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La nonviolenza e' in cammino. 282
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac@tin.it
Numero 282 dell'8 novembre 2001
Sommario di questo numero:
1. Peppe Sini, cosa chiediamo a chi ci legge oggi
2. Esposto all'autorita' giudiziaria per fermare i golpisti complici delle
stragi in corso
3. Alessandro Marescotti, agire per fermare la guerra
4. Primo Levi: Shema'
5. Franco Fortini: Canto degli ultimi partigiani
6. Simone Weil, e si credettero molto umani
7. Hannah Arendt, come ghiaccio al sole
8. Aspetti psicologici dell'impegno nonviolento
9. La "Carta" del Movimento Nonviolento
10. Per saperne di piu'
1. IL PUNTO. PEPPE SINI: COSA CHIEDIAMO A CHI CI LEGGE OGGI
Tre cose.
La prima: di restare esseri umani, di saper distinguere il bene dal male, di
rifiutarsi di cooperare con le stragi in corso, di cercare di fermare le
stragi.
La seconda: di denunciare il governo, la maggioranza parlamentare ed il
presidente della Repubblica che con un atto di eversione dall'alto, per cui
non c'e' altro aggettivo che golpista, hanno violato la Costituzione della
Repubblica Italiana e hanno dato l'adesione del nostro paese alla guerra
illegale e criminale, terroristica e stragista, attualmente in corso contro
un popolo gia' vittima di una efferata dittatura.
Riproponiamo di seguito il testo di un esposto alla Procura Generale della
Repubblica: chiediamo a tutti di diffonderlo, di sottoscriverlo, di proporlo
a tutte le persone di volonta' buona e a tutte le istituzioni democratiche.
La terza: di resistere alla guerra con la nonviolenza, esclusivamente con la
nonviolenza, con la forza della nonviolenza, con la coerenza della
nonviolenza, con la limpidezza della nonviolenza.
Abbiamo il dovere e il diritto di cercar di salvare le vite umane in
pericolo; abbiamo il dovere e il diritto di impedire una escalation bellica
che mette a rischio l'intera umanita'; abbiamo il dovere e il diritto di
difendere i diritti umani, il diritto internazionale, la legalita'
costituzionale. Abbiamo il dovere e il diritto di opporci a tutti i
terrorismi, a tutte le guerre, a tutti i massacri.
2. STRUMENTI DI LAVORO: ESPOSTO ALL'AUTORITA' GIUDIZIARIA PER FERMARE I
GOLPISTI COMPLICI DELLE STRAGI IN CORSO
[Il seguente esposto e' gia' stato diffuso dal "Centro di ricerca per la
pace" di Viterbo che ne assume la responsabilita'. Chiediamo a tutti i
nostri interlocutori di farlo circolare, di raccogliere firme di adesione,
di presentarlo a tutte le istituzioni democratiche. Ovviamente segnaliamo
che se i golpisti trovassero complicita' nella magistratura, i
sottoscrittori di questo esposto potrebbero subire procedimenti giudiziari
con l'imputazione di diffamazione e vilipendio; i promotori delle
sottoscrizioni e delle presentazioni pubbliche di questo esposto potrebbero
subire procedimenti giudiziari con l'imputazione aggiuntiva di istigazione a
delinquere. Ciascuno verifichi la propria situazione, ciascuno giudichi e
decida con saggezza]
Alla Procura Generale della Repubblica
e per opportuna conoscenza a vari soggetti pubblici variamente interessati
affinche' qualora ravvisino una "notitia criminis" in questo esposto
procedano a quanto la legge impone ad ogni pubblico ufficiale.
*
Esposto nei confronti del Governo, del Parlamento e del Capo dello Stato per
violazione della Costituzione della Repubblica Italiana e favoreggiamento di
stragi, avendo espresso adesione e sostegno ad una guerra illegale e
criminale, guerra che configura i reati di crimini di guerra e di crimini
contro l'umanita'.
*
Egregi signori,
a nome e per conto del "Centro di ricerca per la pace", con sede in strada
S. Barbara 9/E, Viterbo, il sottoscritto Giuseppe Sini, in qualita' di
responsabile del Centro, espone quanto segue:
1. E' in corso da alcune settimane una guerra condotta con modalita' di
sterminio di massa.
2. Tale guerra e' palesemente illegittima ai sensi del diritto
internazionale e sta facendo strage di vittime innocenti.
3. Tale guerra (conseguente agli efferati massacri realizzati l'11 settembre
da gruppi criminali terroristi, efferati massacri tra i cui fini e' da
supporre ci fosse anche proprio quello di scatenare una conflagrazione
mondiale) nel suo svolgersi sta realizzando crimini di guerra e crimini
contro l'umanita'.
4. Tale guerra sta mettendo in pericolo l'umanita' intera, proseguendo
un'escalation (verosimilmente preventivata e voluta dai gruppi criminali
terroristi che hanno eseguito le stragi dell'11 settembre) che puo' portare
a conseguenze atroci e finanche irreversibili per l'umanita' intera.
5. Tragicamente, il Governo italiano, il Parlamento italiano, il Capo dello
Stato italiano, invece di adoperarsi per la pace e per il ripristino del
diritto internazionale, hanno espresso l'adesione del nostro paese alla
guerra in corso.
6. Tale adesione alla guerra illegale e criminale espressa da chi
rappresenta il nostro paese e' anch'essa illegale e criminale.
7. Tale adesione alla guerra illegale e criminale viola l'articolo 11 della
Costituzione della Repubblica Italiana, e configura pertanto il piu' grave
dei reati di cui chi e' investito di alte cariche della Repubblica si possa
macchiare.
8. Tale adesione alla guerra illegale e criminale coinvolge il nostro paese
nella responsabilita' delle stragi in corso in Afghanistan.
9. Tale adesione alla guerra illegale e criminale coinvolge il nostro paese
nella guerra e rende il nostro stesso paese possibile teatro di guerra.
10. Tale adesione alla guerra illegale e criminale precipita il nostro paese
in uno stato di anomia come conseguenza di un atto di eversione dall'alto
che ha reso fuorilegge chi detiene le funzioni del potere esecutivo, la
maggioranza dei membri dell'organo legislativo, il supremo garante del
nostro ordinamento giuridico.
11. Mentre rinnoviamo un accorato e fermo invito al Governo, al Parlamento
ed al Presidente della Repubblica affinche' rinsaviscano, tornino nella
legalita', recedano dall'alto tradimento della Costituzione della Repubblica
Italiana fondamento del nostro stato di diritto e base della nostra
democrazia, Costituzione cui essi hanno giurato fedelta';
12. Parimenti e' necessario richiedere l'intervento dell'autorita'
giudiziaria affinche' verifichi quanto sopra ed assuma i provvedimenti
conseguenti:
13. Noi chiediamo:
a) la messa in stato di accusa del governo nelle persone dei membri del
Consiglio dei Ministri che hanno espresso l'adesione alla guerra;
b) la messa in stato di accusa dei membri del Parlamento che hanno avallato
l'adesione alla guerra;
c) la messa in stato di accusa del Presidente della Repubblica che ha
permesso l'adesione alla guerra:
- per violazione della Costituzione della Repubblica Italiana;
- per violazione del diritto internazionale;
- per complicita' con i crimini di guerra ed i crimini contro l'umanita' in
corso;
- per aver esposto il nostro paese ai pericoli conseguenti alla illegittima
e delittuosa partecipazione ad una guerra illegale e criminale.
3. PROPOSTE. ALESSANDRO MARESCOTTI: AGIRE PER FERMARE LA GUERRA
[Alessandro Marescotti e' presidente di Peacelink, la principale rete
telematica pacifista. Per contatti: e-mail: a.marescotti@peacelink.it, sito:
www.peacelink.it]
Abbiamo appena assistito alla votazione in Parlamento: via libera alla
partecipazione italiana alla guerra, dunque.
Nessun partito che ha votato a favore della guerra si e' preoccupato di
spiegare la compatibilita' di quel voto con l'articolo 11 della
Costituzione: "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla
liberta' di altri popoli e come mezzo di risoluzione della controversie
internazionali".
Andiamo in Afghanistan non per limitare ma per completare un massacro da cui
gli afghani non hanno scampo.
Un giorno dovremo chiedere perdono a questo popolo.
Frontiere sigillate e inverno alle porte, abbiamo da offrire al popolo piu'
povero della Terra solo vuota retorica e qualche pacchetto di viveri buttato
sui campi minati. Gli afghani non hanno via di scampo, dovranno scegliere
solo se morire di freddo lontano dalle bombe o al riparo sotto le macerie,
arrostiti dalle bombe. E' difficile pensare che non ci maledicano.
E' difficile pensare che non si batteranno fino all'ultimo, non per
difendere il regime ma per difendere semplicemente se stessi. E' facile per
converso pensare che Bin Laden diventi cio' che per gli irakeni e' diventato
Saddan Hussein e che nessuna alternativa politica da ora in poi potra'
vincere la'. Questa guerra sara' probabilmente lunghissima e alla fine
qualcuno dira': "Questi afghani sono come i giapponesi di 60 anni fa, si
arrendono solo con l'atomica". Anzi, qualcuno gia' lo sta bisbigliando.
La guerra per cui sventolera' quel tricolore di cui Ciampi va fiero, e'
un'offesa non solo alla liberta' di un popolo - liberta' di cui e' gia'
privato per mano di un regime oppressivo - ma e' la negazione del diritto
alla vita, di quella vita senza la quale e' illusorio parlare di ogni
aspirazione alla liberta'. Noi andiamo la' dicendo di liberarli, e li
massacriamo con bombe da 7 tonnellate. La guerra a cui ora ufficialmente
partecipiamo come nazione e' una mattanza, non da' vie di fuga: anzi i
profughi afghani che dovessero scalare le montagne e navigare fino a noi
sperando di sfuggire alla guerra li rispediremo a casa come sospetti
terroristi.
A questa disperazione non non diamo risposte: noi siamo criminali senza
dubbi e senza proposte.
Ma c'e' altro. I soldati italiani vengono oggi usati per la gloria e la
carriera di un gruppo di politici.
C'e' da dubitare che i parlamentari che hanno votato si' alla guerra
manderebbero i propri figli a combattere sul campo per gli "ideali" per cui
scrivono i loro discorsi.
C'e' solo da sperare a questo punto che i militari italiani facciano una
guerra finta, tenendo lontani i soldati italiani da un nuovo Vietnam. I
militari conoscono bene cio' che ignorano tanti parlamentari che hanno
scansato sia il servizio militare che il servizio civile.
Noi ci opponiamo alla guerra perche' genera automaticamente nuovi
terroristi, nuovi kamikaze, nuovi disperati. Questa guerra e' un regalo ai
terroristi. Lo hanno capito anche i piu' stupidi. A questa guerra si stanno
opponendo anche coloro i quali all'inizio erano favorevoli. Ormai non si
parla piu' della cattura di Bin Laden. Non potendo fare cio' che desidera,
Bush desidera cio' che fa: la logica si ribalta.
E la gente se ne accorge.
I sondaggi ci dicono che il 55% degli italiani non appoggia questa guerra.
E' quindi evidente che questo Parlamento non rappresenta - almeno su tale
scelta cruciale - il volere del Paese, non rispecchia l'opinione pubblica e
neppure la consulta. Se ci fosse oggi un referendum consultivo apparirebbe
netto lo scollamento fra classe politica e cittadini.
Noi che la guerra non la vogliamo siamo con la maggioranza degli italiani.
Attenzione: noi pacifisti siamo con la maggioranza anche se non siamo la
maggioranza.
Per questo dobbiamo saper rappresentare una societa' civile variegata
imparando a dialogare con tutti, anche e soprattutto con chi ha votato per
coloro i quali hanno deciso per la guerra. Ci differenziaremo dai nostri
politici che non coltivano dubbi se sapremo ascoltare i dubbi e anche le
critiche. Noi pacifisti non siamo portatori della verita'. Solo nel dialogo
serrato e nella disponibilita' all'ascolto delle diverse ragioni sapremo
distinguerci e trovare le strade che conducono alla mente e alle ragioni di
milioni di persone che maturano giorno dopo giorno la propria contrarieta' e
il proprio dubbio verso l'intervento italiano. La credibilita' dei politici
e' in calo, quella del mondo del volontariato - di cui siamo parte - e' in
crescita. Siamo portatori di valori e di speranze diffuse, mentre "loro"
sono portatori di interessi legati alla carriera. E cio' ci consente di
vincere sulle grandi questioni ideali come quellla che abbiamo di fronte.
Ogni "settarismo pacifista", ogni orgogliosa chiusura nella "nostra verita'"
sarebbe la rinuncia al dialogo con tanta gente che pacifista non e' ma che
non e' per nulla contenta di questa guerra. Dovremo saper dialogare ad
esempio con tanti commercianti che non hanno sfilato da Perugia ad Assisi ma
che sono oggi preoccupati per il calo delle vendite e per i contraccolpi
economici della guerra.
Questo e' il momento di unirci al di la' degli schieramenti e delle
particolarita'.
*
Che fare?
Noi di PeaceLink faremo la nostra parte per cio' che sappiamo fare. Ecco
alcune indicazioni concrete per la mobilitazione:
- cliccate su http://db.peacelink.it/volontari/search.php e cercate di
unirvi con i volontari antiguerra della vostra regione e della vostra
citta'; segnalate nel database la costituzione di comitati unitari contro la
guerra;
- dopo esservi "linkati" segnalate (specificando in quale provincia operate)
i vostri progetti di lavoro alla newsletter "La nonviolenza e' in cammino";
otterremo cosi' (oltre al database dei volontari antiguerra) anche una
"guida ragionata" alle idee e ai progetti per la pace; scrivete pertanto al
"Centro di ricerca per la pace" (che cura la newsletter) inviando una e-mail
a nbawac@tin.it e per conoscenza a info@peacelink.it
- se avete in agenda degli appuntamenti e delle iniziative segnalatele al
calendario di PeaceLink: http://www.peacelink.it/appuntam/calendario.html
scrivendo a Nello Margiotta animarg@tin.it
Ma c'e' qualcosa di piu' importante che chiunque - anche il meno
computerizzato - puo' fare contro questa guerra: creare un rapporto nuovo
con il proprio portafogli.
A Natale infatti si "votera'" sulla guerra: i regali di Natale saranno la
cartina al tornasole di questa guerra. Sara' il voto popolare - espresso con
il portafogli - sull'andamento dell'economia, esprimera' il nostro livello
di fiducia nei consumi e nel futuro, sara' la spia della noncollaborazione,
istintiva o coscientemente maturata. Uno stile di vita piu' sobrio sarebbe
un duro colpo ai politici che oggi si sono imbarcati in un'avventura
deprimente anche sotto il profilo economico. Gli appelli al patriottismo
("consuma per la Patria") si travestiranno di pubblicita'. Chi non spendera'
sara' un disfattista. E noi che dovremo fare con il nostro portafogli? Lo
sapremo usare mirando con la perizia che nelle scuole militari viene
insegnata ai tiratori scelti?
4. MEMORIA. PRIMO LEVI: SHEMA'
[Aver conosciuto Primo Levi, e' stata una delle piu' grandi fortune della
nostra vita. Nell'ora delle decisioni io che scrivo queste righe mi chiedo
sempre: cosa avrebbe detto Primo Levi?]
Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
Voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo e' un uomo,
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un si' o per un no.
Considerate se questa e' una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza piu' forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d'inverno.
Meditate che questo e' stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi:
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I votri nati torcano il viso da voi.
5. MEMORIA. FRANCO FORTINI: CANTO DEGLI ULTIMI PARTIGIANI
[Anche Franco Fortini e' stato uno dei maestri piu' grandi che abbiamo
avuto, e dei piu' generosi. Il suo insegnamento non abbiamo dimenticato]
Sulla spalletta del ponte
Le teste degli impiccati
Nell'acqua della fonte
La bava degli impiccati.
Sul lastrico del mercato
Le unghie dei fucilati
Sull'erba secca del prato
i denti dei fucilati.
Mordere l'aria mordere i sassi
La nostra carne non e' piu' d'uomini
Mordere l'aria mordere i sassi
il nostro cuore non e' piu' d'uomini.
Ma noi s'e' letta negli occhi dei morti
E sulla terra faremo liberta'
Ma l'hanno scritta i pugni dei morti
La giustizia che si fara'.
6. MAESTRE. SIMONE WEIL: E SI CREDETTERO MOLTO UMANI
[Da Simone Weil, Sulla guerra, Pratiche, Milano 1998, p. 52]
Li fucilarono dunque immediatamente, poi diedero da mangiare agli altri e si
credettero molto umani.
7. MAESTRE. HANNAH ARENDT: COME GHIACCIO AL SOLE
[Da Hannah Arendt, La banalita' del male, Feltrinelli, Milano 1993, p. 181]
A quel che si sa, fu questa l'unica volta che i nazisti incontrarono una
resistenza aperta [Hannah Arendt si riferisce alla Resistenza nonviolenta in
Danimarca, uno degli eventi piu' luminosi della Resistenza], e il risultato
fu a quanto pare che quelli di loro che vi si trovarono coinvolti cambiarono
mentalita'. Non vedevano piu' lo sterminio di un intero popolo come una cosa
ovvia. Avevano urtato in una resistenza basata su saldi principii, e la loro
"durezza" si era sciolta come ghiaccio al sole permettendo il riaffiorare,
sia pur timido, di un po' di vero coraggio.
8. MATERIALI. ASPETTI PSICOLOGICI DELL'IMPEGNO NONVIOLENTO
[Questo testo e' un capitolo del nostro lavoro "La nonviolenza contro la
guerra", disponibile in rete all'url www.peacelink.it/users/crp/nonviolenza]
1. Premessa
Rispetto ad altre forme di impegno culturale, politico o sociale, la scelta
della nonviolenza ha, secondo la nostra interpretazione, alcune
caratteristiche peculiari:
a) si fonda sulla ragione e non sull'entusiasmo: naturalmente valorizza le
emozioni ma sempre ricondotte ad un impegno critico;
b) implica una limpida rigorizzazione del ragionamento e della condotta:
richiede una severa coerenza intellettuale e morale, e quindi
necessariamente anche una grande capacità di ascolto ed una incondizionata
disponibilità ad apprendere;
c) non offre garanzie né consolazioni: né certezze di vittoria o di
salvezza, né autorità ed automatismi che fungano da cinture di sicurezza;
tuttavia, facendo appello a un forte sentimento di integrità personale
intimamente connesso al più vasto slancio di solidarietà e di riconoscimento
della comune umanità, consente di gestire le ansie e relativizzare gli
scacchi in una più profonda ed insieme più ampia prospettiva di impegno
orientato al bene comune ed all'affermazione della propria dignità (bene
comune e dignità personale intesi come un inscindibile insieme);
d) propone un impegno di lotta che non terminerà che con la morte: ma questa
lotta (contro l'ingiustizia, contro la violenza, contro la menzogna; e
quindi: contro la sofferenza, contro il male, contro la morte stessa) è
ineludibile, ed è coessenziale alla nostra vita di senzienti e pensanti;
e) impone quindi una dialettica tra coscienza e mondo esterno (naturale e
culturale) particolarmente impegnativa: ad ogni passo chiede di assumere
responsabilità, di giudicare, e quindi di agire; ad ogni passo ci impone un
difficile confronto tra libertà e regole, tra creatività e necessità, tra
dovere morale e condizioni (e codificazioni) date.
In breve, la scelta della nonviolenza richiede studio, preparazione,
addestramento, disponibilità a soffrire, saldezza nel perseverare in ciò che
è giusto ad una analisi onesta, e saldezza nel perseverare in una condotta
costantemente benevola, leale e responsabile anche di fronte a condotte
scorrette, inique e violente da parte di altri. Infine richiede altresì una
ridiscussione costante della propria condotta ed una continua
reinterpretazione e reinvenzione di regole, orizzonti, abitudini, percorsi
di ricerca; rileggendo incessantemente la propria esperienza così come
faceva Gandhi che non casualmente intitolò la sua autobiografia "storia dei
miei esperimenti con la verità".
2. Una sintetica definizione preliminare
2.1. Per nonviolenza intenderemo qui un insieme di valori morali, di
tecniche di lotta e di proposte politiche organizzate in una coerente,
seppur aperta e sperimentale, teoria-prassi.
2.2. Definiamo tale teoria-prassi col termine di nonviolenza, ed usiamo
tale grafia per distinguerla dalla mera assenza di violenza (la quale
assenza di violenza è peraltro concettualmente una nozione assai ambigua e
sfuggente, e praticamente una condotta semplicemente impossibile) ed
indicarne invece la natura positiva e l'impegno attivo; col quale termine di
nonviolenza traduciamo due distinti termini gandhiani: ahimsa (che potremmo
tradurre liberamente come ripudio della violenza, opposizione alla violenza;
che designa la nonviolenza dal punto di vista concettuale, come valore
morale e come oggetto logico-ontologico); e satyagraha (che potremmo
tradurre liberamente come forza della verità o anche adesione alla verità;
che designa la nonviolenza dal punto di vista operativo e metodologico, come
campo di condotte empiriche, di tecniche pratiche, di orientamenti
strategici; ma anche come inveramento effettuale di una scelta morale che
per esser tale non può restare inoperante nel mero ambito teoretico ma
richiede di essere realizzata ed autenticata in un impegno personale
immediato, politicamente ed esistenzialmente qualificato).
2.3. La nonviolenza così definita si fonda su un ragionamento, una scelta e
una condotta improntati a responsabilità, verità, amore, apertura all'
umanità.
2.4. La nonviolenza così definita si caratterizza per alcuni precisi
princìpi: rifiuto di uccidere e di provocare lesioni fisiche; rifiuto della
menzogna; rifiuto di commettere ingiustizia, di subire ingiustizia, di
collaborare con l'ingiustizia; coerenza tra mezzi e fini; esemplarità della
condotta e coscienza del costante riflesso educativo dei nostri atti;
compiere solo quelle azioni su cui si possa fondare la civile convivenza.
2.5. La nonviolenza così definita si realizza nel conflitto (e non nella
quiete); nella comunicazione (e non nella solitudine); nella trasformazione
(né nella conservazione, né nella distruzione); i tre termini indicati:
conflitto, comunicazione, trasformazione, costituiscono per la nonviolenza
una necessaria unità.
3. Scelte morali e coesione psicologica
Poiché la nonviolenza è eminentemente opposizione all'ingiustizia, chi la
sceglie sa di impegnarsi in una lotta consapevole e quindi intransigente,
meditata e quindi assai impegnativa sotto molti profili.
Occorre dunque che chi abbraccia l'impegno nonviolento sia cosciente che ciò
implica che dovrà sostenere il peso psicologico di una scelta di lotta che
può esporre a molti rischi, a condizioni di solitudine e di incomprensione;
che impone la rinuncia a vari privilegi, e implica la possibilità di
trovarsi in condizioni di difficoltà.
Occorre quindi avere la capacità di una adeguata elaborazione dei sentimenti
a queste situazioni esistenziali e sociali connessi; la capacità di una
adeguata gestione dell"ansia; la capacità di efficacemente esercitare il
controllo e l'incanalamento costruttivo dell'aggressività; un atteggiamento
non represso e non repressivo.
E' ragionevole che prima ancora di impegnarsi nella lotta nonviolenta si sia
riflettuto su tutto ciò e si sia realisticamente valutata la propria
disponibilità e capacità a tutto ciò.
4. La nonviolenza in quanto comunicazione
La nonviolenza è eminentemente comunicazione; questo implica:
a) il riconoscimento dell'altro, il puntare sulla sua umanità;
b) interpretare la lotta come disvelamento, cooperazione, atto di amore al
bene e all'umanità;
c) antiautoritarismo ed antidogmatismo, ovvero atteggiamento critico ed
autocritico, contestazione radicale del "principio d'autorità" (anche verso
se stessi).
