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La nonviolenza e' in cammino. 264



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 264 del 21 ottobre 2001

Sommario di questo numero:
1. Non dimenticare
2. Aldo Capitini: dieci principi del lavoro di Danilo Dolci
3. Umberto Eco, passione e ragione
4. Una riflessione con Ali Rashid a Celleno
5. Diana Dimonte: cacao equosolidale
6. Peppe Sini, una lettera all'Anci e all'Upi
7. Renato Solmi ricorda Sergio Solmi: la Resistenza come scelta di dignita'
8. Letture: Maria Corda Costa (a cura di), Formare il cittadino
9. Letture: Camille Pissarro, Mio caro Lucien
10. Letture: Salvatore Veca, Della lealta' civile
11. Riletture: Immanuel Kant, Pace perpetua
12. Per studiare la globalizzazione: da Andrej Tarkovskij ad Ana Teberosky
13. Alcune riviste utili
14. La "Carta" del Movimento Nonviolento
15. Per saperne di piu'

1. RIFLESSIONE. NON DIMENTICARE
Non dimenticare che la guerra e' sempre omicidio di massa. Non dimenticare
che ogni vittima ha il volto di Abele. Non dimenticare che e' in pericolo
l'intero genere umano. Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.

2. MATERIALI. ALDO CAPITINI: DIECI PRINCIPI DEL LAVORO DI DANILO DOLCI
[Questo breve passo e' estratto da Aldo Capitini, Rivoluzione aperta,
Parenti, Milano 1956. Aldo Capitini e Danilo Dolci sono due tra le piu'
grandi figure della nonviolenza]
Danilo Dolci ha cosi' messo praticamente in maggior rilievo ed ha espresso
in modo chiarissimo prinćpi ed elementi gia' espressi e praticati nel
passato e nel presente, ma che con la sua persona, con la sua ispirazione ed
azione incisiva e organica in una situazione coś significativa, e' bene che
siano messi a contatto di tutti e moltiplicati:
1. Lavorare per una societa' che sia veramente di tutti.
2. Cominciare piu' affettuosamente e piu' attentamente dagli "ultimi".
3. Portare le cose piu' alte a contatto dei piu' umili.
4. Partecipare per comprendere.
5. Superare continuamente i propri possessi dando aiuti.
6. Creare strumenti di lavoro e di civilta' per tutti.
7. Dare amorevolezza a tutte le persone, non considerandole chiuse nei loro
errori.
8. Usare nelle azioni e nelle lotte il metodo rivoluzionario nonviolento.
9. Nei casi estremi e nei momenti decisivi offrire il proprio sacrificio
(per esempio, il digiuno), prendendo su di se' la sofferenza.
10. Promuovere riunioni e assemblee per il dialogo su tutti i problemi.

