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Rassegna stampa fino al 10 agosto
Le Monde sui fatti di Genova
Questo è l’editoriale apparso su «Le Monde»
dell'8/8/2001.
Il dopo-Genova non è finito e il caso non deve essere chiuso. In
nessun caso. La posta è importante per l'Europa, se si vuole uno spazio
di libertà. In questo caso, l'inchiesta che le autorità italiane stanno
conducendo sul comportamento della polizia durante il summit del G 8 va
bene al di là di una questione tecnica per mantenere l'ordine. E'
evidente, le forze di polizia erano mal preparate e sorprese di fronte
alla violenza di alcune centinaia di manifestanti - su 200 mila - venuti
a rompere, distruggere ed aggredire. Erano chiaramente mal inquadrati e
mal organizzati da capi a loro volta inadeguati. La polizia svedese aveva
fatto i conti con questi insuccessi poche settimane prima, all'epoca del
summit di Goteborg.
Ma questo non è il vero problema. A Genova - e non a Goteborg - c’è stato
ben altro che l’inadeguatezza della polizia. Se si ascoltano tutte le
testimonianze raccolte, c'è stata, in almeno due circostanze, una
violenza poliziesca sistematica, quasi programmata contro i manifestanti
pacifici o, peggio, contro persone detenute. E' quanto è accaduto durante
la «perquisizione» della polizia alla scuola Diaz, utilizzata come
dormitorio da manifestanti tranquilli: essi sono stati letteralmente
aggrediti dalle forze dell'ordine con comportamenti da teppisti. Ed è
quello che è accaduto, in modo decisamente più grave, alla caserma di
Bolzaneto, dove erano state raggruppate molte delle persone arrestate. In
questo caso, né interrogatori o controlli d'identità, ma una sorta di
operazione punitiva programmata da alcune unità di polizia.
Giovani europei sono stati selvaggiamente pestati, minacciati di stupro,
obbligati a restare più di dieci ore in piedi con la faccia al muro e la
testa sanguinante, costretti a non dormire, insultati e picchiati dai
poliziotti. Alcuni magistrati italiani non hanno esitato a parlare di
tortura. Per primo, il presidente italiano, Carlo Azeglio Ciampi ha
suonato l'allarme. Due inchieste sono in corso, una parlamentare, l'altra
governativa. Devono arrivare a una conclusione, fare chiarezza. L'Unione
europea non può, non deve essere uno spazio di violenze poliziesche, a
rischio di rinnegare i valori che i suoi dirigenti proclamano ad ogni piè
sospinto. Non si può discutere a lungo sul deficit democratico
dell'Europa e tollerare fatti di tale gravità. Molti giovani europei
hanno avviato azioni giudiziarie contro lo Stato italiano. E se l'Unione,
uno degli organi dirigenti, in un gesto a sua volta simbolico e molto
concreto, si facesse carico delle spese processuali?
Copyright «Le Monde»,
traduzione di Stefano Boldrini
L'Unità 6/8/2001
Filmati smentiscono La Barbera:
nessuna resistenza durante l'irruzione alla Diaz
di Maria Annunziata Zegarelli
Si aggiungono nuove versioni dei fatti su quanto avvenuto la notte del
blitz nella scuola Diaz a Genova. L’ultima novità è quella contenuta in
due filmati - due dei tanti che la questura sequestrò ai manifestanti
durante la perquisizione - che sembrano smentire clamorosamente il capo
dell’Ucigos Arnaldo La Barbera. Avrebbe mentito l’alto dirigente quando
ha fornito la sua versione dei fatti. Non ci fu alcun lancio di vetri,
bottiglie e oggetti contundenti dalle finestre dell’edificio. Non è vero,
dunque, che i ragazzi opposero resistenza.
Tutta la violenza che seguì all’irruzione, dunque, non fu «conseguenza»
del comportamento degli antiglobalizzatori. In procura hanno acquisito le
cassette che, se non aggiungono nulla rispetto a chi effettivamete guidò
l’operazione, possono contribuire a ricostruire il «clima». Ieri mattina,
intanto, i magistrati hanno chiesto alla polizia un elenco dei
responsabili dei vari reparti e dei turni di tutti i poliziotti che si
sono avvicendati nella caserma di Bolzaneto, dove sono stati portati i
ragazzi fermati durante il G8. Ormai sembra chiaro che in quella caserma
ci furono torture e sorprusi, come confermano le testimonianze dei
ragazzi «passati» loro malgrado in quella caserma in momenti diversi: le
loro versioni - sulle canzoni fasciste cantate, le «punizioni» a cui
erano sottoposti, le botte - coincidono. Come se ci fosse stata una sola
regia a guidare la gestione dei detenuti. Come se chi agiva contro i
manifestanti inermi, fosse tranquillo della propria impunità. La stessa
sensazione che ha avuto chi quella notte del blitz alla Diaz era là
fuori, e sentiva le urla dei no-global picchiati. È probabile, allora,
che ad indagine conclusa, a pagare siano non solo gli esecutori materiali
dei pestaggi, ma i responsabili dei vari reparti. Si potrebbe così far
ricorso all’articolo 608, quello che prevede sanzioni per gli abusi
dell’autorità nei confronti di arrestati o detenuti. Per ora sono solo
ipotesi al vaglio degli inquirenti, anche se dalle deposizioni raccolte
finora restano pochi dubbi.
Ma sulla tabella di marcia dei magistrati è previsto anche un sopralluogo
alla Fiera del Mare, dove sarebbero avvenuti altri pestaggi delle prime
persone fermate, soprattutto i giovani presi durante gli scontri nella
zona della Foce. Una volta bloccati i manifestanti sarebbero stati
picchiati in strada, sulle camionette, alla Fiera e poi di nuovo a
Bolzaneto.
Dal quadro complessivo che emerge dalle varie ricostruzioni dei
testimoni, delle vittime, di molti poliziotti che hanno parlato, si va
via via delineando un’ipotesi inquietante: che forse quel vuoto di
potere, di cui parla Pippo Micalizio, l’ispettore inviato dal ministro
dell’Interno Scajola, per far luce sui fatti di Genova, in realtà non è
stato casuale.
