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La nonviolenza e' in cammino. 248
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac@tin.it
Numero 248 del 4 ottobre 2001
Sommario di questo numero:
1. Peppe Sini, prepararsi all'azione diretta nonviolenta
2. Giobbe Santabarbara, la marcia Perugia-Assisi e' Aldo Capitini vivente
3. Franco Fortini, l'ora delle basse opere
4. Ileana Malancioiu, sogno
5. Enrico Peyretti, la guerra e' l'antitesi del diritto
6. Giulio Vittorangeli: "Bombardare Kabul" ventidue anni dopo
7. Messaggio finale della conferenza internazionale su "Cristiani e
Musulmani in Europa: reponsabilita' e impegno religioso in una societa'
pluralista"
8. Luisa Morgantini, non c'e' sicurezza con la produzione di armi
9. Rosemary Lynch, perche'?
10. Anna Maria Merlo intervista Serge Latouche
11. Arci: solidarieta' e sostegno umanitario ai profughi afghani
12. Letture: Giuseppe Cantillo, Introduzione a Jaspers
13. Letture: Assia Djebar, Donne d'Algeri
14. Letture: Hans Jonas, Sull'orlo dell'abisso
15. Benito D'Ippolito, vecchi volantini del tempo della guerra del Golfo
16. Per studiare la globalizzazione: da Alfonso Sastre a Volker Schloendorff
17. La domandina del Criticone
18. La "Carta" del Movimento Nonviolento
19. Per saperne di piu'
1. PROPOSTE. PEPPE SINI: PREPARARSI ALL'AZIONE DIRETTA NONVIOLENTA
[L'autore di questo testo ha iniziato un digiuno di condivisione,
meditazione e preparazione all'azione diretta nonviolenta contro la guerra]
La guerra puo' essere impedita, il terrorismo puo' essere battuto.
Il piano dei terroristi di scatenare una conflagrazione mondiale puo' esere
sconfitto dalla saggezza dei popoli, dal diritto internazionale, dalla
cooperazione tra gli stati, dalla diffusione su tutto il pianeta del
rispetto dei diritti umani.
Gli esecutori delle stragi dell'11 settembre sono morti insieme alle loro
innocenti vittime; i complici e i mandanti occorre scoprirli, processarli e
punirli cosi' come prevede la civilta' giuridica: dimostrandone la
colpevolezza, sottoponendoli al giudizio di una corte di giustizia,
mettendoli in condizioni di non nuocere, condannandoli e punendoli per il
crimine commesso.
Lo scatenamento di una guerra sarebbe invece il trionfo dei terroristi, la
prosecuzione ed espansione della loro scellerata azione stragista, il
rendere epidemica la loro iniziativa.
*
Occorre quindi infliggere la prima decisiva sconfitta ai piani dei
terroristi impedendo che alle stragi avvenute ne seguano altre; occorre
impedire che la guerra venga scatenata.
Occorre poi infliggere la seconda fondamentale sconfitta ai piani dei
terroristi, rifiutando loro lo status di soggetto belligerante e
perseguendoli per quello che sono: una organizzazione criminale che la
comunita' internazionale rappresentata dall'Onu persegue sulla base del
diritto, con un'azione giuridicamente fondata e secondo le guarentigie e le
procedure previste dalle codificazioni legislative penali.
Occorre inoltre infliggere la terza cruciale sconfitta ai piani dei
terroristi: privandoli delle loro risorse propagandistiche, strumentali,
umane. Ed a tal fine occorre l'estensione dei diritti umani e della
comprensione e la solidarieta' tra i popoli come tra le persone; occorre il
disarmo e la cooperazione internazionale; occorre una globalizzazione della
giustizia economica e della liberta' politica nel mondo. Valgono ancora le
parole dell'indimenticabile presidente Pertini: "si svuotino gli arsenali,
si riempiano i granai".
*
A tutte le donne e tutti gli uomini di volonta' buona incombe il dovere di
contribuire alla sconfitta dei piani dei terroristi, e la prima cosa da fare
e' persuadere i governanti di tutti i paesi del mondo a non scatenare una
nuova guerra, ed anzi ad adoperarsi per far cessare quelle in corso.
Cosicche' qui e adesso il primo e piu' urgente compito e':
- convincere il nostro governo, il nostro parlamento, il nostro capo dello
Stato a non entrare in guerra, ed anzi ad adoperarsi per la pace e
l'affermazione del diritto;
- spiegar loro che la decisione di entrare in guerra costituirebbe una
violazione del diritto internazionale e della legalita' costituzionale,
violazione che renderebbe dei fuorilegge quanti la commettessero;
- chiarir loro che nel caso in cui la guerra venisse scatenata e l'Italia vi
venisse tratta e travolta illegalmente, noi cittadini italiani faremo quanto
la Costituzione e la morale ci chiedono di compiere: ci opporremo alla
guerra e ci batteremo per difendere la legalita' tradita dai governanti.
*
Affinche' la nostra azione contro la guerra possa essere efficace essa non
puo' consistere di proclami e di iniziative meramente simboliche, ma deve
farsi concreta, ed e' bene che fin d'ora governo, parlamento e presidente
della Repubblica sappiano che essa sara' tale.
E precisamente dobbiamo fin d'ora preparare e prepararci alle seguenti tre
iniziative:
1. l'azione diretta nonviolenta: eseguita esclusivamente da persone persuase
della nonviolenza e preparatesi adeguatamente ad essa, con cui contrastare
operativamente la macchina bellica;
2. la disobbedienza civile di massa: con cui negare collaborazione a un
potere politico e militare che avesse violato la Costituzione e si fosse
reso fuorilegge, e paralizzarne le catene di comando;
3. lo sciopero generale contro la guerra: con cui bloccare le attivita' del
paese fino al ripristino della legalita' costituzionale e dell'impegno di
pace del nostro paese.
Occorre che ci prepariamo tutti. Occorre che ci prepariamo subito. Occorre
un impegno di studio, di riflessione, di dialogo, di incontro. Occorre un
illimpidimento interiore, una piena consapevolezza della gravita' dell'ora e
delle nostre responsabilita'. Occorre la scelta della nonviolenza.
2. RIFLESSIONE. GIOBBE SANTABARBARA: LA MARCIA PERUGIA-ASSISI E' ALDO
CAPITINI VIVENTE
[Giobbe Santabarbara esprime il punto di vista del "Centro di ricerca per la
pace" di Viterbo]
Noi saremo alla Perugia-Assisi.
Anche se la piattaforma proposta dalla Tavola della Pace puo' presentare
debolezze, reticenze ed ambiguita' per noi inammissibili. Noi saremo alla
marcia.
In silenzio, senza bandiere, in angoscia per le sorti dell'umanita', ed
insieme sereni e persuasi nel continuare in cio' che e' giusto: affermare la
dignita' di tutti gli esseri umani, affermare che solo con la pace si
costruisce la giustizia, e solo con la giustizia si costruisce la pace.