5. La scelta nonviolenta nel vivo del conflitto
La nonviolenza si realizza esclusivamente nel conflitto, essa valorizza il
conflitto e dove occorre lo suscita. La nonviolenza non è passività, fuga,
quieto vivere; essa è azione, impegno, responsabilità di fronte alle sfide e
agli appelli che la realtà pone. L'amico della nonviolenza porta nel
conflitto convincimenti profondi, obiettivi ponderati, capacità operative
concrete. Questo implica:
a) vivere positivamente la scelta del conflitto;
b) la consapevolezza che l'azione nonviolenta è sempre anche educazione (ed
autoeducazione),
c) la capacità di ridefinire i problemi;
d) la capacità di far evolvere le situazioni e i conflitti;
e) la capacità di ascolto e cooperazione anche con l'avversario rispetto a
fini sovraordinati che entrambe le parti condividono o apprezzano;
f) la capacità di contestualizzazione di princìpi, analisi, scelte.
Con particolar riferimento a se stessi, tutto questo implica inoltre:
g) rifiuto della subalternità e del vittimismo;
h) essere consapevoli della propria forza che è inerente alla propria
integrità (ovvero alla propria onestà intellettuale e morale);
i) capacità di mantenere costantemente l'iniziativa.
Con particolar riferimento alla controparte tutto quanto precede implica
altresì:
l) non minacciarne l'annientamento in quanto essere umano;
m) offrirgli sempre una soluzione onorevole del conflitto.
Con particolar riferimento al rapporto tra antagonisti nel conflitto:
n) percepirlo e presentarlo anche come occasione di incontro;
o) costantemente mirare ad umanizzare la relazione attraverso un forte
impegno comunicativo e propositivo;
p) percepire e presentare il rapporto non in termini di esclusione e di
annullamento dell'altro, ma di compresenza e di impegno comunque comune,
evidenziando che un conflitto è sempre anche un atto cooperativo, e che le
sue dinamiche sono congiuntamente costruite dalle parti;
q) puntare con la propria azione alla più ampia corresponsabilizzazione
possibile;
r) saper sempre distinguere l'oggetto contro cui si combatte dalla persona o
le persone con cui si combatte, e prefiggersi costantemente un rapporto
costruttivo con la parte avversa, riconoscendone le ragioni, offrendo
proposte di onesto e valido compromesso, non schiacciandola mai in
situazioni insostenibili e senza alternative;
s) mirare costantemente a ridurre la violenza, a ricercare terreni di
intesa, a costruire rapporti di fiducia.
6. Valori e comportamenti nonviolenti
a) La noncollaborazione con l'ingiustizia: che della proposta nonviolenta è
la chiave di volta, infatti l'idea centrale della nonviolenza come forma di
lotta contro l'ingiustizia è che il potere ingiusto per realizzare il suo
dominio ha bisogno della complicità o almeno della passività delle sue
vittime; il primo passo della presa di coscienza e della lotta nonviolenta è
appunto la rottura della complicità, la cessazione della passività dinanzi
all'ingiustizia.
b) La nonuccisione e il rifiuto di provocare lesioni fisiche agli avversari:
tale scelta ha spesso anche l'effetto di ridurre la violenza del'avversario,
e comunque costituisce già essa sola una rilevante umanizzazione del
conflitto e riduce consistentemente la violenza complessiva indicando
concretamente altresì una diversa e più civile gestione del conflitto.
c) La nonmenzogna: essa è ugualmente fondamentale, ed implica altresì il
rifiuto del segreto, della sorpresa, del sotterfugio; è eminentemente
democratica, rinforza la nostra autorevolezza morale, favorisce la
costruzione della fiducia (e incidentamente ci mette al riparo dai
provocatori).
d) La coerenza tra mezzi e fini: ribaltando la massima secondo cui il fine
giustifica i mezzi, la nonviolenza afferma che i mezzi violenti corrompono
anche i fini migliori; è di grande efficacia la similitudine gandhiana per
cui tra mezzi e fini intercorre lo stesso rapporto che tra il seme e la
pianta.
e) Il principio responsabilità: ognuno deve sentirsi responsabile di tutto;
ognuno deve avere a cuore le sorti di tutti; ognuno deve sentire la
solidarietà con l'umanità intera; ognuno deve agire in modo che la sua
condotta e la logica che la ispira possa essere ripetuta e riutilizzata in
ogni circostanza analoga ed essere sempre moralmente valida (e possa quindi,
per così dire, essere istitutiva di una legislazione universale, echeggiando
la formula kantiana).
f) Ogni azione è anche educazione: quindi ogni azione deve essere motivata,
comprensibile, coerente con il fine del riconoscimento e della promozione
della dignità umana.
7. Dialettiche della nonviolenza
La nonviolenza come tanta parte della cultura contemporanea richiede la
capacità di fronteggiare situazioni caratterizzate da indeterminazione,
contraddizione, complessità; richiede quindi un atteggiamento critico e
creativo.
In particolare a noi sembra che l'adesione alla nonviolenza implichi altresì
la capacità di sostenere psicologicamente una scelta che ha caratteristiche
esistenziali fondamentalmente connotate da duplicità e dinamismo, e richiede
pertanto un notevole "spirito di finezza", ovvero una duttilità ed un'
attenzione, un atteggiamento di apertura e di interpretazione, che è del
tutto incompatibile con atteggiamenti rozzi ed autoritari, prepotenti o
servili, predicatòri e dogmatici. La nonviolenza è rivoluzione aperta, e
richiede una personalità ironica e paziente, serena e tenace, combattiva ed
antiautoritaria. Indichiamo qui di seguito alcuni profili psicologici
implicati dalla scelta dell'impegno nonviolento:
a) rinnovamento, ma anche ritrovamento;
b) rottura, ma anche fedeltà;
c) apertura, ma anche approfondimento;
d) ricerca, ma anche saldezza;
e) responsabilità come impegno personale nella dimensione collettiva;
f) dialettica tra coscienza (come autonomia morale e responsabilità
personale) e legge (come regole sociali);
g) essere ad un tempo dei persuasi (è la bella formula di Aldo Capitini) ed
insieme dei perplessi (è la non meno bella formula di Norberto Bobbio).
