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La nonviolenza e' in cammino.285



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 285 dell'11 novembre 2001

Sommario di questo numero:
1. Peppe Sini: fermare la guerra con la forza della legalita', della
democrazia, della nonviolenza
2. Calendario delle iniziative contro la guerra
3. Appello di giuristi democratici contro la guerra
4. I parlamentari contrari alla guerra
5. Arundhati Roy contro la guerra
6. Giulietto Chiesa, la ragione contro la guerra
7. Alberto L'Abate, il convegno di Parigi sull'intervento civile di pace
8. La "Carta" del Movimento Nonviolento
9. Per saperne di piu'

1. IL PUNTO. PEPPE SINI: FERMARE LA GUERRA CON LA FORZA DELLA LEGALITA',
DELLA DEMOCRAZIA, DELLA NONVIOLENZA
Della legalita': perche' questa guerra e' illegale e criminale. Ed i
mandanti, i sicari e i fiancheggiatori di essa devono essere perseguiti,
giudicati e puniti secondo la legge, cosi' come tutti i terroristi, gli
stragisti, gli assassini. Cominciamo in Italia.
Della democrazia: con la mobilitazione dei popoli, delle coscienze e delle
intelligenze, dell'umanita' che vuole vivere. Cominciamo in Italia.
Della nonviolenza: con l'azione diretta nonviolenta per bloccare la macchina
bellica, con la disobbedienza civile alle decisioni degli assassini, con lo
sciopero generale in difesa della legalita' e del diritto alla vita.
Cominciamo in Italia.
Fermiamo la guerra per riaffermare la legalita' costituzionale e il diritto
internazionale; fermiamo la guerra per salvare le vite umane in pericolo;
fermiamo la guerra per contrastare davvero il terrorismo con una operazione
di polizia internazionale sotto l'egida dell'Onu e un tribunale penale
internazionale; fermiamo la guerra in nome dell'umanita'.

2. CALENDARIO DELLE INIZIATIVE CONTRO LA GUERRA
[Ovviamente le iniziative di pace di seguito segnalate sono quelle di cui
siamo venuti a conoscenza e che ci sembrano caratterizzate da due scelte
precise: I. la nonviolenza; e II. la difesa dei diritti umani, del diritto
internazionale, della legalita' costituzionale]
Domenica 11 novembre
- a Viterbo: alle ore 16 presso il centro sociale occupato autogestito
"Valle Faul" incontro di formazione alla nonviolenza.
- a Favaro Veneto (VE): alle ore 14,30 all'Auditorium del Consiglio di
Quartiere dibattito su "Quale pace? Il Mondo tra guerre e terrorismi".
Interverranno: Alessandro Sabiucciu (Assessore al Lavoro della Provincia di
Venezia), Giannina Dal Bosco (Donne in nero), Carlo Campana (Emergency).
Presenti le comunita' islamiche, palestinesi, Kurda, Tunisina, Senegalese
veneziane. A conclusione, concerto di giovani studenti del Conservatorio di
Venezia. Organizza l'Associazione per la pace. Info: tel. 041970310, e-mail:
michela.vitturi@tin.it.
- a Quarrata, alle ore 17, Anfiteatro della Casa della Cultura: "Payman",
monologo che racconta la vita di Payman, donna del Sud Kurdistan (Kurdistan
iracheno). di e con Annet Henneman.
- a Vittorio Veneto: alle ore 10 in localita' La Crosetta, raduno di
alpinisti ed ambientalisti in difesa dell'antica Foresta del Cansiglio.
- a Vignate: ogni domenica dalle 10 alle 17 in piazza del comune si tiene un
presidio contro la guerra, per questa domenica ci sara' materiale
informativo di Banca Etica, e una raccolta di fondi per sostenere Emergency.
Per contatti: maurizio.pleuteri@effegibrevetti.it
*
Lunedi 12 novembre
- a Roma: alle ore 17, presso la scuola comunale dell'infanzia "Paola
Biocca", via Galvani 4b, a due anni dalla scomparsa di Paola: tavola rotonda
su "La societa' civile di fronte al terrorismo e alla guerra". Introduce:
Fabrizio Battistelli (segretario generale dell'Archivio Disarmo),
intervengono: Andrea Purgatori (giornalista), Mario Giro (Comunita' di
Sant'Egidio), Dacia Maraini (scrittrice); partecipano: Ilaria Angeli (Franco
Angeli editore), Lucia e Dario Biocca, Raffaella Bolini (Arci), Luca De
Fraia (Campagna Sdebitarsi), Nicoletta Dentico (Medici senza Frontiere),
Luis Germani (Centro Gino Germani), Giulio Marcon (ICS), Francesco Petrelli
(Movimondo), Jeffrey Rowland (World Food Programme), Domitilla Senni
(Greenpeace), Nino Sergi (Intersos), Giancarlo Tenaglia (Campagna italiana
contro le mine), Maura Viezzoli (Cisp). Per informazioni: Archivio Disarmo
(archidis@pml.it).
- a Verona: alle ore 20,45, presso la  Casa per la Nonviolenza (via Spagna
8, vicino alla Basilica di San Zeno, tel. 0458009803), incontro su: "Islam,
nonviolenza, cristianesimo: guerra santa e guerra giusta tra teologia e
storia"; introduce: prof. Claudio Cardelli (storico, del Movimento
Nonviolento); intervengono: Mohamed Guerfi (imam di Verona), don Sergio
Pighi (Comunita' dei Giovani); coordinano: Mao Valpiana ("Azione
nonviolenta") e Alberto Tomiolo (Verona citta' possibile).
- a Viterbo: alle ore 21 presso il circolo Arci "Il mulino", in via della
Molinella, riunione della "Rete no global" di Viterbo per preparare nuove
iniziative contro la guerra.
- a Mestre (VE): alle ore 17,30 presso il Centro Culturale Candiani:
"Percorsi di pace, per capire, riflettere, scegliere", con Maria Turchetto
(Universita' di Venezia), Alberto L'Abate (Universita' di Firenze),
Elisabetta Bartuli (Universita' di Venezia; conduce Alberto Vitucci ("La
nuova Venezia").
- a Bolzano: inizia la settimana della pace mondiale attraverso la scienza
vedica Maharishi. Dal 12 al 18 novembre, presso il centro Harmoniae, via
Portici 21. Durante la settimana della Pace Mondiale i membri del Partito
della legge naturale dell'Alto Adige propongono una serie di conferenze su
alcuni aspetti della scienza e delle tecnologie vediche Maharishi, per una
Pace profonda e duratura. Per contatti: gbertarelli@hotmail.com
- In Italia: inizia il digiuno a staffetta contro la guerra e per la
finanziaria di pace; per contatti: gavci@iperbole.bologna.it
*
Martedi 13 novembre
- a Bologna: presso il Centro Poggeschi, in via Guerrazzi 14, alle ore 18,
XIII seminario di educazione alla mondialita' promosso da Caritas, Centro
Poggeschi e Centro Documentazione Mondialita'. Info: tel. 051220435 e
0516569422, e-mail: poggeschi.cdm@libero.it
- a Viterbo: iniziativa del Centro di ricerca per la pace. Per informazioni:
nbawac@tin.it
- a Viadana: alle ore 21, al cinema Lux, S .Matteo delle Chiaviche, film "Il
mestiere delle armi" di Ermanno Olmi. Per informazioni: Associazione
Resistenza e Pace, tel. 0522454832, e-mail: ass-rep@libero.it, in rete:
www.lilliput.it
*
Mercoledi 14 novembre
- a Bologna: in via Mascarella 35/a, alle ore 20, sara' effettuata una
raccolta di fondi per sostenere l'Organizzazione di Donne Profughe Afgane
''HAWCA'' con sede in Pakistan. Per informazione: Bottega del commercio equo
e solidale "Potosi", via Mascarella 35/a, Bologna. tel. e fax: 0516390960,
e-mail: potosi2001@inwind.it
- a Orte (VT), al liceo scientifico, con inizio alle ore 14, sesto incontro
del corso di educazione alla pace.
- a Mestre (VE): alle ore 17 presso il Centro Culturale Candiani, conferenza
su "I movimenti radicali nel mondo mussulmano: genesi, evoluzione e crisi";
interverrano Mario Nordio (Universita' di Venezia) e Vincenzo Pace
(Universita' di Padova), promuove il Centro Pace del Comune di Venezia,
tel.0412747645-2747653.