E' gia' accaduto in passato, e piu' volte, che la marcia superasse e
sciogliesse e vincesse ogni ambiguita', ogni limite, ogni errore, ogni
provocazione.
E' gia' accaduto in passato, e piu' volte, che la marcia cambiasse i
partecipanti, che entratici ciascuno con le sue bandierine, le sue fisime,
le sue furberie, i suoi distinguo, i suoi dubbi, si sono trovati poi tutti
trasformati dall'armonia della campagna umbra, dalla visione luminosa della
citta' di Francesco, dal comporsi in un medesimo tessuto della policromia e
polifonia del popolo della pace in cammino, dal sentirsi in colloquio
corale: dall'eredita' feconda di Aldo Capitini, dalla compresenza di Aldo
Capitini.
Perche' la marcia e' Aldo Capitini vivente, la marcia e' la nonviolenza in
cammino.
Che sia scritto o meno sui programmi, sui manifesti, sugli schermi
televisivi, sulle delibere delle istituzioni, sui volantini e sugli
striscioni, la marcia di Aldo Capitini e' la marcia contro tutte le guerre,
contro tutti i terrori, contro tutte le violenze: e' la nonviolenza in
cammino. Anche se i camminanti non lo sanno finche' non ci si trovano.
3. NITIDE VISIONI. FRANCO FORTINI: L'ORA DELLE BASSE OPERE
[Da Franco Fortini, Una volta per sempre, Einaudi]
* L'ora delle basse opere
E' tutto chiaro ormai,
le parole dei libri diventate
tutte vere. Tutti gli altri lo sanno.
T'hanno detto di fare due passi avanti
in mezzo al cortile d'acqua e vento,
di lumi gialli prima dell'alba.
Vedi cani maestri con grembiali di cuoio
scaricare quarti umani per le celle
refrigerate e crusca
sotto i ganci cromati. Gli scontrini
li timbrano alla porta
dove a battenti aperti aspetta un camion.
Era giorno, i postini
sgrondavano gli incerati nelle guardiole.
4. NITIDE VISIONI. ILEANA MALANCIOIU: SOGNO
[Da AA. VV. (a cura di Elena Clementelli e Walter Mauro), Il fiore della
liberta', Newton Compton, Roma 1993, p. 122. L'autrice e' una poetessa
rumena]
* Sogno
L'intera citta' era piena di morti
Erano usciti sulla via principale
Con indosso i vestiti di gala
Che di rado finche' sei vivo porti.
Senza posa passavano giulivi
Pareva non comprendessero affatto
Ch'erano troppi e non v'era piu' spazio
Per quelli di noi ancora vivi.
Ci atterriva la lugubre chimera
Ma guardavamo attoniti come alla parata
Perche' ognuno aveva qualcuno in strada
Che non avremmo voluto rinchiuso nel cimitero.
5. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: LA GUERRA E' L'ANTITESI DEL DIRITTO
[Enrico Peyretti e' una delle figure piu' prestigiose della cultura della
pace. Per contatti: peyretti@tiscalinet.it]
La guerra e' "l'antitesi del diritto" (Bobbio, nel suo libro sulla guerra e
la pace, dalla prima edizione del 1979 alla quarta del 1997, nonostante
alcune sue affermazioni rassegnate al peggio).
Secondo ogni diritto, anche il piu' primitivo, la prova della colpa va
mostrata anzitutto all'accusato. Per una condanna minimamente decente,
l'accusato deve essere convinto di colpa, e il tentativo va fatto comunque,
anche se egli non si convince. E la prova delle accuse deve essere valutata
da un giudice terzo, indipendente. Farsi giudici in causa propria e'
distruzione della civilta'. E' terrorismo. E' violenza primitiva. La
condanna senza accusa precisa comunicata all'accusato e pubblicamente
provata e' agguato, delitto.
La guerra e' tale. Questa guerra e' tale.
La guerra e' negazione di ogni giustizia.
Fare la guerra per fare giustizia e' fare ingiustizia massima sotto nome di
giustizia.
Capovolgere i significati e' distruggere l'umanita', la natura razionale. La
guerra uccide vite umane e significati, verita', possibilita' di
comunicazione umana.
La guerra, poiche' consiste nell'inganno e nella negazione del dialogo, e'
dunque sempre terroristica, batteriologica (avvelenatrice della
comunicazione umana), atomica (disintegrante), sempre ingiusta,
invincibilmente ingiusta.
Questa guerra e' tale.
Solo noi che diciamo questo rispettiamo davvero le vittime del terrorismo,
perche' pensiamo e agiamo diversamente dai loro assassini.
Solo rifiutando la guerra si rifiuta il terrorismo.
Solo sviluppando la giustizia internazionale, quella economica e quella
processuale, si potra' sormontare il terrorismo.
Bush che fa la guerra-vendetta-inganno conferma le azioni disumane dei
terroristi, non vendica ma tradisce le vittime di New York e Washington.
Ritorcere e' riprodurre e confermare, stabilire il metodo.
Bush ripete il terrorismo. Cosa direbbero di lui i morti delle due torri?
La sola differenza e' che ora l'uno fa cio' che l'altro ha fatto a lui.
Nessuna vera differenza.
Si dira': ma quello e' il colpevole. Appunto: deve giudicare un terzo.
Altrimenti quello, o chi per lui, ti fara' immediatamente altrettanto, e
avra' la stessa ragione che hai tu, perche' anche lui ti ritiene colpevole.
Siete entrambi prigionieri di uno specchio: il vostro assolutismo solitario.
L'altro siete voi stessi. Siete nemici di voi stessi.
Ma e' possibile essere talmente stupidi?
E' la potenza che vi acceca. Posate le armi, la superbia e l'odio, vi si
apriranno gli occhi. Vedrete la vita, vostra e altrui.
6. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: "BOMBARDARE KABUL" VENTIDUE ANNI DOPO
[Giulio Vittorangeli e' tra le figure piu' nitide della solidarieta'
internazionale. Per contatti: giulio.vittorangeli@tin.it]
Anno 1979. 19 luglio: trionfa in Nicaragua la rivoluzione sandinista; 27
dicembre: le truppe dell'Unione Sovietica invadono l'Afghanistan,
ufficialmente "in soccorso" del governo comunista di quel paese, per far
fronte alla "sovversione" interna.
Immediatamente viene creato un parallelismo tra questi due avvenimenti,
vengono letti ed interpretati in chiave esclusivamente di conflitto, scontro
tra Est-Ovest, Usa-Urss.
Per cui quando, come Associazione Italia-Nicaragua, chiedevamo solidarieta'
per il Nicaragua sandinista, ci veniva risposto (molte volte in maniera
strumentale) proponendo la solidarieta' con l'Afghanistan. Ma solo una cosa
accomunava queste due realta', ed era il diritto imprescindibile e
inalienabile all'autodeterminazione; primo fra tutti autodeterminazione da
un potere straniero e poi autodeterminazione a scegliere il proprio modello
di sviluppo: politico, economico e sociale. In parole molto semplici, questo
voleva dire che non doveva essere Mosca a stabilire il governo di Kabul,
cosi' come non poteva essere Washington a stabilire chi doveva governare a
Managua.