Comunque sia, sarà dura, stavolta, per Arnaldo La Barbera, continuare a
sostenere che l’assalto alla Diaz fu conseguenza della «dura opposizione»
dei manifestanti chiusi all’interno dell’edificio. Sarà difficile
ribadire quella prima versione dei fatti fornita dal prefetto: «Quando
sono arrivato ho trovato i reparti già disposti davanti alla scuola. Gli
uomini erano ancora fuori dai cancelli e dall’interno sono piovute pietre
e oggetti di ogni genere...». Una versione, la sua, scoffessata dalle
immagini, ancora una volta, catturate da un video amatoriale. Due
cassette che i dirigenti della Digos di Genova, Spartaco Mortola e il suo
vice, Alessandro Perugini (fotografato mentre durante la menifestazione
di piazza pestava un calcio) si sono affrettati a consegnare in procura,
subito dopo averle visionate attentamente. Sono due filmati che
ripercorrono i momenti immediatamente successivi all’irruzione.
Il primo: una telecamera inquadra la scena dall’alto, dall’edificio di
fronte, che ospitava il centro stampa del Genoa Social Forum. Ci sono i
poliziotti, ripresi di spalle, schierati - manganelli in mano - davanti
al cancello chiuso della Diaz. In prima fila ci sono uomini in borghese,
con il volto coperto dai fazzoletti, il giubbotto con su scritto Polizia.
Subito dopo gli agenti in divisa. Un furgone, un Ducato, sfonda il
cancello. Gli agenti si accalcano e si fermano davanti al portone, che
viene sfondato in pochi istanti. Le luci dentro la Diaz sono accese,
tanto che quando si apre il portono si distingue una panca messa di
traverso. C’è qualche ragazzo. Ma dall’alto, dalle finestre, non si vede
volare nessuno oggetto. Ci sono dei vetri che vanno i frantumi.
Il secondo: sono gli stessi poliziotti a sfondare i vetri del pian
terreno per entrare. L’orologio è fermo alle 23.06 del 21 luglio 2001
(forse la telecamera era ferma all’ora solare, visto che molti testimoni
dicono che tutto è avvenuto intorno a mezzanotte). La telecamera rimanda
l’immagine di decine e decine di poliziotti in borghese e in divisa, che
entrano anche da un portone laterale. Cadono altri vetri, sotto i colpi
dei manganelli. Non c’è traccia di alcuna resistenza nel giardino della
scuola.
Quale era «il forte contrasto» incontrato dagli agenti durante la
perquisizione? Forse quello dei ragazzi che, sorpresi nel sonno, hanno
cercato di sfuggire ai calci e alle manganellate? Vincenzo Canterini,
capo del Reparto mobile di Roma, indicato come uno dei massimi
responsabili diq uanto avvenuto quella notte - tanto che Micalizio ne
suggerisce la destituzione - ha ribadito che incontrarono forte
opposizione da parte dei ragazzi, tanto che lo sfondamento, ha riferito,
è durato due o tre minuti. Ed ha aggiunto che quando entrarono c’erano
già feriti a terra. Tante versioni, quelle di dirigenti e alti
funzionari, che, queste no, non coincidono. Forse, a indagini concluse,
la verità verrà fuori.
Vedere anche
http://www.unita.it/speciale_g8.asp
"Violenze e atti di rudezza
a Bolzaneto un vero disastro"
La relazione dell'ispettore Montanaro sul reclusoriolager
il carcere
La Repubblica 9 agosto
ROMA - Nella parte iniziale della relazione i funzionari presenti
escludono d'aver assistito a atti di violenza e danno il quadro di una
estrema confusione all'interno della struttura.
(...) Dal sopralluogo effettuato lo stabile, di recente ristrutturato,
appare decisamente consono e funzionale e si presenta ordinato, pulito e
privo di tracce di pregresse violenze (sangue o altri liquidi organici)
ad eccezione di alcune impronte di anfibi sulle parti basse delle pareti
dei corridoi e di alcune stanze.
Le audizioni. Dalle audizioni del personale interessato si è appreso che
il trasferimento dei fermati avveniva con le seguenti modalità:
il personale operante «presentava» il fermato all'ufficio mobile più
vicino e competente per zona e «consegnava» anche un modulo prestampato
sul quale annotava le ragioni dell'arresto, del fermo e/o
dell'accompagnamento;
un equipaggio automontato provvedeva, poi a trasferire la persona
arrestata e/o fermata, all'ufficio trattazione della Polizia di Stato,
allestito presso la sede del VI Reparto Mobile, dove, all'ingresso della
palazzina, veniva: sommariamente visitata dal medico della Polizia
Penitenziaria; sottoposta a perquisizione personale e custodita in una
delle celle a disposizione della Polizia di Stato; avviata al
fotosegnalamento e, quindi, nuovamente rinchiusa nella cella di
provenienza, in attesa del completamento degli atti di p.g. (verbali di
arresto, biglietto di carcerazione ed altro); consegnata alla Polizia
Penitenziaria che provvedeva, a sua volta, a: eseguire una nuova visita
medica e perquisizione personale; rinchiudere l'arrestato e/o fermato in
una delle due celle riservate alla Polizia Penitenziaria; trasferire, gli
arrestati, per gruppi, alle carceri designate (Alessandria e
Voghera).
La vigilanza. Quanto al servizio di vigilanza non sono state fornite
informazioni univoche da parte delle persone ascoltate e non si
rinvengono chiare disposizioni in proposito. E' emerso, comunque, dalle
audizioni che vi si è provveduto, inizialmente, con personale della
Questura e successivamente con quello dell'Arma dei Carabinieri,
disimpegnato dai servizi di piazza a seguito della morte di Carlo
Giuliani, ed infine con il personale del Reparto Mobile. La vigilanza si
svolgeva all'interno della struttura e interessava l'area antistante le
celle, i bagni e la zona riservata alla matricola e al servizio medico
della Polizia Penitenziaria. Ogni cella, spoglia di qualsiasi arredo,
pulita, siccome verniciata di fresco, ampia (oltre trenta mq.), ben
aerata, accoglieva mediamente 1520 persone per volta.
Complessivamente nei giorni 20, 21 e 22 c.m. risultano transitate per lo
specifico ufficio nº 240 persone, di cui 184 in stato di arresto, 5 in
stato di fermo e 14 denunciate in stato di libertà. Le altre persone sono
state solamente fotosegnalate per identificazione e quindi rilasciate.
La stampa. Al fine di acquisire elementi di riscontro alle dichiarazioni
riportate da diversi organi d'informazione, che riferiscono violenze
subite da persone arrestate o fermate e condotte all'interno della
caserma Nino Bixio di Bolzaneto, è stato sentito (omissis) che ha
consegnato copia del brogliaccio di segnalamento e di un album
fotografico riportante le fotografie dei soggetti sottoposti ai rilievi
segnaletici (all. 910) L'esame dall'album fotografico evidenzia, nella
stragrande maggioranza, volti piuttosto sereni ad eccezione di quelli di
cui all'allegato elenco (all.11) che presentano contusioni, lesioni o
medicazioni per alcune delle quali sono state redatte brevi schede
biografiche (all. 12). Dall'esame della rassegna stampa acquisita si
rileva, inoltre, che 13 persone (all. 13) hanno rilasciato direttamente
e/o indirettamente dichiarazioni relative a presunti maltrattamenti
subiti nella struttura «trattazione arrestati» del VI Reparto Mobile
(Bolzaneto).
(...) Da quanto sinteticamente illustrato in precedenza consegue
l'impossibilità, al momento, di riferire specifici atti di violenza alla
responsabilità degli operanti, in assenza di elementi obiettivi e
concordanti per riscontrare quanto riportato dagli organi di
stampa.
Valutazioni finali. Dall'esame degli atti acquisiti, dalle audizioni
personali e dalle risultanze dell'eseguito sopralluogo presso l'ufficio
trattazione fermati emerge per ora:
a) una totale e inequivocabile carenza del momento organizzativo e
gestionale dell'emergenza.
b) la mancanza di pregnanti e puntuali direttive organizzative,
gestionali di dettaglio.
c) l'assenza di controlli all'intera struttura di Bolzaneto da parte del
personale dirigenziale e direttivo per tutto il periodo del suo
funzionamento.
d) la mancanza di una doverosa e necessaria sinergia fra i corpi che
hanno, invece, operato come «corpi separati».
e) il sistema di afflusso dei fermati, presso la caserma di Bolzaneto, e
della trattazione degli atti di p.g. appare farraginoso ed estremamente
polverizzato con conseguenti tempi morti e allungamento dei tempi di
trattazione.
f) perplessità sono emerse sulla correttezza della compilazione dei
verbali d'arresto redatti, in molti casi, in maniera sommaria e senza
l'indicazione dello stato di salute degli arrestati anche quando costoro
presentavano vistosi segni di alterazione delle condizioni fisiche.
g) l'allestimento, all'interno del VI Reparto Mobile della specifica
struttura, non appare una scelta adeguatamente valutata.
In base alle risultanze emerse non appare possibile confermare quanto
riportato dagli organi d'informazione circa violenze fisiche o
psicologiche nei confronti degli arrestati custoditi nella struttura
appositamente allestita presso la sede del VI Reparto Mobile di Genova
(Bolzaneto). D'altra parte risulta estremamente difficile, al momento,
individuare precise responsabilità personali anche a causa delle
condizioni fisiche di quasi tutti i fermati determinate dagli scontri o
dalla perquisizione subita, e del disastro organizzativo che ha
frammentato compiti e responsabilità dell'apparato operativo. Tuttavia, a
parte il lungo e pesante disagio sopportato dai fermati per
l'espletamento delle pratiche di rito, non può escludersi il verificarsi
di episodici atti di rudezza facilitati dalla situazione di estrema
tensione e dalle numerose e pesanti ore di lavoro accumulate dal
personale. Inoltre la rigidità delle procedure d'identificazione
(perquisizione personale, visita medica, ecc:) eseguite sia dal personale
operante della Polizia di Stato sia da quello della Polizia Penitenziaria
hanno certamente aggravato le già precarie condizioni fisiche dei fermati
che provenivano dagli scontri di piazza o dalla perquisizione eseguita
nella scuola ex Diaz. Infine, l'attribuzione di singoli atti di violenza
fisica o psicologica potrà essere facilitata, in ambito giudiziario,
potendo disporre di dati obiettivi ed elementi di riscontro, compresi i
referti medici della Polizia Penitenziaria.
"Un lager a Forte S.Giuliano"
Accuse anche ai carabinieri
Altre denunce per il G8: coinvolgono l'Arma, che replica con una
smentita
l'inchiesta
MASSIMO CALANDRI WANDA VALLI - La Repubblica 8/8/2001
GENOVA - Ci furono violenze anche nella caserma dei carabinieri di Forte
San Giuliano? In Procura è stata presentata una denuncia per lesioni nei
confronti dei militari, che a loro volta parlano di calunnie e replicano
consegnando una dettagliata informativa sul trattamento riservato nei
giorni del G8 alle persone arrestate (una cinquantina, venerdì 20 luglio,
più 25 Black Bloc nel tardo pomeriggio di domenica). Mentre spuntano
quattro nuovi filmati sul blitz della polizia nella scuola Diaz, scoppia
il caso di una misteriosa perquisizione nel carcere di Marassi, nelle
celle di alcuni detenuti in odore di ‘ndrangheta, alla ricerca di un
esplosivo (gelignite) che è dello stesso tipo usato per il paccobomba
inviato alla caserma dei carabinieri di San Fruttuoso. In Procura
smentiscono seccamente qualsiasi collegamento tra le perquisizioni (gli
investigatori avrebbero dato un'occhiata anche a due appartamenti fuori
Genova) e le indagini sul G8, ma è curioso che a gestire questa indagine
siano proprio il procuratore aggiunto Giancarlo Pellegrino ed il
sostituto Anna Canepa, in queste ore impegnatissimi con le indagini sugli
attentati e i Black Bloc.
