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Cecenia e Afghanistan: i misteri dietro gli attacchi terroristici
Terrorismo ceceno e terrorismo afghano: gli scomodi retroscena che nessuno
ha voglia di raccontare
Come la guerra annunciata dagli USA all'Afganistan anche l'attuale guerra
della Russia in Cecenia nasce da attacchi terroristici attribuiti a gruppi
di fanatici islamici.
Nell'autunno del 1999 attentati dinamitardi squarciarono le cittą russe e
causarono 300 morti. Le indagini puntarono subito sulla pista del
"terrorismo islamico".
A questo proposito riportiamo qui di seguito una parte del dossier
realizzato dal segretario di PeaceLink Carlo Gubitosa dopo la sua missione
di pace in Cecenia realizzata a metą dello scorso anno.
In esso si legge:
"Un pretesto con cui si e' cercato di legittimare la seconda guerra
in Cecenia e' stata la "lotta al terrorismo" intrapresa dalla Russia
nell'autunno '99, in seguito alla serie di attentati dinamitardi che
ha causato circa 300 vittime nelle citta' di Mosca, Volgodonsk,
Vladikavkaz e Buinasks (...)
Per quanto riguarda l'ondata di attentati terroristici che ha fatto da
preludio alla guerra, allo stato attuale delle cose non ci sono prove
che questi attentati siano stati organizzati ad arte per favorire
l'ascesa di un potere autoritario. E' un dato di fatto, tuttavia, che
Vladimir Putin ha indubbiamente saputo sfruttare a proprio vantaggio
lo stato d'animo creato nell'opinione pubblica dalle esplosioni
terroristiche, indipendentemente da chi abbia commissionato e
progettato queste esplosioni (...)
Ho avuto inoltre la possibilita' di esaminare un rapporto interno di
una organizzazione non governativa, che evito di nominare per ragioni
di sicurezza e di tutela delle fonti, un rapporto nel quale e' scritto
testualmente che "ci sono alcune prove circostanziali del
coinvolgimento dei servizi segreti russi nell'organizzazione degli
attentati terroristici che hanno ucciso piu' di 300 persone". (...)
L'improvvisa ascesa della popolarita' di Putin, che si e' posto
davanti agli elettori come l'"uomo forte" in grado di mantenere
l'unita' della federazione e di reprimere il terrorismo, potrebbe
essere proprio la diretta conseguenza della creazione artificiosa di
questo "nemico esterno" che ha risvegliato nella popolazione il
desiderio di un leader forte in grado di imporre l'ordine e la
giustizia con il pugno di ferro".
L'attuale appoggio di Putin a Bush puo' essere pertanto interpretato e
spiegato alla luce di queste dinamiche. Invito a leggere questo pezzo del
dossier che, alla luce dei fatti attuali, appare quanto mai istruttivo
anche per comprendere come l'Islam venga strumentalizzato da gruppi di
potere per scopi inconfessabili.
A.M.
PeaceLink
www.peacelink.it
DOSSIER CECENIA (ESTRATTO)
A partire dalla firma dell'accordo di pace del 1996 gli interessi
delle bande armate cecene si scontrano con quelli di Mosca, che
vorrebbe affidare il controllo delle attivita' in Cecenia ai propri
uomini di fiducia. Man mano che i gruppi militari ceceni diventano
sempre piu' potenti, questo conflitto di interessi continua a
inasprirsi.
Uno dei fattori che ha contribuito all'esplosione della violenza in
Cecenia e' proprio questa macroscopica "guerra tra gang" dove la posta
in gioco nello scontro tra bande e' il controllo delle attivita'
economiche e commerciali di una intera regione geografica. La
popolazione civile e' stata solo una pedina sacrificabile di questo
scontro, schiacciata in mezzo a sporchi giochi di potere. In questa
chiave di lettura i traffici illeciti delle fazioni estremiste
dell'esercito ceceno hanno rappresentato un vero e proprio tradimento
di quello spirito indipendentista che ha animato molti giovani
guerriglieri nella guerra 1994/96, uno spirito strumentalizzato dai
capibanda dei gruppi armati per raggiungere obiettivi che non hanno
niente a che vedere con la liberta', l'indipendenza e la tutela della
popolazione cecena. Questi assassini travestiti da partigiani non si
sono fermati nemmeno davanti alla prospettiva di un nuovo e sanguinoso
conflitto pur di salvaguardare a tutti i costi i propri interessi. Il
protrarsi di una situazione di conflitto armato in Cecenia torna a
tutto vantaggio di questi "signori della guerra", che riescono a
gestire con piu' facilita' i loro traffici, disponendo di un potere
vessatorio che utilizzano a danno delle popolazioni inermi.
