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Una guerra dell'Onu per occupare militarmente lo stato hitleriano dei talebani
Catena di Sanlibero 96
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riccardo orioles <ricc@libero.it>
tanto per abbaiare - n.96
15 ottobre 2001
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Luigi wrote:
<Hai scritto che "Alcune guerre, per quanto raggricci dirlo, sono da
fare. Questa del terrorismo, secondo me, e' una di quelle: perche' il
terrorismo e' pericolosissimo e perche' e' la punta di lancia di un
sistema di potere che parallelamente si muove sul piano finanziario".
Ma pensa alle imprese terroristiche compiute dagli americani: hanno
invaso il Vietnam a colpi di napalm e bombe al fosforo; hanno manovrato
in Indonesia nel 65 per spodestare Sukarno causando 1 milione di morti;
hanno sostenuto il golpe di Pinochet in Cile (1973) che provoco' 5000
morti e 20.000 esecuzioni di massa; hanno appoggiato il golpe in
Argentina (1976) che fece 15.000 morti e un numero imprecisato di
desaparecidos; gli squadroni della morte e le giunte militari manovrate
dalla Cia in Guatemala hanno procurato 150.000 morti; hanno foraggiato
i terroristi anticubani contro il legittimo governo di Castro; hanno
finanziato le sanguinarie milizie sudafricane al tempo dell'apartheid;
hanno tollerato il massacro a sangue freddo di 2000 profughi nei campi
di Sabra e Chatila (1982) e (1978 e 1982) i bombardamenti e l'invasione
israeliana in Libano (ventimila morti di cui l'80Àivili); hanno
invaso Grenada nell'83, e Panama poco dopo (2000 civili morti
bombardati); i raid Nato sulla Yugoslavia hanno causato la distruzione
di scuole e ospedali e l'uccisione di 3000 civili di cui 1000 bambini;
il massacro dei palestinesi e' realizzato quotidianamente con
finanziamenti e armi americane. E perche' non consideri tutte le
conseguenze provocate dall'Accordo Wto sulle Barriere Tecniche al
Commercio, o dalle politiche di lacrime e sangue del Fondo monetario
internazionale? Washington ha detto no alla ratifica della messa al
bando delle armi batteriologiche e ha ripreso la produzione di armi
biologiche, ha rifiutato di approvare la messa al bando degli
esperimenti nucleari, delle mine antiuomo e del traffico di armi
leggere, ha detto no alla ratifica del trattato di Kyoto sui gas serra,
ha negato le misure contro i paradisi fiscali e di riciclaggio di
denaro sporco e rifiutato trattati internazionali che limitavano in
qualche modo la corsa al riarmo.>
* * *
Di lettere cosi' ne sono arrivate parecchie. L'elenco di Luigi e'
sostanzialmente corretto. L'impero americano (come, a suo tempo, quello
russo) ha spesso adottato politiche che sono costate vite umane. Ha
fatto, in senso lato, "terrorismo" E allora come si fa a sostenere una
guerra "degli americani"?
Potrei rispondere che in effetti io non sostengo affatto la guerra
degli americani ma quella - se ci fosse - delle Nazioni Unite. E che la
guerra cosi' com'e' condotta non e' affatto una guerra ma un'inutile
"operazione di polizia", a fini propagandistici, contro vittime per lo
piu' innocenti; che sarebbe piu' utile prendere misure serie per il
controllo della finanza, dei poteri terroristici e mafiosi (fra cui
Laden) e cosi' via. Queste cose le ho scritte, e vorrei che Luigi le
rileggesse. A questo punto pero' il problema che la sua lettera pone e'
piu' complesso, e riguarda il nostro atteggiamento generale nei
confronti della guerra.
La guerra, nella nostra cultura, arriva essenzialmente col 1914: la
Grande Guerra. Prima d'allora, la guerra - con eccezioni - era una cosa
da specialisti, che non riguardava molto la nostra vita quotidiana:
generali, monarchi, ussari col colbacco. Non era una cosa "moderna".
