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Un'altra informazione è possibile?



PENSIERI SPARSI SULL’INFORMAZIONE NOSTRANA DAL SUD DEL MONDO

Inutile nasconderselo: anche quest’anno ‘Il Grande Fratello’ ha tenuto 
incollati al video milioni di italiani. A detta degli esperti del settore 
si è trattato di uno degli appuntamenti più attesi del cosiddetto ‘circo 
della comunicazione’. Il paradosso è lapalissiano: a parole si afferma che 
viviamo in un mondo ‘villaggio globale’ dove le informazioni dovrebbero 
viaggiare alla velocità della luce, grazie alle innovazioni della moderna 
tecnologia, eppure sono davvero pochi gli eletti ­ eufemisticamente 
parlando, s’intende ­ che conoscono la cronaca di Timbuktu o di Dar Es 
Salaam. Una cosa è certa: la darsena televisiva è intasata di programmi di 
piccolo cabotaggio che lasciano molto a desiderare sia a livello 
informativo che formativo. La sensazione è che la sete di conoscenza degli 
utenti sia drogata col siero dell’istupidimento collettivo, solo per 
soddisfare le esigenze del libero mercato. D’altronde la stampa nostrana, 
contrariamente a quanto avviene in altri Paesi come la Francia o il Regno 
Unito, è affetta da un provincialismo cronico che eleva all’ennesima 
potenza la convinzione ­ a dir poco paranoica - secondo cui ciò che 
interessa è l’accadimento vicino e non quello lontano, la cronaca rosa 
anziché il fatto di politica internazionale. Sarà mai possibile che il caso 
della Contessa Vacca Agusta debba intasare i notiziari delle reti 
nazionali, quando in Bahr el Ghazal vengono bombardati a tappeto 
dall’aviazione sudanese i campi profughi nel più totale disinteresse degli 
operatori dell’informazione? Da noi queste notizie non arrivano e se 
arrivano nel migliore dei casi vengono relegate al notiziario delle ‘24’, 
poco prima della rassegna stampa. Per carità, il criterio geografico avrà 
sempre un peso discriminante, ma i valori della società civile non possono 
essere stinti dall’indifferenza o dalla banalità. Per non parlare di quando 
scoppiano le grandi crisi internazionali come quella afgana. Pare che la 
guerra si combatta solo a Kabul e dintorni: Angola, Colombia, Congo, 
Liberia… finiscono puntualmente nel dimenticatoio. Non solo. Il 
sensazionalismo pervade l’areopago dell’informazione al punto che si creano 
gli eventi televisivi come se fossero dei varietà, anche se poi i morti non 
sono pupazzi, ma gente in carne ed ossa. D’altra parte, l’informazione dal 
Sud del mondo è monopolizzata da poche grandi centrali: Associated Press, 
Reuters e France Press. Sono le grandi agenzie che dettano le regole del 
gioco alle testate radiotelevisive o della carta stampata di mezzo mondo, 
essendo le prime fornitrici di notizie. Già nel 1840, uno scrittore come 
Balzac, metteva in guardia contro lo strapotere delle signore 
dell’informazione. “La gente crede che siano molti i giornali, ma in 
definitiva ce n’è uno solo? Ciascuno dipinge in bianco, in verde, in rosso, 
o in blu la notizia che gli manda il signor Havas”. Da allora le cose non 
sono cambiate un granché. Quello che lasciano filtrare (e che poi siamo 
costretti a digerire di primo mattino con il cappuccino o alla sera in 
poltrona) sono messaggi funzionali ad interessi politici, economici che 
spesso marginalizzano le periferie del mondo. Chi comanda sa bene che 
l’efficacia delle sue azioni si basa sulla conoscenza, sul controllo delle 
coscienze e sulla manipolazione della verità. Ecco che allora fino a ieri 
l’Afghanistan era un Paese sconosciuto e i Talebani un complesso rock, oggi 
invece sappiamo tutto di Osama bin Laden e della topografia di 
Mazar-I-Sharif e Kandahar. Di fronte a questo scenario, segnato da pesanti 
squilibri dei flussi di notizie, occorre decisamente identificare le 
possibili alternative per far parlare il Sud del mondo, per dare voce ai 
senza voce. Così per avere un panorama completo sul Sud del mondo bisogna 
rivolgersi ad un quotidiano estero del calibro di ‘Le Monde’, ad esempio, o 
all’editoria specializzata di matrice laica come Limes, la rivista di 
geopolitica internazionale, oppure, dulcis in fundo, a quella cattolica e 
missionaria che ha alle spalle una lunga tradizione. Da segnalare oltre ad 
Avvenire e Famiglia Cristiana, le testate della Fesmi (Federazione stampa 
missionaria italiana) che grazie al network dei missionari si sforzano di 
dare voce al Sud del mondo. Qui il ruolo di una stampa alternativa che 
tenta di colmare i vuoti della fantomatica kermesse di telenovelas con 
l’intento ambizioso di svolgere il ruolo del ‘Grande Fratello’ in Africa, 
Asia e America Latina, laddove molto spesso nessun giornalista o cameraman 
che dir si voglia ha mai messo piede. L’editoria missionaria dispone della 
più efficace rete di ‘inviati speciali’ che si conosca, i quali non devono 
rendere conto né alle multinazionali, né ad altri interessi particolari. 
Sono testimoni diretti e credibili, vivono ‘dal di dentro’ il come e il 
perché dei fatti. © (GA)

Da: MI.S.N.A.



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