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La nonviolenza e' in cammino. 192
From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac@tin.it> (by way of Alessandro
Marescotti <a.marescotti@peacelink.it>)
Subject: La nonviolenza e' in cammino. 192
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac@tin.it
Numero 192 del 9 agosto 2001
Sommario di questo numero:
1. Eugenio Morlini, la forza della nonviolenza
2. Giovanni Scotto, un paio di osservazioni preliminari per una proposta di
legge
3. Judith M. Brown, epilogo di "Gandhi. Prigioniero della speranza"
4. Per studiare la globalizzazione: da Grazia Honegger Fresco a Ivan Illich
5. Alcuni libri recenti per la lotta contro la mafia
6. La "Carta" del Movimento Nonviolento
7. Per saperne di piu'
1. RIFLESSIONE. EUGENIO MORLINI: LA FORZA DELLA NONVIOLENZA
[Ringraziamo Pasquale Pugliese per averci inviato questa riflessione di don
Eugenio Morlini, suscitata dall'intervento di Davide Melodia apparso sul
notiziario di ieri.
Eugenio Morlini, sacerdote cattolico, e' stato per molti anni in missione in
Brasile dove ha svolto un impegno attivo a fianco della lotta dei contadini
senza terra. Dopo il rientro a Reggio Emilia, si e' fatto promotore di
molteplici iniziative di solidarieta' e volontariato internazionale verso le
popolazioni martoriate dalle guerre, in particolare nella ex Jugoslavia. E'
fondatore e referente del punto pace reggiano di Pax Christi. Per contatti:
eugenio.morlini@libero.it]
Bella la riflessione di Davide Melodia, e mentre attendo che i bimbi
Saharawi si sveglino, vi presento alcune mie riflessioni.
Ho letto spesso Gandhi, l'ho scelto come metodo, l'ho sperimentato, e mi ha
aiutato tantissimo a risolvere in positivo situazioni molto violente. Ho
sperimentato quindi piu' volte che la nonviolenza e' una forza
irresistibile.
Ecco alcune mie considerazioni.
Quando mi minacciavano, mi spogliavo il piu' possibile, andavo a piedi senza
nessuna protezione: una volta per preparare l'animo camminai un giorno
intero (il tempo necessario per arrivare alla casa di chi mi minacciava)
digiunando; lo incontrai: lui ed io, soli, lui con la camionetta ed io a
piedi, ci guardammo per alcuni minuti, ero preparato a prenderle, e lui se
ne ando'. Furono tante le esperienze di incontri come questo.
Queste esperienze mi convinsero che lo stile del nonviolento supera barriere
e va diretto alla persona, la quale si trova disarmata, in confusione con se
stessa... non sa come reagire, si trova impotente. Non e' detto che l'altro,
scopra la sua bonta', si converta alla nonviolenza, ne rimanga sedotto,
cambi stile di vita: la nonviolenza non e' una magia, ma e' la forza
dell'uomo, in se stesso, nella sua nudita', senza armature.
La nonviolenza ha la forza di disarmare l'altro, e appare la sua persona.
Per me questo e' l'aspetto piu' bello: le persone si incontrano nella loro
nudita', diventano schiette, vere. (Dio davvero ci ha fatti meravigliosi,
siamo fatti a sua immagine: nella mia fede cristiana, vedo in questa nudita'
tutto l'atteggiamento di Cristo Gesu').
Ora trovo molta difficolta' nel come vivere la nonviolenza in questa nostra
realta' occidentale in cui le persone appaiono come dei software; quale
cammino percorrere per arrivare alla nudita', all'andare incontro all'altro
senza armatura, perche' la mia persona possa andare all'altro in modo
schietto.
Per ora ho due punti fermi a cui faccio riferimento:
a) l'altro e' "persona" (qualunque sia il suo corpo, il suo spirito, la sua
realta', la sua politica, la sua fede...), quindi un dono poterla
incontrare;
b) il Vangelo, da cui volentieri mi lascio stuzzicare e la cui nudita' di
Cristo mi provoca continuamente, mi urge dentro perche' trovi un cammino.
Sto attento a tutte le riflessioni che fate, e mi aiutano nella mia ricerca,
percio' vi ringrazio di cuore.
Con molta stima. Euge
2. RIFLESSIONE. GIOVANNI SCOTTO: UN PAIO DI OSSERVAZIONI PRELIMINARI PER UNA
PROPOSTA DI LEGGE
[Ringraziamo Giovanni Scotto per questo intervento. Nella lettera da cui
abbiamo estratto il testo seguente ci scrive anche che "per motivi di lavoro
non sono in grado di partecipare a questa fase del lavoro preparatorio per
un disegno di legge sulla formazione delle forze dell'ordine alla
nonviolenza", ma gia' con l'invio di queste "osservazioni preliminari" ci
da' ancora una volta un contributo di grande valore.
Giovanni Scotto e' ricercatore presso il «Berghof Research Center for
Constructive Conflict Management» di Berlino; collabora con l'«Institute for
Peace Work and Nonviolent Settlement of Conflicts» di Wahlenau e con il
«Centro studi difesa civile» di Roma. Tra le opere di Giovanni Scotto: con
Emanuele Arielli, I conflitti, Bruno Mondadori, Milano 1998; sempre con
Emanuele Arielli, La guerra del Kosovo, Editori Riuniti, Roma 1999]
Credo che anzitutto dobbiamo avere un'idea chiara di quale e quanta
formazione e aggiornamento le forze dell'ordine ricevano. Se oltre
all'addestramento di base sia prevista anche una "formazione permanente" per
chi fa il suo lavoro, e se questa formazione si differenzia tra i diversi
reparti. Poi c'e' il problema dei giovani di leva, che presentano un profilo
specifico. Questo lavoro va fatto per tutti i (tanti) corpi di polizia
presenti nel nostro paese.
Sarebbe utile a questo proposito dialogare con i direttori e docenti delle
Scuole di polizia sparse per l'Italia (per puro caso l'anno scorso scoprii a
Ercolano la sede della Scuola degli allievi di polizia penitenziaria),
sapere cosa fanno e avere da loro magari consigli al riguardo.
Un passo ulteriore indispensabile e' una ricognizione della situazione
europea. Domenica scorsa 5 agosto i ministri degli interni italiano e
tedesco hanno congiuntamente avanzato la proposta di costituire una polizia
europea antisommossa. Dopo un primo momento di indignazione (la risposta a
Genova non puo' essere una maggiore efficienza degli apparati repressivi!)
credo che la proposta abbia un nocciolo interessante: essa comporta
necessariamente l'adeguamento agli standard europei, che sono assai piu'
elevati (Goteborg e' stato un incidente dovuto all'impreparazione; in
Germania pero' violenze di piazza si scatenano regolarmente, e la risposta
della polizia si mantiene sempre nei limiti della civilta').