3. RIFLESSIONE. UMBERTO ECO: PASSIONE E RAGIONE
[Umberto Eco e' uno dei piu' prestigiosi intellettuali contemporanei, questo
intervento e' apparso sul quotidiano "La Repubblica" del 5 ottobre]
Che qualcuno abbia, nei giorni scorsi, pronunciato parole inopportune sulla
superiorita' della cultura occidentale, sarebbe un fatto secondario. E'
secondario che qualcuno dica una cosa che ritiene giusta ma nel momento
sbagliato, ed e' secondario che qualcuno creda a una cosa ingiusta o
comunque sbagliata, perche' il mondo e' pieno di gente che crede a cose
ingiuste e sbagliate, persino un signore che si chiama Bin Laden, che forse
e' piu' ricco del nostro presidente del Consiglio e ha studiato in migliori
universita'. Quello che non e' secondario, e che deve preoccupare un poco
tutti, politici, leader religiosi, educatori, e' che certe espressioni, o
addirittura interi e appassionati articoli che in qualche modo le hanno
legittimate, diventino materia di discussione generale, occupino la mente
dei giovani, e magari li inducano a conclusioni passionali dettate
dall'emozione del momento. Mi preoccupo dei giovani perche' tanto, ai
vecchi, la testa non la si cambia piu'.
Tutte le guerre di religione che hanno insanguinato il mondo per secoli sono
nate da adesioni passionali a contrapposizioni semplicistiche, come Noi e
gli Altri, buoni e cattivi, bianchi e neri. Se la cultura occidentale si e'
dimostrata feconda (non solo dall'Illuminismo a oggi ma anche prima, quando
il francescano Ruggero Bacone invitava a imparare le lingue perche' abbiamo
qualcosa da apprendere anche dagli infedeli) e' anche perche' si e' sforzata
di "sciogliere", alla luce dell'indagine e dello spirito critico, le
semplificazioni dannose. Naturalmente non lo ha fatto sempre, perche' fanno
parte della storia della cultura occidentale anche Hitler, che bruciava i
libri, condannava l'arte "degenerata", uccideva gli appartenenti alle razze
"inferiori", o il fascismo che mi insegnava a scuola a recitare "Dio
stramaledica gli inglesi" perche' erano "il popolo dei cinque pasti" e
dunque dei ghiottoni inferiori all'italiano parco e spartano.
Ma sono gli aspetti migliori della nostra cultura quelli che dobbiamo
discutere coi giovani, e di ogni colore, se non vogliamo che crollino nuove
torri anche nei giorni che essi vivranno dopo di noi. Un elemento di
confusione e' che spesso non si riesce a cogliere la differenza tra
l'identificazione con le proprie radici, il capire chi ha altre radici e il
giudicare cio' che e' bene o male. Quanto a radici, se mi chiedessero se
preferirei passare gli anni della pensione in un paesino del Monferrato,
nella maestosa cornice del parco nazionale dell'Abruzzo o nelle dolci
colline del senese, sceglierei il Monferrato. Ma cio' non comporta che
giudichi altre regioni italiane inferiori al Piemonte.
Quindi se, con le sue parole (pronunciate per gli occidentali ma cancellate
per gli arabi), il presidente del Consiglio voleva dire che preferisce
vivere ad Arcore piuttosto che a Kabul, e farsi curare in un ospedale
milanese piuttosto che in uno di Bagdad, sarei pronto a sottoscrivere la sua
opinione (Arcore a parte). E questo anche se mi dicessero che a Bagdad hanno
istituito l'ospedale piu' attrezzato del mondo: a Milano mi troverei piu' a
casa mia, e questo influirebbe anche sulle mie capacita' di ripresa. Le
radici possono essere anche piu' ampie di quelle regionali o nazionali.
Preferirei vivere a Limoges, tanto per dire, che a Mosca. Ma come, Mosca non
e' una citta' bellissima? Certamente, ma a Limoges capirei la lingua.
Insomma, ciascuno si identifica con la cultura in cui e' cresciuto e i casi
di trapianto radicale, che pure ci sono, sono una minoranza. Lawrence
d'Arabia si vestiva addirittura come gli arabi, ma alla fine e' tornato a
casa propria.
*
Passiamo ora al confronto di civilta', perche' e' questo il punto.
L'Occidente, sia pure e spesso per ragioni di espansione economica, e' stato
curioso delle altre civilta'. Molte volte le ha liquidate con disprezzo: i
greci chiamavano barbari, e cioe' balbuzienti, coloro che non parlavano la
loro lingua e dunque era come se non parlassero affatto. Ma dei greci piu'
maturi come gli stoici (forse perche' alcuni di loro erano di origine
fenicia) hanno ben presto avvertito che i barbari usavano parole diverse da
quelle greche, ma si riferivano agli stessi pensieri. Marco Polo ha cercato
di descrivere con grande rispetto usi e costumi cinesi, i grandi maestri
della teologia cristiana medievale cercavano di farsi tradurre i testi dei
filosofi, medici e astrologi arabi, gli uomini del Rinascimento hanno
persino esagerato nel loro tentativo di ricuperare perdute saggezze
orientali, dai Caldei agli Egizi, Montesquieu ha cercato di capire come un
persiano potesse vedere i francesi, e antropologi moderni hanno condotto i
loro primi studi sui rapporti dei salesiani, che andavano si' presso i
Bororo per convertirli, se possibile, ma anche per capire quale fosse il
loro modo di pensare e di vivere forse memori del fatto che missionari di
alcuni secoli prima non erano riusciti a capire le civilta' amerindie e ne
avevano incoraggiato lo sterminio.
Ho nominato gli antropologi. Non dico cosa nuova se ricordo che, dalla meta'
del XIX secolo in avanti, l'antropologia culturale si e' sviluppata come
tentativo di sanare il rimorso dell'Occidente nei confronti degli Altri, e
specialmente di quegli Altri che erano definiti selvaggi, societa' senza
storia, popoli primitivi.
L'Occidente coi selvaggi non era stato tenero: li aveva "scoperti", aveva
tentato di evangelizzarli, li aveva sfruttati, molti ne aveva ridotto in
schiavitu', tra l'altro con l'aiuto degli arabi, perche' le navi degli
schiavi venivano scaricate a New Orleans da raffinati gentiluomini di
origine francese, ma stivate sulle coste africane da trafficanti musulmani.
L'antropologia culturale (che poteva prosperare grazie all'espansione
coloniale) cercava di riparare ai peccati del colonialismo mostrando che
quelle culture "altre" erano appunto delle culture, con le loro credenze, i
loro riti, le loro abitudini, ragionevolissime del contesto in cui si erano
sviluppate, e assolutamente organiche, vale a dire che si reggevano su una
loro logica interna. Il compito dell'antropologo culturale era di dimostrare
che esistevano delle logiche diverse da quelle occidentali, e che andavano
prese sul serio, non disprezzate e represse.
Questo non voleva dire che gli antropologi, una volta spiegata la logica
degli Altri, decidessero di vivere come loro; anzi, tranne pochi casi,
finito il loro pluriennale lavoro oltremare se ne tornavano a consumare una
serena vecchiaia nel Devonshire o in Piccardia. Pero' leggendo i loro libri
qualcuno potrebbe pensare che l'antropologia culturale sostenga una
posizione relativistica, e affermi che una cultura vale l'altra. Non mi pare
sia cosi'. Al massimo l'antropologo ci diceva che, sino a che gli Altri se
ne stavano a casa propria, bisognava rispettare il loro modo di vivere.
*
La vera lezione che si deve trarre dall'antropologia culturale e' piuttosto
che, per dire se una cultura e' superiore a un'altra, bisogna fissare dei
parametri. Un conto e' dire che cosa sia una cultura e un conto dire in base
a quali parametri la giudichiamo.
Una cultura puo' essere descritta in modo passabilmente oggettivo: queste
persone si comportano cosi', credono negli spiriti o in un'unica divinita'
che pervade di se' tutta la natura, si uniscono in clan parentali secondo
queste regole, ritengono che sia bello trafiggersi il naso con degli anelli
(potrebbe essere una descrizione della cultura giovanile in Occidente),
ritengono impura la carne di maiale, si circoncidono, allevano i cani per
metterli in pentola nei di' festivi o, come ancor dicono gli americani dei
francesi, mangiano le rane.
L'antropologo ovviamente sa che l'obiettivita' viene sempre messa in crisi
da tanti fattori. L'anno scorso sono stato nei paesi Dogon e ho chiesto a un
ragazzino se fosse musulmano. Lui mi ha risposto, in francese, "no, sono
animista". Ora, credetemi, un animista non si definisce animista se non ha
almeno preso un diploma alla Ecole des Hautes Etudes di Parigi, e quindi
quel bambino parlava della propria cultura cosi' come gliela avevano
definita gli antropologi. Gli antropologi africani mi raccontavano che
quando arriva un antropologo europeo i Dogon, ormai scafatissimi, gli
raccontano quello che aveva scritto tanti anni fa un antropologo, Griaule
(al quale pero', cosi' almeno asserivano gli amici africani colti, gli
informatori indigeni avevano raccontato cose abbastanza slegate tra loro che
poi lui aveva riunito in un sistema affascinante ma di dubbia autenticita').
Tuttavia, fatta la tara di tutti i malintesi possibili di una cultura
"altra" si puo' avere una descrizione abbastanza "neutra". I parametri di
giudizio sono un'altra cosa, dipendono dalle nostre radici, dalle nostre
preferenze, dalle nostre abitudini, dalle nostre passioni, da un nostro
sistema di valori.
Facciamo un esempio. Riteniamo noi che il prolungare la vita media da
quaranta a ottant'anni sia un valore? Io personalmente lo credo, pero' molti
mistici potrebbero dirmi che, tra un crapulone che campa ottant'anni e san
Luigi Gonzaga che ne campa ventitre', e' il secondo che ha avuto una vita
piu' piena. Ma ammettiamo che l'allungamento della vita sia un valore: se e'
cosi' la medicina e la scienza occidentale sono certamente superiori a molti
altri saperi e pratiche mediche.
Crediamo che lo sviluppo tecnologico, l'espansione dei commerci, la
rapidita' dei trasporti siano un valore? Moltissimi la pensano cosi', e
hanno diritto di giudicare superiore la nostra civilta' tecnologica. Ma,
proprio all'interno del mondo occidentale, ci sono coloro che reputano
valore primario una vita in armonia con un ambiente incorrotto, e dunque
sono pronti a rinunciare ad aerei, automobili, frigoriferi, per intrecciare
canestri e muoversi a piedi di villaggio in villaggio, pur di non avere il
buco dell'ozono. E dunque vedete che, per definire una cultura migliore
dell'altra, non basta descriverla (come fa l'antropologo) ma occorre il
richiamo a un sistema di valori a cui riteniamo di non potere rinunciare.
Solo a questo punto possiamo dire che la nostra cultura, per noi, e'
migliore.
*
In questi giorni si e' assistito a varie difese di culture diverse in base a
parametri discutibili. Proprio l'altro giorno leggevo una lettera a un
grande quotidiano dove si chiedeva sarcasticamente come mai i premi Nobel
vanno solo agli occidentali e non agli orientali.
A parte il fatto che si trattava di un ignorante che non sapeva quanti premi
Nobel per la letteratura sono andati a persone di pelle nera e a grandi
scrittori islamici, a parte che il premio Nobel per la fisica del 1979 e'
andato a un pakistano che si chiama Abdus Salam, affermare che
riconoscimenti per la scienza vanno naturalmente a chi lavora nell'ambito
della scienza occidentale e' scoprire l'acqua calda, perche' nessuno ha mai
messo in dubbio che la scienza e la tecnologia occidentali siano oggi
all'avanguardia.
All'avanguardia di cosa? Della scienza e della tecnologia. Quanto e'
assoluto il parametro dello sviluppo tecnologico? Il Pakistan ha la bomba
atomica e l'Italia no. Dunque noi siamo una civilta' inferiore? Meglio
vivere a Islamabad che ad Arcore?
I sostenitori del dialogo ci richiamano al rispetto del mondo islamico
ricordando che ha dato uomini come Avicenna (che tra l'altro e' nato a
Buchara, non molto lontano dall'Afghanistan) e Averroe' - ed e' un peccato
che si citino sempre questi due, come fossero gli unici, e non si parli di
Al Kindi, Avenpace, Avicebron, Ibn Tufayl, o di quel grande storico del XIV
secolo che fu Ibn Khaldun, che l'Occidente considera addirittura
l'iniziatore delle scienze sociali. Ci ricordano che gli arabi di Spagna
coltivavano geografia, astronomia, matematica o medicina quando nel mondo
cristiano si era molto piu' indietro. Tutte cose verissime, ma questi non
sono argomenti, perche' a ragionare cosi' si dovrebbe dire che Vinci, nobile
comune toscano, e' superiore a New York, perche' a Vinci nasceva Leonardo
quando a Manhattan quattro indiani stavano seduti per terra ad aspettare per
piu' di centocinquant'anni che arrivassero gli olandesi a comperargli
l'intera penisola per ventiquattro dollari. E invece no, senza offesa per
nessuno, oggi il centro del mondo e' New York e non Vinci.
Le cose cambiano. Non serve ricordare che gli arabi di Spagna erano assai
tolleranti con cristiani ed ebrei mentre da noi si assalivano i ghetti, o
che il Saladino, quando ha riconquistato Gerusalemme, e' stato piu'
misericordioso coi cristiani di quanto non fossero stati i cristiani con i
saraceni quando Gerusalemme l'avevano conquistata.
Tutte cose esatte, ma nel mondo islamico ci sono oggi regimi fondamentalisti
e teocratici che i cristiani non li tollerano e Bin Laden non e' stato
misericordioso con New York. La Battriana e' stato un incrocio di grandi
civilta', ma oggi i talebani prendono a cannonate i Buddha. Di converso, i
francesi hanno fatto il massacro della Notte di San Bartolomeo, ma questo