«Gridavano "troie, ebree, puttane", e intanto ci costringevano
a spogliarci davanti a loro». Maria, chiamiamola così, ha 27 anni e per
fortuna - dice - vive lontana da Genova. Ha raccontato la sua storia,
agli avvocati del Legal Social Forum che, si preparano a presentare una
decina di denunce per molestie sessuali e abuso. «Nuda, i miei vestiti in
parte li hanno strappati e in parte gettati per terra. Poi mi sono potuta
rimettere le mutande e quello che restava degli abiti strappati: mentre
cercavo di rivestirmi, un agente che parlava il mio dialetto mi diceva di
stare attenta, mi insultava». Sono ancora testimonianze sugli «orrori»
della caserma di Bolzaneto, testimonianze che dovranno essere verificate
e confermate dalla magistratura, ma qualcuno dice che anche a Forte San
Giuliano, sede del Comando provinciale dei Carabinieri, le forze
dell'ordine hanno maltrattato e umiliato la gente. La risposta dell'Arma
è affidata ad un'informativa firmata da un ufficiale e consegnata al
procuratore: «Prima li abbiamo sottoposti alle visite mediche. Erano
seduti sul pavimento in linoleum, in modo da poterli controllare meglio.
Sono stati tutti visitati da una dottoressa ed un'infermiera, quando le
ragazze dovevano andare al bagno venivano accompagnate da personale
femminile della polizia penitenziaria. Non ci sono mai stati momenti di
particolare tensione. Ad un certo punto la dottoressa è stata costretta a
tagliare a zero i capelli di uno dei ragazzi, perché era pieno di
pidocchi e non poteva restare a contatto con gli altri. Il ragazzo
piangeva».
E' stata confermata l'indiscrezione di Repubblica sull'acquisizione da
parte della Procura delle registrazioni delle comunicazioni viaradio tra
la centrale operativa e i funzionari in servizio («Mandatemi un
contingente, che li massacriamo», dice un vicequestore la notte
dell'assalto alla Diaz), così come delle telefonate intercorse tra il
servizio medico «118» e la questura, che aveva chiesto l'invio di
ambulanze in via Battisti prima ancora che l'irruzione avesse inizio. I
magistrati che gestiscono le otto inchieste della Procura spiegano che le
testimonianze sulle violenze riportate dai giornali sono molte, le
denunce presentate in tribunale un po' meno. Non mancano, invece, i
filmati, in particolare sul blitz della scuola Diaz: ieri ne sono stati
visionati un paio sul sito Internet di Indymedia, altri sono stati
consegnati dall'Ordine e Associazione ligure dei giornalisti. Ma anche in
questo caso si tratterebbe di riprese girate quando l'irruzione era
cominciata già da alcuni minuti. Impossibile per ora scoprire chi è
entrato (e ha picchiato) per primo.
Caruso, il capo dei contestatori
"Per fermarci ci dovranno sparare"
Il leader dei centri sociali campani: "La Nato? Una riunione di
criminali e assassini"
il personaggio
ANAIS GINORI - La Repubblica 7 agosto 2001
roma - ministro Scajola se lo ricorda bene Francesco Caruso, il
masaniello dei noglobal. Questo hacker di 26 anni, cresciuto all'Officina
99 di Napoli, prima del G8 aveva inviato al ministro un bossolo. «Ma no,
nessuna minaccia precisò poi lui . Solo un pacato invito a disarmare la
polizia». E' fatto così Caruso, alias striker: bisogna interpretarlo.
Adesso rilancia: «Contro la Nato non saremo disarmati». Quindi sarete
armati? «No, significa che non scenderemo in piazza impreparati allo
scontro». E dunque? «Che dovranno spararci addosso per fermarci». Avrete
armi anche voi? «Diciamo che ci saranno azioni di protesta diretta e
radicali». E' una minaccia? «Soltanto un invito alla riflessione».
Abita anche lui nella zona d'ombra del Genoa Social Forum, come Luca
Casarini di cui è amico. E' il portavoce degli "inflessibili",
degli antagonisti della Rete Noglobal, di base nei centri sociali
campani, che hanno avuto il battesimo del fuoco negli scontri del 17
marzo, durante il vertice dell'Ocse. «Quella è stata la prova generale di
Genova. C'è stato un pestaggio di massa nei confronti di migliaia di
persone inermi e disarmate».
Genova, come punto di non ritorno. «Adesso siamo tutti più incazzati». E
c'è già il prossimo round: il vertice Nato del 26 e 27 settembre.
«Nessuno spiega Caruso deve passare sotto silenzio questa riunione di
criminali e assassini. Se il vertice Fao di Roma, per quando discutibile
ha il merito di parlare di fame nel mondo, a Napoli si parlerà di
foraggiare l'industria della morte. Se il vertice sarà cancellato
racconta alla fine sarà un bene per tutti tranne che, naturalmente per
l'industria bellica».
L'appello alla mobilitazione è già stato lanciato: «Saremo almeno 30mila
per assediare i palazzi del vertice». Sulle modalità, ancora poca
chiarezza. «Dobbiamo fare in modo che ognuno possa esprimersi come
vuole». C'è posto anche per i violenti? «La lotta è diventata dura e
radicale. Noi vogliamo il conflitto, ma anche il consenso». Questo
discorso a Genova è fallito. «No, la crisi dice Caruso non è dovuta alla
repressione militare ma alla totale mancanza di risposta politica». Sulle
forme di lotta meglio rimandare al dibattito interno: «Ne parliamo
durante il campeggio noglobal, dal 17 agosto, vicino ad Avellino». Lì ci
sarà anche Don Vitaliano della Sala, il prete zapatista, forse anche lui
un po' più radicale dopo Genova.
Casarini chiama Cofferati
"Opprimono il dissenso"
Il leader delle Tute bianche chiede al sindacato di schierarsi
ANAIS GINORI - La Repubblica 8-8-2001
ROMA - Non occorre essere una Cassandra per prevedere un autunno di
proteste e scontri in piazza. Basta sentire cosa ha in mente Luca
Casarini, guardare la sua lunga agenda di contestazione. «Non daremo
tregua al governo - annuncia il leader padovano delle Tute bianche -. Il
movimento si batterà contro il riarmo che Berlusconi vuole organizzare
assieme alla Nato, contro la privatizzazione della sanità, per la difesa
del contratto degli operai e per il diritto alla scuola». Casarini lancia
anche un appello: «Nessuno deve tirarsi indietro: Berlusconi vuole
colpire un diritto fondamentale, quello di manifestare liberamente il
dissenso».