Si potrebbero inoltre anche studiare i casi di riforma delle forze di
polizia avvenute sotto supervisione internazionale (El Salvador, Guatemala,
Bosnia, ecc.) o in seguito alla democratizzazione di un sistema politico
(Sud Africa).
Oltre all'aspetto delle competenze pratiche e relazionali (come comportarsi,
come comunicare, ecc.) e' fondamentale una diffusione della cultura dei
diritti umani. Su questo punto forse Amnesty International potrebbe essere
un buon interlocutore e alleato.
Fatto questo si puo' passare a studiare un provvedimento legislativo.
Un altro punto importante - non so se pertinente in questo ambito - sarebbe
l'istituzione o il potenziamento di un servizio psicosociale per gli
appartenenti alle forze dell'ordine, per dare loro un supporto nelle
situazioni di disagio.
3. DIBATTITO. JUDITH M. BROWN: EPILOGO DI "GANDHI. PRIGIONIERO DELLA
SPERANZA"
[Il testo seguente e' il capitolo finale, "Epilogo", del bel libro di Judith
M. Brown, Gandhi. Prigioniero della speranza, Il Mulino, Bologna 1995,
pp.577-589.
L'autrice, Judith M. Brown, e' una storica, docente all'Universita' di
Manchester. Altre opere di Judith M. Brown: Gandhi's rise to power, 1972;
Gandhi and civil disobedience, 1977; Modern India, 1984]
Quando l'India ottenne l'indipendenza, nell'agosto del 1947, il presidente
del Congresso salutò Gandhi come padre della nazione indiana. Ma si trattava
di un epigramma troppo facile per la sua vita, e sarebbe stato un epitaffio
troppo semplice dopo la sua morte. Certamente, Gandhi è stato l'individuo
che più chiaramente di ogni altro personifica l'India libera tanto per gli
indiani quanto per gli stranieri. L'uomo fragile con il lungo bastone da
passeggio, gli occhiali rotondi e l'arcolaio è il simbolo del movimento
indiano per la libertà dall'imperialismo; e l'agiografia dei primi storici
del nazionalismo indiano e' stata confermata agli occhi delle successive
generazioni dal film di Richard Attenborough sulla vita di Gandhi, che ebbe
ampia diffusione negli anni Ottanta. Eppure il movimento nazionalista
indiano esisteva prima di Gandhi e avrebbe raggiunto il suo traguardo senza
di lui. Forze economiche e politiche ben più profonde della leadership di un
individuo erano al lavoro per allentare i vincoli tra l'Inghilterra e
l'India: forze che avevano le loro origini in India, in Inghilterra e nel
più ampio sistema dell'economia mondiale e degli equilibri di potere. Eppure
le abilità ed il particolare genio di Gandhi contrassegnarono il movimento
nazionalista e gli diedero un carattere diverso da qualsiasi altro
nazionalismo antiimperialista del secolo.
Gandhi era un artista dei simboli, ingegnoso e sensibile. Con la sua stessa
persona, tramite i suoi discorsi ricchi di vivide immagini e di riferimenti
ai grandi miti indu', con la sua enfasi sul charkha e sull'uso del khadi
come un'uniforme che eliminasse le distinzioni religiose e tra caste, egli
rappresentava e propagandava, in un mondo dove le comunicazioni di massa e
la cultura scarseggiavano, un ideale di nazione indiana accessibile anche ai
poveri e alle persone estranee alla politica. Per molti, almeno per un
periodo, l'ideale di nazione ed il senso di identità nazionale furono
sollevati al di sopra del duro e spesso sordido mondo della politica,
sebbene le inevitabili lotte e gli intrighi che accompagnano qualunque
cambio di potere in una politica complessa mal si legassero alla visione di
nazionalita' e spesso minacciassero di sopraffarla. Una nuova nazione doveva
essere creata a partire dai numerosi legami e contesti di dominio che
costituivano la materia della politica indiana. Gandhi ne era perfettamente
consapevole mentre elaborava le strategie politiche o mentre tentava di
contenere il conflitto tra gli indiani e di generare una comunita' morale
che trascendesse e purificasse le vecchie fedelta'. La sua lunga marcia
verso Dandi contro il monopolio del sale nel 1930, i suoi digiuni a Poona
nel 1932 ed a Delhi nel 1948 non erano idiosincrasie personali, ma il
risultato di un'attenta comprensione e valutazione di alcune delle realtà
della società e della politica indiana che militavano contro il
nazionalismo. Coloro che si erano stretti attorno a lui e avevano costituito
la leadership del Congresso capirono che nel Mahatma avevano un simbolo
vivente ed un uomo di notevole creatività politica, le cui origini e
convinzioni lo rendevano particolarmente adatto a divulgare una nuova
identita' indiana. I precedenti leader del Congresso, invece, inibiti dai
loro ambienti e dai loro ideali, non erano riusciti a creare se non un
movimento politico di minoranza in nome della nazione.
Molte imprese ideologiche e politiche sono alimentate dal sangue dei
martiri. Sotto la geniale regia di Gandhi, la campagna condotta dall'India
per l'identita' politica e per la liberta' fu siglata dalle esperienze
comuni di coscienti e coscienziose infrazioni della legge, repressioni
poliziesche a colpi di lathi e incarcerazioni. Mentre una volta tali
esperienze sarebbero state considerate umilianti ed insultanti, Gandhi le
trasformò in simboli di alto impegno morale ed emotivo. Gli amministratori
inglesi avevano a lungo enfatizzato l'importanza dell'izzat, il prestigio
del potere nel loro regime imperiale; ora Gandhi aveva capovolto l'izzat,
rendendo l'ignominia ed il dolore i simboli di una nuova e più ampia
considerazione, secondo la logica del nazionalismo. Mentre una volta tanti
indiani si erano sentiti alienati dalle loro radici, in una terra di nessuno
tra la loro civilta' e quella occidentale, Gandhi aiuto' a riaccendere un
giusto orgoglio e un nuovo coraggio profondamente inseriti nella cultura
indiana. Tuttavia questa potente manipolazione dei simbolismi per la causa
nazionale comportava dei gravi inconvenienti: primo fra tutti la crescente
inquietudine di molti musulmani di fronte al predominio indu' nel Congresso,
crescente con l'ampliarsi del suo richiamo e con l'avvento della leadership
di Gandhi, il Mahatma indu', che predicava l'avvento di un nuovo regno di
Dio sulla terra quando lo swaraj fosse stato raggiunto. Sempre di piu' per i
musulmani una tale visione significava l'avvento di Rama piuttosto che di
Allah, ed in termini concreti il dominio dei devoti di Rama, ossia la
maggioranza indu'.