non autorizza nessuno a dire che oggi siano dei barbari.
Non andiamo a scomodare la storia perche' e' un'arma a doppio taglio. I
turchi impalavano (ed e' male) ma i bizantini ortodossi cavavano gli occhi
ai parenti pericolosi e i cattolici bruciavano Giordano Bruno; i pirati
saraceni ne facevano di cotte e di crude, ma i corsari di sua maesta'
britannica, con tanto di patente, mettevano a ferro e fuoco le colonie
spagnole nei Caraibi; Bin Laden e Saddam Hussein sono nemici feroci della
civilta' occidentale, ma all'interno della civilta' occidentale abbiamo
avuto signori che si chiamavano Hitler o Stalin (Stalin era cosi' cattivo
che e' sempre stato definito come orientale, anche se aveva studiato in
seminario e letto Marx).
No, il problema dei parametri non si pone in chiave storica, bensi' in
chiave contemporanea. Ora, una delle cose lodevoli delle culture occidentali
(libere e pluralistiche, e questi sono i valori che noi riteniamo
irrinunciabili) e' che si sono accorte da gran tempo che la stessa persona
puo' essere portata a manovrare parametri diversi, e mutuamente
contraddittori, su questioni differenti. Per esempio si reputa un bene
l'allungamento della vita e un male l'inquinamento atmosferico, ma
avvertiamo benissimo che forse, per avere i grandi laboratori in cui si
studia l'allungamento della vita, occorre avere un sistema di comunicazioni
e rifornimento energetico che poi, dal canto proprio, produce
l'inquinamento. La cultura occidentale ha elaborato la capacita' di mettere
liberamente a nudo le sue proprie contraddizioni.
Magari non le risolve, ma sa che ci sono, e lo dice. In fin dei conti tutto
il dibattito su globale-si' e globale-no sta qui, tranne che per le tute
nere spaccatutto: come e' sopportabile una quota di globalizzazione positiva
evitando i rischi e le ingiustizie della globalizzazione perversa, come si
puo' allungare la vita anche ai milioni di africani che muoiono di Aids (e
nel contempo allungare anche la nostra) senza accettare una economia
planetaria che fa morire di fame gli ammalati di Aids e fa ingoiare cibi
inquinati a noi?
Ma proprio questa critica dei parametri, che l'Occidente persegue e
incoraggia, ci fa capire come la questione dei parametri sia delicata. E'
giusto e civile proteggere il segreto bancario? Moltissimi ritengono di si'.
Ma se questa segretezza permette ai terroristi di tenere i loro soldi nella
City di Londra? Allora, la difesa della cosiddetta privacy e' un valore
positivo o dubbio? Noi mettiamo continuamente in discussione i nostri
parametri. Il mondo occidentale lo fa a tal punto che consente ai propri
cittadini di rifiutare come positivo il parametro dello sviluppo tecnologico
e di diventare buddisti o di andare a vivere in comunita' dove non si usano
i pneumatici, neppure per i carretti a cavalli.
La scuola deve insegnare ad analizzare e discutere i parametri su cui si
reggono le nostre affermazioni passionali.
*
Il problema che l'antropologia culturale non ha risolto e' cosa si fa quando
il membro di una cultura, i cui principi abbiamo magari imparato a
rispettare, viene a vivere in casa nostra. In realta' la maggior parte delle
reazioni razziste in Occidente non e' dovuta al fatto che degli animisti
vivano nel Mali (basta che se ne stiano a casa propria, dice infatti la
Lega), ma che gli animisti vengano a vivere da noi. E passi per gli
animisti, o per chi vuole pregare in direzione della Mecca, ma se vogliono
portare il chador, se vogliono infibulare le loro ragazze, se (come accade
per certe sette occidentali) rifiutano le trasfusioni di sangue ai loro
bambini ammalati, se l'ultimo mangiatore d'uomini della Nuova Guinea
(ammesso che ci sia ancora) vuole emigrare da noi e farsi arrosto un
giovanotto almeno ogni domenica?
Sul mangiatore d'uomini siamo tutti d'accordo, lo si mette in galera (ma
specialmente perche' non sono un miliardo), sulle ragazze che vanno a scuola
col chador non vedo perche' fare tragedie se a loro piace cosi', sulla
infibulazione il dibattito e' invece aperto (c'e' persino chi e' stato cosi'
tollerante da suggerire di farle gestire dalle unita' sanitarie locali,
cosi' l'igiene e' salva), ma cosa facciamo per esempio con la richiesta che
le donne musulmane possano essere fotografate sul passaporto col velo?
Abbiamo delle leggi, uguali per tutti, che stabiliscono dei criteri di
identificazione dei cittadini, e non credo si possa deflettervi. Io quando
ho visitato una moschea mi sono tolto le scarpe, perche' rispettavo le leggi
e le usanze del paese ospite. Come la mettiamo con la foto velata?
Credo che in questi casi si possa negoziare. In fondo le foto dei passaporti
sono sempre infedeli e servono a quel che servono, si studino delle tessere
magnetiche che reagiscono all'impronta del pollice, chi vuole questo
trattamento privilegiato ne paghi l'eventuale sovrapprezzo. E se poi queste
donne frequenteranno le nostre scuole potrebbero anche venire a conoscenza
di diritti che non credevano di avere, cosi' come molti occidentali sono
andati alle scuole coraniche e hanno deciso liberamente di farsi musulmani.
Riflettere sui nostri parametri significa anche decidere che siamo pronti a
tollerare tutto, ma che certe cose sono per noi intollerabili.
*
L'Occidente ha dedicato fondi ed energie a studiare usi e costumi degli
Altri, ma nessuno ha mai veramente consentito agli Altri di studiare usi e
costumi dell'Occidente, se non nelle scuole tenute oltremare dai bianchi, o
consentendo agli Altri piu' ricchi di andare a studiare a Oxford o a
Parigi - e poi si vede cosa succede, studiano in Occidente e poi tornano a
casa a organizzare movimenti fondamentalisti, perche' si sentono legati ai
loro compatrioti che quegli studi non li possono fare (la storia e' peraltro
vecchia, e per l'indipendenza dell'India si sono battuti intellettuali che
avevano studiato con gli inglesi).
Antichi viaggiatori arabi e cinesi avevano studiato qualcosa dei paesi dove
tramonta il sole, ma sono cose di cui sappiamo abbastanza poco. Quanti
antropologi africani o cinesi sono venuti a studiare l'Occidente per
raccontarlo non solo ai propri concittadini, ma anche a noi, dico raccontare
a noi come loro ci vedono? Esiste da alcuni anni una organizzazione
internazionale chiamata Transcultura che si batte per una "antropologia
alternativa". Ha condotto studiosi africani che non erano mai stati in
Occidente a descrivere la provincia francese e la societa' bolognese, e vi
assicuro che quando noi europei abbiamo letto che due delle osservazioni
piu' stupite riguardavano il fatto che gli europei portano a passeggio i
loro cani e che in riva al mare si mettono nudi - beh, dico, lo sguardo
reciproco ha incominciato a funzionare da ambo le parti, e ne sono nate
discussioni interessanti.
In questo momento, in vista di un convegno finale che si svolgera' a
Bruxelles a novembre, tre cinesi, un filosofo, un antropologo e un artista,
stanno terminando il loro viaggio di Marco Polo alla rovescia, salvo che
anziche' limitarsi a scrivere il loro Milione registrano e filmano. Alla
fine non so cosa le loro osservazioni potranno spiegare ai cinesi, ma so che
cosa potranno spiegare anche a noi. Immaginate che fondamentalisti musulmani
vengano invitati a condurre studi sul fondamentalismo cristiano (questa
volta non c'entrano i cattolici, sono protestanti americani, piu' fanatici
di un ayatollah, che cercano di espungere dalle scuole ogni riferimento a
Darwin). Bene, io credo che lo studio antropologico del fondamentalismo
altrui possa servire a capire meglio la natura del proprio. Vengano a
studiare il nostro concetto di guerra santa (potrei consigliare loro molti
scritti interessanti, anche recenti) e forse vedrebbero con occhio piu'
critico l'idea di guerra santa in casa loro. In fondo noi occidentali
abbiamo riflettuto sui limiti del nostro modo di pensare proprio descrivendo
la pensee sauvage.
*
Uno dei valori di cui la civilt? occidentale parla molto e' l'accettazione
delle differenze. Teoricamente siamo tutti d'accordo, e' politically correct
dire in pubblico di qualcuno che e' gay, ma poi a casa si dice ridacchiando
che e' un frocio. Come si fa a insegnare l'accettazione della differenza?
L'Academie Universelle des Cultures ha messo in linea un sito dove si stanno
elaborando materiali su temi diversi (colore, religione, usi e costumi e
cosi' via) per gli educatori di qualsiasi paese che vogliano insegnare ai
loro scolari come si accettano coloro che sono diversi da loro. Anzitutto si
e' deciso di non dire bugie ai bambini, affermando che tutti siamo uguali. I
bambini si accorgono benissimo che alcuni vicini di casa o compagni di
scuola non sono uguali a loro, hanno una pelle di colore diverso, gli occhi
tagliati a mandorla, i capelli piu' ricci o piu' lisci, mangiano cose
strane, non fanno la prima comunione. Ne' basta dirgli che sono tutti figli
di Dio, perche' anche gli animali sono figli di Dio, eppure i ragazzi non
hanno mai visto una capra in cattedra a insegnargli l'ortografia. Dunque
bisogna dire ai bambini che gli esseri umani sono molto diversi tra loro, e
spiegare bene in che cosa sono diversi, per poi mostrare che queste
diversita' possono essere una fonte di ricchezza.
Il maestro di una citta' italiana dovrebbe aiutare i suoi bambini italiani a
capire perche' altri ragazzi pregano una divinita' diversa, o suonano una
musica che non sembra il rock. Naturalmente lo stesso deve fare un educatore
cinese con bambini cinesi che vivono accanto a una comunita' cristiana. Il
passo successivo sara' mostrare che c'e' qualcosa in comune tra la nostra e
la loro musica, e che anche il loro Dio raccomanda alcune cose buone.
Obiezione possibile: noi lo faremo a Firenze, ma poi lo faranno anche a
Kabul? Bene, questa obiezione e' quanto di piu' lontano possa esserci dai
valori della civilta' occidentale. Noi siamo una civilta' pluralistica
perche' consentiamo che a casa nostra vengano erette delle moschee, e non
possiamo rinunciarvi solo perche' a Kabul mettono in prigione i
propagandisti cristiani. Se lo facessimo diventeremmo talebani anche noi.
Il parametro della tolleranza della diversita' e' certamente uno dei piu'
forti e dei meno discutibili, e noi giudichiamo matura la nostra cultura
perche' sa tollerare la diversita', e barbari quegli stessi appartenenti
alla nostra cultura che non la tollerano. Punto e basta. Altrimenti sarebbe
come se decidessimo che, se in una certa area del globo ci sono ancora
cannibali, noi andiamo a mangiarli cosi' imparano. Noi speriamo che, visto
che permettiamo le moschee a casa nostra, un giorno ci siano chiese
cristiane o non si bombardino i Buddha a casa loro. Questo se crediamo nella
bonta' dei nostri parametri.
*
Molta e' la confusione sotto il cielo. Di questi tempi avvengono cose molto
curiose. Pare che difesa dei valori dell'Occidente sia diventata una
bandiera della destra, mentre la sinistra e' come al solito filoislamica.
Ora, a parte il fatto che c'e' una destra e c'e' un cattolicesimo integrista
decisamente terzomondista, filoarabo e via dicendo, non si tiene conto di un
fenomeno storico che sta sotto gli occhi di tutti. La difesa dei valori
della scienza, dello sviluppo tecnologico e della cultura occidentale
moderna in genere e' stata sempre una caratteristica delle ali laiche e
progressiste. Non solo, ma a una ideologia del progresso tecnologico e
scientifico si sono richiamati tutti i regimi comunisti. Il Manifesto del
1848 si apre con un elogio spassionato dell'espansione borghese; Marx non
dice che bisogna invertire la rotta e passare al modo di produzione
asiatico, dice solo che di questi valori e di questi successi si debbono
impadronire i proletari.
Di converso e' sempre stato il pensiero reazionario (nel senso piu' nobile
del termine), almeno a cominciare col rifiuto della rivoluzione francese,
che si e' opposto all'ideologia laica del progresso affermando che si deve
tornare ai valori della Tradizione.
Solo alcuni gruppi neonazisti si rifanno a una idea mitica dell'Occidente e
sarebbero pronti a sgozzare tutti i musulmani a Stonehenge. I piu' seri tra
i pensatori della Tradizione (tra cui anche molti che votano Alleanza
Nazionale) si sono sempre rivolti, oltre che a riti e miti dei popoli
primitivi, o alla lezione buddista, proprio all'Islam, come fonte ancora
attuale di spiritualita' alternativa. Sono sempre stati li' a ricordarci che
noi non siamo superiori, bensi' inariditi dall'ideologia del progresso, e
che la verita' dobbiamo andarla a cercare tra i mistici Sufi o tra i
dervisci danzanti. E queste cose non le dico io, le hanno sempre dette loro.
Basta andare in una libreria e cercare negli scaffali giusti.
In questo senso a destra si sta aprendo ora una curiosa spaccatura. Ma forse
e' solo segno che nei momenti di grande smarrimento (e certamente viviamo
uno di questi) nessuno sa piu' da che parte sta.
Pero' e' proprio nei momenti di smarrimento che bisogna sapere usare l'arma
dell'analisi e della critica, delle nostre superstizioni come di quelle
altrui. Spero che di queste cose si discuta nelle scuole, e non solo nelle
conferenze stampa.