- a Fano: tutti i mercoledi dalle ore 18 alle ore 19, in piazza XX
settembre, iniziativa di Rete Lilliput e MIR contro la guerra. Per contatti:
lucben@libero.it
- a Verona: al circolo Pink, alle ore 21, riunione del coordinamento
antirazzista "Cesar K.". Per contatti: pinkverona@tiscalinet.it
*
Giovedi 15 novembre
- a Roma: alle ore 21, presso il Cipax, in via Ostiense 152b, incontro con
Roberto Baggio, della Direzione Nazionale del Movimento Sem Terra su: "MST,
WTO e guerra. La lotta del Movimento Sem Terra in Brasile nell'attuale
situazione internazionale".
- a Torino: alle ore 20,30, presso il Centro Studi Sereno Regis, via
Garibaldi 13, laboratorio della nonviolenza e osservatorio Internazionale:
"Islam e fondamentalismo in Asia centrale", interviene Marco Buttino.
- a Bologna: presso la sala Walter Benjamin, via del Pratello 53, alle ore
21, "ATTAC Bologna" presenta "Tesi sul movimento globale", serata di
discussione e confronto sul futuro del movimento con Sandro Mezzadra
(Universita' di Bologna). Info: attacbo@virgilio.it
*
Venerdi 16 novembre
- ad Alessandria: alle ore 21, presso la Camera del lavoro (via Cavour 27,
tel. 0131308217), proposta di dibattito, di immagini e di testimonianze su
"Popoli negati, popoli di troppo". Per avviare un percorso di riflessione,
intrecciando la questione kurda con altre grandi questioni, in particolare
l'esperienza zapatista. Presentazione del video: "Newroz 2001, osservatori
di pace in Turchia", e del video "Aqui estamos", sulla marcia zapatista dal
Chiapas a Citta' del Messico.
- a Como: alle ore 21 nell'Aula Magna dell'Universita' (via Castelnuovo 7),
convegno promosso dal Coordinamento comasco per la pace su "Addio alle armi.
La nonviolenza come pratica e progetto di liberta'".
- a Marghera (VE): alle ore 17, al  Teatro Aurora, "Venezia per la vita: la
campagna per l'abolizione della pena di morte nel mondo".
- a Palermo: inizia il convegno internazionale su Danilo Dolci. Per
contatti: info@cppp.it, www.cppp.it, segreteria@danilodolci.net,
www.danilodolci.net
- a Molfetta: alle ore 19 alla Fabbrica di S. Domenico, incontro con
Vincenzo Caruso di Emergency. Per contatti: scuoladipace.dontonino@@tin.it
- a Viterbo: alle ore 17 presso la sala conferenze della Camera di
Commercio, conferenza di Amnesty International "Non sopportiamo al tortura",
interverra' il presidente della sezione italiana di Amnesty, Marco Bertotto.
- in Italia: sciopero dei lavoratori metalmeccanici
*
Sabato 17 novembre
- a Milano: ore 16, in via Marco d'Agrate 11, festa di compleanno della casa
per la pace.
- a Marghera (VE): ore 9, in  Piazzale Concordia, "Operazione nocciolina",
campagna nazionale per l'autosviluppo, promosso da Mani tese in cooperazione
con le associazioni contadine locali salvadoregne. Per informazioni: tel.
0412747645, e-mail: lucapozzato@libero.it
- a Palermo: prosegue il convegno internazionale su Danilo Dolci.
- a Viadana: alle ore 20,30, Galleria G. Bedoli: incontro pubblico "Storie
di migranti: donne e uomini, cittadini del mondo". Per informazioni:
Associazione Resistenza e Pace, tel. 0522454832, e-mail: ass-rep@libero.it,
in rete: www.lilliput.it
- si riunisce il gruppo di lavoro sulla nonviolenza della Rete di Lilliput.
La sede e' ancora da definire, per contatti: segreteria@retelilliput.org,
puglipas@interfree.it
*
Domenica 18 novembre
- a Palermo: si conclude il convegno internazionale su Danilo Dolci.
- a Viterbo: alle ore 16 presso il centro sociale occupato autogestito
"Valle Faul" incontro di formazione alla nonviolenza.
*
Lunedi 19 novembre
- a Viterbo: alle ore 21 presso il circolo Arci "Il mulino", in via della
Molinella, riunione della "Rete no global" di Viterbo per preparare nuove
iniziative contro la guerra.
*
Martedi 20 novembre
- a Viterbo: iniziativa del "Centro di ricerca per la pace".
*
Mercoledi 21 novembre
- a Orte (VT), al liceo scientifico, con inizio alle ore 14, settimo
incontro del corso di educazione alla pace.
*
Giovedi 22 novembre
- a Torino: presso il Centro Studi Domenico Sereno Regis, via Garibaldi 13,
alle ore 20,30: "La politica dell'azione nonviolenta secondo Gene Sharp:
teorie del potere", con Enrico Peyretti e Carla Toscano. Per informazioni:
tel. 011532824.
- a Viterbo: presso il centro sociale "Valle Faul" iniziativa contro il
razzismo.
*
Venerdi 23 novembre
- a Verbania: alle ore 21, a Palazzo Flaim, assemblea-dibattito sulla
proposta di legge per la formazione delle Forze dell'Ordine secondo i
principi e la prassi della nonviolenza. Introduce: on. Laura Cima, del
Gruppo Verdi alla Camera, membro della Commissione Esteri. Intervengono:
Davide Melodia, gia' Segretario del Movimento Nonviolento e della Lega per
il Disarmo Unilaterale; Gabriele Ghezzi, dirigente nazionale del S.I.U.L.P.;
Gianni Barbacetto della redazione del settimanale "diario". Per
informazioni: tel. 0323404220, 032380347, e-mail: paolo.caruso@libero.it,
verdi.verbano@virgilio.it
- a Torino, all'Arsenale di pace, in piazza Borgo Dora 61, Where The Eagles
Fly, in collaborazione con Zonta Torino Due, promuove "donne di pace",
incontro  inter-religioso con le piu'  importanti rappresentanti femminili
delle diverse culture per imparare a  condividere i profondi messaggi che
ogni religione ci insegna e per  superare le barriere culturali e  razziali.
Un lungo week-end di seminari esperienziali per capire come il messaggio
d'amore che porta in se' ogni credo puo' realizzarsi sul terreno comune
della solidarieta' attraverso l'impegno nel sociale. Questo incontro
interreligioso promosso da Where The Eagles Fly, contribuira' al
finanziamento della campagna Unicef-Zonta International per la vaccinazione
contro il tetano materno e neonatale in Nepal. Per informazioni:
www.siberianshamanism.com
*
Sabato 24 novembre
- a Bologna: al teatro Arena del sole, via Indipendenza 44, inizio alle ore
9, prima giornata nazionale della finanza etica e solidale. Per contatti:
info@finanza-etica.org
- A Viterbo: presso il centro sociale "Valle Faul" iniziativa contro la
guerra.
- a Torino: all'Arsenale di pace, in piazza Borgo Dora 61, prosegue
l'iniziativa "donne di pace"
*
Domenica 25 novembre
- a Torino: all'Arsenale di pace, in piazza Borgo Dora 61, si conclude
l'iniziativa "donne di pace".

3. MATERIALI. APPELLO DI GIURISTI DEMOCRATICI CONTRO LA GUERRA
[Questo appello abbiamo ripreso dal quotidiano "Il manifesto" del 10
novembre]
Dopo un mese di guerra tutto diventa piu' chiaro.
L'orrore e la barbarie che hanno devastato New York e Washington non hanno
giustificazioni. Non c'e' dio, non c'e' politica, non c'e' progetto di
emancipazione senza rispetto e pieta' per l'uomo. Anche per questo gli
attentati terroristici richiedono una reazione ferma, efficace e priva di
distinguo e incertezze: sul piano culturale, politico, economico ed anche su
quello repressivo.
