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LETTERA ottobre



E dunque arrivederci alla Marcia per la Pace. Non possiamo continuare a 
trascorrere le nostre serate, inerti, seduti davanti al teleschermo, 
scuotendo la testa e lasciandoci andare a qualche sospiro di pietà mentre 
vediamo i bambini che vagano affamati e terrorizzati per montagne riarse, 
calcinate da terribili inverni e da estati roventi; o marciscono in 
campi-profughi che sembrano, tanto sono disfatti e marcescenti, i resti di 
orribili tragedie di un antico passato. Basta guardare le guance di quei 
bellissimi bambini, erose da dermatiti, per leggervi una condanna per chi 
di noi, che creda nelle necessità della pace, non si alza e non dice: 
“Dovete ascoltare anche me”: quelle faccine sono il volto del secolo appena 
iniziato, il volto dei nostri bambini. Nord e Sud, più che mai, un solo futuro.
Non dobbiamo stare zitti e lasciar parlare soltanto Berlusconi, con la sua 
cultura da “cummenda”, le sue orribili gaffes e le sue sfrontate bugie; né 
le ormai tragiche macchiette di don Baget Bozzo, cappellano di corte, prima 
di Craxi e adesso del duca di Arcore; o di Oriana Fallaci, che sventola il 
suo furore anti-arabo come il fantasma di Canterville agitava i suoi sudari 
insanguinati: neppure più razzismo, un delirio pagato milioni dal più 
“grosso” quotidiano italiano. Non dobbiamo limitarci ad ascoltare quei 
megafoni di guerra che sono diventati i giornalisti televisivi della RAI e 
di Mediaset.
Dobbiamo parlare anche noi e non solo con i nostri intimi; uscire dalle 
nostre case per dialogare sommessamente con i nostri vicini e con i nostri 
compagni di lavoro, per gridare nelle piazze quello che in televisione non 
sentiamo mai dire, né alla radio, e che ben raramente leggiamo sui “grandi” 
giornali: che una guerra fatta mobilitando (e progettando di usare in varie 
parti del mondo, parola di Bush) una delle più grandi armate che la storia 
ricordi, non potrà mai essere “umanitaria” perché le armate non hanno occhi 
capaci di vedere gli umani; che non potrà mai essere “chirurgica” 
un’offensiva affidata a un gigantesco apparato militare perché un gigante 
in camera operatoria non può fare che disastri; che non può essere un’ 
“operazione di polizia” quella in cui i giudici e i poliziotti sono le 
parti lese; che l’ONU è stata ancora un volta vilipesa e beffata perché 
questa è una guerra degli Stati Uniti e un pochino  ma soltanto un 
pochino  della NATO essendo i paesi dell’Alleanza atlantica, per il 
momento, relegati al rango di semplici comparse; che la maggior parte dei 
governi islamici “moderati” è in realtà governata da dittature: l’Egitto o, 
peggio, la Siria e l’Arabia Saudita; il Pakistan o, peggio, la Turchia; e i 
popoli di quegli sciagurati paesi sono in crescente fermento contro i loro 
governi; cosicché l’adesione ai piani di Bush  a denti stretti quella di 
Islamabad, riottosa quella di Damasco, volonterosa quella del Cairo, 
automatica quella di Ankara  possono, da un momento all’altro rivelarsi 
illusorie mentre è del tutto prevedibile che, con la scusa del terrorismo, 
i dittatori induriranno la loro ferocia repressiva. E ancora: che gli 
armati dell’Alleanza del Nord (come denunziano le donne afghane in esilio) 
sono altrettanti fanatici che i talebani; che soltanto con una lunga lotta 
fra fazioni gli americani potranno mettere sul trono afghano uno dei tanti 
fantocci voluti dal genio della CIA (come quelli esperimentati, con tragici 
risultati a Panama, a Managua e a Mogadiscio per non parlare, naturalmente, 
di Santiago del Cile). E ancora: che non è nel futuro ma già nel presente 
il calvario del popolo afghano, al quale non rimane che una fuga collettiva 
nei deserti: una specie di esodo biblico, ma senza speranza perché in 
quell’immensa area non esistono Terre Promesse, esistono soltanto popoli 
affamati - e ricchi senza pietà che si appoggiano a spietati generali.
E infine: che senza una radicale e drammaticamente urgente soluzione della 
questione medio-orientale che ormai va avviandosi alla caduta di Arafat 
(dopo di lui il Terrore), le masse islamiche continueranno a ritenere 
l’azione di Washington arbitraria, ipocrita ed imperialista.
Poiché tutte queste cose sono sacrosantamente vere ma nessuno le dice, 
qualcuno deve pur dirle e quel qualcuno siamo noi. Trecentocinquant’anni 
fa, imperver-sando una vera e propria guerra di religione così scriveva a 
Pascal sua sorella Jacqueline: “So che si dice di non spettare a giovanette 
il compito di difendere la verità. Ma quando i vescovi dimostrano un 
coraggio da donzelle bisognerà pure che le donzelle abbiano un coraggio da 
vescovi. Può darsi che difendere la verità non sia compito nostro ma è 
certo dovere morire per essa”.
Dono idealmente questa citazione non ai vescovi della Chiesa (benché Dio sa 
se i Sodano, i Ruini e i Maggiolini non ne avrebbero bisogno!) ma ai 
“vescovi di complemento”, quei laici che tengono cattedra sui giornali 
importanti. Tanto per fare un esempio: su “La Repubblica” è comparso un 
lungo articolo di Lucio Caracciolo a proposito della Marcia Perugia-Assisi. 