L'altro grande contributo di Gandhi al movimento nazionale dell'India fu la
tecnica della protesta nonviolenta. Essa era in tale contrasto con la
politica delle petizioni o con le tecniche terroristiche che l'avevano
preceduta, che non desta meraviglia che i governanti ne fossero perplessi,
gli indiani restassero scettici e gli osservatori successivi l'abbiano
interpretata come il segno distintivo gandhiano. Tuttavia, come questa
ricerca si e' sforzata di mostrare, quando si mettano da parte il mito e
l'enfasi, appare chiaro che le forme d'opposizione nonviolenta al raj
raramente ottenessero grandi o immediate concessioni politiche; e non fu
certamente il satyagraha su scala nazionale a estromettere gli inglesi dal
subcontinente. Il satyagraha funzionava, nel normale senso politico di
strumento per una protesta morale (piuttosto che nel particolare senso
gandhiano di metodo purificatore dei veri sostenitori e degli oppositori),
se applicato su una questione circoscritta e ben delineata, da un piccolo
numero di sostenitori altamente impegnati e disciplinati, contro un
avversario reso particolarmente vulnerabile sia dalla pressione di
un'autorita' superiore che aveva altre priorita' (come a Champaran nel 1947)
oppure della pubblica opinione sia interna che internazionale.
Comunque, il raj inglese si dimostro' alla lunga una sovrastruttura
vulnerabile innalzata sopra una società antica e complessa sulla quale aveva
scarsissimo controllo. Come i suoi addetti civili e militari avevano capito,
esso rimaneva stabile e funzionale finché riusciva a mantenere la
collaborazione, formale o informale, di gruppi-chiave della società indiana,
e l'acquiescenza della grande maggioranza. Smantellare il potere imperiale
era prevalentemente una battaglila di idee, diretta verso i governanti e gli
elettori sia inglesi sia indiani, e verso i loro alleati stranieri. In
questo il satyagraha e il significato insegnato da Gandhi si dimostrarono di
notevole importanza perche' incoraggiarono gli indiani a spogliarsi della
loro radicata paura e della loro accettazione del raj, e a rendersi conto
della propria forza. Allontano' anche dal regime imperiale molti uomini
moderati e gli esponenti delle classi colte che non svolgevano un ruolo
politico attivo, se non altro per il trattamento subito dai suoi esponenti
per mano del raj, e relego' gli inglesi in una posizione moralmente negativa
agli occhi dei loro alleati d'oltre Atlantico. Sempre più gli inglesi si
resero conto che schiacciare tale movimento su larga scala sarebbe stato
troppo dispendioso in termini morali e materiali. Nell'ordine economico e
politico mondiale degli anni Trenta, e sempre di più dopo la seconda guerra
mondiale, disporre di un soddisfatto alleato o partner commerciale
nell'ambito del Commonwealth era molto meglio che avere una colonia
irrequieta, mantenuta con scarsa convinzione da soldati e civili, e comunque
molto meno interessante in temini di impieghi, di investimenti, scambi
commerciali e protezione strategica degli interessi inglesi di quanto non lo
fosse stata alla fine del XIX secolo, allorche' il raj era nel suo momento
di maggior sicurezza e utilita' per i dominatori inglesi.
Anche la noncollaborazione svolse un ruolo politicamente molto significativo
di educazione e integrazione nello sviluppo del nazionalismo indiano. Essa
poteva essere adattata alle necessita' immediate e locali di un gran numero
di persone, in netto contrasto con la politica del Congresso nella prima
fase, che era stata accessibile solo ai colti e a coloro che conoscevano
l'inglese. Le campagne di Gandhi offrivano modi di opposizione agli anziani
ed ai giovani, agli uomini ed alle donne, alle persone colte e ai poveri e
agli analfabeti. I bambini potevano cantare canzoni patriottiche nella
processione, gli studenti potevano lasciare i loro libri e prendere parte
alle dimostrazioni, le donne potevano picchettare i negozi di alcolici e di
tessuti stranieri, i contadini potevano tagliar l'erba e far pascolare il
bestiame nelle zone proibite, i contadini proprietari potevano rifiutare di
pagare le rendite terriere, i cittadini potevano godersi un bel falo' di
tessuti stranieri, i professionisti potevano ostentatamente boicottare le
assemblee provinciali ed i tribunali. Eppure questo suo aspetto
onnicomprensivo, che riuniva diverse forme di lotta, a volte gia'
preesistenti, in un unico movimento nazionale, interpretandole come
sfaccettature del nazionalismo, non era privo di pericoli. I movimenti di
massa facilmente sfuggivano al controllo centrale e una campagna
apparentemente nazionale si poteva rapidamente disintegrare in frammenti
disparati e spesso tra loro conflittuali, o degenerare nella violenza che
era la negazione di tutto cio' per cui Gandhi dichiarava di lottare.
Alla fine, dopo molti tentativi di organizzare, dirigere e controllare una
campagna su vasta scala, Gandhi riconobbe di aver fallito nel tentativo di
trovare la giusta formula, e concluse la sua vita cercando di esercitare la
nonviolenza come individuo isolato, che poteva solamente controllare le
proprie azioni e cercare di purificare le proprie intenzioni. Inoltre,
Gandhi non converti' mai piu' di un drappello di persone in veri credenti
nell'ahimsa. Per la vasta maggioranza degli attivisti politici, anche tra i
suoi piu' stretti e piu' influenti colleghi politici, la nonviolenza era una
strategia politica auspicabile e spesso anche molto utile in una situazione
specifica, piuttosto che come impegno totale a livello morale come lo era
per lui. Di conseguenza, il satyagraha poteva facilmente degenerare in
violenza in una parte dell'ala radicale del Congresso, come accadde nel
1942, oppure sfumare nella cooperazione costituzionale da parte di altri
membri del Congresso, che in ultima istanza intendevano usare le strutture
politiche esistenti e vedevano nella noncollaborazione un modo per ampliare
quelle strutture e per generare un seguito politico che alla fine avrebbe
dato loro accesso a posizioni di potere.