Ma la reazione non puo' essere la guerra: non dobbiamo temere di dire forte
che la guerra porta come conseguenza altra guerra, che le bombe
sull'Afghanistan colpiscono con effetti indiscriminati e devastanti migliaia
di donne, uomini, vecchi e bambini (non certo risparmiati, come gli eventi
stanno dimostrando, dai cosiddetti bombardamenti selettivi); che si stanno
creando masse ingenti di disperati privi di qualsiasi assistenza, che
richiedono rifugio e vengono respinti; e che la prova di forza finira' per
essere deleteria perche' compattera' ancor piu' gli integralismi.
Non possiamo assistere in silenzio alle operazioni militari contro
l'Afghanistan (destinate - secondo le dichiarazioni dei suoi protagonisti -
ad estendersi anche contro altri paesi). Non possiamo farlo proprio come
giuristi: perche' il fine del diritto e' quello di risolvere i conflitti tra
gli uomini, evitando che ogni controversia finisca necessariamente in una
guerra, privata o collettiva che sia; e perche' anche quando la guerra viene
accettata come "male minore" l'ordinamento internazionale e quelli interni
la ancorano a principi rigorosi e indefettibili: non per inutile formalismo
ma per la consapevolezza della sua gravita' ed eccezionalita'.
La guerra, iniziata il 7 ottobre 2001 dagli Stati Uniti e dalla Nato
(supportati da alcuni paesi anche arabi) e a cui l'Italia si accinge a
partecipare direttamente, non ha i requisiti di legittimita' richiesti
dall'ordinamento internazionale. L'attacco aereo contro il World Trade
Center non e', infatti, definibile come "atto di guerra", cioe' come
aggressione di uno stato contro un altro stato, e cio' osta all'uso
legittimo della guerra come strumento di legittima difesa da parte dello
stato aggredito. In ogni caso, anche ove l'atto terroristico potesse essere
considerato "atto di guerra", l'art. 42 dello Statuto delle Nazioni Unite
prevede che - esauriti gli interventi di autotutela, legittimamente
realizzabili di fronte ad un "attacco in corso" - solo il Consiglio di
Sicurezza puo' intraprendere "con forze aeree, navali o terrestri, ogni
azione che sia necessaria per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza
internazionale", e nessuna decisione in tal senso e' stata assunta dal
Consiglio di Sicurezza prima dell'inizio dell'azione militare, tali non
essendo, all'evidenza, la risoluzione n. 1368 (che, dopo aver riconosciuto
agli Stati Uniti il diritto di autotulela, ha statuito l'obbligo di tutti
gli stati di perseguire con la massima urgenza i responsabili di atti di
terrorismo e dichiarato che gli stati che danno rifugio o protezione ai
terroristi saranno considerati responsabili di tali comportamenti) e la
risoluzione n. 1373 (che ha adottato una serie di misure volte a prevenire e
a stroncare il terrorismo, prevedendo "fra l'altro" il congelamento dei
fondi e di ogni risorsa economica che possa essere usata dai terroristi e
l'obbligo di tutti gli stati di cooperare e scambiarsi le informazioni
necessarie ed utili per la repressione del terrorismo). L'art. 5 dello
Statuto della Nato, a sua volta, consente ed impone l'intervento ai paesi
membri dell'alleanza solo quando uno degli aderenti sia oggetto di "attacco
esterno".
Per quanto riguarda l'Italia, poi, la situazione non e' cambiata rispetto al
quadro delineato al tempo della guerra in Kosovo. La partecipazione italiana
all'operazione Enduring Freedom e' una azione di guerra che la nostra
Costituzione ammette solo come strumento di difesa (art. 11) e previa
formale delibera dello stato di guerra da parte delle Camere (art. 78) e sua
dichiarazione da parte del Presidente della Repubblica (art. 87) (procedure,
ad oggi, non intervenute e neppure attivate).
Respingere la guerra non significa accettare la barbarie ed assistere
rassegnati alle stragi terroristiche: significa al contrario mettere in
campo, in modo convinto ed autorevole, l'Onu e le istituzioni
internazionali. A tal fine e' assolutamente necessario che l'Onu si
riappropri della funzione di mantenimento della pace tra i popoli e di
risoluzione pacifica delle controversie internazionali che la Carta prevede
come ragion d'essere dell'Organizzazione, mentre l'uso della forza e'
consentito solo come extrema ratio dopo che ogni altro tentativo sia
risultato vano.
Troppo spesso, per il prevalere di uno o piu' stati, l'Onu ha abdicato a
questo ruolo, essenziale per sperare in una civile convivenza tra i popoli,
e, in dispregio delle norme pattizie, ha omesso di svolgere il proprio ruolo
istituzionale: cio' e' avvenuto, ad esempio, per la questione palestinese,
che andava e va risolta soddisfacendo i legittimi diritti di tutte le parti
coinvolte, secondo il principio "Due popoli, due stati", come gia' affermato
in numerose e inapplicate risoluzioni dell'Onu.
Si pone, comunque, il problema di una riforma dell'Onu che garantisca il
recupero della credibilita', efficienza, rappresentativita' e democraticita'
dei suoi organi, a partire dal Consiglio di Sicurezza, (a cui, nell'attuale
composizione, e' devoluta in via esclusiva ogni decisione sul ricorso alla
forza), non piu' ristretto, nella composizione permanente, a pochi stati
portatori di specifici interessi economici e di istanze di superati
equilibri politici.
Ed ancora appare ineludibile l'entrata in vigore della Corte Penale
Internazionale, per la quale mancano ancora significative ratifiche, tra cui
quelle della Cina e degli Stati Uniti, dotata di maggiore autonomia ed
imparzialita' dei Tribunali ad hoc sino ad oggi costituiti, e capace di
giudicare, sia pure in via complementare ai singoli stati, nell'interesse di
una comunita' internazionale resa uguale dal riconoscimento di un comune
diritto e di una precostituita autorita' giurisdizionale, dei crimini di
guerra come gli attentati di New York e Washington.
La titolarita' del potere di decidere e realizzare interventi sul piano
internazionale - lo abbiamo gia' ricordato in occasione della guerra nel
Kosovo - non e' questione formale o secondaria, anche perche' ad essa si
legano i modi dell'operazione, le forze in essa coinvolte, la possibilita'
di aggregare consensi non forzati.
Vale per le questioni internazionali lo stesso principio del diritto interno
secondo cui non sono lecite giustizie private.
E' l'eterno problema delle regole e delle garanzie. Come nel diritto interno
il garantismo autentico non e' uno strumento per assicurare impunita' a chi
delinque, cosi' nel diritto internazionale esso non e' la scappatoia per
consentire a terroristi e autori di crimini internazionali di continuare
nella loro attivita' e di sfuggire alla punizione: esso e' il metodo (pur a
volte difficile) per assicurare una convivenza giusta, per evitare il
prevalere della forza sulla ragione e per non offrire ai terroristi terreno
di coltura e di consenso. Di cio', a livello internazionale, non puo' essere
garante altri che l'Onu, ed e' irresponsabile emarginarlo e indebolirlo per
ragioni di convenienza politica contingente. E diciamo questo nella
consapevolezza dell'assoluta rilevanza delle regole, pur consci che, per la
risoluzione dei conflitti, occorra farsi carico di tutta una serie di altri
problemi, quale quello economico, per affrontare la gravita' e la
drammaticita' di simili eventi.
Chiediamo per questo a tutti i giuristi di far sentire la loro voce perche'
la guerra sia bloccata, il diritto alla vita di persone innocenti sia
salvaguardato e si riaffermi il diritto internazionale.
Primi firmatari:
Umberto Allegretti (professore, Universita' di Firenze)
Mario Angelelli (avvocato, Roma, coordinamento nazionale Giuristi
democratici)
Bruno Desi (avvocato, Bologna, coordinamento nazionale Giuristi democratici)
Renzo Capelletto (avvocato, Torino, giunta nazionale Unione Camere Penali)
Angelo Caputo (magistrato, Roma)
Luigi Ciotti (presidente Gruppo Abele)
Gastone Cottino (professore, Universita' di Torino)
Angelo Cutolo (avvocato, Napoli, coordinamento nazionale Giuristi
democratici)
Mario Dogliani (professore, Universita' di Torino)
Tecla Faranda (avvocato, Milano, coordinamento nazionale Giuristi
democratici)
Luigi Ferrajoli (professore, Universita' di Camerino)
Gianni Ferrara (professore, Universita' di Roma)
Domenico Gallo (magistrato, Roma)
Maria Grazia Giammarinaro (magistrato, Roma)
Franco Ippolito (magistrato, Corte di cassazione)
Roberto Lamacchia (avvocato, Torino, coordinamento nazionale Giuristi
democratici)
Raniero La Valle (giornalista, scrittore)
Fabio Marcelli (ricercatore, coordinamento nazionale Giuristi democratici)
Giovanni Palombarini (magistrato, Corte cassazione)
Livio Pepino (magistrato, Torino, presidente Magistratura democratica)
Dario Rossi (avvocato, Genova, coordinamento nazionale Giuristi democratici)
Ugo Spagnoli (avvocato, gia' vicepresidente della Corte Costituzionale)
Lorenzo Trucco (avvocato, Torino, presidente Associazione studi giuridici
immigrazione)
Danilo Zolo (professore, Universita' di Firenze.
Seguono molte altre firme.

4. DOCUMENTAZIONE. I PARLAMENTARI CONTRARI ALLA GUERRA
[Questa scheda abbiamo elaborato riprendendo i dati dal sito di Peacelink,
che riportava come fonte il quotidiano "Liberazione"]
* Alla Camera
a) hanno votato contro la guerra:
- Fulvia Bandoli, Giovanni Bellini, Gloria Buffo, Eugenio Duca, Marco
Fumagalli, Alfiero Grandi, Alba Sasso, Lalla Trupia, Katia Zanotti, dei Ds.
- Giuseppe Gambale, della Margherita.
- Katia Belillo, Armando Cossutta, Maura Cossutta. Oliviero Diliberto, Nerio
Nesi, Gabiella Pistone, Marco Rizzo, Cosimo Sgobio, Saverio Vertone, del
Pdci.
- Fausto Bertinotti, Elettra Deiana, Titti De Simone, AlfonsoGianni, Franco
Giordano, Ramon Mantovani, Graziella Mascia, Giuliano Pisapia, Giovanni
Russo Spena, Titti Valpiana, del Prc [Nichi Vendola si trova, in questi
giorni, in missione ufficiale in Nicaragua, e percio' non ha partecipato al
voto];
- Mauro Bulgarelli, Paolo Cento, Laura Cima, Marco Lion, Alfonso Pecoraro
Scanio, Luana Zanella, dei Verdi.
b) si sono astenuti:
Augusto Battaglia (Ds), Guido Rossi (Lega Nord).
c) non hanno partecipato al voto, dichiarando la propria contrarieta' alla
guerra:
Franca Bimbi, Rosy Bindi, Giuseppe Camo, Ermete Realacci, della Margherita.
Marisa Abbondanzieri, Goffredo Bettini, Walter Bielli, Francesco Carboni,
Massimo Cialente, Famiano Crucianelli, Silvana Dameri, Giovanna Grignaffini,
Giovanni Kessler, Giacomo Mancini, Raffaella Mariani, Giorgio Panattoni,
Roberta Pinotti, Silvano Pisa, Roberto Sciacca, dei Ds.
* Al Senato
a) hanno votato contro la guerra:
- Chiara Acciarini, Massimo Bonavita, Giovanni Battaglia, Paolo Brutti,
Antonio Pizzinato, Piero Di Siena, Tana De Zulueta, Elvio Fassone, Angelo
Flammia, Nuccio Iovene, Aleandro Longhi, Antonio Rotondo, Cesare Salvi,
Massimo Villone, dei Ds.
- Achille Occhetto, Elidio De Paoli, Oskar Peterlini, del gruppo misto.
- Luigi Marino, Angelo Muzio, Gian Franco Pagliarulo, del Pdci.
- Gigi Malabarba, Giorgio Malentacchi, Tommaso Sodano, Livio Togni, del Prc.
- Stefano Boco, Francesco Carella, Fiorello Cortiana, Loredana De Petris,
Anna Donati, Francesco Martone, Natale Ripamonti, dei Verdi.
b) non hanno partecipato al voto, dichiarando la propria contrarieta' alla
guerra:
Nando Dalla Chiesa (Margherita), Alberto Monticone (Margherita), Giampaolo
Zancan (Verdi).

5. RIFLESSIONE. ARUNDHATI ROY CONTRO LA GUERRA
[Arundhati Roy e' una grande scrittrice indiana. Questo articolo, datato New
Delhi, 20 ottobre, abbiamo ripreso dal sito di Peacelink]
Il 7 di ottobre, non appena l'oscurita' si e' fatta piu' fitta
sull'Afghanistan, il governo degli USA, spalleggiato dalla Coalizione
Internazionale contro il Terrore (il nuovo, compiacente surrogato delle
Nazioni Unite), ha lanciato l'attacco aereo contro l'Afghanistan. I canali
tv indugiavano su computerizzate immagini animate di missili cruise, bombe
stealth, tomahawks, missili 'rompi -bunker' e bombe Mark 82 high-drag.
All'ONU, ridotta adesso a un acronimo senza effetto, non e' stato neppure
chiesto di avallare l'intervento aereo. (Come ha detto una volta Madeleine
Albright, "Gli USA agiscono multilateralmente quando possono, e
unilateralmente quando devono"). La "prova" contro i terroristi e' stata
condivisa tra gli amici della "Coalizione". Dopo la riunione, hanno
annunciato che non importava che la prova avesse o meno validits' in un
tribunale legale. Cosi', in un istante, secoli di giurisprudenza sono stati
con noncuranza buttati nella spazzatura.
* Azione cieca
Niente puo' scusare o giustificare un atto di terrorismo, sia esso commesso
da fondamentalisti religiosi, da milizie private, da movimenti di resistenza
nazionali - o quando e' travestito da guerra punitiva da parte di un governo
riconosciuto. Il bombardamento dell'Afghanistan non e' la vendetta di New
York e Washington. E' ancora un altro atto di terrore contro la gente del
mondo. Ogni innocente che viene ucciso deve essere aggiunto  - e non
sottratto - al macabro pedaggio di civili morti a New York e Washinghton. La
gente raramente vince le guerre, ed i governi raramente le perdono. La gente
risulta uccisa. I governi cambiano pelle e si riassemblano, poiche' hanno,
come l'idra, molte teste. I governi usano le bandiere prima per avvolgere e
isolare le menti della gente, soffocandone il pensiero reale,  quindi come
un sudario cerimoniale per avvolgere i corpi straziati dei morti
consenzienti. Sui due fronti, in Afghanistan come in America, i civili sono
adesso ostaggi delle azioni dei loro propri governi. Persone inconsapevoli,
ordinarie, in entrambi i paesi condividono un comune legame - devono
convivere con la realta' di un cieco, imprevedibile terrore. A ogni scarica
di bombe che viene liberata sull'Afghanistan corrisponde una speculare
escalation di isteria di massa sull'anthrax in America, un maggior numero di
sequestri aerei  e altri atti terroristici.
Non e' facile trovare una via d'uscita dal risucchio della palude di terrore
e brutalita' che il mondo oggi affronta. E' adesso tempo per la razza umana
di fermarsi, e di cercare dentro le fonti di saggezza collettiva, sia
antiche, sia moderne. Cio' che e' successo l'11 settembre ha cambiato il
mondo per sempre. Liberta', Progresso, Tecnologia, Guerra - queste parole
hanno assunto un nuovo significato. I governi devono riconoscere questa
trasformazione e avvicinarsi ai loro nuovi compiti con un minimo di onesta'
e umilta'. Sfortunatamente, fino ad ora non v'e' stato segno alcuno di
introspezione da parte dei leaders della Coalizione Internazionale. O da
parte dei Talebani.
Annunciando l'attacco aereo, George Bush ha detto: "Siamo una nazione
pacifica". L'ambasciatore favorito dell'America, Tony Blair (che ricopre
anche la carica di Primo Ministro nel Regno Unito) gli ha fatto eco: "Siamo
un popolo pacifico". Adesso quindi sappiamo. I maiali sono cavalli. Le
ragazze sono ragazzi. La guerra e' la pace.
* Teoria e pratica
Parlando nel quartiere generale dell'FBI alcuni giorni dopo, Bush ha detto:
"Questa e' la nostra missione. Questa e' la missione degli Stati Uniti
d'America. La nazione piu' libera del mondo. Una nazione costruita su valori
fondamentali che rifiuta l'odio, rifiuta la violenza, rifiuta gli assassini
e rifiuta il male. Non ce ne stancheremo".
Ecco qui una lista dei paesi con cui l'America e' stata in guerra - e che ha
bombardato - dalla II Guerra Mondiale: Cina (1945-46, 1950-53), Corea
(1950-53), Guatemala (1954, 1967-69), Indonesia (1958), Cuba (1959-60),
Congo Belga (1964), Peru' (1965), Laos (1964-73), Vietnam (1961-73),
Cambogia (1969-70), Grenada (1983), Libia (1986), El Salvador (1980 ed
oltre), Nicaragua  (1980 ed oltre), Panama (1989), Iraq (1991-99), Bosnia
(1995), Sudan (1998), Yugoslavia (1999). E adesso Afghanistan.
Certamente non se ne stancano - loro, la nazione Piu' Libera del mondo.
Quali sono le liberta' che  sostiene?  Dentro le sue frontiere, liberta' di
parola, di religione, di pensiero, di espressione artistica, di abitudini
alimentari, di preferenze sessuali (be', fino a un certo punto) e molte
altre esemplari, bellissime cose. All'esterno, la liberta' di dominare,
umiliare e soggiogare - normalmente a beneficio della vera religione
dell'America, il "libero mercato". Quindi quando il governo USA battezza una
guerra Operazione Giustizia Infinita o Operazione Liberta' Duratura, noi nel
Terzo Mondo sentiamo piu' che un brivido di paura. Poiche' sappiamo che
Infinita Giustizia per alcuni significa Infinita Ingiustizia per altri. E
Liberta' Duratura per alcuni significa Duratura Soggezione per altri.
La Colizione Internazionale Contro il terrore e' una cabala dei paesi piu'
ricchi del mondo. Messi insieme, costruiscono e vendono praticamente tutte
le armi del mondo, possiedono le piu' grandi riserve di armi di distruzione
di massa - chimiche, biologiche e nucleari. Sono loro che hanno combattuto
la maggior parte delle guerre, loro sono i responsabili della maggior parte
dei genocidi, soggezioni, pulizie etniche e violazioni dei diritti umani
della storia moderna, e hanno sponsorizzato, armato e finanziato un numero
incalcolabile di dittatori e despoti. Messi insieme, hanno adorato, quasi
deificato, il culto della violenza e della guerra. Il governo Talibano, con
tutti i suoi spaventosi peccati, non e' comunque della stessa lega.
* L'eredita' della guerra
Il governo Talibano e' stato creato nello sgretolato crogiuolo di macerie,
eroina e terre minate durante la risacca della Guerra Fredda. I suoi leaders
piu' vecchi hanno poco piu' di 40 anni. Molti di essi sono sfigurati e
handicappati, senza un occhio, una gamba, un braccio. Sono cresciuti in una
societa' atterrita e devastata dalla guerra. Tra Unione Sovietica e America,
nel corso di 20 anni, sono stati versati in Afghanistan armi e munizioni per
un valore di circa 45 miliardi di dollari. L'ultimo modello in fatto di armi
era l'unico frammento di modernita' che si intrudesse in una societa'
completamente medievale. Ragazzini - molti di essi orfani - che sono
cresciuti in simili tempi, hanno avuto fucili per giocattoli, mai hanno
conosciuto la sicurezza e il conforto della vita familiare, mai hanno
sperimentato la compagnia di donne. Adesso, adulti e governanti, i Talibani
picchiano, lapidano, violentano e brutalizzano le donne, non sembra che
sappiano cos'altro fare con esse. Anni di guerra li hanno spogliati d'ogni
gentilezza, resi impenetrabili alla bonta', alla compassione umana. Danzano
al ritmo di bombe che gli piovono intorno.
Adesso hanno rivolto la loro mostruosita' contro la loro stessa gente.
* Ridotto in polvere
Un milione e mezzo di persone persero la vita duranti i 20 anni di conflitto
che ha preceduto questa nuova guerra. L'Afghanistan e' stato ridotto in
macerie e adesso le macerie vengono polverizzate finemente. Gia' il secondo
giorno dell'attacco aereo, i piloti USA ritornavano alle loro basi senza
avere sganciato la quantita' di bombe loro assegnata. Come ha detto un
pilota, l'Afghanistan non offre un ambiente ricco di bersagli. Al Pentagono,
durante l'informazione alla stampa, e' stato chiesto a Donald Rumsfeld,
Segretario USA alla Difesa, se l'America avesse esaurito i suoi bersagli.
"In primo luogo - ha detto - ricolpiremo i bersagli; e, in secondo luogo,
non stiamo restando senza bersagli". Questo e' stato salutato  con scoppi di
risa nella stanza della conferenza.
Al terzo giorno dell'attacco, Il Dipartimento della Difesa si vantava di
avere "raggiunto la supremazia aerea sull'Afghanistan" (Voleva dire che
avevano distrutto entrambi - o forse tutti e 16 - gli aeroplani afgani?).
I rapporti hanno iniziato a centellinare notizie su vittime civili, sullo
svuotamento delle citta' via via che i civili fuggivano verso le frontiere
che erano state chiuse. Molte arterie erano state fatte saltare in aria o
chiuse. Coloro che hanno fatto l'esperienza di lavorare in Afghanistan
dicono che all'inizio di novembre i convogli che trasportano alimenti non
potranno raggiungere i milioni di Afgani (7,5 milioni, secondo l'ONU), che
corrono il realissimo rischio di morire di fame nel corso di questo inverno.
Dicono che nei giorni che rimangono prima dell'arrivo dell'inverno, ci puo'
essere o una guerra, o un tentativo di fare arrivare alimenti alla
popolazione affamata. Non ci possono essere entrambe le cose.
*Una cinica gara di elemosine
Come gesto di aiuto umanitario, il governo USA ha fatto cadere 37.000 pacchi
di razioni di emergenza sull'Afghanistan. Il governo dice che prevede di
inviarne un totale de 500.000. Questo fa solamente un unico pasto per mezzo
milione di persone su un numero di vari milioni di persone in estrema
necessita' di cibo. Persone che lavorano nel campo degli aiuti umanitari
hanno condannato tutto cio' come un cinico e pericoloso esercizio di
pubbliche relazioni. Essi dicono che lanciare dall'aria pacchi di cibo e'
peggio che futile. In primo luogo, perche' il cibo non raggiungera' mai
coloro che realmente ne hanno bisogno; e, piu' pericolosamente, perche'
coloro che corrono a recuperare i pacchi rischiano di saltare in aria per le
mine.
Una tragica gara di elemosine.
Nondimeno, i pacchi di cibo sono molto fotogenici. Il loro contenuto e'
stato riportato nei maggiori quotidiani. E' vegetariano, ci dicono, come
prevede la Legge Alimentare Musulmana (!). Ciascun pacco giallo, decorato
con la bandiera americana, contiene: riso, burro di arachidi, insalata di
fagioli, marmellata di fragole, crackers, uva passa, pane arabo, una fruit
bar di mele, condimento, fiammiferi, un set di posate di plastica, una
salvietta e istruzioni per l'uso illustrate.
Dopo tre anni di incessante siccita', un pasto lanciato da un aereo a
Jalalabad! Non ci sono parole per descrivere il livello di inettitudine
culturale, l'incapacita' di comprendere cosa mesi di fame implacabile e di
opprimente poverta' realmente significano, il tentativo del governo USA di
servirsi persino di questa abietta miseria per pubblicizzare chiassosamente
la propria immagine.
Ribaltiamo per un momento lo scenario. Immaginiamo che il governo Talibano
stia bombardando New York, dicendo tuttavia che il suo reale bersaglio e' il
governo USA e la sua politica. E supponiamo che durante gli intervalli dei
bombardamenti il governo Talibano sganci alcune migliaia di pacchi
contenenti nan e kabab infilzati in una bandiera afgana. La brava gente di
New York se la sentirebbe di perdonare il governo afgano? Persino se fossero
affamati, persino se avessero bisogno di quel cibo, persino se lo
mangiassero, come mai potrebbero dimenticare l'insulto, l'accondiscendenza?