Senza negare quindi che c'era uno scontro Est-Ovest, legato alla guerra
fredda, che portava all'espansione e intromissione delle due superpotenze
nelle rispettive aree di influenza, in realta' lo scontro determinante era
tra Nord e Sud del mondo, e come si diceva allora "l'asse della pace passa
per Managua". Credo che questo oggi sia chiaro a tutti.
Penso che avevamo ragione noi (come Associazione Italia-Nicaragua) nel
cogliere nell'originalita' del progetto del sandinismo l'elemento veramente
nuovo e centrale dello scontro allora in atto; perche' al di la' della
sacrosanta condanna dell'invasione dell'Armata Rossa, era veramente
impensabile riconoscersi nel progetto (se mai c'era) di quel variegato e
frammentato universo che erano le formazioni e frazioni dei mujaheddin.
Era il Nicaragua che rappresentava la "speranza nuova", era lo schermo
privilegiato su cui proiettare l'immagine di ogni sogno di giustizia negato
con la violenza.
Anno 1989: 15 febbraio, i sovietici si ritirano dall'Afghanistan, a
conclusione di una guerra disastrosa contro i guerriglieri mujaheddin durata
dieci anni.
Anno 1992: crolla sotto l'urto dei guerriglieri il governo filosovietico
afghano, ma si scatena (invece della chiusura della guerra di liberazione)
una cruenta guerra civile tra le sette opposte fazioni (costituite in base a
fattori geografici, tribali e settari) dei mujahidin (sostenuti fino a quel
momento dagli Usa, dai loro alleati europei, da Pakistan, Iran e Arabia
Saudita) che si contendono il potere. Da questa situazione sorgono i
talebani (milizie di studenti islamici formate ed addestrati alle armi in
Pakistan).
Sono stati gli Usa e l'Urss che, insieme, hanno contribuito a trasformare
l'Afghanistan nel paese arretrato e pericoloso che e' diventato. Sono stati
notoriamente gli Usa e il Pakistan, con qualche aiuto da parte della Gran
Bretagna e di altri, a incoraggiare l'ascesa di gruppi fondamentalisti
islamici e il reclutamento panislamico di combattenti, perche' a quel tempo
facevano comodo per combattere contro l'Unione Sovietica. Ecco da dove salta
fuori Osama bin Laden.
Anno 1994: I talebani (studenti islamici... armati di kalashnikov) fanno la
loro prima comparsa a Kandahar, la seconda citta' piu' grande
dell'Afghanistan. Inizialmente sono accolti con rispetto perche' "portano la
pace": il paese e' completamente distrutto, senza economia, senza cibo, non
esiste piu' una sola strada asfaltata; il terreno e' disseminato di mine, le
fattorie sono state distrutte dai sovietici, ci sono milioni di vittime. In
breve i talebani conquistano Kabul e il 90% del paese. Quindi creano un
regime estremista-fondamentalista, attraverso la sharia (l'interpretazione
della legge religiosa ripresa direttamente dal Corano) imponendo, con il
terrore e con la violazione dei diritti umani e civili, le loro leggi alla
popolazione stremata da vent'anni di guerra (le vittime sono milioni: morti,
handicappati, rifugiati, piu' di 700.000 mila vedove). Le donne vengono
cancellate da tutto cio' che vuol dire diritto alla vita, per loro valgono
le regole dell'hejab, l'esclusione dalla societa'.
Anno 2000: maggio, a Viterbo iniziativa pubblica dal titolo "Io donna dietro
il burqa", che e' il nome di un progetto di alfabetizzazione e sanita' per
le donne afghane di tutte le eta', che si trovano nei campi profughi in
Pakistan: circa 2 milioni di profughi. Su un totale della popolazione di 20
milioni di abitanti, circa 6 milioni sono esuli, rifugiati oltre che in
Pakistan anche in Iran, dove peraltro non sono ben visti (i dati
naturalmente si riferiscono a prima dei tragici avvenimenti di questi
giorni, con nuovi profughi piegati dalla fame e dalla fatica). Gli iraniani
che gia' si trovano in condizioni difficili li accusano di essere la causa
dell'aumento della disoccupazione (che e' del 17%) oltre che della
criminalita'. La solita, purtroppo, guerra tra poveri. Noterete, come
analizzando gli scontri di potere, le guerre, le ingiustizie, le poverta',
le oppressioni "globali" e "locali", siano le donne che si trovano sempre al
centro, vittime privilegiate, le "piu' diseguali".
A Viterbo, Orezala Ashraf, portavoce dell'Associazione Hawca per
l'assistenza umanitaria alle donne e ai bambini/e dell'Afghanistan (una Ong
nata anni fa, con sede a Peshawar, in Pakistan), racconta la drammatica
realta' imposta dai talebani soprattutto contro le donne, e i bambini, a cui
e' vietato di giocare con gli aquiloni o con gli uccelli in gabbia. Mentre
le donne sono costrette a rinunciare, in pratica, alla loro identita', alla
loro vita professionale e alla loro immagine: non possono piu' lavorare, non
possono piu' andare a scuola e sono rese invisibili dal burqa, il velo che
le copre integralmente, con una grata all'altezza degli occhi per vedere
malamente dove mettere i piedi. Nell'Afghanistan dei talebani esistono solo
maschi, le donne sono ombre che camminano, che non possono nemmeno far udire
la loro voce e il rumore dei loro passi. Molte sono fuggite, altre cercano
di sopravvivere, altre ancora si suicidano.
Quello che colpiva, nella toccante testimonianza di questa ragazza minuta e
decisa, era il fatto di trovarsi davanti ad una "testimone"; la
testimonianza vivente di persone che pagano un tributo enorme alla lotta
contro l'ingiustizia, la poverta', la difesa dei diritti umani. Sono loro i
primi e piu' veri protagonisti della costruzione di un nuovo mondo. Noi
dobbiamo educarci ed educare anche all'ascolto di questi "testimoni".
Se c'e' una cosa, piccola ma importante, che abbiamo compreso nel nostro
lavoro come solidarieta' internazionale, e' che le vittime della guerra e
del terrore sono uguali. Tutte. Dovunque. I volti sconvolti nel centro di
Manhattan sono uguali a quelli che abbiamo conosciuto in Nicaragua ed in
Centro America, delle popolazioni vittime della barbarie quotidiana dei
squadroni della morte o dei contras.
Oggi, anno 2001, temiamo che la stessa cosa accada alle donne, agli uomini e
ai bambini dell'Afghanistan; in una condizione che li rende piu'
tragicamente vittime: sono soli, non hanno attestazione di solidarieta'
(salvo il lavoro preziosissimo, degli ospedali dell'organizzazione
umanitaria "Emergency" - per contatti: via Bagutta 12, 20121 Milano, tel.