Moderni erano la luce elettrica, il sindacato, la domenica fuoriporta,
le elezioni - tutti i tasselli civili, conquistati faticosamente a poco
a poco, che distinguono il modo di vivere "moderno" da quello "di
prima". Poi arrivo' il massacro, e la guerra fece irruzione in tutte,
senza eccezioni, le nostre piccole vite quotidiane. La morte per
violenza, la stampa censurata, l'irregimentazione: nel giro di cinque
anni, fra il 14 e il 19, queste cose divennero assolutamente "normali".
E quando la guerra fini', "normali" continuarono a rimanere.
In questo mondo inselvaggito, cominciarono ad aggirarsi strani animali.
Un disoccupato come milioni di altri, un pittore di cartoline con
l'hobby di fare discorsi, sali' al potere in uno dei grandi stati
d'Europa. Porto' con se' alcune delle nuove idee "normali": che milioni
di uomini, ad esempio, dovessero essere serenamente uccisi perche' "non
sono come noi". Non aveva grandi forze, all'inizio: ma gli fu dato il
tempo di crescere e di accumularle perche' tanto era l'orrore che nella
gente buona suscitava ormai la parola "guerra", che ognuno
istintivamente rifuggiva dall'idea di usare violenza a chiunque -
persino a Hitler. I giovani come Luigi - persone buone, civili, il sale
e il succo dell'Europa umana - scesero in piazza a manifestare contro
la guerra, contro qualsiasi guerra. Dovettero combatterla qualche anno
dopo. Bin Laden non e' Hitler. Ma fa del suo meglio per essero. E va
fermato.
Allora: e' vero, l'America ha ucciso molti esseri umani. Noi siamo
sempre stati dalla parte delle vittime, ed abbiamo anche ammesso - i
migliori di noi, con riluttanza - il diritto di queste vittime a
difendersi, anche con le armi. I vietnamiti facevano bene a sparare
contro gli americani. Mandela era nel giusto quando combatteva contro i
razzisti. I palestinesi hanno diritto a fare l'intifada. Ciascuna di
queste frasi comporta una guerra. Ciascuna di esse implica la
distruzione di vite umane. Eppure (noi di sinistra lo sappiamo) sono
frasi giuste.
Io penso che nella storia della sinistra le pagine piu' nobili siano
quelle scritte in una foresta della Bolivia, su una vecchia agenda
farmaceutica, da un asmatico medico sui quarant'anni: "Catturati altri
due soldaderos. Gli abbiamo fatto una predica, e poi li abbiamo
lasciati andare". Eppure, anche quella era guerra.
Noi non siamo mai stati contrari "alla guerra", noi compagni. Abbiamo
invece sempre saputo che la guerra e' una cosa seria e dura, non una
telenovela maschilista, che costa sempre moltissimo a tutti, che uccide
sempre al di dentro anche chi la fa; che non e' gloria, non e'
televisione, che va scelta con la piu' disperata attenzione su quando
farla e su come farla. Eppero', quand'e' stato il bisogno, l'abbiamo
fatta.
* * *
Adesso, e' il caso? Nelle forme attuali, no. Uccidere i disgraziati
(questo stanno facendo) e' evidentemente un delitto. Stringere il
fronte interno, censurare le tivvu', far passare ogni sorta di
mascalzonata (in Italia, approfittando della "guerra", fanno passare
leggi per salvare i mafiosi), questo non e' guerra contro il
terrorismo, e' politica e propaganda. Come potrei appoggiare una cosa
del genere? Ma noi non possiamo limitarci a denunciare questo. Dobbiamo
farci carico - noi sinistra noi compagni - dei problemi di tutti, ed
anche di quelli degli americani. Non di Bush o di Gates: degli
americani.