LA "GUERRA SANTA" DELL'ISLAM IN CECENIA
Oltre alla violenza delle bande armate e delle fazioni estremiste
dell'esercito, un'altra causa della guerra e' legata al
fondamentalismo islamico, una potente benzina che in Cecenia alimenta
costantemente il fuoco della violenza. In Cecenia e nel vicino
Daghestan sono molte le organizzazioni politiche e i gruppi armati che
fanno riferimento all'Islam; il gruppo fondamentalista che negli
ultimi anni ha acquisito la piu' grande potenza economica e militare
nella zona del Caucaso e' quello degli "wahhabiti", che devono il loro
nome alla setta islamica puritana della penisola arabica fondata nel
XVIII secolo dal predicatore Mohamad Ibn Abdelwahhab. I wahhabiti del
2000 sono dei gruppi armati che hanno tra i loro leader Shamil Bassaev
e Amir Khattab, due capi militari che dietro il loro fondamentalismo
religioso nascondono interessi inconfessabili legati ad attivita'
illecite. Khattab, dopo un periodo trascorso in Afghanistan, approda
in Cecenia negli ultimi mesi della prima guerra, e inizia a reclutare
il suo esercito personale di milizie islamiche, che al termine della
guerra diventera' una delle fazioni piu' potenti delle forze armate.
Bassaev inizia la sua carriera militare nel 1992, quando l'Abkhazia
da' il via ad una guerra di indipendenza contro la Georgia. Dopo la
guerra diventa addirittura vice-ministro della difesa di Abkhazia,
presumibilmente grazie ad una collaborazione con il GRU (Glavnoe
Rasvedivatelnoe Upravlenie), il servizio segreto militare russo. I
rapporti tra Bassaev e il Gru sono stati ampiamente documentati nella
ricostruzione della guerra in Abkhazia fatta nel febbraio 2000 da
Piotr Prianishinikov, sul settimanale "Versija".
Le "relazioni pericolose" di Bassaev includono anche esponenti di
spicco del mondo dell'alta finanza di Mosca, come ad esempio Boris
Berezovski, finanziere vicino alla famiglia Eltsin, che ha
pubblicamente ammesso di aver elargito dei finanziamenti a Bassaev per
le sue attivita'. Bassaev, Khattab e le loro milizie islamiche
ricevono fondi dall'Afghanistan, dal Pakistan e da organizzazioni
clandestine del medio oriente, ma altri finanziamenti ai gruppi armati
wahhabiti arrivano anche da Mosca.
Bassaev ha piu' volte invocato la "jihad", la guerra santa islamica,
come soluzione definitiva ai problemi della Cecenia e del Caucaso in
generale, facendo leva sugli strati piu' deboli della
popolazione. Molti giovani ceceni sono stati attratti dalle seduzioni
del fondamentalismo islamico e hanno cercato nell'Islam, oltre al loro
stipendio di soldati, quell'ordine, quella stabilita' e quella
sicurezza che non riuscivano a trovare altrove, senza sapere che i
loro stessi comandanti avrebbero contribuito all'esplosione di una
nuova guerra, strumentalizzando la loro aspirazione a migliori
condizioni di vita e distruggendo il loro sogno di una societa' piu'
giusta e pacifica retta dalla "sharia", la legge islamica.
Nell'estate del 1999 Bassaev e Khattab danno il via ad una campagna
militare in grande stile, un raid sul Daghestan fallimentare,
insensato e provocatorio, compiuto all'insaputa e senza il consenso
del Presidente Maskhadov. Per incoscienza o per calcolo, le milizie
islamiche regalano a Vladimir Putin un ottimo pretesto per stringere
ancora una volta il pugno di ferro della Federazione Russa attorno
alla Cecenia.
E' importante chiarire che le truppe islamiche di Bassaev e Khattab
non sono affatto dei gruppi di partigiani che lottano per la liberta'
e l'indipendenza dei ceceni. Si tratta invece di una ristretta
minoranza all'interno del paese, una minoranza purtroppo molto potente
e ben armata, che non rappresenta assolutamente ne' la popolazione
della Cecenia ne' l'esercito regolare, che si e' trovato a dover
combattere suo malgrado una guerra provocata da altri.
L'8 agosto 1999 Bassaev e Khattab, alla testa del loro esercito,
invadono la repubblica del Daghestan, cercando di instaurare uno
"stato islamico" nei territori di frontiera tra Cecenia e Daghestan,
un obiettivo che non ha nulla a che vedere con la tutela della
popolazione cecena o con l'affermazione della sua indipendenza, ma che
riguarda unicamente le mire espansionistiche e la sete di potere dei
fondamentalisti islamici.