Rudy Giuliani, sindaco di New York, ha restituito un donativo di 10 milioni
di dollari da parte di un principe dell'Arabia Saudita poiche' e' stato
accompagnato da alcune parole di amichevole consiglio sulla politica
americana in Medio Oriente. L'orgoglio e' un lusso al quale solo i ricchi
hanno diritto?
* Dove condurra' tutto questo?
Lungi dal distruggerlo, accendere questo tipo di rabbia e' cio' che crea il
terrorismo. L'odio e la vendetta non ritornano nella scatola una volta che
li hai lasciati venir fuori. Per ogni "terrorista" o suo "sostenitore" che
viene ucciso, centinaia di innocenti vengono pure uccisi. E per ogni
centinaia di innocenti uccisi c'e' una buona possibilita' che svariati
futuri terroristi si creeranno.
Questo non per suggerire che i terroristi che l'11 di settembre hanno
perpetrato l'orrore non debbano essere ricercati e condotti alla resa dei
conti. Lo devono. Ma e' la guerra il modo migliore per snidarli?
Bruciare il pagliaio ti fara' trovare l'ago? O al contrario procurera'
un'escalation di rabbia e rendera' il mondo un inferno in terra per tutti
noi?
George Bush recentemente si e' gloriato: "Quando intraprendo un'azione, non
e' per bruciare un missile di 2 milioni di dollari contro una tenda vuota
che vale 10 dollari e per colpire un cammello nel sedere. Deve essere
decisivo". Il presidente Bush dovrebbe sapere che non ci sono bersagli in
Afghanistan che valgono il denaro dei suoi missili. Forse, anche solo per
raggiungere la parita' nei suoi libri contabili, dovrebbe sviluppare alcuni
missili di minor valore da usare per i bersagli di minor valore e per le
vite di minor valore nei paesi poveri del mondo (pero', in questo caso, non
sembrerebbe un buon affare per i produttori di armi della Coalizione).
* La rabbia sboccia
Di giorno in giorno con la guerra sentimenti di collera si liberano nel
mondo. Metti l'orecchio sul suolo in questa parte del mondo e potrai udire
lo sgradevole suono, il mortifero rullio della rabbia che sboccia. Per
favore. Per favore, ferma la guerra, ora. Troppa gente e' morta. I missili
intelligenti semplicemente non sono abbastanza intelligenti. Stanno facendo
esplodere interi arsenali di furia repressa. Le vacuita' del discorso su "Lo
Scontro di Civilta'" e de "Il Bene contro il Male" infallibilmente hanno
effetto sul popolo americano, stravolto e confuso, il cui orgoglio e' stato
ferito, i cui cari sono stati tragicamente uccisi, la cui rabbia e' recente
e acuta. Questi discorsi vengono cinicamente distribuiti come una dose
quotidiana di vitamine o di antidepressivi. La cura regolare assicura che
l'America continuera' ad essere l'enigma che sempre e' stata - un popolo
curiosamente rinchiuso in se stesso, amministrato da un governo
patologicamente intrigante e promiscuo. E il resto di noi, noi che
intorpiditi riceviamo questo attacco di cio' che sappiamo essere assurda
propaganda? I consumatori quotidiani delle menzogne e della brutalita'
spalmate nel burro di arachidi e marmellata di fragole che vengono lanciate
dentro le nostre teste proprio come quei pacchetti gialli di cibo.
Distoglieremo lo sguardo, e mangeremo, perche' abbiamo fame, o fisseremo,
senza chiudere gli occhi, il tetro teatro che si svolge in Afghanistan, fino
a quando collettivamente vomiteremo e diremo, con una sola voce, che ne
abbiamo abbastanza?
Mentre il primo anno del nuovo millennio sta per finire, mi domando: Abbiamo
perduto il diritto a sognare? Saremo mai capaci di ri-immaginare la
bellezza? Sara' mai possibile ancora osservare il lento, stupefatto batter
d'occhi nel sole di un geco appena nato, o di bisbigliare in risposta alla
marmotta che ti ha appena bisbigliato all'orecchio - senza pensare al World
Trade Center e all' Afghanistan?

6. RIFLESSIONE. GIULIETTO CHIESA: LA RAGIONE CONTRO LA GUERRA
[Giulietto Chiesa e' un prestigioso giornalista e saggista, questo articolo
e' apparso sul quotidiano "Il manifesto" del 10 novembre]
Siamo entrati in una guerra che si fa in nome della lotta al terrorismo
internazionale. Tra gli alleati in questa guerra ci sono tre paesi che hanno
riconosciuto ufficialmente (unici al mondo) il regime dei taliban: Pakistan,
Arabia Saudita, Emirati Arabi. Non solo: almeno due di essi (Pakistan e
Arabia Saudita) hanno organizzato, finanziato, istruito e armato il
movimento dei taleban e lo hanno portato al potere. E ce lo hanno tenuto dal
1996 al 2001, ben sapendo che ospitava tutti i terrorismi islamici del
mondo. Ma non bombardiamo quei paesi.
Tony Blair e George Bush hanno promesso al generale-presidente Musharraf
che, in cambio delle basi per i loro aerei, garantiranno al Pakistan voce in
capitolo nel futuro governo dell'Afghanistan. Cioe' hanno garantito che
qualcuno dei taliban piu' "presentabili" trovera' posto nel futuro governo
di Kabul.
All'inizio dei bombardamenti sull'Afghanistan il problema (e' stato detto
per motivarli) era l'Afghanistan. A un mese di distanza, 2.500 missioni di
bombardamento dopo, il problema si e' ingigantito. Ora comprende anche il
Pakistan: 140 milioni di persone, una guerra endemica con l'India, un
miliardo di abitanti, bombe atomiche nell'arsenale. Ai confini tra Pakistan
e Afghanistan almeno diecimila uomini armati sono pronti a entrare in guerra
a fianco dei taliban. E i loro kalashnikov possono, da un momento all'altro,
rivolgersi sia contro le truppe della "Grande Alleanza", sia contro il
generale Musharraf. Il pericolo e' tale che gli Stati Uniti hanno gia' messo
in stato di allerta una brigata speciale che dovrebbe controllare (dovrebbe,
ma ce la farebbe?) i depositi nucleari pakistani.
Ci si aspettava un crollo del regime dei taliban. Non c'e' stato. Ci si
aspettava una rivolta delle popolazioni contro il regime dei taliban: non
c'e' stata. Si doveva catturare o uccidere Osama bin Laden. Che e' vivo e
vegeto ed e' divenuto nel frattempo la bandiera di tutto l'islamismo
fondamentalista del mondo. Non un solo ministro del governo dei taliban
risulta arrestato o ucciso, ne' lo e' il mullah Omar.
Si dira' che e' ancora presto: pazientare. Ma i responsabili americani
(quelli che prendono le decisioni) ci fanno sapere (per la verita'
alternando valutazioni diverse e perfino opposte l'una all'altra) che questa
guerra "durera' anni" (Rumsfeld), durera' mesi (Rumsfeld), durera' tanto
"che questa generazione non ne vedra' la fine" (Cheney). Per quale di queste
varianti ha votato la stragrande maggioranza del parlamento italiano?
E di quale guerra si tratta? E' la guerra contro l'Afghanistan? Oppure e'
una carta bianca dove i dirigenti di Washington scriveranno, volta a volta,
gli obiettivi che avranno individuato, in ogni parte del mondo? Cosa, del
resto, certa, poiche' essi hanno gia' annunciato che si colpira' dovunque. E
poiche' non sarebbe credibile ritenere che il terrorismo e' solo Afghanistan
e solo bin Laden, ne consegue che si pianificano bombardamenti su tutti gli
altri "stati carogna" di religione islamica: Irak, Sudan, Yemen del Sud,
Iran, Indonesia e via via individuando.
Dunque siamo entrati in una guerra contro un gruppo di stati senza averne
l'elenco. Siamo entrati in una guerra che non soltanto non si sa quanto
potra' durare, ma senza neppure un criterio per definire la vittoria.
Mentre i deputati italiani votavano per la guerra, il Pentagono si accingeva
e rivedere le sue strategie. Poiche' e' evidente anche a loro che quella
iniziale si e' rivelata sbagliata, approssimativa, superficiale. La guerra
continuera', ma su coordinate che ancora non conosciamo. Al Pentagono non
hanno ancora deciso se scendere sul terreno, in quanti scendere, dove e
come. Adesso - dopo i primi loro morti (che non sapremo mai quanti sono) -
si rendono conto che forse non hanno abbastanza "intelligence".