0276.001104, www.emergency.it), pagano il costo di una scorretta
identificazione con chi ha occupato con la forza il loro paese (vittime
innocenti, "danni collaterali", nulla hanno a che fare con il massacro di
New York), che non si possono permettere il lusso di manifestazioni
pacifiche.
"Veniamo al fatto di bombardare l'Afghanistan fino a riportarla indietro
all'eta' della pietra. Il problema e' che cio' e' gia' stato fatto. I
sovietici hanno avuto cura di farlo. Fare soffrire gli afghani? Stanno gia'
soffrendo. Abbattere le loro case? Fatto. Ridurre le scuole a cumuli di
macerie? Fatto. Distruggere i loro ospedali? Fatto. Privarli di medicine e
assistenza medica? Troppo tardi. Qualcuno ha gia' provveduto. Le nuove bombe
non farebbero che rimescolare le macerie. Alla fine perderebbero i talebani?
Difficile. Oggi in Afghanistan mangiano solo i talebani, solo loro avrebbero
i mezzi per muoversi, fuggirebbero. Forse le bombe colpirebbero qualcuno di
quegli orfani mutilati (500mila, secondo dati Onu - ndr -), loro non si
muovono in fretta, non hanno neppure le sedie a rotelle. Bombardare Kabul
significherebbe fare causa comune con i talebani: violentare la gente che
loro hanno violentato per tutto questo tempo" (cosi' lo scrittore afghano
residente negliStati Uniti Tamin Ansary).
"Noi dobbiamo dire che e' stato il governo degli Stati Uniti che ha
sostenuto il dittatore pakistano generale Zia-ul Haq nel creare migliaia di
scuole religiose dalle quali sono emersi i germi dei talebani. Allo stesso
modo, come e' evidente per tutti, Osama bin Laden e' stato pupillo della
Cia. Ma cio' che e' piu' penoso e' che i politici americani non hanno tratto
una lezione dalle loro politiche a favore dei fondamentalisti nel nostro
paese e stanno ancora continuando ad appoggiare questo o quel gruppo o
leader fondamentalista. Secondo noi, ogni tipo di sostegno ai
fondamentalisti talebani e jahadies (l'Alleanza del Nord - ndr -) e'
attualmente dannoso contro la democrazia, i diritti delle donne e i diritti
umani. Mentre noi manifestiamo ancora una volta la nostra solidarieta' e il
profondo cordoglio al popolo degli Stati Uniti, crediamo anche che attaccare
l'Afghanistan e uccidere la sua gente piu' derelitta e sofferente, non
alleviera' in alcun modo il lutto del popolo americano. Speriamo
sinceramente che il popolo americano sia in grado di distinguere tra la
gente dell'Afghanistan e un pugno di terroristi fondamentalisti" (dal
comunicato del 16 settembre di Rawa, l'organizzazione femminista afghana che
e' una delle poche entita' che resistono alla dittatura dei talebani).
7. DOCUMENTI. MESSAGGIO FINALE DELLA CONFERENZA INTERNAZIONALE SU "CRISTIANI
E MUSULMANI IN EUROPA: RESPONSABILITA' E IMPEGNO RELIGIOSO IN UNA SOCIETA'
PLURALISTA"
[Ringraziamo Gianni Novelli per averci inviato questo documento approvato
all'incontro di Sarajevo del 12-16 settembre 2001. Per contatti:
novelli.gianni@tiscalinet.it]
La Conferenza delle Chiese Europee (KEK) e il Consiglio delle Conferenze
episcopali europee (CCEE) hanno invitato Cristiani e Musulmani impegnati in
attivita' interreligiosa ad incontrarsi a Sarajevo, citta' altamente
simbolica per gli scambi religiosi e culturali. Nell'attuale nuova fase
multireligiosa e multiculturale della storia d'Europa, Musulmani e Cristiani
da 26 paesi durante tre giorni si sono scambiati le loro preoccupazioni su
tre diversi ambiti:
- le sfide che vengono dal vivere insieme in una societa' largamente
pluralista e secolarizzata;
- la guarigione delle ferite delle memorie storiche dei Cristiani e dei
Musulmani cosicche' possano impegnarsi per la giustizia e la pace per tutti;
- la condivisione dei valori con i quali le nostre comunita' possono
attivamente contribuire a costruire una societa' migliore.
Considerando la nostra riunione come un dono di Dio, abbiamo condiviso le
nostre convinzioni e le nostre speranze, consapevoli della responsabilita'
delle nostre comunita' religiose di dare un contributo alla formazione
dell'Europa futura.
Insieme vogliamo contribuire a un'identita' dinamica del nostro continente.
Fedeli alle nostre ispirazioni religiose ci impegniamo a:
- Intraprendere azioni coraggiose a sostegno della vita umana, della
liberta', della religione, della proprieta', della dignita' e della
giustizia;
- Dare a noi e alle nostre comunita' di fede una chiara consapevolezza della
nostra comune umanita' che ci rende fratelli e sorelle al di la' delle
diverse appartenenze religiose e politiche;
- Rifiutare la giustificazione della violenza nel nome della religione.
Il nostro impegno per il dialogo ci porta a fare le seguenti
raccomandazioni:
- Portare i giovani a conoscere e rispettare ciascuno la fede e la comunita'
dell'altro attraverso programmi educativi;
- Promuovere nelle scuole pubbliche un'educazione interreligiosa che preveda
anche corsi interreligiosi;
- Sostenere gruppi interreligiosi di laici a livello locale per accrescere
la consapevolezza di tutto cio' che ostacola la cooperazione;
- Incoraggiare al dialogo e all'incontro interreligioso preti, pastori,
teologi, imam e laici, attraverso scambi tra facolta' e seminari cristiani e
musulmani;
- Fondare e sostenere in ogni paese europeo istituzioni che si propongano di
promuovere il dialogo interreligioso al servizio dei valori etici, sociali e
politici delle nostre societa';
- Continuare i nostri sforzi per sviluppare la consapevolezza dei nostri
comuni valori.
Alla luce delle crescenti dimensioni dell'attacco terroristico negli Stati
Uniti, sentiamo il bisogno di reiterare il nostro documento approvato in
precedenza:
"Siamo immensamente colpiti dai tragici massacri a New York e a Washington,
ed esprimiamo il nostro profondo dolore e sofferenza per le migliaia di
vittime uccise o ferite, e partecipiamo alla sofferenza dei loro familiari
ed amici. Unanimemente condanniamo questo atto di violenza, come pure ogni
distruzione di vita umana come una violazione della volonta' di Dio e un
peccato contro l'umanita'. Riconoscendo il potenziale di violenza che
risiede in tutti noi, preghiamo che questo avvenimento privo di senso non
provochi una risposta di ritorsione indiscriminata. Nello spirito di questa
conferenza ci impegniamo a essere strumenti di dialogo, a contribuire a
costruire giustizia e pace, e a lavorare per la riconciliazione nelle nostre
societa'".