Dopo un primo tentativo, fallito per l'opposizione della popolazione
locale all'invasione islamica, la "guerra santa" riparte a settembre,
e anche il secondo tentativo fallisce miseramente.
Il primo ottobre le truppe russe entrano in Cecenia per dare il via,
con il pretesto della "lotta al terrorismo", ad un folle massacro di
civili inermi.
LA LOTTA PER L'UNITA' DELLA RUSSIA
Un'altra delle partite attualmente in gioco sulla scacchiera del
Caucaso e' quella per la repressione delle velleita' separatiste in
Cecenia e in altre regioni della Russia. Dopo la disgregazione
dell'Unione Sovietica, anche nella Federazione Russa iniziano a
manifestarsi i sintomi di una possibile frammentazione, che i vertici
del Cremlino stanno cercando di impedire con tutti i mezzi a loro
disposizione, in nome dell'unita' della "Grande Russia".
Per la Russia perdere il controllo sulla Cecenia non significherebbe
solamente rinunciare ad un territorio di grandissima importanza
strategica, ma sarebbe anche un pericoloso precedente, un "cattivo
esempio" per altre regioni che potrebbero decidere di seguire le orme
della Cecenia avviandosi verso il separatismo, l'autonomia e il
distacco dalla Federazione.
Un taglio netto del cordone ombelicale che lega la Cecenia alla Russia
potrebbe scatenare una reazione a catena, alimentando le velleita'
separatiste di territori islamici come il Tatarstan, il Bashkortostan
e il Daghestan, o di zone buddiste come la Kalmukkia e la Burjatia.
La guerra in Cecenia e' stata anche questo: uno straordinario
"collante" che ha scongiurato, o piu' probabilmente solo rimandato, il
pericolo della disgregazione di una federazione corrosa al suo interno
dal malgoverno, dalla corruzione e dalla criminalita'.
QUANTO SANGUE COSTA UN LITRO DI BENZINA ?
La guerra in Cecenia e' stata anche una guerra per il controllo delle
"vie del petrolio" nel Caucaso, una guerra con cui la Russia ha voluto
rispondere all'"affronto geopolitico" rappresentato dalla recente
costruzione di nuovi oleodotti che consentirebbero dei "percorsi
alternativi" per il trasporto del greggio dal mar Caspio al
Mediterraneo.
Il transito del petrolio e del gas naturale che viaggiano dal Caspio
per raggiungere l'Europa e' stato da sempre in mano alle grandi
compagnie petrolifere della Russia, grazie al controllo dell'oleodotto
che collega Baku, citta' situata in Azerbaigian sulle rive del Caspio,
a Novorossijsk, che si affaccia sul mar Nero.
Fino a pochi mesi fa questa "pipeline", rimessa in funzione nel
novembre 1997 dopo un compromesso con le autorita' cecene, era l'unica
via di transito per il petrolio e il gas naturale, e garantiva alla
Russia un monopolio di fatto nel settore energetico, che costituisce
il 23% delle esportazioni e il 12% del prodotto interno lordo della
federazione.
Il 17 aprile 1999 l'apertura di un nuovo oleodotto ha modificato
radicalmente l'equilibrio geopolitico della zona, creando una nuova
via di transito per le risorse energetiche, un percorso che attraversa
territori autonomi al di fuori della Federazione, su cui la Russia non
ha un controllo diretto. Questa nuova "pipeline", che parte da Baku
per raggiungere Supsa, porto della Georgia sulle rive del mar Nero, ha
di fatto aperto una prima breccia nel monopolio russo. Oltre ad avere
una valenza economica e geopolitica, questa nuova "via del petrolio"
ha anche una forte valenza militare, poiche' l'oleodotto Baku-Supsa
rientra di fatto nel sistema di sicurezza Nato, grazie ad una alleanza
militare regionale tra Georgia, Ucraina, Azerbaigian e Moldavia, i
cosiddetti "stati del GUAM", dal nome delle iniziali dei paesi. Questi
stati hanno richiesto una stretta cooperazione con la Nato, che ha
accolto favorevolmente la proposta di un intervento nella zona per
difendere il nuovo oleodotto, dal momento che i paesi dell'alleanza
atlantica avrebbero tutto l'interesse ad estromettere la Federazione
Russa dal giro di affari legato al transito del petrolio e del gas
naturale.