4. INCONTRI. UNA RIFLESSIONE CON ALI RASHID A CELLENO
Sabato 20 ottobre si e' svolto presso il Centro comunitario di Celleno (VT)
un incontro di riflessione con Ali Rashid, uno dei piu' prestigiosi
rappresentanti del popolo palestinese in Italia, sul tema "Tra dialogo e
resistenza: il dramma dei palestinesi alla luce dei nuovi eventi".
All'incontro hanno preso parte numerosissime persone. Nella riflessione
hanno interloquito con Ali Rashid, tra gli altri, Luciano Comini, che ha
presentato e presieduto l'incontro; Carlo Conticchio, sindaco di Celleno;
Peppe Sini, reponsabile del Centro di ricerca per la pace di Viterbo.

5. RIFLESSIONE. DIANA DIMONTE: CACAO EQUOSOLIDALE
[Diana Dimonte e' impegnata nell'associazione Mani Unite per il commercio
equo e solidale, e sul commercio equo e solidale cura questa rubrica
settimanale sul nostro notiziario. Per contatti: diana.dimonte@tin.it]
Eccoci ancora qui a parlare di Commercio Equo e Solidale.
Oggi vorrei proporre come spunto il testo di un programma televisivo,
"Report", andato in onda giovedi 4 ottobre, a cura di Chiara Baldassari.
Ovviamente in televisione le immagini potevano essere piu' esplicative,
mentre qui abbiamo solo il testo.
*
- Un contadino: Questo e' il mio campo e questo e' il mio cacao, il piu'
buono.
- Chiara Baldassari: Da un po' di tempo a questa parte sugli scaffali della
grande distribuzione alimentare troviamo prodotti contraddistinti da un
particolare marchio che ci garantisce, almeno questo e' quello che leggiamo
sull'etichetta, che il prezzo riconosciuto al produttore gli consente di
promuovere migliori condizioni di vita e opportunita' per uno sviluppo
autonomo. Questi prodotti noi li troviamo nei supermercati sotto
l'indicazione "equosolidale". Perche' avete deciso di iniziare a venderli?
- Giuseppe Brambilla (direttore supermercati GS): GS e anche il gruppo
Carrefour, di cui facciamo parte, attua una politica di offrire al
consumatore quante piu' alternative possibili.
- Chiara Baldassari: Ma di queste alternative possibili i consumatori ne
sanno qualcosa? Cosa e' un prodotto "equosolidale"? Lei lo sa?
- Una signora che fa la spesa: Sono quei prodotti che vengono direttamente
dai paesi d'origine e vengono venduti a minor prezzo per aiutare le
popolazioni del terzo mondo.
- Chiara Baldassari: La signora dice "minor prezzo", non e' proprio cosi':
basta andare a vedere. Barretta Lindt, la piu' costosa: 2380 lire; barretta
Novi 1450, barretta Milka 1600. La nostra barretta equosolidale costa 1790
lire, per cui 500 lire meno della barretta piu' griffata e 300 lire in piu'
rispetto alle altre.E' leggermente piu' cara rispetto alle altre barrette?
- Giuseppe Brambilla (direttore supermercati GS): Sicuramente non nella
fascia piu' economica dei prodotti, ma credo che ci siano dei contenuti
importanti in questi prodotti che ce lo giustificano.
- Chiara Baldassari: Ritorniamo allora sui contenuti importanti.
- Un signore che fa la spesa: Equosolidale... equo vuol dire che e' uguale,
e solidale che e' amico di qualcuno, non e' cosi'?
- Chiara Baldassari: Non e' proprio cosi', ma andiamo avanti. In percentuale
quanto cacao equosolidale vendete, per esempio?
- Giuseppe Brambilla (direttore supermercati GS): La quota raggiunta dal
cacao e' intorno al 2 per cento dei prodotti che noi vendiamo.
- Chiara Baldassari: Solo il 2 per cento! Forse e' per questo che tra i
consumatori regna ancora tanta confusione...
- Ragazze che fanno la spesa: Prodotti equosolidali? Sono quei prodotti il
cui ricavato va ai paesi del terzo mondo senza passare dalle multinazionali.
- Chiara Baldassari: Le multinazionali non c'entrano, e' vero, ma non ci
siamo ancora. A pochi chilometri da Pisa c'e' il Centro Nuovo Modello di
Sviluppo e dove se non meglio di li' ci sanno spiegare la differenza tra un
prodotto equosolidale e uno tradizionale?
- Francesco Gesualdi (Centro Nuovo Modello di Sviluppo): Per quanto riguarda
i produttori la differenza sostanziale e' nel prezzo; nel caso del cacao
venduto nel circuito del commercio tradizionale l'obiettivo dell'acquirente,
del commerciante, della multinazionale e' quello di ottenere un prezzo piu'
basso possibile, per avere poi un profitto piu' alto possibile. Nel caso del
cacao venduto nel circuito del commercio equo, l'obiettivo e' quello di
garantire ai piccoli produttori la possibilita' di vivere in maniera
dignitosa e di riuscire anche a garantire alla comunita' locale di poter
avviare tutta una serie di progetti che permettono di superare una serie di
situazioni tragiche che sono state create attraverso il colonialismo.
- Chiara Baldassari: La barretta che ho comprato e' questa, m'informo per
capire da dove viene il cacao e scopro che arriva dal Ghana. A questo punto
non resta che partire per andare a vedere se chi lo ha raccolto beneficia
dei vantaggi descritti sulla nostra etichetta. Kumasi, Ghana, citta' di piu'
di 1.000.000 di abitanti a circa 200 Km a nord dalla capitale Accra e dal
mare. Siamo di fronte all'ufficio di una cooperativa di contadini che
raccolgono il loro cacao e poi lo vendono. Quando a comprarlo e'
un'organizzazione equosolidale il guadagno per i contadini e' maggiore.
Quest'anno su 32.000 tonnellate vendute, 400 sono andate al commercio equo.
Tradotto in soldi cosa vuol dire? Lo chiediamo al direttore generale.
- Kwabena Ohemeng (direttore generale): Se calcola che quest'anno abbiamo
venduto 400 tonnellate al commercio equo, se fa due conti, vede che abbiamo
guadagnato 299.500 dollari in piu' rispetto allo stesso peso venduto ad una
multinazionale.
- Chiara Baldassari: Vale a dire 630 milioni di lire circa. Questi soldi
costituiscono un fondo che per il 75% va a finanziare progetti equi e il 25%
finisce nelle tasche dei contadini. Ma in che modo?
- Kwabena Ohemeng (direttore generale): I soldi del commercio equo vengono
redistribuiti tra i contadini per sacco di cacao venduto. Per ogni sacco
venduto quest'anno i contadini hanno guadagnato 400 lire in piu'.
- Chiara Baldassari: Sara' vero? La verifica la faccio alla banca dei
contadini soci della cooperativa.
- Un contadino davanti alla banca: Si', e' vero, per ogni sacco venduto noi
guadagnamo 80.000 lire piu' 400 lire del commercio equo".
- Chiara Baldassari: Non e' un po' pochino solo 400 lire per sacco?
- Contadino davanti alla banca: Qualcuno potrebbe avere 100 sacchi, o 50
sacchi, cosi se calcoli 400 lire per 100 sacchi per esempio, sono
abbastanza.
- Chiara Baldassari: E il resto dei soldi dove sono andati a finire?
Quest'anno la maggior parte dei soldi sono serviti per costruire le pompe
dell'acqua. Senza l'intervento di nessuna organizzazione non governativa e
senza l'aiuto di nessun missionario. Purtroppo su 667 villaggi di piccoli
produttori i soldi sono bastati per 60, Fenaso e' uno di questi villaggi.
- Un contadino del villaggio: Prima dovevamo percorrere piu' di un
chilometro e mezzo a piedi per trovare l'acqua potabile, adesso ce l'abbiamo
e la pompa e' qui, fuori di casa, e l'abbiamo costruita noi con i nostri
soldi.
- Una donna del villaggio: Voi non potete avere idea della felicita' che
puo' dare una pompa dell'acqua; se riuscissimo a risolvere anche il problema
della scuola saremmo davvero a posto.
- Chiara Baldassari: cioe', cosa vuol dire? Che non ci sono insegnanti? Che
i bambini non vanno a scuola? Che la scuola costa troppo?
- Rita Damoah (Center of development of people): I contadini non possono
permettersi di mandare i loro figli a scuola, alcuni non hanno i soldi per
comprare neanche le uniformi. Le uniformi costano dalle tre alle cinquemila
lire, e qualcuno addirittura non e' in grado di comprare neanche quelle.
- Chiara Baldassari: Qualcuno non e' in grado di comprarle e sicuramente tra
questi ci saranno anche i soci della nostra cooperativa, ma loro a
differenza di tutti gli altri, in virtu' del loro status di soci, possono
chiedere un prestito alla loro banca senza pagare tassi da usura.
- Un contadino del villaggio: Capisci? Abbiamo fondato una banca e cosi'
anche il piu' povero puo' chiedere un prestito a tassi bassissimi. Per
pagare le tasse scolastiche, per esempio.
- Chiara Baldassari: cinquemila lire all'anno piu' l'uniforme per mandare i
figli a quelle che possono essere le nostre elementari. Per mandare i figli
alle scuole medie si puo' arrivare a pagare dalle 500 alle 700 mila lire
l'anno. Facciamo allora due conti in tasca ai contadini.Quanto cacao avete
venduto lo scorso anno?
- Contadini davanti alla banca: Io lo scorso anno ho prodotto 65 sacchi...
io l'ultimo anno 45... 65 sacchi... io ho prodotto 100 sacchi.
- Chiara Baldassari: Stando ai conti della cooperativa, per ogni quattro
produttori come questi ne esistono altri quindici che non superano i cinque
sacchi venduti all'anno, con un guadagno intorno alle 400 mila lire. Per cui
se le elementari, con grossi sforzi, se le possono permettere tutti, le
medie rimangono un lusso per pochi. E per il maestro di un villaggio i
problemi non finiscono qui.
- Un maestro in classe: Nel periodo della raccolta del cacao molti bambini
vengono portati dai genitori a lavorare nei campi, e cosi' non possono
venire a scuola... e tu arrivi e ti ritrovi la classe vuota.
- Chiara Baldassari: Ecco la magagna! Bambini che lavorano nelle
piantagioni. Ma allora non e' vero che il nostro cacao e' piu' buono degli
altri! La buona notizia vacilla pericolosamente. Ma non e' che, anche voi
della cooperativa, fate lavorare i bambini nei campi?
- Contadino davanti alla banca: No, e' proibito! Assolutamente proibito! Non
c'e' lavoro infantile.
- Chiara Baldassari: E' vietato! Allora andiamo a vedere. In queste
piantagioni raccolgono il cacao e di bambini al lavoro non ne abbiamo
trovati.
- Kwaku Owusu-Yeboah (giornalista della tv pubblica ghanese): La cooperativa
ha affermato forte e chiaro: noi coltiveremo, produrremo il cacao, ma questo
non significa che faremo i nostri affari a spese dell'educazione dei nostri
figli. Non li manderemo nei campi quando dovrebbero essere a scuola.
- Chiara Baldassari: In effetti all'ultima riunione plenaria dei contadini
della cooperativa la risoluzione di non avvalersi del lavoro dei bambini
nelle piantagioni e' stata votata all'unanimita'. Ecco un'altra sostanziale
differenza tra i contadini soci della cooperativa e gli altri. All'interno
della cooperativa le iniziative imprenditoriali vengono sostenute con un
piccolo contributo del fondo equosolidale. Le donne di un villaggio hanno
avviato una vera e propria impresa di produzione di sapone con gli scarti
del cacao e poi lo vanno a vendere al mercato.
- Signora del villaggio: Quando aiutiamo i nostri mariti nei campi, non e'
che ci paghino. E cosi' quando non dobbiamo andare a raccogliere il cacao
possiamo fare il sapone e andarlo a vendere. E quei soldi sono nostri e
possiamo spenderli come ci pare.
- Chiara Baldassari: Per cui, ritornando alla nostra barretta di cacao le
garanzie che ci da' l'etichetta vengono rispettate. Anche se abbiamo visto
che il dato rilevante non sono certo ne' le 400 lire in piu' per sacco, ne'
il resto dei soldi che non sono sufficienti per migliorare sensibilmente la
vita di tutti. Il dato rilevante e' che per stare all'interno del circuito
del commercio equo i contadini si devono organizzare in strutture
democratiche, non sono solo braccia da sfruttare.
- George Grantadjepong (Dipartimento Cooperative del Ghana): La cooperativa
e' organizzata effettivamente secondo principi democratici. Le scelte
politiche provengono dalla base, non dall'alto al basso ma dal basso
all'alto... un uomo un voto.
- Chiara Baldassari: Un uomo un voto anche quando si deve eleggere l'uomo
della bilancia, cioe' colui che al momento della vendita pesa i sacchi di
cacao. Anthony e' per questo motivo che e' felice di essere membro della
cooperativa.
- Anthony: Io sono membro della cooperativa che pesa il mio sacco di cacao,
se la bilancia dice 60 chili, io so che sono proprio 60 chili. Tutti gli
altri contadini, invece, che non sono soci, vendono ad altre compagnie, e
queste cosa fanno? Pagano lo stesso, ma rubano sul peso. Puo' capitare che
con le bilance truccate arrivino a fregarti anche 10 chili.
- Chiara Baldassari: Come? i soci della cooperativa sono 35 mila, ma i
contadini che vendono il cacao in Ghana sono molti di piu'. Metti che si
rubino 10 Kg per sacco, e' un bell'affare! Sara' vero? In un capannone c'e'
una bilancia di una compagnia concorrente alla cooperativa. E l'unico modo
che ho per verificare se la bilancia pesa correttamente e' quello di
pesarmi. Dato che se c'e' una cosa di cui tutti siamo certi e' il nostro
peso. Salgo sulla bilancia e peso 52 chili. E' impossibile! Io di chili ne
peso 67. Per cui ogni contadino che viene a vendere il cacao qui ci rimette
15 chili per sacco. Altro villaggio, altra bilancia. Questa e' quella della
PBC, una compagnia che prima era del governo e adesso e' stata privatizzata.
Qui peso 64 chili, quindi questa bilancia ruba solo tre chili. Lei che qui
e' il responsabile, crede che le bilance siano tarate?
- John Sarfo (commissione marketing della PBC): Si', questa e' perfetta.
- Chiara Baldassari: E anche le bilance che avete negli altri villaggi
pesano correttamente?
- John Sarfo: Dipende da dove sono state settate, questo puo' portare anche
a un chilo di differenza.
- Chiara Baldassari: Altro che un chilo di differenza, caro John Sarfo... io
in un colpo solo ne avevo persi 15 di chili. Adesso non mi resta che
l'ultima verifica, la bilancia della cooperativa. Infatti qui sono 67 chili
belli tondi, come la bilancia di casa mia. Pessima conferma per me
nonostante la dieta africana, e buona notizia per i contadini che vendono il
cacao al commercio equo. Nessuno li frega sul peso, i bambini vanno a
scuola, hanno la loro banca che gli concede prestiti a tasso quasi zero e
con i loro guadagni, anche se piccoli, si sono costruiti la loro pompa per
l'acqua.