L'esperienza di partecipazione alla noncollaborazione contribui'
indubbiamente a legare varie generazioni di indiani, a reclutare, addestrare
e integrare molti che sarebbero potuti diventare giovani astiosi e
incontrollabili, e contribui' anche ad unire gli indiani al di la' delle
barriere linguistiche e regionali in un unico movimento nazionale. Inoltre,
la passione di Gandhi per l'ordine e l'organizzazione, la sua visione di un
corpo disciplinato di servitori nazionali ed il suo occhio per il piu'
piccolo dettaglio svolsero un ruolo nel contribuire a tenere assieme un
Congresso nazionale. Non per niente Gandhi apparteneva alla casta dei bania;
a volte, in modo scherzoso giocava su quest'immagine di attento uomo
d'affari, che teneva i suoi registri, controllava le sue finanze e badava
alla sua merce. Lo zelo che gli consentiva di mandare a G. D. Birla dei
resoconti meticolosi sul modo in cui spendeva tutte le donazioni del suo
benefattore aveva un ruolo importante nei suoi ripetuti tentativi di
trasformare l'organizzazione del Congresso in un corpo capace di recepire
impulsi nazionali e di operare in base ad essi, presente in ogni provincia e
fino al piu' piccolo villaggio. La sua idea di un'organizzazione popolare
completamente funzionale non si realizzo' mai, ne' lo fece la sua visione di
un istituto di persone dedite al pubblico servizio. Ma, grazie in buona
parte all'enfasi che Gandhi poneva sull'organizzazione efficace, condivisa
da Nehru e Patel, il Congresso, soprattutto dagli anni Trenta in poi,
divenne un partito assai meglio organizzato e delineato rispetto all'entita'
precaria che Gandhi aveva trovato al suo rientro dal Sud Africa. Alla lunga,
il raggio d'azione e l'esperienza del Congresso come organizzazione per la
protesta diedero buona prova quando esso divenne il partito di governo: fu
una delle istituzioni che contribuirono a mantenere intatta l'unione indiana
nei primi difficili anni dopo l'indipendenza e la secessione. Per contro, il
fatto che la Lega musulmana avesse cosi' poco tempo per organizzare i propri
sostenitori, per divenire un'arena per la politica islamica e per gettare
solide radici sociali nelle regioni del futuro Pakistan, spiega in parte
l'instabilita' della democrazia in questo paese e la successiva
disgregazione del Pakistan di Jinnah con la creazione del Bangladesh.
Tuttavia, sarebbe sbagliato vedere Gandhi, per le sue molte doti di
organizzatore, propagandista e stratega, come la grande forza propulsiva del
nazionalismo indiano. I politici indiani lo utilizzarono, lo seguirono per
le sue abilita' e le sue potenzialita' e in varie occasioni lo ignorarono
diplomaticamente quando le sue priorita' e le sue attivita' sembravano
improduttive o impolitiche. Egli riconobbe tutto questo con allegro
realismo, ed era contento di essere messo da parte a patto che gli fosse
permesso di proseguire in quello che riteneva l'impegno della sua vita: la
costruzione di una nuova politica e di una nuova societa' indiana infusa di
nonviolenza e di santita'. Paradossalmente fu proprio perche' non era un
politico di carriera che pote' avere una carriera politica cosi' lunga, che
riusci' a sopravvivere a situazioni che per altri avrebbero comportato un
ritiro o un suicidio politico, e che pote' tornare a piu' riprese a svolgere
un notevole ruolo politico allorche' gli eventi ne facevano una risorsa
preziosa per molti dei suoi connazionali. Egli aveva indubbiamente un
effetto carismatico sugli individui e sulle folle; ma fu l'utilita',
piuttosto che il carisma o la conversione di massa ai suoi ideali, a dargli
in certi periodi una tanto grande influenza sulla politica nazionale. Una
volta compreso cio', diventa chiaro il motivo per cui la sua influenza
nell'India indipendente fosse cosi' limitata. Egli stesso si era reso conto
che negli ultimi mesi della sua vita sarebbe stato cosi': che quando il
potere fosse stato a portata di mano dei politici non ci sarebbe stato piu'
posto per i suoi ideali, per il suo altruismo e per i suoi servigi, per i
suoi modi di agire una volta che il Congresso fosse divenuto la forza di
governo, piuttosto che dell'opposizione al regime esistente.
Molte citta' indiane hanno monumenti a Gandhi, esistono molte strade a lui
intitolate, e molte istituzioni lavorano sotto il suo nome. Eppure sulle
questioni che lo coinvolsero profondamente si nota poco l'impronta di Gandhi
come padre dell'India contemporanea. Durante la sua vita egli affronto'
molti dei reali problemi dell'India in modo elementare e diretto, in forte
contrasto col nazionalismo intellettuale di molti politici della sua
generazione e dei precedenti membri del Congresso. Nelle pagine di
quest'opera l'abbiamo visto occuparsi non solo di "alta politica", ma dei
diversi problemi della gente comune: la salute, l'alimentazione,
l'agricoltura, l'educazione, le case, le abitudini matrimoniali, il ruolo
delle donne (e dei loro gioielli), l'igiene pubblica, il significato della
religione e il miglior modo di pregare, per citarne solo alcuni.
Indubbiamente fissare il confine degli aspetti rilevanti e' stato un
problema. Ad esempio, molto si sarebbe potuto scrivere circa il suo
attegiamento verso le mucche, sia nella sua relazione con la tradizione
indu', sia come parte della sua attenzione per le pratiche di allevamento.
Oppure, ci sarebbe potuta essere una maggiore considerazione del suo
atteggiamento nei confronti della contraccezione e della sua risposta alle
donne straniere convinte della sua importanza nel contesto indiano. Anche la
sua trattazione del problema di una lingua nazionale era importante, sia per
la sua componente nazionalista, sia per la crescente ostilita' suscitata, in
particolare dai musulmani dell'India.
Tuttavia, nell'India contemporanea molto di cio' che egli aveva cercato di
cambiare al fine di ottenere il vero swaraj e' rimasto invariato o si e'
sviluppato in direzioni totalmente estranee al pensiero di Gandhi. Sebbene
egli avesse accettato la probabile necessita', almeno a breve termine, di
uno Stato democratico di stile occidentale in India, il suo ideale era una
diffusione del potere al livello locale che consentisse alle comunita' dei
villaggi di gestire quanto piu' possibile autonomamente i propri affari.