8. RIFLESSIONE. LUISA MORGANTINI: NON C'E' SICUREZZA CON LA PRODUZIONE DI
ARMI
[Luisa Morgantini, parlamentare europea, e' una delle voci piu' vive del
movimento per la pace. Per contatti: lmorgantini@europarl.eu.int]
Non c'e' sicurezza con la produzione di armi: la sicurezza e' nella
costruzione della giustizia, e occorre ci si decida per la gestione civile
dei conflitti.
E' di questi giorni la dichiarazione del Presidente del Consiglio
sull'aumento delle spese militari. L'aumento delle spese militari italiane
nel bilancio dello stato italiano non se lo e' inventato l'attuale governo.
Le spese militari, purtroppo, anche nelle finanziarie degli ultimi anni sono
state in costante aumento. Lo scorso anno, ancora col governo di
centrosinistra, si e' arrivati a superare i 34 mila miliardi, ed e' in
previsione una portaerei da quattromila miliardi.
La novita' e' senz'altro nella mancanza di qualsiasi pudore nell'assumere,
approfittando dello shock generale dovuto al terrore scatenato dagli
attacchi negli USA, posizioni apertamente guerriere, nel sostegno senza
reticenza al piano militare americano di sviluppo delle guerre stellari, e
nella volonta' di arricchire e sviluppare ulteriormente il complesso
militar-industriale italiano.
La risposta piu' efficace al terrorismo globale non puo' essere l'aumento
degli armamenti e delle spese militari in tutto il mondo. L'idea di
sicurezza basata sugli strumenti militari non e' stata capace di
neutralizzare la crudelta' e l'efficacia dei terroristi.
Bisogna cominciare a praticare un nuovo paradigma della sicurezza, finora
confinato tra le volontarie e i volontari della pace o gli accademici: un
paese sicuro e' quello capace di costruire il dialogo, la cooperazione, la
solidarieta' sociale.
Per farlo bisogna avere il coraggio di guardare alle contraddizioni e alle
disparita' sociali generate da un sistema economico basato sul liberismo;
per farlo e' indispensabile rimettere in discussione la produzione e la
vendita delle armi e finanziare tutti i possibili strumenti civili di
gestione dei conflitti: la cooperazione economica con le popolazioni
disastrate e sopratutto con le fasce svantaggiate e piu' colpite, il
sostegno alle voci di donne e uomini che nei luoghi del conflitto hanno il
coraggio di riconoscere i diritti dell'uno e dell'altro; per farlo e'
necessaria la costituzione di contingenti di Caschi Bianchi e Rosa preparati
eticamente e competenti all'intervento sul campo, e' indispensabile la
formazione alla nonviolenza delle forze dell'ordine, la promozione dei
network di donne per la gestione dei conflitti e per lo sviluppo.
Quello che il governo ha invece dichiarato e' che si trasferiranno i fondi
dalla spesa sociale alla produzione di guerra.
La solita vecchia storia. Il nostro presidente Pertini e' ormai morto, non
e' piu' qui a ricordare "meno armi, piu' granai" (e anche: piu' lavoro, piu'
ospedali, piu' scuole, piu' case); e una grande parte dell'umanita' muore
ancora di fame o falciata dalle bombe che noi costruiamo.
Allora alle donne e agli uomini che credono che un mondo migliore e'
possibile, lancio un appello alla mobilitazione comune perche' nel bilancio
dello Stato Italiano non vi sia posto per l'aumento delle spese militari.
Gli aumenti di spesa nel bilancio devono essere per il benessere sociale e
non per le armi che portano distruzione e morte.
9. RIFLESSIONE. ROSEMARY LYNCH: PERCHE'?
[Rosemary Linch, suora francescana di 84 anni, ha animato per venti anni le
manifestazioni nonviolente contro gli esperimenti nucleari nel deserto del
Nevada. La traduzione italiana e' stata diffusa dal Centro
interconfessionale per la pace (per contatti: cipax@romacivica.net)]
Noi, cittadini della piu' ricca e piu' potente nazione della terra abbiamo
subito un'esperienza che ci ha scioccato, terrorizzato, fino a costringere
le nostre ginocchia a piegarsi nella preghiera. Noi siamo giustamente
sconvolti per la dimensione della tragedia e del male che e' piombato su di
noi. Ma c'e' una domanda fondamentale finora ignorata nel pubblico
dibattito: perche'? Perche' New York e Washington? Perche' non Londra,
Parigi o Roma? Perche' non Mosca?
Le nazioni hanno la memoria lunga. Alcuni aspetti della malaccorta politica
estera americana continuano a produrre effetti. Anche se molti episodi si
sono sbiaditi nella nostra coscienza nazionale, essi continuano a vivere
nella memoria delle nazioni che ne sono state colpite. Anche se non possono
minimamente sminuire il male degli attacchi diretti contro gli Stati Uniti
l'11 settembre, essi possono aiutarci a comprendere alcune persistenti
animosita' e perfino odii diretti contro il paese che amiamo.
Non molti anni fa gli Stati Uniti hanno dato sostegno e partecipato alle
guerre a bassa intensita' in Centro America, a volte contro i desideri
espressi dalla maggioranza dei cittadini degli Stati Uniti e perfino del
Congresso. Possiamo aver dimenticato qui lo scandalo Iran-Contras, ma sulle
regioni colpite ha lasciato cicatrici ancora aperte. Il Cile ricorda
l'assassinio di Allende. La Baia dei Porci, Grenada, Panama, la Libia, il
Viet-Nam: tutti episodi che hanno lasciato il segno, che hanno avuto effetti
negativi. Abbiamo imparato a metterci in relazione con gli altri popoli in
una posizione che non sia di dominio?
Il nostro atteggiamento sulla scena del mondo viene visto (a volte
giustamente) come un atteggiamento arrogante e non cooperativo. Spesso
tardiamo a dare il nostro contributo alle iniziative internazionali. Abbiamo
negato la nostra partecipazione a vari progetti dell'Organizzazione Mondiale
della Sanita'. Abbiamo respinto il trattato sulla bio-diversita' e quello
sulla messa al bando delle mine. In un mondo che necessariamente deve
diventare sempre piu' unito, questi atteggiamenti sono obsoleti.
Un tempo gli "aiuti all'estero" significavano condivisione di cibo, sementi,
attrezzi agricoli, forniture mediche e supporti educativi. Oggi questo
termine indica prevalentemente vendite di armi o "aiuti" che vengono spesso
usati per rafforzare indegni regimi oppressivi. Questo non ha senso in un
mondo che soffre per la fame, per le epidemie di Aids e di altre malattie.