E la verita' e' questa, che degli esseri umani americani sono stati
bestialmente macellati (dicono quattromila, ma io credo molti di piu')
esattamente come i vietnamiti o i palestinesi. Noi abbiamo difeso i
vietnamiti e i palestinesi. *Quindi* ci tocca difendere anche gli
americani. Se non lo facessimo, non saremmo piu' degli amici degli
uomini, sinceramente preoccupati di ciascun individuo e della sua
sorte. Saremmo dei politicanti qualunque. Non avremmo il diritto di
dire "viva l'intifada".
Difendere gli americani significa usare al meglio che possiamo, a
beneficio loro (in questo caso) la ragione. Significa in primo luogo
metabolizzare il *loro* dolore, l'enormita' del massacro subito; non
rimuoverlo. Non l'abbiamo fatto con gli altri. Significa ammonire senza
equivoci sull'ingiustizia che essi commettono (bombardamenti compresi)
ma contemporaneamente suggerire con sincerita' i mezzi possibili
perche' sia fatta giustizia. Questi mezzi comprendono una guerra. In
primo luogo, la riforma finanziaria che metta sotto trasparenza e
controllo le multinazionali, la United Fruit come quella di Bin Laden;
in secondo luogo, la politica di collaborazione che rimetta in primo
piano l'Onu e dia giustizia a popoli oppressi come i palestinesi. In
terzo luogo, l'eliminazione dei regimi filoterroristi (questi si',
stati-banditi) come la monarchia saudita e la giunta militare
pakistana. In quarto luogo - se no tutto il resto sarebbe ipocrita - la
guerra. Una spedizione internazionale, sotto l'egida dell'Onu e al
comando di generali russi, norvegesi o indiani, non per bombardare a
casaccio degli innocenti ma per occupare militarmente lo stato
hitleriano dei talebani. Questo potrebbe significare un Vietnam, dal
punto di vista delle perdite e della lacerazione della comunita'
americana. Ma e' l'unica strada realistica. Tutte le altre sono una
rimozione del problema, con in piu' la prepotenza e il delitto di far
pagare Bin Laden a chi non ne ha colpa.
* * *
Io mi auguro, caro Luigi, che tu sia stato alla marcia della pace
contro i bombardamenti: e' la cosa piu' degna che un giovane civile e
buono come te possa aver fatto in questi momenti. Ma non sorridere,
pero': perche' subito dopo ti dico che, se anziche' di bombardamenti
domani si parlasse di spedizione dell'Onu, io mi aspetterei non solo
che tu l'accettassi e la sostenessi, ma addirittura che accettassi di
rischiare la vita per porla in atto.
Abbiamo avuto polemiche, in passato, con lettori (anzi, per lo piu'
lettrici) americani che ci accusavano di essere antiamericani. Questo
e' vero, siamo antiamericani: nel senso che consideriamo profondamente
sbagliate, e dannose per molti esseri umani, molte politiche americane.
Ma proprio per questo, nel momento in cui gli americani - gli uomini e
le donne americani - hanno bisogno di amici, noi lo siamo. Amici che
dicono la verita', non sudditi servili. Da questo punto di vista, siamo
i soli filoamericani che esistano in Italia: gli altri, quelli che
ascoltano lo Stars&Stripes con la mano sul cuore, son solo dei
mascalzoni che approfittano dell'occasione per pagare qualche debito ai
loro amici mafiosi.
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Effetti collaterali. Fra gli obiettivi di missili e bombardieri manca -
al momento in cui scrivo - proprio quello che ragionevolmente avrebbe
potuto essere considerato il primo e piu' immediato, quello che avrebbe
potuto dare subito un senso indiscutibile alla guerra e che
tecnicamente era il piu' facile da colpire. Parlo delle immense
coltivazioni di oppio, e dei relativi depositi, da cui proviene il
settantacinque per cento dell'eroina del mondo. Sarebbe stato un colpo
terribile per i talebani, che si finanziano con esso, e sarebbe stata
un'azione di fronte alla quale nessuno avrebbe potuto avere nulla a che
ridire. Pero' l'oppio, fino a questo momento, non e' stato bombardato;
non e' stato ragggiunto nemmeno da qualcuno di quei micidiali "effetti
collaterali" che si sono invece abbattuti sulle casupole dei montanari.