6. INIZIATIVE. PEPPE SINI: UNA LETTERA ALL'ANCI E ALL'UPI
Lettera aperta all'ANCI (Associazione Nazionale dei Comuni d'Italia) e
all'UPI (Unione delle Province d'Italia).
Oggetto: Che Comuni e Province dispongano la formazione e l'addestramento
dei corpi di polizia locali alla conoscenza e all'uso dei valori, delle
tecniche e delle strategie della nonviolenza.
Egregi signori rappresentanti dei Comuni e delle Province d'Italia,
come forse gia' saprete e' in corso una riflessione ed un'iniziativa
finalizzata a mettere a disposizione di tutti gli operatori della sicurezza
pubblica la conoscenza e l'uso dei valori, delle tecniche e delle strategie
della nonviolenza.
Per quanto concerne i cinque corpi di polizia nazionali (Arma dei
Carabinieri, Corpo Forestale dello Stato, Guardia di Finanza, Polizia di
Stato, Polizia Penitenziaria) e' in via di definizione una proposta di legge
affinche' la formazione alla conoscenza e all'uso della nonviolenza sia
inclusa ope legis nell'iter formativo (tale formazione peraltro potrebbe
essere inclusa gia' fin d'ora nell'ambito dei percorsi formativi ed
addestrativi attuali con mero provvedimento di tipo regolamentare, con
disposizione interna o con circolare ministeriale).
Per quanto concerne i corpi di polizia locali (ed in primo luogo i Corpi di
Polizia Municipale, vigli urbani e guardie campestri) con la presente siamo
a richiedervi un impegno ad hoc affinche' stimoliate tutti i Comuni e le
Province ad attuare questa specifica formazione dei loro dipendenti che
hanno funzioni e competenze afferenti all'ambito del rapporto coi cittadini,
della pubblica sicurezza, dell'applicazione delle leggi, dell'irrogazione
delle sanzioni.
In Italia esistono gia' numerose esperienze di formazione delle polizie
locali alla conoscenza e all'uso degli strumenti che la nonviolenza mette a
disposizione; basti pensare, un esempio per tutti, all'attivita' formativa
della Polzia Municipale del Comune di Milano che si avvale della
supervisione della professoressa Marianella Sclavi.
Peraltro molti Comuni e molte Province hanno gia' esperienza di attivita'
formative alla nonviolenza per quanto concerne gli obiettori di coscienza in
servizio civile.
Si tratta quindi di estendere nei singoli enti locali a livello nazionale
esperienze gia' in corso che hanno dato esiti positivi ed assai qualificati.
Cosicche' siamo a proporvi un vostro intervento presso gli enti locali che
rappresentate affinche':
a) Comuni e Province istituiscano attivita' di formazione e addestramento
delle polizie locali da essi dipendenti alla conoscenza e all'uso dei
valori, delle tecniche e delle strategie della nonviolenza;
b) Comuni e Province deliberino ordini del giorno a sostegno di un
provvedimento legislativo (o atto equipollente) che la formazione e
l'addestramento alla conoscenza e all'uso dei valori, delle tecniche e delle
strategie della nonviolenza preveda per tutto il personale delle forze
dell'ordine presenti e operanti in Italia.