8. Un problema persistente: la violenza
Ovviamente la nonviolenza si contrappone alla violenza, ribadirlo è fin
tautologico.
Ma questo non risolve tutti i problemi, poiché la violenza è comunque una
realtà, ed il lottare contro di essa implica evidentemente un certo grado di
esercizio della forza, che intende certo essere anche persuasiva, ma che
nondimeno è altresì coercitiva. Inoltre non è banale porre il problema che
se il fine della nonviolenza è quello di contrastare la violenza, ovvero di
ridurla per quanto possibile, ciò implica necessariamente non una sorta di
astensione assoluta dall'azione, ma agire nel modo più radicalmente
contrario alla violenza, ovvero nel modo più efficace e coerente possibile.
Qui si aprono numerosi problemi degni di discussione, su cui ha spesso
particolarmente insistito nelle sue fini e rigorose analisi Giuliano
Pontara, ma che nessuno dei grandi protagonisti delle lotte nonviolente ha
mai eluso, da Gandhi a Lanza del Vasto, da Aldo Capitini a Martin Luther
King, da Danilo Dolci a Lorenzo Milani, a molti altri. Le impostazioni sono
state molto varie, e le risposte anche. A titolo d'esempio e per un primo
accostamento rinviamo a Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi,
Torino; e ad AA. VV., Violenza o nonviolenza, Linea d'ombra, Milano.
9. Un'ipotesi etico-politica
9.1. Il nostro approccio alla nonviolenza non è di tipo essenzialista, o
metafisico; non implica un fondamento religioso o ontologico. Il nostro,
quello che qui proponiamo, è un approccio meramente razionale. Naturalmente
altri studiosi e soprattutto molti attivisti della nonviolenza, hanno
approcci diversi, in cui il riferimento religioso o metafisico è
assolutamente determinante. Il nostro apporccio è più modesto e limitato;
tuttavia proprio per questo esso presenta forse il vantaggio di essere più
agevolmente discutibile -ed eventualmente accoglibile- in quanto non
presuppone l'accettazione di questioni di principio talmente cruciali,
peculiari e impegnative per cui diviene impossibile addivenire ad un accordo
se si muove da diverse posizioni filosofiche, religiose, politiche,
esistenziali. Abbiamo la presunzione di ritenere che l'approccio da noi
proposto consente di discutere la nonviolenza a partire da posizioni anche
molto diverse e -ciò che più conta- mantenendole (ovviamente, con la
nonviolenza arricchendole ed eventualmente approfondendole qualora essa
venisse accolta ed integrata nel proprio sistema di idee generali); abbiamo
la speranza che l'approccio da noi proposto sia compatibile con diverse
posizioni religiose (ateismo compreso), con diverse posizioni politiche
(nell'ampio campo che va dal liberalismo al comunismo, dalle varie proposte
democratiche, personaliste, socialiste, fino all'anarchia), con diverse
posizioni filosofiche e morali (gli studi di Giuliano Pontara, in
particolare, hanno apportato decisivi contributi in questo ambito).
9.2. Detto questo, vorremmo tuttavia aggiungere due specificazioni ulteriori
che in qualche misura contribuiscono a fondare il nostro approccio, che
proponiamo come ipotesi di lavoro ma alle quali almeno noi siamo molto
legati, e che sono le seguenti:
a) un'etica della felicità sobria;
b) un fondamento gnoseologico fallibilista.
9.2.1. La prima, un'etica della felicità sobria: è resa particolarmente
necessaria dalla consapevolezza ecologica; dall'esigenza di una giusta
ripartizione delle risorse e dalla cognizione della loro scarsità ed
esauribilità; dall'impegno al riconoscimento ed alla promozione dei diritti
umani per tutti gli esseri umani. La scelta della nonviolenza non è una
scelta masochista, ma di liberazione; la sua prospettiva è la felicità umana
per quanto essa sia realizzabile nel quadro di una condizione biologica
caduca e peritura. La felicità possibile e generalizzabile è una felicità
sobria, e quindi saggia, rispettosa degli altri e della biosfera,
conviviale, accogliente, sollecita, sensibile.
9.2.2. Il secondo, un fondamento gnoseologico fallibilista: che è
indispensabile cuore della democrazia: la coscienza della nostra fallibilità
è l'assioma su cui fondiamo il nostro atteggiamento razionale e ragonevole
tanto in ambito teoretico quanto in ambito pratico, nella logica, nella
morale, nella politica; senza questa consapevolezza non si dà democrazia,
non si danno piene libertà, non si danno uguaglianza e diversità. La pretesa
di infallibilità è sempre antiscientifica, immorale, antidemocratica,
totalitaria; coercitiva e coatta sul piano della psicologia come su quello
del diritto, sul piano sociale come su quello esistenziale; essa lede
radicalmente lo sviluppo della cultura e la civile convivenza, e denega la
dignità personale. Poiché nelle aree culturali di prevalente riferimento per
le persone maggiormente impegnate per la pace e la liberazione
frequentissimamente dominano visioni del mondo chiuse, rigide, con pretese
onniresponsive, ci permettiamo di insistere energicamente su questo punto:
il nesso tra libertà e fallibilità, la necessità di un approccio
fallibilista (non ci dilunghiamo oltre rinviando piuttosto al brillante
agile libro di Dario Antiseri, Liberi perché fallibili che segnaliamo in
bibliografia).
10. Per l'approfondimento, una bibliografia essenziale
10.1. Per un percorso minimo
- Giuliano Pontara, La personalità nonviolenta, Edizioni Gruppo Abele,
Torino 1996 (particolarmente il capitolo secondo);
- Dario Antiseri, Liberi perché fallibili, Rubbettino, Soveria Mannelli
1995;
- Alberto L'Abate (a cura di), Addestramento alla nonviolenza, Satyagraha,
Torino 1985.
