[Date Prev][Date Next][Thread Prev][Thread Next][Date Index][Thread Index]
[TESTIMONIANZA] - Abbiamo avuto paura della Polizia
To: <info@peacelink.it>
Subject: sabato a Genova
Invio un resoconto di quel che ho vissuto
personalmente a Genova. Spero di poter contribuire in
questo modo a ricostruire quanto è realmente avvenuto:
non ho la pretesa di affermare "io ero lì, quindi so
cosa è successo"; né credo che nessuno possa averla,
visto che nessuno può avere visto quel che accadeva in
diverse parti della città, in differenti momenti, a
200.000 persone. Forse potrà interessare qualcuno,
specie chi non ha potuto partecipare. