 la Dia (Direzione
investigativa antimafia) di Torino ha tratto in arresto il petroliere
ucraino Alexander Zhukov, il cosiddetto "re dei missili", e sequestrato
duemila tonnellate di armi. Il traffico era gestito da uomini dell'ex Kgb e
dalla "Brigata del Sole", un potente clan della mafia russa, e ha alimentato
nei primi anni '90 il conflitto serbo-croato. Parte del ricavato del
traffico sarebbe confluito nella Trade Concept, una societa' di Jersey (Gran
Bretagna) definita dagli investigatori "il motore finanziario di un'enorme
holding impegnata nel commercio internazionale di petrolio greggio e
derivati", di cui Zhukov e' socio.
Il traffico illegale di armi e' solo una parte di un piu' vasto fenomeno: la
produzione e il commercio di armamenti che si intensificano all'interno del
quadro attuale delle relazioni internazionali. Le proposte di riconversione
dell'industria bellica si scontrano con questa realta'. Nel luglio del 2001
le Nazioni Unite hanno presentato un rapporto sulle armi leggere, adatte a
usi sia civili che militari: senza contare quelle in possesso clandestino,
ci sono in circolazione circa 550 milioni di armi da fuoco, 305 milioni in
possesso di privati. Il commercio legale avrebbe un volume d'affari di circa
4 miliardi di dollari l'anno, per quello illegale si parla di un miliardo. I
principali paesi produttori sono Stati Uniti, Cina e Russia. In Italia
alcune associazioni e organizzazioni non governative hanno promosso una
campagna sulle armi leggere, chiedendo la moratoria delle vendite ai paesi
africani, in cui le armi vengono usate nelle guerre in corso, e la campagna
"Banche armate", contro le banche che finanziano operazioni legate al
commercio internazionale di armamenti.
* Il traffico di organi
Tra i caratteri piu' disumani della globalizzazione e' la mercificazione
degli esseri umani, con lo sfruttamento del lavoro a costo zero o irrisorio
e la riduzione dei corpi a prodotti usa e getta e a banca di organi. Uomini,
donne, vecchi e bambini vengono tratti in schiavitu' per essere utilizzati
per i lavori piu' faticosi o per essere avviati alla prostituzione. I "nuovi
schiavi" sarebbero secondo alcune fonti 27 milioni, ma altre fonti parlano
di non meno di 200 milioni. Secondo l'Ilo (Organizzazione internazionale per
il lavoro) i bambini che lavorano in condizioni disumane sarebbero 250
milioni. Il giro d'affari della prostituzione non sarebbe inferiore a quello
delle droghe.
Anche se le prove giudiziarie sono ancora inadeguate, il traffico di organi
umani sarebbe in pieno sviluppo ed e' in gran parte sotto il controllo di
organizzazioni criminali, che pero' non potrebbero agire senza la
collaborazione di medici specialisti e di strutture ospedaliere. I casi di
cui si parla sono svariati: dall'immigrato che paga il costo del viaggio con
l'espianto di un organo ad adulti e bambini fatti sparire, ai caduti nelle
guerre in corso (per esempio, durante la guerra in Cecenia ci sarebbero
stati reparti speciali che prelevavano organi dai corpi dei soldati caduti
in combattimento), ai condannati a morte in Cina.
Negli anni '80 e '90 al centro del traffico d'organi era l'India dov'era
possibile comprare organi legalmente; secondo una recente inchiesta il
mercato illegale degli organi negli ultimi anni avrebbe come centrale la
Turchia. Almeno duecento "donatori" di reni sarebbero venuti dalla Moldavia,
un paese poverissimo dove non ci sono soldi per pagare l'elettricita' nelle
strade e dove opera una "mafia internazionale degli organi umani". A chi si
sottopone all'espianto vanno 6 milioni in lire italiane, mentre il chirurgo
che pratica i trapianti illegali chiede da 200 milioni a mezzo miliardo, per
un giro d'affari di 2 miliardi al mese.
* Bibliografia
AA.VV., L'Onu e la guerra alla droga. Gli ultimi fuochi, in "Narcomafie",
aprile 2001.
Commissione antimafia, Relazione sul traffico di esseri umani, Roma 2001.
Labrousse Alain - Koutouzis Michel, Geopolitique et Geostrategie des
Drogues, Economica, Paris 1996. Trad. italiana, Geopolitica e geostrategie
delle droghe, Asterios, Trieste 1997.
OGD, La geopolitique mondiale des drogues 1998-1999, Avril 2000.
Santino Umberto - La Fiura Giovanni, Dietro la droga, Edizioni Gruppo Abele,
Torino 1993.
UNDCP, World Drug Report 2000, Vienna 2001.