10.2. Per un approfondimento più rigoroso
- Gene Sharp, Politica dell'azione nonviolenta, tre volumi, Edizioni Gruppo
Abele, Torino 1985-1997;
- Immanuel Kant, Critica della ragion pratica, disponibile in varie
edizioni;
- Paul Watzlawick, Janet Helmick Beavin, Don D. Jackson, Pragmatica della
comunicazione umana, Astrolabio-Ubaldini, Roma 1971;
- Theodor W. Adorno, Minima moralia, Einaudi, Torino;
- Giovanni Jervis, Manuale critico di psichiatria, Feltrinelli, Milano, più
volte ristampato;
- Günther Anders, Tesi sull'età atomica, Centro di ricerca per la pace,
Viterbo 1991;
- Hans Jonas, Il principio responsabilità, Einaudi, Torino 1993;
- Franco Fortini, Una voce: comunismo, Centro di ricerca per la pace,
Viterbo 1990;
- Primo Levi, I sommersi e i salvati, Einaudi, Torino, più volte ristampato.
11. Appendice prima. Una caratterizzazione della personalità nonviolenta (da
Giuliano Pontara)
Nel secondo capitolo che ha lo stesso titolo dell'intero volume La
personalità nonviolenta, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1996, Giuliano
Pontara evidenzia dieci qualità di quella che definisce la "personalità
nonviolenta" (contrapposta alla "personalità autoritaria"), qualità che così
elenca e descrive: 1. Il ripudio della violenza (su cui svolge un'analisi
molto fine ed articolata che qui non possiamo adeguatamente riassumere ma
alla quale rinviamo anche perché è assai caratteristica del modo di
argomentare dell'autore); 2. La capacità di identificare la violenza (ovvero
di riconoscerla anche laddove si presenti mascherata o cronicizzata; "la
capacità di individuare la violenza a tutti i livelli, da quello personale a
quello istituzionale, da quello individuale a quello strutturale, da quello
internazionale a quello intergenerazionale. Altrettanto importante è la
capacità di individuarla in tutte le forme che essa può assumere, e non
soltanto in quelle più appariscenti della violenza armata"); 3. La capacità
di empatia (ovvero di identificazione con gli altri e in primo luogo con
quelli che soffrono di più); 4. Il rifiuto dell'autorità ("una persona
nonviolenta ritiene che la responsabilità per quello che fa non può essere
addossata ad altri. fa dunque propria la massima di don Milani: l'
obbedienza, in quanto tale, non è una virtù"); 5. La fiducia negli altri
(che si contrappone alla logica militare: "Uno dei principi fondamentali
della nonviolenza prescrive di impostare la conduzione di un conflitto in
modo tale da fare appello ai lati migliori di coloro che ci si trova di
fronte come oppositori, usando tecniche di lotta volte ad ingenerare in un
numero sempre maggiore degli individui che costituiscono il gruppo
oppositore una crescente fiducia nei confronti del gruppo nonviolento. Si
tratta di un continuo tentativo di sostituire la spirale della sfiducia,
propria della logica della violenza, con la spirale della fiducia); 6. La
capacità di dialogare, ovvero la disposizione al dialogo (qui Pontara svolge
una efficace perorazione in favore del principio fallibilista, di cui
riportiamo ampi stralci: "Un assunto che soggiace alla disposizione al
dialogo è l'accettazione del principio del fallibilismo. Questo principio ci
dice che siamo tutti esseri mortali con poteri di conoscenza limitati onde
nessuno può mai dirsi sicuro che quello che in un certo momento crede essere
vero, in effetti sia tale: può benissimo darsi che sia falso. Il
fallibilismo vale in primo luogo nel campo della scienza. Ma vale ugualmente
nel campo delle credenze etiche. I nostri giudizi morali possono infatti
essere distorti dai nostri piccoli interessi egoistici, o fondati su ipotesi
empiriche false o su informazioni incomplete. Possono anche essere fondati
su assunti di valore che non abbiamo visitato criticamente o tali per cui se
esaminati criticamente saremmo stati disposti ad abbandonare. (...) Il
fallibilismo in etica è profondamente compatibile con l'avere delle profonde
convinzioni morali (...). Un individuo fornito di una personalità
nonviolenta... non vorrà escludere a priori la possibilità di aver lui torto
e l'avversario ragione. Per questo egli rifiuta metodi di conduzione dei
conflitti che comportano la distruzione dell'avversario (...). Il
fallibilismo abbraccia anche le credenze religiose ed essere fallibilista in
religione è pur sempre compatibile con l'avere una profonda fede religiosa
(...). L'interiorizzazione del principio del fallibilismo è dunque uno dei
migliori vaccini contro tutte le forme di fanatismo...; è altresì
fondamentale per il buon funzionamento delle istituzioni democratiche e
costituisce un grande incentivo alla tolleranza (...). Il fallibilismo vale
nei confronti di tutti i giudizi, anche quelli in cui si articola il
fallibilismo stesso: non possiamo escludere che la credenza stessa per cui
siamo tutti fallibili in effetti sia falsa. Ben poco però induce a credere
che tale essa sia. Il contrario del fallibilismo è il dogmatismo"); 7. La
mitezza (che ovviamente si armonizzi con le altre qualità indicate); 8. Il
coraggio; 9. L'abnegazione; 10. La pazienza.
12. Appendice seconda. Alcuni schemi da Pat Patfoort
Pat Patfoort, biologa e antropologa, nel suo libro Costruire la nonviolenza,
La Meridiana, Molfetta 1992, offre alcuni schemi che di seguito riportiamo
con qualche minima abbreviazione, semplificazione e modifica (ovviamente
senza entrare qui in una discussione di merito).
12.1. Scheda su atteggiamenti assunti nel conflitti: atteggiamento consueto
o primitivo, ovvero violento (A); atteggiamento degno dell'uomo ovvero
nonviolento (B):
I. A: reazione viscerale, impulsiva, inconscia, spesso più diretta; B:
reazione di tutto l'essere umano, viscere, ma anche intelligenza, cuore,
coscienza che mirano a controllare le emozioni. Spesso più indiretta (lungo
termine).