I soldi dell'oppio vanno solo ai talebani?
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Democratici. Trattative riservate di esponenti inglesi (in vista del
ritorno del re a Kabul, dell'auspicio di un governo unitario afgano
dopo l'eventuale vittoria mujeddin, della necessita' di dare un
contentino ai pakistani, ecc.) con l'ala "moderata" dei talebani.
Vengono definiti: "talebani democratici".
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Promemoria. Charles Cogan, ex responsabile Cia per l'Afganistan: "La
nostra missione principale era di arrecare il maggior danno possibile
ai sovietici. Non avemmo mai le risorse o il tempo necessari per
dedicarci ad investigare sul traffico di armi, e non credo che dobbiamo
rammaricarci per questo. Ogni situazione comporta delle conseguenze e
le conseguenze erano in termini di droga. Ma l'obiettivo principale era
stato raggiunto. I sovietici avevano lasciato l'Afghanistan".
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Obiettivi sensibili. Fra i tanti "obiettivi sensibili", che i
terroristi potrebbero cercar di colpire a un certo punto sarebbero
stati elencati anche i Templi di Agrigento. Ma non c'e' bisogno di
nessun talebano per distruggere i Templi. Ci pensa gia' la popolazione
locale.
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Background. A Wall Street, l'undici ottobre, improvvisamente si
diffonde la voce della cattura di Laden. La Borsa sale subito, sia a
New York che a Londra. Diversi brokers accumulano qualche miliardo
sull'improvvisa ondata al rialzo. Poco la voce viene smentita, e la
Borsa torna a calare. Ma i miliardi restano nelle tasche di chi li ha
acchiappati. Uscendo dalla Borsa uno dei brokers, quello che ha
guadagnato di piu' col rialzo, si toglie la maschera di gomma e se ne
va tranquillamente col suo solito turbante e la sua solita barba da
santone.
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Solidarieta'. Concerto per le vittime, con Michael Jackson e Mike
Jagger. Problema: chi dei due va messo prima sui manifesti? "Io - dice
Jackson - Ordine alfabetico". L'ex Rolling allora s'incazza e se ne va.
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As usual. Salgono in Borsa le azioni della Bayer, la casa farmaceutica
che produce l'unico vaccino disponibile contro l'antrace. La fortuna
della Bayer deriva dall'annunciata diffusione di massa, a scopo
terroristico, di spore d'antrace. Un mese fa le azioni della Bayer
avevano invece subito un crollo dopo la denuncia dei potenziali effetti
letali di un medicinale da essa destribuito.
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Talebani. Bolzano. Un gruppo di ragazzini, almeno otto, circonda,
insulta e picchia selvaggiamente due giovani donne sorprese a
scambiarsi un bacio ("Brutte lesbiche!") fra loro. Delle due ragazze
una riesce a scappare, l'altra finisce all'ospedale con gravi lesioni
per calci e pugni.
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Prevenzione. Ad Agrigento, nel centro d'accoglienza locale (un
centinaio di profughi vi vive ammassato in attesa di decisioni) le
autorita' hanno proibito ai ricoverati di accendere i televisori. La
misura e' stata motivata dalla necessita' di evitare che costoro, in
gran parte curdi e musulmani, potessero "eccitarsi" nell'ascoltare gli
appelli alla guerra santa o in generale seguendo i telegiornali.
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Ecchisenefrega 1. In corso a Palermo, dal 25, il processo d'appello al
senatore Andreotti, in primo grado assolto dall'accusa di associazione
mafiosa. Il pubblico ministero annuncia nuove prove. Ma noi abbiamo ben
altro a cui pensare, dai talebani al Grande Fratello.