Cosa si puo' fare? Come nazione abbiamo milioni di cittadini generosi che
lavorano duro. Anche se devoti al nostro paese, siamo tuttavia largamente
"spoliticizzati". La maggioranza dei cittadini non vota nemmeno. Le nostre
campagne politiche, costose ed estenuanti, allontanano molti che trovano che
le riforme promesse non si materializzano. In questi tempi di crisi e di
dolore possiamo convenire che e' importante mostrarci come una nazione non
solo potente, ma anche forte e saggia. Abbiamo i nostri santi e i nostri
profeti. Uno, l'onorevole dott. Martin Luther King, ci consiglio' bene,
quando disse: "L'oscurita' non ci puo' far uscire dall'oscurita', soltanto
la luce puo' farlo". Egli pago' il prezzo estremo per far venire la luce.
Possiamo noi, in qualche maniera, tutti insieme, come nazione, condividere
questa saggezza? Possiamo noi, in tutta la nostra giustificata rabbia e nel
nostro dolore, fermarci abbastanza a lungo per chiederci questo importante
perche'?
10. DOCUMENTAZIONE. ANNA MARIA MERLO INTERVISTA SERGE LATOUCHE
[Questa intervista e' apparsa sul quotidiano "Il manifesto" del 3 ottobre.
Anna Maria Merlo e' la corrispondente da Parigi del quotidiano; Serge
Latouche e' un illustre studioso impegnato nel movimento per la giustizia
globale. Varie affermazioni contenute in questa intervista sono discutibili,
ed alcune ci trovano in profondo dissenso; ma ci sembra comunque un utile
contributo alla riflessione]
L' occidente e' stato colpito al cuore con gli attentati dell'11 settembre,
ma i tre quarti del mondo reagiscono con indifferenza, se non con
soddisfazione. Non sono i "poveri" che hanno organizzato l'attentato di New
York, ma non e' questa crescente poverta' che, in un certo senso, ha reso
possibili gli avvenimenti, che fa da sfondo a tutto cio' che succede? Ne
discutiamo con l'economista Serge Latouche, che nei suoi libri si e'
occupato dei rapporti nord-sud nell'ambito della mondializzazione dominata
dall'occidente.
Serge Latouche: Al momento degli attentati ero a casa e stavo prendendo un
te' con mia moglie e una studentessa del Benin, che sta facendo la tesi con
me. Mia figlia e' arrivata e ci ha informati di quello che stava succedendo.
Sul momento, mi e' sembrato impossibile. Poi abbiamo visto le immagini in
tv. Mia moglie ha chiesto alla ragazza come vengono vissuti in Africa dei
problemi del genere. E la ragazza ha risposto che gli africani sono
completamente al di fuori da tutto cio', che non ci sono quasi giornali e
quei pochi sono scritti in lingue che solo una minoranza capisce. Le
informazioni arrivano dalla radio, ma la maggioranza e' tagliata fuori. Qui
i media dicevano che tutto il mondo era sincronizzato sull'ora americana. Ma
questo non e' vero, almeno per l'Africa.
Anna Maria Merlo: L'occidente ha reagito in modo compatto, come se fosse
preso d'assalto in quanto occidente?
S. L.: Questo mi ha colpito in questa tragedia terribile. Immediatamente
l'attentato e' stato percepito come un atto contro l'occidente, piu' che
contro gli Stati Uniti. Immediatamente, tutti i paesi ricchi hanno fatto
blocco dietro gli Stati Uniti. Chirac ha detto: siamo tutti americani. Ma io
non mi sento americano. Sarebbe stata un'occasione per l'Europa di segnare
la propria differenza, visto che non e' stata l'Europa ad essere attaccata e
questo ha un significato. Quando ho scritto il libro
sull'"occidentalizzazione del mondo" (L'occidentalisation du monde: essai
sur la signification, la portee, et les limites de l'unification planetaire,
La Decouverte, 1989) molti mi avevano criticato. Eppure, la solidarieta' di
tutto l'occidente, che e' subito scattata, prova che questa
occidentalizzazione esiste. Il termine e' stato utilizzato. Bisogna tener
presente che il termine "occidente" ha un senso ben preciso per i
non-occidentali. La Jihad e' una guerra dichiarata contro l'occidente,
contro cio' che significa l'occidentalizzazione del mondo. Di rimbalzo,
anche noi ci riconosciamo, siamo uniti come occidente dallo sguardo
dell'altro. Non ci siamo interrogati a fondo sul fatto che i terroristi sono
giovani sovente con un'elevata istruzione. Abbiamo detto che e' il fanatismo
a spingerli. Ma come si spiega questo fanatismo? Con l'accumulazione
dell'odio.
A. M. M.: E' l'ultraliberismo che, facendo aumentare le differenze
economiche e la poverta' nel mondo, e' all'origine di questo odio, che non
sembra mai stato cosi' forte come oggi?
S. L.: C'e' un'enorme ingiustizia fatta dall'occidente al resto del mondo,
sia in politica che in economia. In politica e' flagrante, a cominciare
dalla situazione tra Israele e i palestinesi. La situazione palestinese non
e' la sola causa, ma si puo' dire che se ci fosse stata la pace in
Medioriente questi attentati non avrebbero avuto luogo. C'e' poi
l'ingiustizia che riguarda l'Iraq, per esempio, dove centomila morti
iracheni sembrano avere lo stesso peso di un morto americano, dove tra
cinquecentomila e un milione di bambini sono vittime dell'embargo. Questo e'
sentito come un'ingiustizia, anche se non c'e' nessuna ragione per avere
simpatia per Saddam Hussein. Tutto cio' alimenta la frustrazione nel mondo
arabo-musulmano. E dietro c'e' una piu' profonda ingiustizia economica. Nel
sistema dei rapporti economici mondiali le ineguaglianze nord-sud hanno
raggiunto proporzioni assolutamente insopportabili. L'ultimo rapporto del
Pnud (Programma per lo sviluppo delle Nazioni Unite) sottolinea che il
patrimonio dei 15 uomini piu' ricchi al mondo e' eguale al pil dell'Africa
sub-sahariana, cioe' di 700-800 milioni di persone. Gli scarti sono enormi,
perpetrati e aggravati dalle leggi del mercato e dalla mondializzazione. Si
puo' dire che gli attentati sono una risposta, certo perversa, a questa
mondializzaazione ingiusta. E succede che un miliardario del sud, sempre che
sia Bin Laden il responsabile, possa essere visto come un eroe da parte dei
poveri, come uno che infligge una specie di punizione ai ricchi. Brutto
sentimento, ma il fatto e' che i paesi del sud vivono l'arroganza degli
Stati Uniti e dell'occidente come qualcosa di insopportabile. Un altro grave
problema e' la cecita' degli Stati Uniti: a differenza degli europei,
l'americano medio ignora il resto del mondo. Non vengono tradotti libri, non
vengono mostrati film o programmi tv del resto del mondo, mentre loro
invadono il mondo con i loro. Cosi' non possono mai mettersi dal punto di
vista dell'altro.
A. M. M.: C'e' chi sostiene che una delle conseguenze di questa crisi
potrebbe essere un ritorno del ruolo dello stato. Lei lo crede?