7. MEMORIA. BRUNO CARTOSIO, FERRUCCIO GAMBINO: LA SCOMPARSA DI MARTY
GLABERMAN
[Questo articolo abbiamo ripreso dal quotidiano "Il manifesto" del 27
dicembre]
Nella notte tra il 15 e il 16 dicembre e' morto a Detroit Marty Glaberman:
un operaio-intellettuale o intellettuale-operaio che ha attraversato con la
sua vita la storia stessa della classe operaia e della sinistra negli Stati
Uniti. Nel 1976, l'editore torinese Musolini aveva pubblicato una raccolta
di suoi scritti con il titolo Classe operaia, imperialismo e rivoluzione
negli Usa.
Marty era nato nel 1918 a New York da una famiglia ebrea originaria di
Vitebsk, nell'attuale Bielorussia. Il padre di Marty era giunto adolescente
a New York, dopo avere organizzato uno sciopero ed essere stato espulso dal
locale liceo.
La giovinezza di Marty si svolge nella New York del New Deal, dove egli
compie i suoi studi al City College, partecipando al movimento socialista.
Dopo l'impiego e le prospettive di carriera al Dipartimento dell'agricoltura
di Washington, Marty lascia la carriera e la costa orientale e, come tanti
altri militanti politici, sceglie di andare a lavorare in fabbrica.
Si trasferisce allora a Detroit nel 1942. I primi lavori saranno in piccole
industrie meccaniche; poi, nel dopoguerra, va a lavorare a Flint, il cuore
pulsante dell'impero della General Motors.
Nel 1953, quando torna a Detroit, dove lavora sempre come operaio dell'auto,
diventa redattore di "Correspondence" (1953-1962). Il giornale e' il punto
di arrivo di un percorso collettivo che aveva lasciato cadere l'esperienza
sovietica e tenta di ricostruire una prospettiva rivoluzionaria a partire
dalla condizione operaia, femminile e giovanile. In quegli anni gli
interlocutori europei di "Correspondence" sono i gruppi francesi di
Socialisme ou Barbarie e di Pouvoir Ouvrier. In Italia l'unico riferimento
politico, in quel momento, sara' Danilo Montaldi, che traduce il saggio
L'operaio americano, sull'esperienza di fabbrica di un giovane membro di
"Correspondence", Paul Romano.
L'esperienza di "Correspondence" e la critica del trotskismo segnano il
distacco definitivo dall'idea di rivoluzione legata al bolscevismo e al
modello sovietico. La conferma di questo distacco viene con l'Insurrezione
ungherese del 1956, a cui Marty dedica una costante attenzione negli anni
successivi. Il punto di approdo e' la necessita' di guardare la' dove la
contraddizione e' piu' forte e diretta: il conflitto tra capitale e lavoro
sul terreno della produzione. Il contributo dello storico C.L.R. James, il
vero maestro di Glaberman, permette di considerare tale contraddizione come
fondamentale sia nella metropoli, sia nelle lotte anticoloniali.
Gli anni Sessanta sono gli anni della crescita prorompente del Movimento
nero negli Stati Uniti. Poco dopo la chiusura di "Correspondence", Marty
smette di lavorare in fabbrica (1965).
E' il redattore di Speak Out, pubblicazione che nel Michigan di quegli anni
diventa una delle fonti di radicalizzazione di tutto il movimento nero nella
sua fase piu' alta, fino alla rivolta di Detroit del 1967 e oltre.
Nell'analisi del marxista Glaberman e di altri, tra cui George Rawick,
Seymour Faber e lo stesso C.L.R. James, la "Rivolta di Detroit" non e' il
frutto della disperazione, ma la rivendicazione di potere da parte di un
movimento in ascesa. Intanto Marty porta alla loro conclusione universitaria
gli studi, che in realta' non aveva mai interrotto, giungendo al dottorato
e, nei primi anni Settanta, all'insegnamento presso la Wayne State
University di Detroit, dove e' rimasto attivo fino a pochi anni fa.
Marty e' stato un marxista radicalmente critico: critico dell'esperienza
sovietica, ma anche del sindacato statunitense, al quale aveva pure dato un
contributo fattivo, e soprattutto "di un mondo pieno di razzismo e di
imperialismo". A plasmare in modo diretto questa sensibilita' "globale"
erano stati il suo internazionalismo militante e poi i viaggi e soggiorni
ripetuti in Europa (a Berlino in particolare, dove aveva insegnato alla
Freie Universitaet), a Trinidad, in Giappone.
E' stato anche uno storico della classe operaia statunitense: il suo volume
Wartime Strikes ("Scioperi del periodo bellico" pubblicato nel 1980), ha
fatto luce sull'indisponibilita' operaia ad accettare il patto sociale di
non-sciopero nel corso della seconda guerra mondiale.