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Ecchisenefrega 2. In Italia, di questi tempi, i magistrati vengono
licenziati per difformita' d'opinioni col ministro, oppure lasciano per
protesta il ministero, oppure chiamano il Csm per essere protetti
dall'accusa di perseguitare con prove false poveri innocenti
industriali, oppure ricevono lettere da colleghi stranieri che chiedono
perche' l'Italia non e' piu' interessata ai reati internazionali,
oppure sono obbligati a cercarsi gli imputati eccellenti (Previti: "Al
processo non ci vengo: non sto bene") fin dentro le ville, oppure si
trovano di fronte in aula, a difendere i mafiosi, ministri
sottosegretari di stato, oppure invocano il Presidente della Repubblica
perche' per amor di Dio dia un occhio a queste nuove leggi che lasciano
via libera alla delinquenza organizzata. Ma gl'italiani sono troppo
occupati (vedi sopra), e anche il Presidente ha fin troppo da fare coi
talebani.
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Yes Logo. Secondo un'indagine dell'Istituto di psicologia Ipsa su un
campione di duemila fidanzati, la maggior parte delle ragazze italiane
- circa l'ottanta per cento delle intervistate - accetterebbe l'idea di
sponsorizzare la propria cerimonia nuziale (logo sull'abito, slogan in
municipio, ecc.) in cambio di un contributo alle spese.
(Questa notizia vi e' stata offerta dalla ArfDonald, cibi per cani.
Rendi felice il tuo migliore amico. ArfDonald, e sai cosa mangia).
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Palermo. Blitz della polizia in discoteca, circa settecento studenti
sorpresi in pista a ballare invece di andare a scuola, alle undici di
mattina. Rastrellati e riconsegnati ai genitori i ragazzini, denunciato
a piede libero il gestore del locale, tale Lucignolo.
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Cuneo. Alla fine, la piazza intitolata a Toto' l'hanno fatta. A
decidere, e' stata l'"Associazione Uomini di mondo". Quelli che hanno
fatto il militare a Cuneo. Non a Kabul.
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Che fine ha fatto il mio amico Ridah, che fuggi' dal Marocco nel
Novanta perche' (studente d'ingegneria) la polizia del re lo cercava
per sovversivo? In Sicilia, a Catania, entro' alla redazione dei
Siciliani e insieme alla mia amica Lea (quella matta biondina, ebrea,
che scrive come scriveva un tempo la Cederna) fece un bellissimo
inserto intitolato "Siqqilya", Sicilia in arabo, che descriveva la
Sicilia dei mussulmani. Imparo' XPress e imparo' l'Html; uno dei primi
siti internet, in Italia, si chiamava ImmiNews e lo faceva lui; c'era
anche un giornale, un foglio fotocopiato ma impaginato bellissimo, con
lo stesso nome.
Sono in pensiero per lui perche' ha una faccia che pare proprio quella
d'un marocchino - difatti, e' marocchino - e gl'italiani sono spesso
feroci, di questi tempi. E per Lea, che ha questo orribile vizio di
ragionare e se l'e' portato dappresso fino alla Padania, dove la gente
cita Biffi e Lepanto quando, per riempire i tiggi', le fanno le
interviste volanti in Galleria.
Shalom, Lea e Ridah, salaam a tutt'e due, anzi a noi tutt'e tre. Che i
nostri tre dei, almeno con noi, siano distratti e benevoli, che ci
lascino vivere, essere amici e ragionare in pace.
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Scioperi. Sciopero di una giornata, a meta' ottobre, nei call center
Telecom. Lo sciopero, indetto dai sindacati confederali e autonomi, ha
origine nelle ristrutturazioni a cui la Telecom e' stata indotta anche
dai suoi problemi attuali, ma e' significativo soprattutto perche' in
Italia e' il primo caso importante di agitazione sindacale "classica"
in un settore completamente nuovo, il precariato delle nuove
tecnologie.
A Palermo, in particolare, sono scesi in piazza - con cartelli, slogan
e tutto - circa duemila "scambisti", entrati in azienda (sempre a
titolo precario) "in cambio" dei genitori andati in pensione
prematuramente. Qui la manifestazione sindacale e' stata organizzata
dalla Cisal ma ha avuto un carattere sostanzialmente spontaneo.