Un dissenso sempre più violento. A Napoli, il portavoce dei noglobal
Francesco Caruso non esclude di armarsi contro la Nato.
«Francesco ha detto soltanto che non dobbiamo farci trovare impreparati
rispetto a livello di violenza delle forze dell'ordine».
Ha detto anche: "Per fermarci dovranno sparare".
«E' chiaro a tutti che dopo Genova il livello dello scontro è cambiato.
Noi continueremo comunque a rifiutare la logica militare».
Attaccando la polizia, non alimentate anche voi la violenza?
«Ma se tutto il mondo si è scandalizzato per quello che è successo a
Genova! Anche il Wall Street Journal, considerato come il bollettino del
capitalismo, ha usato toni durissimi contro la repressione della polizia
italiana».
Però potreste rifiutarvi di fare le barricate.
«No, la verità è che dobbiamo sottrarci alla forbice in cui ci hanno
messo: tra rinunciare a cambiare il mondo ed essere in pochi e
militarizzati, dobbiamo cercare una terza scelta».
Sarà una scelta nonviolenta?
«Di fronte al rischio di essere ammazzati rivendichiamo il diritto alla
protezione».
Le minacce a De Gennaro potrebbe venire da gruppi noglobal.
«Mi sembra una conclusione fatta apposta per criminalizzare il movimento.
E questo mi convince ancora di più che il governo ha pianificato una
strategia politica».
Quale sarebbe?
«Faccio io una domanda: perché vogliono annullare il vertice Fao, che noi
consideriamo giusto e legittimo, mentre difendono la riunione dei
guerrafondai della Nato che è fatta apposta per farci arrabbiare?».
Perché?
«D'ora in poi Berlusconi utilizzerà la presunta violenza del movimento
per vietare alcune riunioni piuttosto che altre, secondo la sua
convenienza, e con la stessa scusa comincerà a limitare le manifestazioni
degli studenti, quelle dei lavoratori».
Non sta esagerando nella dietrologia?
«Dopo Genova, l'equazione del governo è: chi scende in piazza non può
garantire per tutti, i gruppi violenti ci sono, non siamo in grado di
gestirli, manifestare è pericoloso, quindi meglio non scendere in
piazza».
La soluzione?
«Una mobilitazione più massiccia. Faccio appello a tutti, ai sindacati, a
Cofferati: decidete da che parte stare, non potete più chiamarvi fuori.
Presto anche i vostri diritti saranno minacciati».
"Ora non criminalizzate i noglobal
è gente sana, nemica dei black bloc
Massimo Cacciari: difendo Casarini, e il Gsf ha ragione: il vertice
Nato va spostato, sarebbe il raduno dei peggiori della terra
GOFFREDO DE MARCHIS
ROMA - «Non ci credo, non voglio sentire l'eco del terrorismo in questa
esplosione, non è possibile che questo Paese sia in stato così comatoso
da non poter reagire all'eterno ritorno dell'uguale». Massimo Cacciari,
ex sindaco di Venezia, deputato del Pci quasi trent'anni fa, negli anni
di piombo, si ribella all'idea di una nuova stagione del sangue. Eppure
qualche richiamo lo vede. «C'è la tendenza a criminalizzare un movimento
come tale, a isolarlo e bastonarlo. Come è successo negli anni 70 e '80.
Ma allora la protesta era ideologica, oggi è completamente aideologica,
allora era extraparlamentare, oggi non ha alcun pregiudizio
istituzionale. Anzi, vorrebbe parlare con la politica, con i partiti. E
l'unica risposta che trova è la polizia di Genova».
Perché hanno scelto Venezia?
«Ma perché a Venezia e in Veneto il movimento che malamente viene
definito antiglobal è forte e pacifico. E qualche sciagurato pensa di
radicalizzare lo scontro, di aver più audience alzando il tiro. Non meno
di 15 mila persone, laici, di sinistra e cattolici, sono partiti da
questa regione per andare a Genova. Il governo ha pensato bene di
mazzolarli invece di impedire che i violenti entrassero in azione o si
mischiassero al corteo. Oggi qualcuno punta alla criminalizzazione degli
antiG8, a fare di ogni erba un fascio. Come sempre, nella storia
italiana, il botto delle bombe copre le parole, nasconde i contenuti. E
c'è sempre il solone di turno che evoca i fili rossi. Ma le bombe si
mettono per due motivi. O in malafede e allora siamo alla strategia della
tensione. Oppure qualche disgraziato pensa, diciamo in buona fede, di
radicalizzare il movimento, di dichiarare un aut aut. Nel nostro Paese
spesso le due cose vanno insieme».
E la bomba non può essere collegata alla visita di Berlusconi a
Venezia?
«Lo escludo. Dell'arrivo del premier si sa da appena due giorni, ma
questo è un attentato serio, preparato per bene, da professionisti. Non è
mica la pignatta lasciata al Duomo di Milano. Mi ricorda piuttosto gli
ordigni di Roma e Firenze nel ‘93».
Cosa possono fare Casarini e gli altri leader del movimento per
respingere la violenza?
«Chiunque sia stato anche un solo giorno dentro il movimento sa che è una
realtà nuova, che non ha niente a che fare con la violenza. Questi
giovani hanno idee, parlano dei problemi del mondo con cognizione di
causa. I cattolici si preparano sui temi della globalizzazione dall'anno
giubilare. Tra quelli che sono andati al G8 tanti erano stati, un anno
fa, a Tor Vergata perchè su questi argomenti nessuno parla con
l'autorevolezza del Papa. Vogliono discutere di politica e con chi lo
fanno? Con questi politici, di destra o di sinistra? Ma via. Da
trent'anni in Italia funziona una selezione all'incontrario, vanno avanti
i funzionari, gli yes man, gli affaristi. Non sanno niente, sono
incompetenti su tutto. Il movimento era andato a Genova per discutere.