Infaticabile (erano proverbiali le sue levatacce come redattore prima di
recarsi in fabbrica), ha continuato a scrivere e a intervenire nel dibattito
sul movimento operaio fino alla fine: con verve polemica ma anche con senso
del dialogo, convinto com'era che l'elaborazione politica e' un processo
collettivo.
8. MEMORIA. MARCELLO CINI: QUEL NO DI RASETTI
[Questo articolo di Marcello Cini, illustre scienziato e docente, di forte
impegno civile, e' apparso sul quotidiano "Il manifesto" dell'8 dicembre.
Franco Rasetti e' scomparso, centenario, il 5 dicembre]
Nel gennaio 1943 fu chiesto a Franco Rasetti di partecipare al progetto
Manhattan, di far parte cioe' del gruppo di scienziati che avrebbero nel
giro di due anni costruito nel laboratorio segreto di Los Alamos la prima
"bomba atomica", che Enrico Fermi aveva dimostrato, con la "pila" entrata in
funzione a Chicago nel dicembre '42, essere concretamente fattibile.
Rasetti era stato uno dei "ragazzi di via Panisperna", il gruppo di giovani
fisici italiani che, guidati dallo stesso Fermi, avevano, una decina di anni
prima, aperta la strada alla possibilita' di spezzare il nucleo dell'atomo,
utilizzando un fascio di neutroni prodotti da elementi radioattivi naturali,
rallentati fino a diventare in grado di penetrare al suo interno rendendolo
instabile.
Rasetti rifiuto'. Negli anni successivi motivo' questo rifiuto scrivendo:
"La scienza puo' dire Se vuoi costruire una bomba da 100 megatoni devi fare
cosi' e cosi', ma la scienza non puo' mai dirci se dobbiamo costruire una
bomba da 100 megatoni. Penso quindi che gli uomini dovrebbero interrogarsi
piu' a fondo sulle motivazioni etiche delle loro azioni. E gli scienziati,
mi dispiace dirlo, non lo fanno molto spesso".
Dovrebbe oggi essere evidente - ma ci sono brutti segnali che non lo sia
abbastanza - che gli scienziati "dovrebbero interrogarsi sulle motivazioni
etiche delle loro azioni", e dunque che Rasetti, ritenendo mostruosa l'idea
di costruire un'arma utilizzabile non solo contro obiettivi militari ma
anche per sterminare milioni di civili inermi, fece bene a rifiutare
l'offerta.
C'e' tuttavia un solo elemento che, per non prendere la facile scorciatoia
del "senno di poi", andrebbe considerato nel giudicare chi allora fece la
scelta opposta. E' contenuto nella famosa lettera che Einstein scrisse a
Roosevelt dove prospettava la possibilita' che gli scienziati tedeschi
potessero realizzare la Bomba e consegnarla a Hitler. Questa possibilita'
non costituiva una "motivazione etica" abbastanza forte per decidere che
bisognava a tutti i costi scongiurala? Alla fine della guerra si seppe che
gli scienziati tedeschi non erano abbastanza avanti per riuscire a
raggiungere l'obiettivo, anche perche' forse qualcuno, si dice lo stesso
Heisenberg, dirotto' piu' o meno deliberatamente le ricerche in direzioni
che resero piu' difficile raggiungerlo, ma la minaccia era allora reale e
terribile, tanto da rendere giustificabile la decisione di chi, nel gennaio
'43, la considero' determinante per partecipare all'impresa.
Del tutto diverso deve essere il giudizio, e Rasetti non esito' a esprimerlo
in termini severi nel corso della sua lunga vita, nei confronti di quegli
scienziati (Fermi in testa) che nell'estate '45 condivisero la scelta dei
militari, adottata alla fine da Truman, di far esplodere le due bombe che
erano state costruite su Hiroshima e Nagasaki. Si realizzava cosi' quell'uso
mostruoso della nuova arma contro la popolazione civile nel quale Rasetti,
prevedendolo, aveva rifiutato di essere coinvolto. Ed e' in questa occasione
che l'ideologia della neutralita' della scienza, con l'esplicito rifiuto da
parte degli scienziati di considerarsi corresponsabili dell'uso dei
risultati delle proprie azioni, mostrava per la prima volta in modo
clamoroso tutta la sua terribile disumanita'.