In Sicilia, una delle regioni in cui i call center tendono a
concentrarsi maggiormente, i giovani addetti a questo tipo di lavoro si
contano in parecchie migliaia (quasi quattromila solo a Palermo) e
vengono reclutati con contratti della piu' svariata natura: 450 fra tlc
e part-time alla Telecom (piu' un paio di centinaia di interinali),
seicento formazione-lavoro-tlc alla Blu, e cosi' via; alla 7C, che
lavora per l'Alitalia, i ragazzi vengono definiti semplicemente
"addetti alla vendita telefonica"; alla Lts, una compagnia telefonica
che occupa un centinaio di ragazzi a Palermo, il formazione-lavoro
applicato e' tout-court quello dei metalmeccanici.
Sicilia e Irlanda, in Europa, sono terreno privilegiato per
l'installazione di call center a basso costo di lavoro cui vengono
decentrate attivita' di imprese a livello nazionale e internazionale;
fuori d'Europa, si tende a preferire l'India, dove la presenza di masse
di giovani urbanizzati e scolarizzati rappresenta un buon terreno di
reclutamento per i terminali delle grandi aziende europee.
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Informazione. La novita' grossa, quest'anno in Italia, non ha affatto
un elevato contenuto tecnologico, anzi come tecnologie va piuttosto sul
tradizionale. Parliamo della free-press, la stampa a distribuzione
gratuita metropolitana, che in Italia (paese tradizionalmente
sottosviluppato, sul piano della carta stampata) ha segnato un successo
con pochi precedenti nel resto del mondo. A meta' dell'anno, i
quotidiani free-press - concentrati su Roma e Milano, ma con
significative presenze anche in altre citta' - hanno superato il
milione di copie diffuse (un milione di copie e' piu' o meno il numero
delle copie perse in edicola dai quotidiani italiani fra il 90 e il
99).
A differenza della maggior parte dei paesi europei, l'Italia non ha una
grande tradizione di lettura dei quotidiani. I lettori,
proporzionalmente, sono circa un terzo di quelli inglesi, tedeschi o
olandesi, sono poco piu' della meta' di quelli francesi e in alcune
zone del paese (in particolare il sud, oggetto negli ultimi anni di
totalitarie concentrazioni editoriali) superano di poco quelli greci o
turchi. Questo non e' un problema di vita o di morte per gli editori (i
cui profitti sono andati crescendo nonostante la flessione delle
vendite) ma e' certamente un indicatore non ottimistico sul culturale
del paese. Nessun giornale e' mai riuscito a mantenere a lungo in
Italia una rappresentativita' o un'autorevolezza pari a quella dei loro
omologhi francesi o inglesi. L'opinione pubblica, da noi, passa quasi
esclusivamente per le televisioni e il vecchio "l'ha detto la tivvu'"
e' ancora sostanzialmente l'ideologia informativa corrente.
In questa situazione strutturalmente malsana, e in coincidenza con una
crisi verticale della professione giornalistica (una quota crescente di
giovani colleghi lavora ormai regolarmente senza un contratto di lavoro
che ne garantisca l'indipendenza) l'arrivo della free-press ha segnato
probabilmente il punto di non ritorno.
La tendenza a sottovalutare il dato dell'edicola e a puntare le carte
maggiori sulla pubblicita' adesso viene razionalizzata e
ufficializzata: la scelta del lettore pagante e' niente, la pubblicita'
e' tutto. Il lettore, che una volta bisognava corteggiare per
convincerlo a tirar fuori il famoso resto del caffe' (che costava un
carlino meno, appunto, gli spiccioli per il giornale) adesso e'
semplicemente un numero nella statistica dei contatti pubblicitari, un
frammento di audience: in questo senso e' del tutto analogo,
strutturalmente, allo spettatore televisivo. Di cui pero' non possiede
il telecomando.