7. MAESTRI. RENATO SOLMI RICORDA SERGIO SOLMI: LA RESISTENZA COME SCELTA DI
DIGNITA'
[Il minimo brano seguente abbiamo estratto dalla "Nota biografica e
testimonianza personale" di Renato Solmi sul padre Sergio, in Sergio Solmi,
Letteratura e societa' (Opere, volume V), Adelphi, Milano 2000, pp. 663-685;
il passo che citiamo e' alle pp. 666-667. Sergio Solmi e' stato un eroe
della Resistenza e uno dei piu' grandi poeti italiani del Novecento]
Io non ricordo di averlo mai sentito discutere, di argomenti politici in
senso stretto, col tono focoso e appassionato di chi tende a far prevalere
la propria linea su una linea concorrente e diversa, e si sforza di
persuadere i propri interlocutori ad aderire alla sua posizione piuttosto
che a un'altra, come e' naturale, invece, che si conduca, nel corso di una
conversazione sia pur poco animata, chiunque abbia fatto dell'impegno e
dell'azione politica la ragione principale e la passione dominante della
propria vita. Se egli e' stato indotto, a un certo punto, a impegnarsi fino
in fondo in un'attivita' di carattere clandestino, che avrebbe comportato
per lui gravissimi rischi, e, insomma, a battersi, non solo indirettamente e
in forma nascosta, ma anche nel senso letterale della parola, per la causa
della liberta' e della democrazia contro i suoi nemici e avversari di
sempre, e' stato soprattutto per una questione di dignita' e di onore, oltre
che di solidarieta' verso tutti coloro che avevano dedicato a questo scopo
tutta la loro vita, fino all'estremo del sacrificio della medesima, e non
certo perche' nutrisse, da parte sua, una qualsiasi ambizione di carattere
personale, e nemmeno perche' si proponesse di realizzare o di promuovere,
con la sua azione, una serie di obbiettivi particolari e ben determinati di
carattere propriamente politico.

8. LETTURE. MARIA CORDA COSTA (A CURA DI): FORMARE IL CITTADINO
Maria Corda Costa (a cura di), Formare il cittadino, La Nuova Italia,
Scandicci (Firenze) 1997, pp. 496, lire 44.000. Un laboratorio di educazione
civica per la scuola secondaria.

9. LETTURE. CAMILLE PISSARRO: MIO CARO LUCIEN
Camille Pissarro, Mio caro Lucien, Eleuthera, Milano 1998, pp. 144, lire
18.000. Una scelta dalle lettere del grande pittore impressionista al figlio
"su arte e anarchia", a cura di Eva Civolani e Antonietta Gabellini.

10. LETTURE. SALVATORE VECA: DELLA LEALTA' CIVILE
Salvatore Veca, Della lealta' civile, Feltrinelli, Milano 1998, pp. 218,
lire 32.000. "Diciotto saggi di filosofia civile scritti e riscritti fra il
1992 e il 1997" dal docente dell'Universita' di Pavia, uno dei piu' noti
studiosi di filosofia politica.

11. RILETTURE. IMMANUEL KANT: PACE PERPETUA
Immanuel Kant, Pace perpetua, Rusconi, Milano 1997, pp. 192, lire 16.000. Il
"progetto filosofico" kantiano Zum ewigen Frieden in un'ottima edizione con
testo a fronte; una lettura che tante volte la ripercorri, tante volte ti
suscita nuove dense riflessioni.

12. MATERIALI. PER STUDIARE LA GLOBALIZZAZIONE: DA ANDREJ TARKOVSKIJ AD ANA
TEBEROSKY

* ANDREJ TARKOVSKIJ
Profilo: straordinario regista cinematografico (1932-1986): "testimonianza
di fervore stilistico altissimo e di grande impegno morale" (Fernaldo Di
Giammatteo). Opere di Andrej Tarkovskij: Il rullo compressore e il violino
(1961); L'infanzia di Ivan (1962); Andrej Rublev (1969); Solaris (1972); Lo
specchio (1974); Stalker (1979); Nostalghia (1983); Sacrificio (1986).