L'oleodotto Baku-Supsa non e' l'unica minaccia agli interessi della
Russia nel settore energetico. Nel novembre 1999 Turchia, Azerbaigian
e Georgia hanno annunciato la firma di un accordo per la costruzione
di una "via turca" del petrolio, che in futuro dovrebbe collegare Baku
al porto turco di Ceyhan, che affaccia direttamente sul
Mediterraneo. Anche questo oleodotto sarebbe automaticamente collocato
nel sistema di sicurezza della Nato, e i consorzi che presiedono alla
sua realizzazione hanno previsto investimenti per 7 miliardi di
dollari.
L'elenco dei principali finanziatori del progetto comprende, oltre ai
governi della Turchia e dell'Azerbaigian, anche Eni, Chevron, Shell e
Unocal. Tra le cause del secondo conflitto in Cecenia c'e' anche lo
scontro tra gli interessi della Russia e quelli delle potenze
occidentali che si sono unite agli stati del GUAM per il controllo del
transito del petrolio. In questo scontro la Cecenia e' un territorio
di fondamentale importanza strategica, situato su uno degli snodi
chiave della linea Baku-Novorossijsk, un punto di passaggio che la
Russia non puo' permettersi assolutamente di perdere se vuole restare
in gara per la supremazia nel settore energetico.
La prima risposta della Russia all'affronto geopolitico rappresentato
dai nuovi oleodotti e' stata questa campagna militare che ha
sottomesso con la forza un "pezzo di oleodotto" che minacciava di
andarsene per conto proprio. Un'altra risposta alle nuove rotte del
petrolio che aggirano la Russia a sud sara' probabilmente il
completamento di un nuovo oleodotto russo, la cui costruzione e'
iniziata nel maggio 1999, che trasportera' fino a Novorossijsk il
petrolio estratto in Kazakistan sul lago Tenghiz.
UNA GUERRA SU MISURA
L'aspetto piu' inquietante di questa guerra e' la possibilita' che
l'offensiva scatenata contro la Cecenia sia stata una forma perversa
di "campagna elettorale", progettata freddamente a tavolino e
costruita sulla pelle di migliaia di civili, per creare attorno a
Vladimir Putin, uomo di fiducia di Eltsin, il consenso di cui aveva
bisogno per conquistare la presidenza della Federazione.
Oltre allo sconfinamento in Daghestan delle milizie islamiche, un
altro pretesto con cui si e' cercato di legittimare la seconda guerra
in Cecenia e' stata la "lotta al terrorismo" intrapresa dalla Russia
nell'autunno '99, in seguito alla serie di attentati dinamitardi che
ha causato circa 300 vittime nelle citta' di Mosca, Volgodonsk,
Vladikavkaz e Buinasks.
E' opinione diffusa che questa serie di attentati, e il conseguente
bombardamento della Cecenia, possano far parte di una "strategia della
tensione" russa con la quale il clan di Boris Eltsin ha cercato a
tutti i costi di conservare il potere. La guerra in Cecenia nata dalla
lotta al terrorismo potrebbe essere un conflitto contro un nemico
esterno creato ad arte per distogliere l'attenzione da altri gravi
problemi che affliggono la federazione: instabilita', assenza di
ordine, corruzione.
L'improvvisa ascesa della popolarita' di Putin, che si e' posto
davanti agli elettori come l'"uomo forte" in grado di mantenere
l'unita' della federazione e di reprimere il terrorismo, potrebbe
essere proprio la diretta conseguenza della creazione artificiosa di
questo "nemico esterno" che ha risvegliato nella popolazione il
desiderio di un leader forte in grado di imporre l'ordine e la
giustizia con il pugno di ferro.
In questo processo anche i mezzi di informazione russi hanno giocato
un ruolo fondamentale. La campagna militare contro la Cecenia e' stata
accompagnata da una campagna di disinformazione altrettanto massiccia
e sistematica, che ha portato alle stelle il consenso verso le
"maniere forti" di Putin alimentando l'odio e la paura dei russi nei
confronti dei ceceni, dipinti come una popolazione composta unicamente
da criminali e terroristi spietati. In un rapporto dell'autunno '99
Amnesty International ha espresso la sua preoccupazione perche' la
risposta del governo russo agli attentati dinamitardi "sembra essere
una campagna per punire un intero gruppo etnico"
"Dite all'Italia che non siamo dei terroristi". Parlando con i
profughi ceceni ammassati nei campi dell'Inguscezia ho sentito questa
frase molte volte, e ogni volta ho ripetuto che fortunatamente
l'equazione "ceceno uguale terrorista" non era ancora radicata
nell'opinione pubblica italiana.