L'Afghanistan e' una bestia difficile. Si poteva chiedere informazioni ai
russi.
Siamo entrati in una guerra dove non esistono limitazioni di armi e di
criteri di condotta. E se non si riuscisse a trovare e uccidere Osama bin
Laden con tutto l'armamentario bellico finora dispiegato, siamo pronti ad
accettare l'impiego di bombe atomiche? La domanda non e' peregrina o teorica
perche' il problema sta sul tappeto. E sta sul tappeto perche' non si e'
stabilito su quali confini fermarsi. Immagino che i nostri deputati faranno
fatica ad accettare quella svolta, quando divenisse parte dell'ordine del
giorno, ma finiranno per accettarla. Infatti hanno gia' accettato il
criterio che, per colpire il criminale, si puo' abbattere il palazzo in cui
vive, anche se centinaia di altri inquilini innocenti vi perderanno la vita.
Siamo entrati in guerra illudendoci (e illudendo le nostre opinioni
pubbliche) sull'esistenza di una "Grande Alleanza", che comprenderebbe
perfino la Russia e la Cina. Ma a Shanghai nel documento finale non c'e'
stato il minimo cenno a questa "Alleanza". La Cina sta a guardare,
esprimendo solidarieta' mentre la fine annunciata dei taliban taglia
l'ossigeno ai terroristi della minoranza islamica degli uiguri. La Russia di
Putin si dichiara amica e solidale, ma esclude di partecipare con i suoi
uomini, non concede spazi aerei per azioni militari, invita a non pensare
che la lotta al terrorismo possa essere risolta solo con metodi militari,
infine raccoglie il silenzio definitivo dell'occidente sulla Cecenia.
Siamo entrati in guerra con l'implicita idea che la vinceremo. E invece
nessuno si e' preoccupato di valutare l'ipotesi che si possa perderla. Con
questa scelta della guerra per combattere il terrorismo, noi stiamo
mobilitando un esercito di kamikaze che diverra' massa critica molto piu'
velocemente di quanto immaginiamo, se e' vero che, dieci giorni fa, a
Peshawar, Pakistan, in un solo giorno, 500 giovani (non afghani ma
pakistani) hanno messo la loro vita a disposizione della jihad. Cosi'
diventeremo tutti, senza volerlo, dei kamikaze, perche' la guerra arrivera'
nelle nostre case, nei nostri autobus, nei nostri parchi. E non sara'
possibile vincerla, paradossalmente, proprio perche' noi siamo attrezzati a
combattere per il successo, per il denaro, per il benessere. Lo abbiamo
ormai nei nostri cromosomi; ci hanno imbottito la testa con l'idea di essere
belli, vivi e vincenti. Per questo non possiamo nemmeno tentare di capire
chi non ha mai vinto, ed e' cosi' certo della sua inesorabile sconfitta da
avere maturato abbastanza odio da dedicare la sua esistenza alla morte. A
uccidersi per annientare coloro che ritiene nemici e responsabili della sua
condizione.
Non c'e' difesa contro questo esercito di perdenti. O, meglio, ne avremmo
una sola: cominciare a mostrare loro che noi siamo capaci di costruire un
mondo migliore di quello che conoscono. Ma questa e' l'unica cosa che
l'Occidente non ha detto e non si accinge a fare.
Dicono, quelli che sono entrati in guerra, che non c'era alternativa. Cosa
potevamo fare? Potevamo lasciare impuniti i criminali? Ma e' una bugia.
Cosi' non si combatte il terrorismo e non si puniscono i responsabili. Cosi'
si moltiplicano i nemici dell'occidente lasciando intatti i santuari del
terrorismo, che sono molto piu' vicini alle nostre capitali di quanto non lo
siano le grotte afghane.
Siamo entrati in guerra senza riflettere che una guerra come quella che ci
veniva proposta, anzi imposta, implica che noi dovremo rinunciare a tutti i
valori (liberta', diritti, informazione, prosperita', etc.) in nome dei
quali proclamiamo la nostra come civilta' e ne vantiamo la superiorita'.
C'e' gia' chi invoca il ritorno alla tortura, ed e' passato solo un mese!
Con il risultato che, anche in caso di vittoria, saremmo tutti sconfitti. E'
il trionfo della irrealpolitik.

7. INIZIATIVE. ALBERTO L'ABATE: IL CONVEGNO DI PARIGI SULL'INTERVENTO CIVILE
DI PACE
[Alberto L'Abate, docente universitario ed animatore di molte iniziative di
pace, e' tra le figure piu' prestigiose dell'impegno nonviolento. Per
contatti: labate@unifi.it]
Si e' tenuto ai Parigi nei giorni 26 e 27 ottobre, nella Sala Colbert del
Parlamento Francese, un Convegno su "L'intervention civile: une chance pour
la paix" (Intervento civile di pace: una opportunita' per la pace).
Il colloquio era organizzato dal Comitato francese per l'intervento civile
di pace, e dall'Istituto di ricerca sulla risoluzione nonviolenta dei
conflitti.
Quest'ultimo e' un centro di ricerca diretto da J. M. Muller, ed al quale
partecipano altri noti studiosi francesi come J. Semelin.
Del Comitato fanno parte: il Comitato Cattolico contro la Fame e lo
Sviluppo; il Coordinamento dell'Azione Nonviolenta dell'Arca (fondata da
Lanza del Vasto); la Delegazione Cattolica per la Cooperazione;
l'Associazione Democrazia e Spiritualita'; le Squadre francesi per la Pace
nei Balcani; l'Istituto di Ricerca per la Risoluzione Nonviolenta dei
Conflitti; il Foro di Delfi; il Movimento per una Alternativa Nonviolenta;
Pax Christi; i Verdi.
Aderiscono al progetto l'Azione Cristiana per l'Abolizione della Tortura; Le
Brigate Internazionali di Pace, la Commissione Giustizia e Pace; la Rete
Speranza.
L'incontro e' stato reso possibile grazie a contributi del Ministero degli
Affari Esteri francese, e delle Fondazioni "Un mondo per tutti" e "C. L.
Meyer per il progresso dell'uomo".
Nel depliant di presentazione del colloquio si dice: "L'anno 2001 e' il
primo del decennio internazionale dell'ONU sulla "promozione di una cultura
della nonviolenza e della pace per i bambini del mondo" votato
dall'Assemblea Generale, il 10 novembre 1998, in seguito ad un appello di
premi Nobel per la pace.  A livello internazionale resta ancora molto da
studiare ed ancora di piu' da sperimentare in materia di regolazione dei
conflitti. Ma la nozione d'intervento si e' molto sviluppata dalla fine del
XX secolo, con la "cannoniera" che ha lasciato sempre piu' il posto
all'intervento umanitario e ad altre forme di ingerenza non militare, o poco
militarizzata. Cosi' e' nato il concetto di "intervento civile nonviolento"
progressivamente sperimentato da piu' di 20 anni in America Latina e
Centrale da ONG come le Brigate Internazionali di Pace (PBI), o come la
Squadra di Intervento nei Balcani (Balkan Peace Team) nella ex-Jugoslavia,
negli anni '90. Il colloquio si propone di fare il punto della ricerca in
Francia su questo tema e di presentare  gli impegni e la necessita' di una
formazione all'intervento civile di pace".
Il colloquio si e' sviluppato in tre diverse sessioni. La prima, il venerdi
mattina, su "Intervenire per la pace: ma a nome di chi e per quale
ragione?"; la seconda, il venerdi pomeriggio su "Natura e ruolo
dell'intervento civile di pace"; la terza, nella mattinata del sabato, su
"L'impegno per la formazione dei volontari e l'avvenire dell'intervento
civile di pace".  Il colloquio si e' concluso con una tavola rotonda su:
"Quale posto per l'intervento civile: complementarieta', opzione o
alternativa?".