S. L.: Quello che e' certo e' che non sembra esserci un orientamento verso
una diminuzione delle frustrazioni e delle tensioni. E' vero che il sistema
del capitalismo mondiale e' in difficolta'. Non e' la prima volta che
succede. In questi casi, c'e' la tendenza a rinunciare ad alcuni principi.
Eravamo entrati in una fase di ultra-liberismo, di completa deregulation, su
pressione statunitense. Ma ora alcuni settori dell'economia statunitense
sono in gravi difficolta'. E qui vale la vecchia legge del capitale, in
vigore anche quando predomina l'ideologia piu' liberista: privatizzare i
profitti e socializzare le perdite. Cioe', la liberalizzazione va bene per
gli altri - gli Usa lo hanno gia' dimostrato con i negoziati al Gatt e al
Wto - ma loro sono il paese maggiormente protezionista. Per questo ritengo
che l'affermazione "ci sara' piu' stato", sia ambigua. Non va intesa
certamente nel senso che lo stato tornera' ad essere piu' sociale e piu'
umano. Del resto l'appello allo stato arriva ora, perche' venga in aiuto
alle imprese in difficolta', ma non e' stato lanciato prima, perche' venisse
in aiuto ai 20-30 milioni di persone che negli Usa vivono sotto la soglia
della poverta'. In altri termini: l'affermazione "piu' stato" non significa
che non continuera' lo smantellamento delle protezione sociale, dei servizi
pubblici, ma solo che verranno date decine di miliardi all'aviazione, alle
assicurazioni, ecc. I fondi pensione privati ne usciranno rafforzati. Nel
ritorno dello stato di cui si parla attualmente non credo che si debba
vedere qualcosa di positivo, che va controcorrente. Per gli economisti, e'
semplicemente la rinuncia al dogmatismo teorico, ma in nome della difesa
degli interessi interni degli Stati Uniti.
A. M. M.: La volonta' dichiarata di scovare i soldi del terrorismo, potra'
essere il granello di sabbia nell'ingranaggio che frenera' in parte la
finanziarizzazione dell'economia?
S. L.: Gli Usa riconsiderano la loro posizione almeno su due punti: sui
paradisi fiscali, perche' uno dei mezzi per la lotta al terrorismo e'
bloccare le fonti finanziarie, cioe' lottare contro determinati circuiti
finanziari illegali. Qui, pero', gli Usa sono vittima delle proprie
contraddizioni. Succede la stessa cosa nella lotta alla droga, quando
cercano di distruggere le fonti, mentre il mercato principale della droga
sono gli Usa stessi. E' molto difficile distinguere tra un dollaro pulito e
uno sporco. I paradisi fiscali sono strumenti importanti delle
multinazionali. Viene gettato molto fumo negli occhi su questo fronte
perche' la volonta' di controllare i flussi finanziari criminali finira' con
lo scontrarsi con interessi molto grossi. Sono scettico sui risultati,
perche' mi sembra che non ci sia nessuna volonta' di bloccare i paradisi
fiscali in quanto tali, ma solo certi flussi finanziari illeciti, al momento
per esempio quelli di Ben Laden.
A. M. M.: Il mondo che conosciamo e' finito, ne esce sconvolto dagli
attentati?
S. L.: Viviamo in un mondo dove il rischio e' ormai generalizzato. Rischio
tecnologico, per esempio, come e' successo a Tolosa con l'esplosione della
fabbrica petrolchimica Azf (e secondo Greenpeace avrebbe potuto essere
ancora molto peggio). Quello che e' successo a New York mette in luce la
fragilita' dei sistemi di protezione ipersofisticati di cui disponiamo,
incapaci di impedire a un aereo di linea di schiantarsi contro un
grattacielo, mentre gli Usa volevano il sistema anti-missili. Fragilita'
architettonica, anche. Fragilita', insomma, della mega-macchina che abbiamo
costruito. All'uomo contemporaneo, e la cosa non e' mai stata cosi' forte
nella storia come ora, puo' succedere in ogni momento qualcosa di totalmente
imprevisto. Il nostro sistema di vita puo' essere rimesso in questione da un
secondo all'altro. Abbiamo, insomma, tutto da perdere. E questo fa la forza
del sud, dei deboli: loro non hanno nulla da perdere.
11. UN APPELLO. ARCI: SOLIDARIETA' E SOSTEGNO UMANITARIO AI PROFUGHI AFGHANI
[Dalla segreteria dell'Arci di Sassari riceviamo e pubblichiamo. Per
contatti: segreteria@arcisassari.org]
Si sta profilando in Afghanistan una vera e propria catastrofe umanitaria.
L'allarme viene lanciato dall'Alto Commissariato per i Rifugiati, che stima
che nei prossimi giorni potrebbero arrivare almeno un milione di profughi in
Pakistan, 400.000 in Iran e altri 300.000 nelle repubbliche di Uzbekistan,
Tajikistan e Turkmenistan. Sempre secondo queste stime, in inverno gli
afghani bisognosi di aiuti umanitari potrebbero essere circa 7 milioni e
mezzo.
Gia' adesso il flusso di chi cerca rifugio fuori dall'Afghanistan e'
continuo, e questo esodo avviene in condizioni disastrose, perche' da tempo
esiste in quel paese un'emergenza umanitaria. La poverta', le malattie, la
carestia, hanno concorso a fare di quel popolo uno dei piu' sofferenti del
mondo.
Sono negli occhi di tutti le immagini dei servizi realizzati dai pochi
operatori e fotoreporter che sono riusciti ad entrare nel paese: bambini che
cercano un po' d'acqua scavando nella terra, donne che bruciano lo sterco
dei bufali per cuocere i fili d'erba e le radici raccolte.
Abbiamo un debito di solidarieta' verso questa popolazione, da troppo tempo
privata dei piu' elementari diritti.
L'allestimento di campi profughi nei paesi confinanti e l'invio di aiuti
umanitari e' diventata una drammatica urgenza. Non c'e' tempo da perdere.
C'e' da far fronte a questa emergenza sapendo che le condizioni in cui si
andra' a lavorare sono molto difficili. Bisognera' pianificare con cura gli
aiuti e attrezzarsi per superare le innumerevoli difficolta', ma in tempi
strettissimi.
In un mondo che si e' "balcanizzato" dobbiamo avere la stessa forza d'animo
e la stessa determinazione di cui abbiamo dato prova nei Balcani, in tutti
questi anni, con le nostre azioni di solidarieta'.
Lanciamo una campagna di raccolta fondi, attraverso cui ciascuno, per
quello che puo', contribuisca con un versamento a rendere meno penosa la
sorte dei profughi.
Il numero di conto corrente e': 87210001, intestato ad Arci Nuova
Associazione, via dei Monti di Pietralata 16, 00157 Roma. Causale
"solidaireta' profughi afghani".