La qualita' dei free-press finora sperimentati non e' generalmente
eccelsa. Notizie-flash, molto (o moltissimo, secondo i casi,
enterteinment) taglio da notiziario televisivo. Alcuni prodotti (ad
esempio Metro) sono, entro questi limiti, abbastanza civili; ad altri
(ad esempio Leggo Roma) invece mancano solo le veline - intese come
ragazze, non come Minculpop - per essere la versione stampata di un
varieta' alla Bonolis; gli altri si collocano fra questi due limiti, ma
sempre e comunque con un'"ideologia" rigorosamente televisiva. Col che
la funzione di riflessione e dibattito della carta stampata, quella su
cui abbiamo costruito tutto il nostro modo di essere negli ultimi due
secoli, se ne va tranquillamente a farsi benedire.
Pero', non e' il concetto di free-press in se' quello che crea
l'effetto-televisione. Sono le tre particolari caratteristiche con cui
esso si concretizza qui ed ora.
1) Siccome nessun gruppo di giovani giornalisti, e nessun impreditore
"progressista" ha mai preso in seria considerazione la free-press
quando si era in tempo a imprimerle un volto diverso, essa e' diventata
una creatura o di grandi gruppi multinazionali o di editori italiani
preesistenti che la portano avanti essenzialmente per ragioni
"politiche", alimentandola con i residui di lavorazione dei propri
quotidiani tradizionali;
2) Siccome, per motivi di agevolazioni politiche ecc., e' risultato
piu' semplice individuare il target della free-press negli utenti dei
mezzi di trasporto urbano, i prodotti sono stati progettati
strutturalmente per un tempo di lettura assai breve. Tempo breve non
vuol dire necessariamente notizie-slogan. Ma certo, non vuol dire
nemmeno l'opposto.
3) In conseguenza del primo e del secondo punto (e anche per la mancata
assimilazione delle lezioni ricevute, sul piano della tempistica, dalla
web-communication) la periodicita' del nuovo prodotto e' stata
automaticamente assimilata a quella del quotidiano. Ora, in Italia il
quotidiano e' tradizionalmente, fra tutti i paesi del mondo, quello che
meno si basa sull'approfondimento, delegato senz'altro (con poche e non
mai abbastanza lodate eccezioni) al mondo dei magazines anzi, come da
noi si dice, dei "maschili".
* * *
Nell'arrivo sul mercato - sia pure cosi' distorto - della free-press
c'e' pero' una straordinaria riscoperta, un ritorno alle radici. La
comunicazione e' a pagamento solo da un tempo relativamente recente. Lo
Spectator si paga, e in questo senso seleziona sul piu' moderno terreno
possibile (quello dello strumento-denaro, da poco giunto a piena
maturazione in quello scorcio di Settecento) una nuova classe di
lettori, che e' quella a cui fino a una generazione fa appartenevamo.
Ma prima, la comunicazione era "gratuita". Lo era la cattedrale
medievale con le sue storie e le sue vetrate, lo era il cartello
d'avviso, lo erano i graffiti... Tuttora, ci sembrerebbe strano dover
pagare per la comunicazione che ci fornisce un segnale di divieto di
sosta. La comunicazione, cioe', oltre che una merce, puo' essere un
servizio.
Da chi fornito? Dal vescovo della cattedrale, dallo stregone della
tribu' col suo nerofumo, dal sindaco-notabile del paese. Oppure, colla
sua pera a carboncino sul muro, da un Gavroche. Da pochi soggetti, in
passato, pochi e coincidenti in genere col potere.
Ma oggi c'e' XPress, c'e' Html, ci sono le laserwriter, c'e' la
scolarizzazione di massa; c'e' la Rete. Siamo sicuri che la
comunicazione, in una societa' postindustriale, sia ancora solo, o
prevalentemente, una merce? Che non possa tornare ad essere un
servizio, proveniente stavolta da un'infinita' "democratica" di
punti-sorgente?
La free-press, naturalmente, non e' ancora questo. Ma denuncia gia' la
possibilita' di ottenerlo, e la difficolta' d'accontentarsi, in
prospettiva, di meno di questo.