I presenti erano soprattutto francesi ma c'era qualche ospite d'oltralpe
come il sottoscritto, incaricato, nella seconda sessione, di parlare della
situazione italiana sui corpi civili di pace, e come un assistente di Luc
Reychler, presidente di una  nota organizzazione per la diplomazia di base
del Belgio, incaricato di parlare su una architettura per una pace duratura;
altri stranieri erano invece presenti in rappresentanza di vari organismi
internazionali che hanno partecipato e contribuito all'iniziativa.
Il colloquio e' stato infatti contraddistinto da una partecipazione ed anche
un dibattito molto chiaro e preciso tra le organizzazioni non governative
organizzatrici, o invitate (Medici senza frontiere, Handicap Internazionale)
all'incontro, e le istituzioni sia francesi che internazionali che hanno
contributo ad animare il convegno. Tra queste in particolare, il Ministero
degli Affari Esteri, con la partecipazione di un membro della Commissione
Parlamentare su questi temi, il Ministero francese della Difesa, che ha
inviato due suoi esperti, la Comunita' Europea e l'OSCE che hanno inviato a
relazionare due loro dirigenti.
Non mi e' possibile, per mancanza di tempo, dare atto di tutti gli elementi
interessanti emersi dal dibattito che sara' pubblicato a cura degli
organizzatori.
Molte le valide esperienze presentate da organizzazioni impegnate in questo
settore come quelle del BPT o delle PBI, ed estremamente interessanti anche
l'analisi giuridica delle possibilita' ed i limiti di questo tipo di
interventi, o dei problemi psicologici che nascono nelle persone impegnate
in questo tipo di attivita'. Interessante anche una tavola rotonda in cui
alcune organizzazioni umanitarie ospiti si sono confrontate con quelle
organizzatrici del colloquio per rimarcare le reciproche differenze e la
separatezza tra questi due tipi di intervento (umanitario ed intervento
civile di pace) ma anche la loro sempre piu' importante complementarieta'.
*
Ma vorrei sottolineare solo alcuni elementi emersi dalle relazioni e
soprattutto dal dibattito molto franco tra le componenti istituzionali e
quelle delle ONG che mi sembrano molto istruttivi.
Il Ministero della Difesa francese ha preso atto della importanza
dell'intervento civile tanto da creare al suo interno anche un dipartimento
sull'intervento civile-militare o militare-civile. Ma concepisce questo tipo
di intervento come subordinato a quello militare. Nelle parole di un suo
rappresentante "l'intervento civile e' spesso fatto grazie a mezzi ed
attrezzature messe a disposizione dai militari".
Mentre le ONG organizzatrici insistono sulla necessita' di una completa
autonomia dell'intervento civile da quello militare che partono, nelle
parole di J. M. Muller, "da due logiche completamente diverse", non
escludendo una loro complementarieta' e collaborazione, ma sullo stesso
piano e non subordinando quelle civili a quelle militari.
Questo problema e' emerso chiaramente anche nel dibattito tra uno dei due
esperti  di questo ministero ed il pubblico. Nella sua relazione questi
aveva detto chiaramente che nei momenti di crisi  internazionale si possono
ipotizzare tre fasi: 1) la prima e' quella dell'intervento armato; 2) la
seconda quella della ricerca di soluzioni politiche; 3) la terza quella
della ricostruzione. L'intervento dei civili viene visto come importante
soprattutto nella seconda e la terza fase. Alle rimostranze di alcuni dei
partecipanti al colloquio sul fatto che cosi' si metteva del tutto in
secondo piano una delle fasi piu' importanti del conflitto, quella nella
quale l'intervento di corpi civili di pace puo' essere piu' cruciale, e
cioe' la prevenzione della scalata del conflitto e dell'esplodere del
conflitto  armato, che deve venire prima delle tre fasi su delineate,
l'esperto in questione prima non ha risposto, glissando sull'argomento; poi,
sollecitato a voce dal pubblico presente a dire la sua su questo argomento,
ha riconosciuto l'importanza del problema, ma ha detto che questo e' un
problema politico che deve essere risolto in sede parlamentare e
governativa. Ma ha anche aggiunto che, secondo lui, il dibattito politico
sull'intervento militare o meno e sulla prevenzione dei conflitti armati e'
estremamente carente a livello del Parlamento Francese e che loro (i
militari) avrebbero preferito un maggiore approfondimento di questa tematica
che sembra invece messa in secondo piano anche dagli stessi politici.
Se pensiamo al dibattito alla nostra Camera ed all'appiattimento del nostro
Parlamento, a stragrande maggioranza, su posizioni di appoggio
all'intervento del nostro paese nella guerra in Afganistan, non c'e' che da
dargli ragione e vedere la pochezza di questo dibattito anche nel nostro
paese. Ma questa emarginazione del tema dal dibattito generale politico e
soprattutto dalla volonta' dei paesi europei e' emerso anche dagli
interventi dei rappresentanti della Comunita' Europea e dell'OSCE. La
Comunita' Europea sta infatti lavorando nella messa a punto di un esercito
europeo ed anche di una polizia europea di varie migliaia di persone, ma
nessun accenno alla proposta di Alex Langer, gia' approvata dal Parlamento
Europeo nel 1995 e ribadita nel 1999, sulla costituzione di corpi civili
europei di pace.
Alla domanda, fattagli in privato per mancanza di uno spazio adeguato di
dibattito pubblico in questa sessione, del perche' di questa assenza, il
rappresentate della Comunita' Europea ha risposto che si era informato prima
di venire al convegno su questo tema  ma che gli era stato suggerito di
glissare su questo argomento perche' considerato, in questo momento, di
secondo piano rispetto alla costituzione della forza europea militare e di
quella di polizia. Anche qui sembra cioe' emergere la volonta' dei governi,
e dei militari, di costituire prima l'intervento militare e quello della
polizia e poi, in subordine, quello civile.
Questo e' stato ulteriormente confermato dalla rappresentante dell'OSCE che
nella sua relazione non ha fatto alcun accenno alla delibera di Istambul
dell'OSCE nella quale si insisteva sulla importanza della costituzione di
corpi civili di pace. Questa informazione ci era stata data da Kessler, gia'
giudice antimafia italiano che e' stato vicedirettore del corpo OSCE di
verificatori degli accordi di pace in Kossovo prima della guerra, e che ora
e' deputato alla Camera  per l'Ulivo. Alla richiesta del perche' di questa
trascuratezza l'esperta in questione non ha risposto dando solo le
coordinate per la ricerca in internet di questa delibera di cui lei e'
sembrata essere del tutto all'oscuro, almeno per gli aspetti riguardanti
questo tema che era quello principale del convegno a cui era stata inviata.
In complesso si puo' dire che il dibattito e' stato molto utile anche
perche' ha messo a nudo le resistenze dell'establishment nei riguardi di
questo tipo di intervento che viene si' considerato sempre piu' importante
(tanto da riconoscergli uno spazio di dibattito all'interno del Parlamento
stesso), ma  che viene anche subordinato a quello militare considerato come
quello fondamentale che deve dirigere anche l'altro.
E questo sottolinea il grande lavoro ancora da fare non solo in Francia ma
anche nel nostro paese ed a livello europeo per far comprendere la
necessita' di una autonomia e di una non subordinazione dell'intervento
civile a quello militare, che possono e devono sempre piu' collaborare
reciprocamente, ma senza subordinare quello civile a quello militare come
sottolineato ripetutamente dagli organizzatori del colloquio stesso.
A questa sottovalutazione ed a questa mancanza di comprensione e' da
imputare anche il fatto, emerso dal dibattito nell'ultima sessione, che
tutta la formazione dei volontari in questo campo e' lasciata alle ONG, con
grande impegno di energie umane ed economiche,  mentre non c'e' un
finanziamento pubblico di questo aspetto come invece richiesto dagli
organizzatori del convegno stesso.
C'e' solo da sperare che il franco dibattito emerso dal colloquio convinca
le istituzioni francesi, in particolare il Ministero degli Esteri che e' tra
i finanziatori ed organizzatori del colloquio, di accettare questa proposta
e di dare maggiore importanza, in futuro, anche a questo aspetto.

8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

9. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org ;
per contatti, la e-mail è: azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
http://www.peacelink.it/users/mir . Per contatti: lucben@libero.it ;
angelaebeppe@libero.it ; mir@peacelink.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it . Per
contatti: info@peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 285 dell'11 novembre 2001