Nell'India moderna, lo Stato ha visto aumentare sempre piu' il suo potere
dai tempi del dominio imperiale. Il raj inglese era una costruzione
amatoriale, poco piu' che un abbozzo, se paragonato allo Stato indiano alla
fine del XX secolo, con il suo enorme numero di impiegati e di funzionari,
le sue entrate fiscali, le ingenti spese per l'esercito e la polizia, la
programmazione economica ed il controllo dell'economia tramite le direttive
e un sistema diffuso di licenze. Esso penetra profondamente nella vita
personale, con le sue politiche di sviluppo, di educazione, di assistenza e
di pianificazione familiare. Anche le nuove strutture del governo locale nei
villaggi non hanno alcunche' in comune con gli ideali di Gandhi, ma sono gli
strumenti di controllo del governo e, spesso, il teatro di lotte locali e
dell'esercizio del potere, anziche' del servizio alla comunita'.
Anche gli ideali economici di Gandhi sono stati messi da parte. Mentre egli
aveva ipotizzato un ruolo minimo per l'industria moderna e un predominio,
nell'economia del paese, per le industrie rurali su piccola scala, l'India
e' divenuta una delle nazioni piu' industrializzate del mondo; la sua gamma
di prodotti e lo sviluppo di un'economia orientata al consume sono ben
lontane dall'austera economia di sussistenza immaginata da Gandhi.
L'artigianato e' un aspetto del turismo e dell'arredamento d'interni, piu'
che un approvvigionamento locale di vestiario e attrezzature domestiche ed
agricole; le industrie che si sono sviluppate nei villaggi hanno eliminato
posti di lavoro e hanno riempito le tasche di coloro che hanno il capitale
da investire nelle piante e nei macchinari, la' dove invece Gandhi le aveva
immaginate per alleviare la disoccupazione a livello rurale e per dare ai
piu' poveri una fonte di guadagno che assicurasse loro dignita' umana.
L'India e' ancora una terra di contado e contadini: solo circa il 20% degli
indiani vive nelle citta'. Ma le percentuali fanno torto ai numeri assoluti.
Poiche' la popolazione nella seconda meta' del secolo e' cresciuta
vertiginosamente, come risultato delle migliori condizioni di salute ed
alimentari e della caduta del tasso di mortalita', milioni di indiani
provano effettivamente quelle che Gandhi riteneva le influenze degradanti e
de-indianizzanti della vita cittadina: molti piu' individui che ai suoi
tempi.
Anche nelle relazioni sociali si osservano pochi segni di cambiamento che
siano il riflesso diretto dell'opera di Gandhi. Certamente la sua crescente
ostilita' nei confronti delle caste cosi' come esistevano in India e la sua
avversione per l'intoccabilita' ebbero un'influenza significativa
sull'atteggiamento del Congresso; e quando un governo indipendente, libero
dalle inibizioni di un regime imperiale straniero, prese il potere,
legifero' rapidamente e vigorosamente contro la pubblica osservanza
dell'intoccabilita' e proclamo' l'uguaglianza di tutti i cittadini,
indipendentemente dalla casta. Ma come Gandhi ben sapeva, le leggi hanno
bisogno del sostegno pubblico; egi era realista nell'affermare che il
cambiamento decisivo di cui c'era bisogno doveva avvenire negli
atteggiamenti. In India molte delle riforme legislative apparentemente
radicali delle usanze locali sono state attuate solo virtualmente.
L'intoccabilita', ad esempio, persiste con il suo carattere degradante; si
basa su atteggiamenti immutati e su duri dati di fatto della vita economica,
che impedisce alla maggior parte degli intoccabili di ambire a nuovi lavori,
e di conseguenza a nuovo benessere. I cambiamenti che man mano si verificano
nelle percezioni e nelle relazioni di casta sono il risultato di nuovi
valori imposti da un'educazione di massa, che per forma e contenuti riflette
i valori e gli schemi occidentali esattamente nel modo che avrebbe fatto
inorridire Gandhi, che aveva ipotizzato un'educazione elementare di stile
assolutamente indiano.
Analoghe osservazioni si possono fare sul ruolo delle donne. Il fenomeno di
una donna primo ministro, negli anni Settanta, non indica un mutato ruolo
per la maggior parte delle donne indiane. Il loro posto in pubblico ed in
privato e' ancora vincolato dagli atteggiamenti e dai valori tradizionali,
dalla pratica dei matrimoni organizzati e dalla dipendenza economica delle
donne dagli uomini. Le femministe moderne imputano a Gandhi di aver
confermato la posizione dipendente delle donne con il suo uso dei
tradizionali modelli femminili indu', con i suoi appelli alle donne perche'
svolgessero un ruolo pubblico e privato diverso da quello maschile ed
evitassero la competizione con l'uomo, e con il suo rifiuto nei confronti
dei moderni mezzi impiegati nel controllo delle nascite. Inoltre, il fatto
che egli si affidasse alle sue devote confermo' la loro condizione
subalterna nel contesto della politica nazionalista. Una tale critica, nella
prospettiva del tardo XX secolo, e' ingiusta. Gandhi era un uomo dei suoi
tempi, decisamente vittoriano di nascita, e molte delle sue idee sulle
donne, in tale contesto, erano genuinamente riformiste, se non radicali.
Muovendosi su queste linee, ci sarebbe da discutere se Gandhi fosse o meno
radicale nella sua visione della societa' indiana e se lo fosse il suo
lavoro per cambiarla, pur considerandosi egli piu' radicale dei giovani
socialisti che osteggiavano la sua leadership. La sua difesa della
gradualita' riformatrice, del coinvolgimento di diversi gruppi economici in
un unico movimento nazionale e la sua opposizione ai conflitti di classe
confermarono il Congresso in una posizione conservatrice che ancora
persiste, nonostante il socialismo di Nehru e l'impegno dello Stato per un
modello socialista di societa', anche per via del fatto che il Congresso fa
affidamento sui voti di un ceto contadino divenuto prospero con l'aumento
dei prezzi del raccolto e non disponibile a radicali cambiamenti. Sarebbe
possibile continuare a mostrare gli aspetti della moderna vita indiana
contrari ai precetti di Gandhi. Non ultima, si potrebbe citare la tragica
evidenza della violenza persistente nella vita pubblica, spesso causata dal
sopravvivere di ostilita' e legami di comunita'. I musulmani si oppongono
agli indu', i sikh sono in conflitto con gli indu', mentre una societa'
pluralista e' in cerca di appropriate riforme politiche per contenere le
tensioni.
Questa squallida valutazione dell'India contemporanea alla luce della
visione gandhiana del vero swaraj come distinto dalla mera assunzione del
potere politico da parte dell'India con uno stile non riformato, mette in
evidenza quanto forti e pervasive fossero molte delle forze politiche e
sociali che avevano pesato sulla vita di Gandhi. Nel riconoscerle, diventa
piu' facile rendersi conto della vera statura dell'uomo e cogliere la
profondita' del suo impegno per creare un nuovo ordine, libero da cio' che
egli vedeva come gli effetti negativi dell'imperialismo e della tradizione.