12. LETTURE. GIUSEPPE CANTILLO: INTRODUZIONE A JASPERS
Giuseppe Cantillo, Introduzione a Jaspers, Laterza, Roma-Bari 2001, pp. 244,
lire 18.000. Una preziosa monografia dell'eccellente collana laterziana de
"I filosofi".
13. LETTURE. ASSIA DJEBAR: DONNE D'ALGERI
Assia Djebar, Donne d'Algeri, Giunti, Firenze 1988, 2000, pp. 192, lire
16.000. Una delle opere piu' note della grande intellettuale femminista.
14. LETTURE. HANS JONAS: SULL'ORLO DELL'ABISSO
Hans Jonas, Sull'orlo dell'abisso, Einaudi, Torino 2000, pp. 152, lire
22.000. Dieci conversazioni del grande pensatore del principio
responsabilita'.
15. MATERIALI. BENITO D'IPPOLITO: VECCHI VOLANTINI DEL TEMPO DELLA GUERRA
DEL GOLFO
[I testi che seguono sono estratti da volantini diffusi dieci anni fa. Forse
possono ancora essere di qualche interesse e, chissa', di qualche utilita']
Quando verranno le aquile a dirti che e' il momento
tu digli di no, che hai ancora da fare
che c'e' il caffe' sul gas, il rubinetto da aggiustare
che hai promesso a Maria che domani la portavi al cinema.
Quando verranno le aquile, tu digli di no.
*
Qualcuno ancora grida "viva le catene"? qualcuno
ancora s'agita a mazzate nel rigagnolo, Crono
ancora disquatra, divora, vomita esserini?
l'uomo s'arrovescia dunque in scimmia, in drago, in sasso?
"Agli uomini che conservano una certa lucidita'
e un certo senso dell'onesta', noi diciamo:
e' falso che si possa difendere la liberta' qui
imponendo la servitu' altrove".
Diciamo, anche: che e' falso
si possa difendere la liberta' altrove
imponendo qui la servitu'.
*
* Notizie della depressione
Dalla televisione
parlano gli assassini.
Miei cari, io sto bene
non fossero questi draghi che nuotano sui muri
mi tengono sveglio, un po' m'infastidiscono
mi fissano, mi ridono
spariscono se entra qualcuno.
*
Sotto le bombe intelligenti, stupidi
uomini tirano
le cuoia, vacui
guardano il cielo gli occhi dei superstiti.
*
* Da un tazebao
Il dito coltello del padrone
trancia il cuore in petto ai contadini
col solo crescere dell'unghia. C'e' modo
di uccidere senza un sussulto.
"Come potrebbe esservi un uomo ricco
se non vi fossero migliaia di poveri?"
16. MATERIALI. PER STUDIARE LA GLOBALIZZAZIONE: DA ALFONSO SASTRE A VOLKER
SCHLOENDORFF
* ALFONSO SASTRE
Profilo: intellettuale democratico spagnolo, drammaturgo e scrittore,
perseguitato dal regime franchista e più volte imprigionato. Opere di
Alfonso Sastre: tra le opere teatrali cfr. almeno Escuadra hacia la muerte e
La mordaza, pubblicate in unico volume da Castalia, Madrid 1986; per la
produzione critica cfr. La rivoluzione e la critica della cultura, Cappelli,
Bologna 1978.
* CHAIWAT SATHA-ANAND
Profilo: illustre personalita' della nonviolenza, docente universitario a
Bangkok, membro del comitato scientifico della International University of
People's Institution for Peace (IUPIP). Opere di Chaiwat Satha-Anand: Islam
e nonviolenza, EGA, Torino 1997.
* FERNANDO SAVATER
Profilo: filosofo e saggista, nato a San Sebastián nel 1947, professore di
Etica all'Università dei Paesi Baschi. Opere di Fernando Savater: Etica per
un figlio, Etica come amor proprio, Il giardino dei dubbi, L'infanzia
recuperata, Politica per un figlio, Dizionario filosofico, Cattivi e
maledetti, A mia madre, mia prima maestra; tutti editi in Italia da Laterza.
* BIANCAMARIA SCARCIA AMORETTI
Profilo: studiosa della cultura araba ed islamica. Opere di Biancamaria
Scarcia Amoretti: Tolleranza e guerra santa nell'Islam, Sansoni, Firenze.
* VANNI SCHEIWILLER
Profilo: editore, amico della poesia. E' scomparso nell'ottobre 1999.
* CARLO SCHENONE
Profilo: e' da molti anni a Genova una delle figure piu' impegnate nella
riflessione sulla nonviolenza e nella pratica di essa nei movimenti e nei
conflitti sociali, particolarmente attivo nella formazione; con una lunga,
ampia e qualificata esperienza sia di impegno politico e sociale di base,
sia di rappresentanza nelle istituzioni, sia di intervento meditato e
propositivo nelle sedi organizzative e di coordinamento, di dibattito e
decisionali, dei movimenti per i diritti.
* EDWARD SCHILLEBEECKX
Profilo: nato ad Anversa nel 1914, domenicano, teologo; è stato il
principale ispiratore del Nuovo catechismo olandese, ha contribuito al
Concilio Vaticano II, ha fondato insieme a Karl Rahner la rivista
"Concilium". Di formazione tomistico-fenomenologica (fu allievo di De
Petter), influenzato dall'esistenzialismo e dal personalismo, si accostò poi
alla teologia della speranza e successivamente anche alle teologie della
prassi, sviluppando un ulteriore confronto con altri approcci del panorama
filosofico contemporaneo, e particolarmente con l'ermeneutica.
* LUISA SCHIPPA
Profilo: collaboratrice di Aldo Capitini, straordinaria promotrice e
testimone della nonviolenza. Opere di Luisa Schippa: segnaliamo almeno il
suo importante contributo al volume Il messaggio di Aldo Capitini, Lacaita,
Manduria 1977.
* VOLKER SCHLOENDORFF
Profilo: regista cinematografico tedesco, nato nel 1939. Aiuto regista di
Luis Malle in Zazie dans le métro; di Alain Resnais in L'anno scorso a
Marienbad; di Jean-Pierre Melville in Leon Morin prete; autore di film di
rigoroso impegno politico. Opere di Volker Schlöndorff: segnaliamo almeno Il
caso Katharina Blum, 1975; Il tamburo di latta, 1979; Tutti colpevoli, 1987;
Il raconto dell'ancella, 1990; The Ogre. L'orco, 1996. Opere su Volker
Schlöndorff: Alberto Cattini, Volker Schlöndorff, Il Castoro Cinema.
17. LA DOMANDINA DEL CRITICONE
"Le prove le abbiamo, ma le teniamo segrete".
In quale tribunale del mondo si accetterebbe una posizione simile?
18. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.
19. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org ;
per contatti, la e-mail è: azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
http://www.peacelink.it/users/mir . Per contatti: lucben@libero.it ;
angelaebeppe@libero.it ; mir@peacelink.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it . Per
contatti: info@peacelink.it
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac@tin.it
Numero 248 del 4 ottobre 2001