Caracciolo non è Berlusconi, prima di parlare pensa; ma, come dicevano gli 
antichi, quandoque dormitat et bonus Omerus, cioè talvolta persino il 
grande Omero, un po’ sonnolento, ha scritto brutti versi. Così Caracciolo 
ci prende il bavero senza conoscerci, facendosi un’immagine di comodo di 
noi che ci ostiniamo a credere che la pace sia sempre e in ogni occasione, 
anche la più ardua, superiore alla guerra. Caracciolo ci incasella in una 
delle seguenti tre categorie: 1) quella degli anacoreti, rispettabili; ma, 
dice, “non si può avere circolazione di idee fra chi sceglie di vivere nel 
proprio deserto immaginario e chi, bene o male, nuota nella società umana”; 
2) quella degli impauriti; 3) quella degli sciocchi irresponsabili; tali 
saremmo perché, non volendo la guerra contro il terrorismo, ci assumeremmo 
la responsabilità della possibile morte di altri pacifici cittadini. Questi 
sciocchi credono (noi crederemmo) che “lo scontro con il terrorismo è 
affare degli americani”, “che la guerra in corso sia assimilabile ai grandi 
conflitti mondiali del Novecento”, infine “che la guerra è la negazione 
della politica”. Ora  dice Caracciolo a proposito della nostre supposte 
convinzioni - noi saremmo dei “potenziali suicidi che non si accorgono di 
essere anche loro nel mirino”. Quanto al secondo punto, dice l’articolista, 
la guerra  che stiamo vivendo è per definizione una guerra “non 
convenzionale, coperta” di cui non sapremo nulla (quindi: come faremo a 
giudicarla?)..Terzo: la guerra, questa guerra, “non è la negazione della 
politica, è l’estrema risorsa della politica. Oppure è follìa (….). La 
guerra si fa per difendersi e per restaurare la pace in un ambiente 
geopolitico possibilmente più stabile. Quanto meno americana e più globale 
sarà questa guerra, tanto più utile sarà (…). Altrimenti i pacifisti 
avranno avuto ragione, malgrado se stessi .Ma i vincitori non permetteranno 
loro di celebrare”.
Sono passati 12 giorni dalla pubblicazione di questo articolo: la guerra è 
più che mai americana, essendo gli alleati della NATO (salvo la Gran 
Bretagna del fondamentalista Blair) relegati ai  margini; un’immensa armata 
“convenzionale” si dispiega dal Tagikistan al Golfo Persico; le città 
afghane vengono “convenzionalmente” bombardate; 7 milioni di donne, vecchi 
e bambini, a causa dei bombardamenti, non possono più essere raggiunti da 
aiuti alimentari e un numero spaventoso di essi è condannato alla morte per 
fame. Davvero tutto questo non somiglia alle altre guerre del XX secolo?
E allora? Domenica noi non celebreremo una festa spensierata e infantile: 
sappiamo bene di essere anche noi “nel mirino”. Ma celebreremo convinzioni 
che a noi sembrano logiche, pulite, realistiche. Saremo magari degli 
anacoreti, ma don Giuseppe Dossetti, del quale Lei, caro Caracciolo, avrà 
certamente sentito parlare, amava ricordare che anche i monaci, se una 
città veniva colpita dalla peste, lasciavano i deserti per andare a servire 
i poveri.
Non pensi che ci nascondiamo dietro  un dito. Noi crediamo che proprio 
perché Bin Laden ha dichiarato guerra a tutto il mondo e compiuto un 
orrendo crimine contro l’umanità se ne debba occupare l’ONU con 
un’operazione di polizia internazionale che lo assicuri alla giustizia, 
senza massacri di civili; crediamo che ben più della forza delle armi, che 
ha già fatto diventare Bin Laden, nell’immaginario di grandi masse 
islamiche, una specie di Robin Hood asiatico e rischia di trasformarlo in 
un martire, sarebbe di importanza fatale la morsa finanziaria sugli enormi 
capitali di cui dispone; ma essa andrebbe stretta non soltanto, come si è 
fatto, alle società a lui chiaramente riconducibili ma a tutte le zone nere 
dell’economia internazionale, là dove certamente sta il terrorismo e con il 
terrorismo inquinano la vita del globo il narcotraffico, il commercio delle 
armi e lo sfruttamento dei poveri. Noi crediamo che vadano spenti i focolai 
di disperazione accanto ai quali il fanatismo cova le sue orrende 
perversioni; crediamo che le somme orribili (uso la parola giusta: 
orribili, nel senso che fanno orrore) spese in questi giorni per dispiegare 
la Grande Armata potrebbero essere determinanti se impiegate per rimuovere 
le ingiustizie più atroci che connotano la Terra. Le pare davvero follìa, 
la nostra? Le pare che sia soltanto Lei, Caracciolo, a “nuotare nella 
società umana”? Tutti ci portiamo sulle spalle la croce di tante guerre 
inutili, del terrorismo nucleare, delle feroci ingiustizie comminate ai 
popoli poveri.
Domenica noi faremo una marcia nel quieto panorama dell’Umbria di Francesco 
e di Capitini. Cammineremo per significare che non si può più stare 
immobili, attaccati come le ostriche alla carene dei vascelli delle 
violenze: quelle dei fuori-legge e quelle degli imperatori. Non si può più 
stare attaccati alle vecchie logiche che storpiano il buon senso e 
finiscono inevitabilmente per colpire i più indifesi.. E vede, Caracciolo, 
avremo certamente due grandi gioie: quella di ritrovarci in tanti e quella 
di sapere che  giustizia senza vendetta, pace nella giustizia, capacità di 
amarsi nelle differenze  questa nostra “demenza” è la ripulsa più radicale 
del terrorismo, il suo esatto contrario.

Ettore Masina