E' nelle sue lotte con se stesso e con la sua societa' che risiedono i suoi
contributi piu' importanti e duraturi. Egli non era un filosofo, ne' era
interessato a costituire una corrente di pensiero. Piuttosto, era ispirato
da una potente visione religiosa che gli permetteva di crescere tramite
l'esperienza, di essere coraggioso tanto da divenire pragmatico, e di
affinare i suoi punti di vista alla luce della realta'. Di conseguenza le
sue linee di pensiero sono a volte difficili da seguire, e gli inglesi lo
ritenevano un personaggio sfuggente. Ma con le sue lotte, i suoi
arretramenti e le stesse sue contraddizioni, egli affrontava questioni umane
cruciali che trovano risonanza pressoche' in ogni luogo e tempo. E' l'aver
affrontato fondamentali questioni religiose, filosofiche e morali nel
contesto di una vita pubblica attiva che lo rende una figura tuttora
affascinante, che ispira ostilita' come speranza.
Agli occhi di Gandhi, gli uomini e le donne erano umani in virtu' della loro
capacita' di visione religiosa. Era questa che li distingueva dal resto del
creato; se essa fosse stata soffocata dall'individuo o dalle strutture
politiche ed economiche, le persone ne sarebbero state degradate e
disumanizzate. Questo era uno dei piu' forti e duri attacchi che si
potessero muovere al materialismo secolare. Eppure non meno pungente egli
era nella sua critica verso quella che passava per religione in molte delle
tradizioni del mondo, a cominciare dalla propria. L'osservanza delle forme
religiose, l'appartenenza a corpi religiosi organizzati per lui non
significavano niente; la vera religione si trovava nelle zone piu' profonde
del cuore, dove e quando un uomo si sforzava di realizzare le sue origini ed
il suo vero modo di essere. Era una ricerca della verita' fondamentale, di
una realta' fortificante che, se genuina, sarebbe sbocciata nell'amore per
il prossimo ed in una vita dedita al servizio. Era da questa comprensione
della vera natura dell'umanita' e dell'individuo che Gandhi sviluppo' la sua
concezione sempre piu' radicale dell'uguaglianza tra la gente attraverso le
frontiere del credo, del sesso, della razza o dello sfondo sociale od
economico. Da questo senso di uguaglianza sbocciava anche il senso di
fratellanza di Gandhi: un'appassionata identificazione con i poveri ed i
disperati. La sua glorificazione della poverta' e le sue difficili frasi
circa la presenza di Dio tra i poveri suonavano sgradevoli alle orecchie di
uomini come Nehru, che riteneva la poverta' una condizione vergognosa e si
rifiutava di darle una qualsiasi parvenza di santita' anziche' lavorare per
eliminarla. Tuttora i sentimenti di Gandhi allontanano coloro che ritengono
tale atteggiamento utile solo a rinforzare lo status quo ed a generare la
carita' anziche' l'uguaglianza.
Come dichiarato e autentico cercatore e visionario religioso, che si
riteneva spinto dalla sua visione a partecipare in un'ampia gamma di
attivita' pubbliche piuttosto che ritirarsi in una reclusione contemplativa,
Gandhi non solo rifiutava il quietismo religioso e la pieta' puramente
privata, ma affrontava anche il problema dei fini e degli scopi, al quale
nessuno poteva sottrarsi, soprattutto coloro che gestiscono il potere
pubblico e che influenzano le menti ed i destini di tanti altri. La risposta
di Gandhi a questo dilemma era innanzi tutto una decisa affermazione
dell'insostenibilita' di una distinzione tra vita pubblica e privata; la
vita pubblica non permetteva un atteggiamento morale diverso o piu'
utilitaristico. Nella sua mente esisteva una sola infallibile soluzione al
problema: adottare un metodo che fosse esso stesso un fine, che generasse le
qualita' capaci di trasformare effettivamente qualsiasi situazione.
L'impegno nonviolento alla ricerca della verita', il satyagraha, era il
mezzo adatto. Esso riconosceva che nessuna persona o gruppo era totalmente
in possesso della verita', e assicurava che nel conflitto nessuno fosse
obbligato se non dalla prorpia coscienza. (Nella pratica, naturalmente, la
"nonviolenza" poteva essere molto diversa dall'idea di Gandhi, ed anche i
suoi digiuni esercitavano una violenza morale difficilmente descrivibile
come nonviolenza). Cio' che egli scopri' a sue spese - ma non a spese della
persistente speranza ed azione - fu che tutti gli uomini di visione trovano
la vita piena di contraddizioni, di costrizioni e di inevitabili
compromessi. Raramente la scelta e' tra il bene e il male assoluto, tra la
pura verita' e falsita', ma di solito e' tra un male minore o uno maggiore,
tra una piu' vicina o piu' lontana approssimazione ad una visione della
verita'.
Mentre Gandhi esplorava le implicazioni dell'eguaglianza e della fratellanza
tra gli uomini, egli rifletteva anche sulla natura della comunita' e il
significato di famiglia, parentela e delle forme piu' ampie di societa',
compresi gli ashram, i villaggi e le nazioni. Egli auspicava comunita'
organiche legate da vincoli comuni di visione e di servizio, piuttosto che
dall'attrazione fisica, di sangue o, a livelli piu' alti, dalle coercizioni
statali o religiose. Questo lo porto' a rescindere i propri legami fisici di
matrimonio e ad esporre a privazioni ed esperimenti la propria famiglia ed i
propri parenti stretti. Kasturbai, i figli avuti con lei, e alla fine anche
Manu furono tutti oggetti, e vittime, dei suoi esperimenti della vera
comunita'; era per il trattamento che riservava loro che egli si sentiva in
grado di fare da "madre", da amico e consigliere di un numero cosi' vasto di
persone.