Purtroppo in Russia questa campagna di criminalizzazione mediatica ha
avuto un pieno successo. La protesta contro la seconda guerra in
Cecenia e' stata molto piu' debole della protesta contro il primo
intervento armato, in occasione del quale una larghissima fetta
dell'opinione pubblica aveva manifestato la sua disapprovazione verso
la guerra. Questo effetto e' dovuto anche e soprattutto all'azione dei
mezzi di informazione, a cui e' mancata la capacita' o la volonta' di
distinguere tra la popolazione cecena nella sua interezza e una
minoranza di gruppi armati e terroristici
Per quanto riguarda l'ondata di attentati terroristici che ha fatto da
preludio alla guerra, allo stato attuale delle cose non ci sono prove
che questi attentati siano stati organizzati ad arte per favoorire
l'ascesa di un potere autoritario. E' un dato di fatto, tuttavia, che
Vladimir Putin ha indubbiamente saputo sfruttare a proprio vantaggio
lo stato d'animo creato nell'opinione pubblica dalle esplosioni
terroristiche, indipendentemente da chi abbia commissionato e
progettato queste esplosioni.
Anche se non si dispone ancora di prove incontrovertibili, esistono
tuttavia alcuni elementi degni di essere presi in considerazione per
capire meglio il collegamento tra gli atti terroristici dell'autunno
'99 e la guerra in Cecenia.
Il 29 ottobre '99 David Satter, membro dello Hudson Institute e della
Scuola di studi internazionali avanzati della John Hopkins University,
in un articolo apparso sul "Washington Times" affermava che "via via
che l'investigazione procede, la possibilita' che le esplosioni siano
state pianificate da elementi della leadership russa diventa piu'
plausibile". A gennaio del 2000 il giornale inglese "The Independent"
ha pubblicato inoltre la confessione di Aleksei Galtin, un ufficiale
del Gru secondo il quale il servizio segreto militare russo sarebbe
coinvolto negli attentati terroristici dell'autunno '99.
Un altro indizio inquietante e' contenuto in un articolo di Giulietto
Chiesa pubblicato su "la rivista del manifesto" nel numero di maggio
2000. Secondo la ricostruzione fatta da Chiesa tutti gli attentati
dinamitardi sarebbero stati effettuati utilizzando exogene, un
esplosivo impiegato dalle forze armate russe per la nuova generazione
di proiettili d'artiglieria.
Gli investigatori hanno affermato che per ogni bomba era stata
utilizzata una quantita' di exogene variabile tra i 200 e i 300
chili. Oltre alle quattro esplosioni effettivamente avvenute, le
autorita' russe hanno dichiarato di aver scongiurato l'esplosione di
altre cinque bombe. Risulta quindi che gli attentatori avrebbero
utilizzato almeno 1800 chili di exogene, un esplosivo che in Russia si
produce unicamente nella fabbrica di Perm, situata negli Urali.
Come abbia fatto un gruppo di terroristi ceceni a trafugare 18
quintali di esplosivo da una fabbrica top secret e a portare
tranquillamente in giro per varie citta' della Russia tutto questo
esplosivo, rimane tuttora un mistero.
Molti esponenti di ONG e organizzazioni umanitarie con cui ho parlato
durante il mio soggiorno in Russia e in Cecenia mi hanno confermato la
possibilita' che la serie di attentati dell'autunno '99 sia stata una
provocazione realizzata da persone estranee alla guerriglia cecena.
Ho avuto inoltre la possibilita' di esaminare un rapporto interno di
una organizzazione non governativa, che evito di nominare per ragioni
di sicurezza e di tutela delle fonti, un rapporto nel quale e' scritto
testualmente che "ci sono alcune prove circostanziali del
coinvolgimento dei servizi segreti russi nell'organizzazione degli
attentati terroristici che hanno ucciso piu' di 300 persone".
Questi sospetti, condivisi da numerosi giornalisti e analisti
politici, sono diffusi anche tra la gente comune. Commentando questo
insieme di indizi che collegano gli attentati dinamitardi ai servizi
segreti russi, Giulietto Chiesa ha rilevato che "forse si e' trattato
di una coincidenza. Ma se e' stato cosi', si deve dire che e' stata
una coincidenza davvero fantastica. Forse non e' stata una
coincidenza, e allora bisogna tenersi forte, perche' gente che si
spinge fino a questi lidi e' capace di compiere ogni crimine, perfino
quelli che l'uomo comune non e' in grado nemmeno di immaginare".
Nel frattempo le indagini per individuare i responsabili degli
attentati sono a un punto morto. A mesi di distanza dalle esplosioni,
non si sa neppure se le autorita' di Perm hanno ritenuto opportuno
aprire un'inchiesta nei confronti dei responsabili della fabbrica di
exogene. La Russia, intanto, sembra avviata ad un ingresso trionfale