Discutere. Invece è tornato bastonato in modo selvaggio. E non accuso la
Polizia, ma la gestione disastrosa dell'ordine pubblico, il governo».
Torniamo a Casarini, Agnoletto...
«Casarini e Gianfranco Bettin, qui a Venezia, sono i principali nemici di
quei quattro sciacalli deficienti che mettono le bombe. Loro si oppongono
a un rapporto tra il movimento e i violenti. Per i black bloc sono fumo
negli occhi. E infatti sono oggetto di un volantinaggio dei soliti noti,
fiancheggiatori delle Br che si conoscono bene, che li accusano di essere
dei venduti. Queste bombe rappresentano un pericolo grande, quello di
alimentare le tentazioni terroristiche di qualcuno. Ma possono presentare
anche un altro rischio: che decine di migliaia di ragazzi mollino
lasciando spazio ancora una volta ai burocratini. Perderemmo anche la
terza generazione di giovani, sarebbe un disastro».
Adesso ci sono Napoli e Roma.
«Non voglio fare il padre nobile, ma prima di tutto ci vuole una spietata
chiarezza all'interno del movimento per far sparire anche la minima
infiltrazione violenta. Poi, bisogna rivedere le forme di presenza
pubblica. Le manifestazioni sono una risposta vecchia, inadeguata. Il
Palazzo d'inverno non c'è più. A Genova il risultato sarebbe stato lo
stesso se 200 mila persone avessero tenuto un controvertice».
Se fosse confermato il vertice Nato a Napoli il movimento non dovrebbe
manifestare?
«Quel vertice va annullato. Diventerebbe l'appuntamento per tutti i
peggiori della terra, la rivincita di Genova. Se si fa, allora il
movimento rimanga a casa. Ma chi controlla il movimento, chi può impedire
una manifestazione? Il governo non controlla la Polizia e pretendiamo che
Casarini controlli i noglobal?».
Sofri alle tute bianche
"Bandite la violenza"
L'ex leader di Lc sull'Espresso critica i capi dei no global
(da La Repubblica 10/8/2001)
ROMA - L'ex leader di Lotta Continua Adriano Sofri, in un'intervista
all'Espresso dal carcere di Pisa, lancia l'allarme sul rischio di un
nuovo terrorismo, critica i leader del movimento antiglobal e la sinistra
e rivolge un appello alla non violenza «perchè il fascismo nasce così,
per distrazione e insipienza».
Nell'intervista, titolata "Quei capetti da Guerre Stellari",
Sofri sostiene che il pericolo di un nuovo terrorismo esiste «per mille
ragioni: la prima è la mancata trasmissione della memoria rispetto
all'epoca in cui c'era il terrorismo; la seconda è che la vera
riflessione sulla violenza negli anni Settanta è stata minoritaria; la
terza è che fenomeni nuovi e promettenti rischiano di essere ricondotti
dentro un linguaggio vecchio e stereotipato». L'ex leader di Lc se la
prende con quelli che, «come ad esempio Luca Casarini, fanno discorsi
ambivalenti sulla violenza e ripescano argomenti vecchi: torna quella
apparente ragionevole motivazione della violenza che negli anni Settanta
e Ottanta ha fatto danni gravissimi».
L'ex leader di Lc, che preferisce Bono a Manu Chao, pensa allora che «nel
movimento di protesta contro la globalizzazione c'è una componente
maggioritaria di non violenti. Ma che, restando in silenzio, hanno
accettato la corresponsabilità delle violenze. Ora è importante - dice -
che queste persone, non perché angelicamente ingenue, ma perché sono
intelligenti e tengono ai destini del pianeta, facciano valere le loro
ragioni senza più commettere questo errore». Con i leader degli
antiglobal, Sofri è duro e ironico: dice di essere «costernato» dal
linguaggio di Casarini, le cui fonti «sono due: Guerre stellari, i
cartoni giapponesi. E il subcomandante Marcos. Che però è anche poetico e
ironico, mentre Casarini è grottesco». Quanto ad Agnoletto «dice che il
movimento è una risorsa per ricostruire una sinistra di questo nome. E'
un ragionamento meschino. Ma come, tu hai una tematica globale, hai un
movimento che riguarda il destino del mondo e cerchi di subordinare tutto
questo a un obiettivo piccolo piccolo?».
Nei ragionamenti di Sofri, che sta scontando una condanna per l'omicidio
del commissario Calabresi, ce n'è anche per la sinistra: «Si è divisa
sulla questione di aderire alla manifestazione di Genova quando era
chiaro che non bisognava aderire. Se non altro perchè nessuno glielo
aveva chiesto», dice. Invece «bisognava andare a Genova per capire cosa è
questo movimento». Infine il comportamento dei poliziotti: «Sono state
vittime di un corto circuito - afferma Sofri - . La volontà di dialogo da
parte di Ruggiero e di Berlusconi era sincera. Contemporaneamente c'erano
persone che volevano dimostrare la mano forte. Il corto circuito tra
queste due tendenze ha provocato una tragedia». Quanto alla brutalità
usata Sofri avverte: «Attenzione, non è il ritorno della polizia
fascista. Sono cose nuove. Sono dei bravi ragazzi che per paura diventano
peggiori dei picchiatori specializzati».
Polizia, messaggio dalla Diaz
"Questi qui li massacriamo"
Ai pm i nastri dei colloqui tra le volanti e la centrale
Prima dell'incursione le forze dell'ordine chiesero l'invio di
ambulanze
MASSIMO CALANDRI (Repubblica 6/8/2001)
GENOVA - «Mandatemi un contingente, che li massacriamo»: a parlare con la
centrale operativa della questura di Genova è un funzionario di polizia,
un vicequestore ancora in servizio dopo dieci ore di guerriglia urbana.