Gli osservatori contemporanei e quelli successivi criticarono l'ascetismo di
Gandhi, il suo atteggiamento nei confronti della sessualita', la sua
negazione del corpo, e ne hanno individuato la causa nelle profonde tensioni
della sua personalita'. C'e' una notevole dose di verita' in questo. La sua
non era una personalita' in pace con se stessa. Spesso egli era tormentato
dall'autoindagine, dalla rabbia e dalla frustrazione; eppure e' solo dalle
tensioni, dallo stress e dai conflitti che sono scaturite le soluzioni
durevoli ai problemi fondamentali. Inoltre, contro l'asprezza e la sfiducia
in se stessi, contro le aspettative che aveva verso gli altri e verso se
stesso, bisogna rammentare il suo spirito e la sua dolcezza, dalle quali
dipendevano l'attrazione che egli esercitava su uomini e donne, la sua
personale sollecitudine per gli individui, che fecero della sua morte, per
molti, una perdita personale e lo spegnimento di una luce-guida. I suoi
esperimenti di semplice vita comunitaria e di igiene per gli abitanti dei
villaggi, che non si basavano su costosi medicinali, lo portarono anche a
considerare i rapporti dell'umanita' con l'ambiente, i doveri degli esseri
umani verso gli animali, l'uso dell'aria, dell'acqua e della terra.
Diversamente da molti politici del suo tempo, la sua ampia gamma di
occupazioni lo portarono di nuovo a porre domande fondamentali sulla vita.
Essi lo fanno apparire decisamente moderno, e i suoi ideali di semplicita' e
di dimensioni ridotte riflettono le paure di coloro che, nell'ultima parte
del secolo, hanno intravisto alcuni degli aspetti piu' oscuri e delle piu'
inattese ripercussioni dell'industrializzazione, la forza-guida della
civilta' occidentale, che egli cosi' fortemente criticava.
Gandhi non era un santo. E neanche trovo' delle vere o durevoli soluzioni a
molti dei problemi che incontro'. Probabilmente di molti di essi non ha
nemmeno visto le implicazioni. Era un uomo del suo tempo e del suo luogo,
con una particolare propensione filosofica e religiosa, che si trovava ad
affrontare una specifica situazione politica e sociale. Era anche
profondamente umano, capace di grandi ampiezze e profondita' di visioni e
sensazioni, di grandi illuminazioni e tremendi dubbi, e le radici dei suoi
atteggiamenti e delle sue azioni erano profonde e contorte, come quelle
della maggior parte degli uomini. Fece scelte buone e cattive. Feri' alcuni,
ma consolo' e sostenne molti. Accetto' compromessi inevitabili nella vita
pubblica. Ma fondamentalmente era un uomo di visione e d'azione, che si
poneva molte delle questioni piu' profonde che l'umanita' si trova ad
affrontare mentre lotta per vivere in comunita'. E' questo confronto su basi
di autentica umanita' a contrassegnare la sua vera statura e a conferire
alle sue lotte e ai suoi lampi di verita' un significato durevole. Come uomo
del suo tempo che si poneva le domande piu' profonde, pur non essendo in
grado di dare ad esse una risposta, divenne un uomo di ogni tempo e di ogni
luogo.
4. MATERIALI. PER STUDIARE LA GLOBALIZZAZIONE: DA GRAZIA HONEGGER FRESCO A
IVAN ILLICH
* GRAZIA HONEGGER FRESCO
Profilo: nata a Roma, vive dal 1960 a Castellanza (VA), dove ha fondato e
diretto fino al 1986 una scuola Montessori per bambini da due a dieci anni.
Presidente del Centro Nascita Montessori, istruttrice del Cemea, è
responsabile redazionale de "Il quaderno Montessori". E' impegnata nel
Movimento Nonviolento.
* MAX HORKHEIMER
Profilo: filosofo nato a Stoccarda nel 1895, direttore dell'«Istituto per la
ricerca sociale» di Francoforte, esule antinazista, muore nel 1973. E' una
delle figure di spicco della "scuola di Francoforte". Opere di Max
Horkheimer: tra esse segnaliamo Crepuscolo, Dialettica dell'illuminismo (con
Adorno), Eclisse della ragione, e gli studi raccolti in Teoria critica,
tutti presso Einaudi, Torino. Opere su Max Horkheimer: Antonio Ponsetto, Max
Horkheimer, Il Mulino, Bologna.
* VITTORIO HOESLE
Profilo: filosofo tedesco, nato a Milano nel 1960. Opere di Vittorio Hösle:
segnaliamo particolarmente Filosofia della crisi ecologica, Einaudi, Torino
1992.
* JOHAN HUIZINGA
Profilo: illustre storico olandese, nato nel 1872 a Groninga, docente a
Groninga e Leida, nel 1942 fu imprigionato dai nazisti, e dal 1943 confinato
come ostaggio a de Steeg, dove morì il primo febbraio 1945. Opere di Johan
Huizinga: cfr. almeno L'autunno del Medio Evo, Sansoni, Firenze; Crisi della
civiltà; Homo ludens; Erasmo; La civiltà olandese del Seicento; tutti presso
Einaudi, Torino; La mia via alla storia e altri saggi, Laterza, Bari.
* HEINZ HUNKE
Profilo: attivo nella solidarietà internazionale, per la liberazione dei
popoli ed i diritti umani, contro il razzismo. Opere di Heinz Hunke:
Apartheid, Cies, Roma 1987; Navigare nella solidarietà. Come orientarsi nell
'universo telematico, Asal-Idoc, Roma 1997.
* EDMUND HUSSERL
Profilo: (1859-1938) è il grande filosofo fondatore della scuola
fenomenologica. Opere di Edmund Husserl: a nostro avviso occorre leggere
almeno La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, Il
Saggiatore, Milano. Opere su Edmund Husserl: due agili introduzioni sono
Renzo Raggiunti, Introduzione a Husserl, Laterza, Roma-Bari; e Stefano
Poggi, Husserl e la fenomenologia, Sansoni, Firenze. Ovviamente sono
fondamentali gli studi husserliani di Enzo Paci.
* ALDOUS HUXLEY
Profilo: umanista e scrittore inglese (1894-1963), membro di una famiglia di
prestigiosi intellettuali, lungamente impegnato in un'opera di
ricomposizione di diverse e divergenti tradizioni e nella denuncia di
fenomeni sociali di crescente alienazione. Opere di Aldous Huxley: cfr.
almeno Il mondo nuovo, Mondadori, Milano; Filosofia perenne, Adelphi,
Milano; Saggi sull'educazione, Armando, Roma.
* PASQUALE IANNAMORELLI
Profilo: costruttore di pace, amico della nonviolenza, animatore delle
Edizioni Qualevita. Indirizzi utili: Edizioni Qualevita, via Buonconsiglio
2, 67030 Torre dei Nolfi (AQ), tel. 0864.46448, e-mail: sudest@iol.it
* KON ICHIKAWA
Profilo: regista cinematografico giapponese. Opere di Kon Ichikawa: L'arpa
birmana, 1956.