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New Economy. Seattle. E' stato indetto un concorso, aperto alla
partecipazione di tutti gli architetti ed artisti che intendano
prendervi parte, per un "Monumento ai disastri della New Economy". Il
soggetto e' libero. I progetti verranno esaminati da un'apposita
commissione, che provvedera' a scegliere il piu' idoneo e a collocarlo
in un luogo centrale della citta'.
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Old Economy. Secondo l'Adusbef, associazione di utenti bancari
italiani, i premi (e i profitti) delle assicurazioni auto in Italia
sono aumentati del 67,8 per cento negli ultimi cinque anni.
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Politica. Linux ha raggiunto e superato la quota del 27 per cento sul
mercato dei web-server (quelli, per intenderci, che fanno girare
l'internet). Nello stesso settore, i prodotti basati su Windows, un
tempo praticamente senza rivali, si attestano oggi poco sopra il
quaranta per cento. E il trend, secondo la maggior parte degli
analisti, e' di una ulteriore diminuzione del divario fra i due
sistemi.
E' una notizia politica. Per molti anni corporation con risorse pari o
poco inferiori a quelle di Microsoft (Ibm, Apple e altre ancora) hanno
tentato con tutti i mezzi di spezzare il monopolio Gates, senza pero'
riuscirvi. Apple, che pure era partita in vantaggio quantitativo e con
un corredo tecnologico di primissimo ordine, alla fine ha dovuto
accontentarsi di difendere una nicchia d'elite fluttuante attorno a un
cinque per cento. Ibm, la firma storica del personal computer e forse
del computer, e' arrivata a produrre (con le due serie Os2) il piu'
efficiente system mai progettato. Eppure anche lei, nonostante le
ingentissime risorse investite, all'arrivo dell'internet ha dovuto
ristrutturare completamente le sue strategie, rinunciare di fatto alla
concorrenza Microsoft e riallocarsi (con successo) su un terreno -
quello dei contenuti avanzati e dell'interazione - completamente nuovo.
Linux, invece, a quanto pare ce l'ha fatta. Dopo appena dieci anni,
quello che sembrava un simpatico hobby di studenti geniali e' entrato
di prepotenza sul mercato e insidia concretamente il piu' grande
monopolio del pianeta. Il successo piu' eclatante e', come abbiamo
detto, questo dei server di rete: ma in effetti Linux e'
significativamente presente (molto piu' di Mac e di Os2) anche
nell'utenza domestica e universitaria, e' diffusissimo a livello di
pubblica amministrazione in almeno due importanti paesi (Germania e
Cina) e si pone sempre piu' come modello nei confronti di altri sistemi
operativi (l'ultimo system Apple, il MacOs X, sarebbe impensabile senza
Linux, di cui riprende apertamenente parecchi temi).
In un mondo sempre piu' impazzito e sempre piu' culturalmente
collassato, sempre piu' in bilico fra apocalisse e integrazione, un
prodotto tecnologico di altissimo livello e' riuscito a conquistarsi un
ruolo significatico nella nostra vita quotidiana (e dunque liberandola,
per quanto di sua competenza, dallo strapotere dei monopoli)
semplicemente affidandosi alla creativita' individuale, alla ricerca
no-profit, alla democrazia condivisa di una comunita' di liberi
programmatori: senza multinazionali dinosauriche, senza megamanager,
senza imbrogli di Borsa. Semplicemente, funzionando.
Marx avrebbe fatto salti di gioia se avesse potuto prevederlo. Linux e'
la dimostrazione vivente del fatto che non occorrono apocalissi per
cambiare il mondo.
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Bertolt<bbrcht@freiheit.de> wrote:
Agli squali, sono scampato.
Le ho fatte fuori, le tigri.
A divorarmi, alla fine,
ci riusciranno i pidocchi.
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"A che serve vivere, se non c'e' il coraggio di lottare?" (Giuseppe
Fava)
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