* SILVANO TARTARINI
Profilo: pacifista nonviolento, impegnato nella Lega per il Disarmo
Unilaterale e nei Berretti Bianchi. Indirizzi utili: Associazione Berretti
Bianchi Onlus, via F. Carrara 209, 55042 Forte dei Marmi (LU), fax
0584/735682, tel. cell. 0335-7660623, e-mail: bebitartari@bcc.tin.it, sito:
www.peacelink.it/users/berrettibianchi

* JACQUES TATI
Profilo: regista ed attore francese (1908-1982). Opere di Jacques Tati:
Giorno di festa (1949); Le vacanze di Monsieur Hulot (1953); Mio zio (1958);
Playtime (1967); Monsieur Hulot nel caos del traffico (1974).

* BERTRAND TAVERNIER
Profilo: regista cinematografico francese (nato a Lione nel 1941).

* PAOLO E VITTORIO TAVIANI
Profilo: registi cinematografici italiani. Opere di Paolo e Vittorio
Taviani: Un uomo da bruciare (1962); I fuorilegge del matrimonio (1964); I
sovversivi (1967); Sotto il segno dello scorpione (1969); San Michele aveva
un gallo (1971); Allonsanfan (1974); Padre padrone (1977); La notte di San
Lorenzo (1982); Good Morning Babilonia (1987); Il sole anche di notte
(1990); Fiorile (1993); Le affinita' elettive (1996); Tu ridi (1998).

* ANA TEBEROSKY
Profilo: pedagogista, collaboratrice di Emilia Ferreiro.

13. MATERIALI. ALCUNE RIVISTE UTILI
* "A. rivista anarchica", mensile, tel. 022896627, fax 0228001271, e-mail:
arivista@tin.it, sito: www.anarca-bolo.ch/a-rivista (nel sito sono
disponibili tutti i fascicoli degli ultimi anni di questa ottima rivista di
riflessione)
* "Agape immaginaria", rivista del centro ecumenico di Agape, tel.
0121807514, e-mail: ufficio@agapecentroecumenico.org
* "Amici dei lebbrosi", mensile dell'AIFO, tel. 051433402, e-mail:
info@aifo.it, sito: www.aifo.it
* "Azione nonviolenta", mensile fondato da Aldo Capitini, tel. 0458009803,
e-mail: azionenonviolenta@sis.it, sito: www.nonviolenti.org (nel sito sono
disponibili tutti i fascicoli degli ultimi anni della rivista, voce
fondamentale del Movimento Nonviolento)
* "Carta", settimanale dei "cantieri sociali", tel. 0636005613, e-mail:
carta@carta.org, sito: www.carta.org
* "Cem mondialita'", rivista del Centro Educativo alla Mondialita', tel.
0303772780, e-mail: cemmondialita@saveriani.bs.it
* "CIR notizie", bollettino del Consiglio Italiano per i Rifugiati, tel.
0669200114, e-mail: cirstampa@cir-onlus.org, sito: www.cir-onlus.org
* "Cobas. giornale dei comitati di base della scuola", tel. 0670452452,
e-mail: mail@cobas-scuola.org, sito: www.cobas-scuola.org
* "Critica liberale", mensile edito dall'omonima Fondazione Critica
Liberale, tel. 066867981 (una rivista che vivamente raccomandiamo a tutti i
nostri lettori).
* "Fondazione", trimestrale della Fondazione Internazionale Lelio Basso per
il Diritto e la Liberazione dei Popoli, tel. 0668801468, e-mail:
filb@iol.it, www.grisnet.it/filb
* "Fuoriluogo", foglio mensile su droghe e diritti in supplemento al
quotidiano "Il manifesto", fax 0668719573, e-mail: lettera@fuoriluogo.it,
sito: www.fuoriluogo.it
* "Gaia", trimestrale di ecologia, nonviolenza, tecnologie appropriate, tel.
041935666, e-mail: info@ecoistituto.veneto.it
* "Gli argomenti umani", rivista mensile su sinistra e innovazione, tel.
0254123260, e-mail: redazione@gliargomentiumani.com, sito:
www.gliargomentiumani.com
* "Il foglio", mensile di alcuni cristiani torinesi, e-mail:
antonello.ronca@libero.it, sito: www.ilfoglio.org
* "La rivista del manifesto", mensile diretto da Lucio Magri, esce in
supplemento al quotidiano "Il manifesto", tel. 0668892517, e-mail:
larivista@ilmanifesto.it, sito: www.larivistadelmanifesto.it
* "L'emigrato", mensile di emigrazione e immigrazione, tel. 0523330074,
e-mail: riv.emigrato@altrimedia.it
* "Le monde diplomatique", l'edizione italiana esce in supplemento al
quotidiano "Il manifesto" all'incirca verso la meta' di ogni mese, tel.
0668719453, e-mail: lemonde@ilmanifesto.it, sito: www.monde-diplomatique.fr
(e' il piu' prestigioso periodico di analisi delle questioni
internazionali).
* "L'incontro", mensile diretto da Bruno Segre, tel. 0115212000, e-mail:
linc@marte.aerre.it
* "Mani Tese", mensile della ong Mani Tese, tel. 024075165, e-mail:
manitese@manitese.it, sito: www.manitese.it
* "Messaggero cappuccino", bimestrale d'informazione dei cappuccini
bolognesi-romagnoli, tel. 054240265, e-mail: fraticappuccini@imolanet.com,
sito: www.imolanet.com/fraticappuccini
* "Missione oggi", mensile dei missionari saveriani, tel. 0303772780,
e-mail: missioneoggi@saveriani.bs.it, sito: www.saveriani.bs.it
* "Nigrizia", mensile dell'Africa e del mondo nero promosso dai padri
comboniani, tel. 045596238, e-mail: redazione@nigrizia.it, sito:
www.nigrizia.it (una fonte d'informazioni indispensabile, se non ci fosse
bisognerebbe inventarla)
* "Qualevita", bimestrale di riflessione e informazione nonviolenta, tel.
086446448, e-mail: sudest@iol.it (una lettura fondamentale)
* "Quelli che solidarieta'", notiziario del circolo di Viterbo
dell'associazione Italia-Nicaragua, tel. 0761435930, e-mail:
giulio.vittorangeli@tin.it
* "Rocca", quindicinale della Pro Civitate Christiana di Assisi, tel.
075813641, e-mail: rocca@cittadella.org, sito: www.cittadella.org/rocca
* "Roma Caritas", mensile della Caritas di Roma, tel. 0669886417, e-mail:
feedback@caritasroma.it, sito: www.caritasroma.it
* "Segno", l'ottimo mensile palermitano diretto da Nino Fasullo, tel.
091228317, e-mail: rivistasegno@tin.it
* "Solidarieta'", periodico del movimento omonimo, tel. 0461983626, e-mail:
sol.tn@tin.it
* "U C T. Uomo citta' territorio", mensile dell'omonimo gruppo culturale
trentino, tel. 0461983496, e-mail: gruppo.uct@tin.it
* "Utopie concrete", notiziario dell'associazione Fiera delle Utopie
Concrete, tel. 0758554321, e-mail: segreteria@utopieconcrete.it, sito:
www.utopieconcrete.it

14. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

15. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org ;
per contatti, la e-mail è: azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
http://www.peacelink.it/users/mir . Per contatti: lucben@libero.it ;
angelaebeppe@libero.it ; mir@peacelink.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it . Per
contatti: info@peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 264 del 21 ottobre 2001