* IVAN ILLICH
Profilo: Ivan Illich è nato a Spalato nel 1925. Laurea in mineralogia a
Firenze, studi ulteriori di psicologia, arte, storia (dottorato a
Salisburgo). Ordinato sacerdote nel 1951, per cinque anni opera in una
parrocchia portoricana a New York, poi è prorettore dell'Università
Cattolica di Portorico. A Cuernavaca (Messico) fonda il CIDOC (Centro
interculturale di documentazione). Docente in varie università,
conferenziere, studioso costantemente impegnato nella critica delle
istituzioni e nella indicazione di alternative che sviluppino la creatività
e dignità umana. Pensatore originale, ha promosso importanti ed ampie
discussioni su temi come la scuola, l'energia, la medicina, il lavoro. Opere
di Ivan Illich: Descolarizzare la società, Mondadori; La convivialità,
Mondadori, poi Red; Rovesciare le istituzioni, Armando; Energia ed equità,
Feltrinelli; Nemesi medica: l'espropriazione della salute, Mondadori, poi
Red; Il genere e il sesso, Mondadori; Per una storia dei bisogni, Mondadori;
Lavoro-ombra, Mondadori; H2O e le acque dell'oblio, Macro; Nello specchio
del passato, Red; Disoccupazione creativa, Red. Raccoglie i materiali di un
seminario con Illich il volume Illich risponde dopo "Nemesi medica",
Cittadella, Assisi 1978. Cfr. anche il libro-intervista di David Cayley,
Conversazioni con Ivan Illich, Elèuthera, Milano 1994. Utile anche il volume
di AA. VV., Le professioni mutilanti, Cittadella, Assisi 1978 (che si apre
con un intervento di Illich). Opere su Ivan Illich: appassionate ed anche
aspre discussioni si sono svolte sulle principali tesi ed opere di Illich,
particolarmente in ambito pedagogico, ecologista, dei movimenti di critica
delle istituzioni (e contro le istituzioni totali), antiautoritari e
libertari.
5. LETTURE. ALCUNI LIBRI RECENTI PER LA LOTTA CONTRO LA MAFIA
* Saverio Lodato, Piero Grasso, La mafia invisibile. La nuova strategia di
Cosa Nostra, Mondadori, Milano 2001. Un utilissimo libro a quattro mani:
Saverio Lodato, uno dei giornalisti piu' qualificati e impegnati contro la
mafia, colloquia con Piero Grasso, procuratore capo di Palermo.
* Gian Carlo Caselli, Antonio Ingroia (a cura di Maurizio De Luca),
L'eredita' scomoda. Da Falcone ad Andreotti sette anni a Palermo,
Feltrinelli, Milano 2001. Gian Carlo Caselli e' il prestigioso magistrato
che dopo le stragi in cui furono trucidati Giovanni Falcone, Paolo
Borsellino e con loro altri martiri della lotta contro la mafia, ando' a
Palermo a proseguire la lotta; come aveva fatto Antonino Caponnetto quando
era stato assassinato Rocco Chinnici. Antonio Ingroia e' magistrato presso
la direzione distrettuale antimafia di Palermo dal 1992. Maurizio De Luca ha
svolto molte importanti inchieste giornalistiche sul potere mafioso e le
complicita' politiche.
* Nicola Tranfaglia, La sentenza Andreotti, Garzanti, Milano 2001.
Tranfaglia, storico e docente all'Universita' di Torino, ha pubblicato
diversi volumi sul potere mafioso nella storia d'Italia; qui presenta e
analizza le conclusioni della sentenza del processo palermitano a Giulio
Andreotti, evidenziando come il giudizio storico e politico che se ne ricava
conferma e non smentisce la verita' storica dei rapporti mafia-politica e
del ruolo del sistema di potere andreottiano nell'intreccio tra politica,
affari, crimine organizzato.
* Elio Veltri, Marco Travaglio, L'odore dei soldi. Origini e misteri delle
fortune di Silvio Berlusconi, Editori Riuniti, Roma 2001. Un membro della
Commissione parlamentare antimafia ed un giornalista d'inchiesta hanno
ripresentato in questo libro alcuni documenti e fatti gia' noti da tempo
analizzandone le implicazioni: un libro di documentazione, sobrio,
essenziale, da leggere prima che una legge del parlamento attuale proibisca
l'uso della memoria e della ragione.
* Giovanni Russo Spena, Peppino Impastato: anatomia di un depistaggio,
Editori Riuniti, Roma 2001. La relazione della Commissione parlamentare
antimafia sull'omicidio di Giuseppe Impastato presentata da Giovanni Russo
Spena; con contributi di Giuseppe Lumia, Nichi Vendola, Michele Figurelli,
Gianfranco Donadio, Enzo Ciconte, Antonio Maruccia, Umberto Santino.
* Renate Siebert (a cura di), Relazioni pericolose. Criminalita' e sviluppo
nel Mezzogiorno, Rubbettino, Soveria Mannelli 2000. Assai utile raccolta di
saggi: oltre alla curatrice, illustre sociologa, vi contribuiscono Umlberto
Santino (da decenni il piu' importante studioso della mafia, ed insieme il
piu' lucido militante del movimento antimafia), Ercole Giap Parini, Rocco
Sciarrone, Sonia Floriani, Felia S. Allum, Dorothy Louise Zinn, Monica
Massari, Stefano Becucci, Paola Monzini, Alessandra Dino, Tonio Tucci,
Assunta Lucanto, Paola Maria Fiocco.
* Umberto Santino, La cosa e il nome. Materiali per lo studio dei fenomeni
premafiosi, Rubbettino, Soveria Mannelli 2000: una raccolta di docuimenti
preceduta da un ampio studio interpretativo dei fenomeni premafiosi;
l'autore e' il fondatore e direttore del Centro siciliano di documentazione
"Giuseppe Impastato" di Palermo.
* Fabio Armao, Il sistema mafia. Dall'economia-mondo al dominio locale,
Bollati Boringhieri, Torino 2000. Un utile studio che si colloca per alcuni
temi di ricerca decisivi sulla linea interpretativa elaborata soprattutto da
Umberto Santino e dal Centro "Impastato" di Palermo.
* Umberto Santino, Storia del movimento antimafia, Editori Riuniti, Roma
2000. Uno strumento di lavoro e un punto di riferimento fondamentale: una
lettura semplicemente indispensabile.
6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.
7. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org ;
per contatti, la e-mail è: azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
http://www.peacelink.it/users/mir . Per contatti: lucben@libero.it ;
angelaebeppe@libero.it ; mir@peacelink.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it . Per
contatti: info@peacelink.it
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac@tin.it
Numero 192 del 9 agosto 2001