II. A: superficiale; B: profondo.
III. A: dà importanza ai valori esteriori; B: dà importanza ai valori
interiori.
IV. A: sfiducia o fiducia cieca; B: fiducia, comprensione, rispetto dell'
altro, capacità di perdonare, amore verso il prossimo.
V. A: diretto all'interesse individuale, interesse personale; B: diretto all
'interesse comune delle parti, solidarietà.
VI. A: norme; B: coscienza, senso critico, consapevolezza, senso di
responsabilità, creatività.
VII. A: ricette; B: soluzioni ad hoc.
VIII. A: centralizzazione; B: decentralizzazione.
IX. A. il conflitto è un processo negativo (crea tensioni e stress,
distruttivo per il rapporto, il risultato è la cosa principale, si cerca la
parte colpevole, si rimane impantanati nel passato); B: il conflitto è un
processo positivo (metodo vissuto positivamente, costruttivo per il
rapporto, il processo è importante quanto il risultato, cercare di capire
ciò che è successo, guardare al futuro).
X. A: il tempo necessario prima sembra insufficiente, dopo sembra eccessivo,
si è inconsapevolmente dominati dal tempo; B: il tempo necessario è
affrontato con pazienza, vi è un controllo consapevole del tempo.
XI. A: abuso di potere, forme negative di potere; B: uso del potere, forme
positive di potere.
XII. A: forme esteriori di forza, mancanza di fiducia in se stessi; B: forza
interiore, fiducia in se stessi, umiltà.
XIII. A: mancanza di comunicazione o comunicazione poco chiara, pregiudizi;
B: comunicazione chiara.
XIV. A: critica negativa, distruttiva; B: affermazione positiva più
comunicazione concernente le difficoltà del rapporto (critica costruttiva).
XV. A: migliore/peggiore; B: differente.
12.2. Scheda su alcuni concetti aventi contenuti differenti nelle relazioni
umane consuete (A), e nelle relazioni umane ispirate alla nonviolenza (B):
- autocontrollo: A. soppressione delle emozioni; B. espressione razionale
delle emozioni in modo diverso;
- autorità: A. prendere, domandare; B. ricevere;
- comprensione: A. accordo; B. accettazione, consapevolezza;
- concessione: A. ci si avverte come perdenti, la parte incolpata; B.
accettazione;
- pazienza: A. passiva, di attesa; B. attiva, costruttiva;
- potere: A. dall'esterno; B. dall'interno;
- spontaneità: A. immediata e frutto di reazione emozionale; B.
comunicazione aperta, non corrotta;
- verità: A. fede cieca; B. fede consapevole, cosciente.
13. Appendice terza ed ultima. Alcuni stralci dall'introduzione di Liberi
perché fallibili di Dario Antiseri
Riportiamo qui qualche brano dall'introduzione (pp. 9-10) del libro di Dario
Antiseri, Liberi perché fallibili, Rubbettino, Soveria Mannelli 1995. Ma
consigliamo vivamente di leggere tutto il libro (peraltro breve e
brillante). Segnaliamo anche un libretto di estratti popperiani curato
sempre da Antiseri: Karl R. Popper, Come controllare chi comanda, Ideazione,
Roma 1996; e l'assai utile più ampia antologia sempre per le cure di
Antiseri, Karl R. Popper, Logica della ricerca e società aperta, La Scuola,
Brescia 1989.
"C'è un'infinità di cose che noi non conosciamo; quello che conosciamo lo
conosciamo tramite teorie scientifiche smentibili e attraverso teorie
filosofiche criticabili (...). I nostri progetti nascono e crescono nell'
incertezza, e -a motivo delle inevitabili conseguenze inintenzionali delle
azioni umane intenzionali- possono addirittura risolversi in esiti contrari
alle intenzioni di chi ha progettato.
(...) Ora, però, siccome vivere è risolvere problemi, diventa chiaro che, se
noi vogliamo risolvere i problemi, è necessario che gli altri siano liberi
di proporre le loro alternative, liberi di avanzare le loro critiche, liberi
di portare l'attenzione sugli esiti inattesi anche dei migliori progetti e
di costruire progetti alternativi; se vogliamo che i problemi vengano
risolti è necessario che gli altri -tutti gli altri- siano liberi di porre
in azione le loro conoscenze.
(...) Il politeismo delle visioni del mondo e dei valori sta a base della
società aperta.
Siamo, dunque, liberi. Condannati ad essere liberi perché ontologicamente
ignoranti.
La negazione della libertà, per altro verso, ha sempre un fondamento
gnoseologico: la presunzione fatale di sapere, magari in modo assoluto e
certo, quale sia il vero Dio; di conoscere i fondamenti incontrovertibili
dei valori ultimi; di possedere il criterio per stabilire quale sia la
società perfetta; di conoscere le leggi ineluttabili della storia umana
nella sua totalità; di sapere quali siano i bisogni essenziali degli altri,
la loro felicità.
La presunzione della nostra ragione è la via della schiavitù. La
consapevolezza della nostra ignoranza è la base della nostra libertà. E
liberi sono solo gli individui, giacché nel mondo ci sono solo individui:
solo l'individuo pensa, solo l'individuo ragiona, solo l'individuo agisce. E
le nostre azioni hanno effetti intenzionali ed esiti inintenzionali. Non ci
è possibile nascondere le nostre paure, le nostre esitazioni e le nostre
vigliaccherie più o meno grandi sotto la maschera di "azioni" di enti
collettivi come la classe, la nazione e il partito. Ad agire sono soltanto
gli individui. Responsabili siamo, dunque, solo noi".
Viterbo, 16/7/1999
9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.
10. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org ;
per contatti, la e-mail è: azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
http://www.peacelink.it/users/mir . Per contatti: lucben@libero.it ;
angelaebeppe@libero.it ; mir@peacelink.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it . Per
contatti: info@peacelink.it
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac@tin.it
Numero 282 dell'8 novembre 2001