E' la sera di sabato 21 luglio, quella dell'irruzione nella scuola
elementare Diaz. La comunicazione è stata acquisita dalla Procura insieme
ad altre conversazioni viaradio delle forze di polizia nei giorni degli
scontri di piazza. La verità sul blitz all'istituto scolastico, ma anche
sui «ritardati» interventi delle forze dell'ordine, che non avrebbero
risposto in tempo a centinaia di richieste d'aiuto, potrebbe essere
rivelata proprio da questi nastri, che vengono consegnati in questi
giorni insieme alle relazioni di servizio. E tra le comunicazioni di
particolare interesse per i magistrati ci sarebbe anche la telefonata
partita sempre quella sera dalla questura al servizio di emergenza medica
«118», con cui la polizia prima ancora di sfondare alla Diaz già chiedeva
di inviare in via Cesare Battisti «diverse» ambulanze. Un'operazione in
cui l'uso di cellulari per portare via gli eventuali arrestati non era
stato previsto, ma quello delle autolettighe sì. Perché?
Altri inquietanti retroscena relativi al blitz alla scuola emergono dalle
relazioni interne sottoscritte del dirigente della Digos, Spartaco
Mortola, che sabato sera avrebbe inutilmente avanzato davanti ai suoi
superiori romani «forti perplessità»: i genovesi non volevano
intervenire, e lo hanno ripetuto ai magistrati durante gli interrogatori
in Procura. Al termine della ricognizione che precede l'assalto - dopo
che quattro auto con il vicequestore Di Bernardini sono state prese a
pietrate - si limita a parlare con i superpoliziotti di giovani che
bevono birra. «A seguito dell'episodio, ipotizzando la presenza dei
responsabili degli incidenti di piazza, lo scrivente si recava sul luogo
al fine di svolgere una opportuna ricognizione. Giunto in piazza Merani
avevo modo di accertare che sulla stessa, con funzioni di ‘vedette',
intenti a bere birra sostavano alcuni giovani. La stessa situazione
veniva rilevata nelle strade circostanti l'edificio scolastico Diaz.
Davanti a questo, inoltre, sostavano circa 150 persone, nella quasi
totalità vestite di nero, che erano in possesso di un consistente numero
di bottiglie di vetro contenente birra». Nemmeno un'ora più tardi con il
prefetto Arnaldo La Barbera e il capo dello Sco Francesco Gratteri
sarebbero piombati in via Battisti duecento agenti, e gli uomini del VII
Nucleo avrebbero arrestato 93 ragazzi all'interno della scuola. Adesso i
giudici, su istanza degli avvocati del Genoa Social Forum, hanno
intenzione di acquisire qualcuno dei manganelli in dotazione ai reparti
mobili per verificarne la «compatibilità» rispetto alle ferite riportate
dai manifestanti durante l'irruzione.
Ieri del «superpool» di magistrati genovesi al lavoro sulle otto
inchieste legate alle violenze del G8 si sono visti in tribunale Anna
Canepa ed Enrico Zucca, che hanno lavorato fino al tardo pomeriggio.
«Stiamo studiando una montagna di carte processuali, nei prossimi giorni
ci saranno parecchi interrogatori»: a cominciare, stamane, con quelli di
diversi manifestanti arrestati e rilasciati che sarebbero stati
maltrattati ed umiliati nella caserma della polizia di Bolzaneto. E lo
stesso programma prevede che vengano sentiti al più presto anche i
funzionari responsabili dell'accoglienza dei detenuti (tra di loro anche
il vicequestore Alessandro Perugini, numero 2 della Digos, lo stesso
filmato e fotografato mentre prende a calci un ragazzo). Durante la
settimana è previsto un sopralluogo dei magistrati alla Fiera del Mare,
altro teatro delle violenze degli agenti.
G8: la verità nei colloqui radio
"Distruggiamoli tutti". Frasi come queste sono contenute
nelle registrazioni dei colloqui radio tra agenti e centrale, prima del
blitz alla scuola Diaz. La magistratura ne ha chiesto l'acquisizione.
GENOVA - Dai ragazzi distruggiamoli tutti .
Potrebbe essere contenuta nelle registrazioni dei colloqui tra gli agenti
e la centrale operativa la verità sull ormai famigerato blitz notturno
nella scuola Diaz. Quell operazione, accusano ora in molti, sarebbe stata
preparata a tavolino, insieme al suo tragico risultato: 66 feriti.
A dimostrarlo vi sarebbe l avviso alla centrale operativa del 118,
inviato dalle volanti che si preparavano alla spedizione, nel quale si
chiedeva l invio di un numero ingente di ambulanze, proprio poco
prima che gli agenti entrassero nella scuola. Ma anche una frase
determinata: Distruggiamoli tutti , registrata nei colloqui tra le
volanti. Parole che lascerebbero immaginare la volontà di abbandonarsi a
pestaggi e violenze. Le frasi sono già nero su bianco, nei fascicoli
giunti davanti alla commissione d indagine conoscitiva avviata in
Parlamento. Ma adesso, a chiederne l acquisizione, è anche la
magistratura genovese, alla quale tocca il difficile compito di indagare
sugli eventuali abusi commessi dai poliziotti.
Sulla liceità del blitz insomma, le perplessità dei magistrati sono
tante, e il provvedimento di acquisizione dei nastri, emanato oggi sembra
confermarlo. Difficile riuscire a capire fino in fondo cosa si dicano gli
agenti in quelle conversazioni, pochi minuti prima che inizi l assalto.
Di fatto, chi le ha lette assicura che hanno il potere di convincere i
magistrati che la perquisizione, e i pestaggi che ne derivarono,
potrebbero essere stati programmati.
A suscitare dubbi, oltre alle frasi incriminate, vi sarebbero altri
elementi. Gli agenti infatti sostengono di essersi trovati di fronte a
una strenua resistenza da parte dei ragazzi che dormivano nella scuola.
Nei locali però, furono sequestrate due molotov che, sia pur accusati di
bersagliare di sassi e altri oggetti gli agenti, i manifestanti avrebbero
inspiegabilmente rinunciato ad usare.
E ancora: la coltellata che avrebbe rischiato di ferire un agente
che, stando a quanto emerso all indomani del blitz, si sarebbe salvato
solo grazie a una protezione in plastica che utilizzava, resta alquanto
misteriosa. Quel gesto, secondo le forze dell ordine, avvenuto al buio
mentre gli agenti entravano, avrebbe giustificato tutte le violenze
successive.