9. MEMORIA. FILIPPO GENTILONI: DAVID MARIA TUROLDO A DIECI ANNI DALLA
SCOMPARSA
[Questo articolo del prestigioso saggista Filippo Gentiloni e' apparso sul
quotdiano "Il manifesto" del 9 dicembre]
La sua terra natale, il Friuli, ha voluto ricordarlo, nel decennale della
morte, con un progetto, "David Maria Turoldo. Una voce per il Friuli",
cadenzato in due momenti: dal 4 al 7 dicembre e dal 4 al 7 febbraio. Ideato
e curato dall'associazione culturale Forum di Aquileia con l'assessorato
alla cultura della regione Friuli Venezia-Giulia ha riunito e riunira' le
voci di artisti, di studiosi, di poeti e di uomini e donne di fede, tra i
quali Michele Ranchetti, Andrea Zanzotto, Sergio Zavoli, Mario Rigoni Stern,
Franco Loi, Ettore Masina, Rigoberta Menchu'... Un appuntamento prezioso per
trarre un bilancio di quello che Turoldo e' stato, come poeta, come
testimone civile, come uomo di Chiesa e di cultura, e per ricordare, insieme
a lui, la stagione ecclesiale che fu, dieci anni fa, di padre Davide Maria
Turoldo, come anche di padre Balducci e di qualche altro. Una stagione,
purtroppo, ormai lontana.
Vorrei qui ricordare due fra i molti aspetti per i quali Turoldo, nonostante
la lontananza, ci e' piu' vicino che mai: la condanna della guerra e quella
di una metafisica che pretenda di conoscere Dio, di identificarlo, forse di
possederlo (concetto, concepito). Il linguaggio e' quello della poesia: ecco
una caratteristica profonda di Turoldo, convinto come era che soltanto la
poesia puo' - forse - arrivare a parlare, al di la' della logica, la' dove
si annuncia ma non si spiega, si spera ma non si constata. Si veda, fra
l'altro, il suo bellissimo Mie notti con Qohelet (Garzanti, 1992, poco prima
di morire), uno dei testi biblici che, insieme a Giobbe, Turoldo ha
maggiormente amato e frequentato. Ha scritto Carlo Bo: "Padre Davide ha
avuto da Dio due doni: la fede e la poesia. Dandogli la fede, gli ha imposto
di cantarla tutti i giorni".
La guerra, dunque, e la pace. Oggi, dopo le recenti tragedie del terrorismo
e dell'Afghanistan rileggiamo con commozione i versi scritti nel 1982, in un
altro dei momenti di scontro tragico fra Oriente e Occidente. "Primo
comandamento di tutti gli eserciti: / tu non avrai altra ragione / al di
fuori della ragione (impazzita) / di colui che ti manda. / I soldati devono
solo uccidere / ed essere uccisi". Sui problemi del Medio Oriente, si
rileggano questi versi, scritti al tempo di una crisi analoga a quella dei
nostri giorni: "Uomini, e' notte / e' notte per ogni cuore, / per ogni casa
e paese e chiesa. / Israele -o almeno Begin - / tornasse, per una breve
visita, a Mauthausen / in quel capannone delle scarpette / - un monte di
scarpette e bambole e giocattoli... Poi torni pure a continuare / con la sua
feroce baldanza / la concordata (oh, America) / 'operazione pace in
Galilea'". Sembra che Turoldo non possa parlare - e riflettere - se non in
poesia.
L'altro grande tema interessa direttamente il divino, la cui
inafferrabilita' ritorna continuamente nei suoi versi, fino alla fine. Si
vedano i Canti ultimi (Garzanti 1991; ne ho una copia che Turoldo mi ha
firmato, quando sono andato a trovarlo, l'ultima volta, insieme a don
Ciotti, in una casa di riposo vicino a Milano): "Oltre la foresta. /
Fratello ateo, nobilmente pensoso / alla ricerca di un Dio che io non so
darti, / attraversiamo insieme il deserto. / Di deserto in deserto andiamo /
oltre la foresta delle fedi / liberi e nudi verso / il nudo Essere / e la' /
dove la Parola muore / abbia fine il nostro cammino".
Un tema, questo, che aveva attraversato tutta la sua vita e la sua poesia.
Sono di pochi anni prima questi versi: "Appena uno pensi. Di falso in falso
andiamo / appena uno pensi: ecco / questo sei tu, Signore. / Nessuna
definizione tu sei, / lucidita' e'nostra illusione; / questo predicarti,
quando tu / ci frani nelle mani / come nuvola. / E non sara' soluzione /
neppure la morte: / la soluzione e' qui, / il silenzio". Questo silenzio e'
la preziosa eredita' che Turoldo ci ha lasciato, ma e' difficile ascoltarlo
nel frastuono attuale di tutte le religioni.
10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.
11. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org ;
per contatti, la e-mail è: azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
http://www.peacelink.it/users/mir . Per contatti: lucben@libero.it ;
angelaebeppe@libero.it ; mir@peacelink.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it . Per
contatti: info@peacelink.it
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac@tin.it
Numero 325 del 28 dicembre 2001