Stando alla testimonianza di alcuni agenti però, il poliziotto aggredito
avrebbe notato il taglio sulla sua giubba soltanto in un secondo momento,
rispetto quello dell entrata. Nodi che i magistrati devono ancora
sciogliere. Le intercettazioni dei colloqui radio però, potrebbero
fornire la chiave giusta agli inquirenti.
(7 AGOSTO 2001, ORE 20.25)
http://www.ilnuovo.it/nuovo/foglia/0,1007,67443,00.html
Bolzaneto, una sala pestaggi
"Bruciato al petto con l'accendino"
Nuove testimonianze sulle sevizie. Un giovane racconta: un carabiniere
ci fece chiudere in cella per proteggerci
il caso
MARCO PREVE (Repubblica 6/8/2001)
GENOVA - Per la magistratura le decine di denunce provenienti da tutta
Europa dicono che a Bolzaneto sono stati violati i diritti dell'uomo, che
è stata sistematicamente praticata la tortura. Le forze dell'ordine
negano.
Sebastian Juneman, 23 anni, tedesco, incensurato, studente di biologia e
lavoratore per la chiesa evangelica, arriva a Bolzaneto verso le 22 di
sabato 21 luglio. Il suo verbale di interrogatorio è del 24 luglio, ore
13.25, firmato dal gip Maria Tersa Rubini: «Mentre il medico mi visitava
un poliziotto ha preso il mio accendino e ha iniziato a bruciarmi i peli
del petto».
E' solo una delle sevizie e delle umiliazioni che ha dovuto subire
assieme a decine di altri detenuti italiani e stranieri. Ma questa
"piccola", gratuita ferocia, commessa all'interno
dell'infermeria del carcere, con un medico dell'amministrazione
penitenziaria come complice, è forse una delle testimonianze shock che
meglio spiegano perchè in procura, per gli orrori della caserma del
Reparto Mobile, si stia delineando una particolare strategia di accusa.
Quella che potrebbe far scattare una serie di imputazioni le quali,
tecnicamente, sono un concorso di vari reati (abuso, lesioni, sevizie,
crudeltà), ma che nella società civile si chiamano tortura, parola che
non compare nel nostro codice penale.
Ma le bruciature nell'ambulatorio sono solo l'ultima tappa della sua via
crucis nel carcere speciale del G8. Nelle ore precedenti Sebastian è
stato «costretto a stare girato contro il muro con le mani alzate e mi
hanno insultato. Cantavano canzoni ingiuriose e spruzzavano spray
urticante».
E mentre Sebastian faceva conoscenza con il sistema carcerario italiano,
arrivava in visita a Bolzaneto, per salutare i 300 agenti della
penitenziaria (fra i quali alcune squadre delle teste di cuoio del Gom)
il ministro di Grazia e Giustizia Roberto Castelli. Ecco come uno dei
detenuti, Massimo Spingi, romano, racconta quella visita dopo 16 ore di
violenze continuate: «Mezz'ora prima, nel lager, hanno cominciato a
gridare arriva il ministro, arriva il ministro. Già ci facevano stare con
la faccia al muro perchè avevano paura che li "fotografassimo",
che ci ricordassimo i loro volti. Impossibile pensare di guardarlo. Dopo
la visita sono tornati i poliziotti che ci hanno ammassati in cella per
pestarci e insultarci, costringendoci a cantare canzoni fasciste».
Quando, all'inizio della settimana successiva al G8 emergevano dalle
carceri di Alessandria, Pavia e Voghera i primi racconti delle violenze
si cominciò a pensare a tanti, isolati episodi di abusi e soprusi. Con il
passare delle ore si delineò un quadro di brutale delirio della polizia,
della penitenziaria e dei suoi reparti speciali. Ma adesso, man mano che
in procura arrivano stralci dei verbali di interrogatorio, denunce,
esposti, testimonianze, e soprattutto riscontri. Una delle direzioni in
cui si muovono le indagini è verificare se vi sia stato una sorta di
neppur troppo tacito consenso da parte di funzionari, dirigenti e
comandanti. Se le terribili denunce dei manifestanti arrestati
corrispondono al vero - e i giudici ne sembrano convinti -, risulta
difficile capire come in tre giorni, con gente pestata in tutti i modi e
in tutti i luoghi di quell'area detentiva, i responsabili non si siano
accorti di niente, neppure degli abusi commessi in quella che dovrebbe
essere una zona franca come l'ambulatorio medico. Eppure nel carcere di
Bolzaneto c'erano alti esponenti di tutti i corpi: il comandante del
Reparto Mobile Giorgio Gaeta, il vicequestore Alessandro Perugini e Anna
poggi per la polizia, il magistrato Alfonso Sabella e i generali
Mattiello e Ricci per l'amministrazione penitenziaria, e anche alcuni
ufficiali dei carabinieri. Ma nessuno, a stare ai racconti dei detenuti,
avrebbe provato a trattenere la furia della truppa.
Una grande salapestaggi, questo è stato per tre giorni Bolzaneto. O per
dirla con l'ultima parola del verbale di interrogatorio di Maurizio
Gagliastro, 27 anni da Salerno: «Ci hanno portato alla Fiera dove ci
hanno picchiato, e poi a Bolzaneto, dove ci hanno ancora picchiato e dove
è stato un inferno».
G8, la condanna all'Italia si allarga
Il New York Times pubblica documenti drammatici. Da Londra a
Bruxelles le vittime denunciano
Titolo dell'Unità del 9/8/2001
A pagina 7 c'e' la foto di Susanna Thomas, 21 anni, la giovane quacchera
attivista contro la pena di morte di cui ha parlato il New York Times
perché arrestata e malmenata a Genova per il G8: "Susanna rischia
fino a 15 anni di carcere per un reggiseno nero trovato in una valigia
del gruppo con cui viaggiava. La ragazza è una delle migliori allieve del
Bryn Mawr College, una università della Pennsylvania. "Un esempio
luminoso - sostiene una compagna, Robin Whitely - della gioventù che
invece di andare a ballare preferisce impegnarsi in opere sociali".
La comunità dei quacqueri rifiuta ogni forma di violenza." Ed è la
comunità americana dei quacqueri che chiede la liberazione della ragazza
finita in carcere - con l'accusa di complicità con le "tute
nere" - per un... "reggiseno nero".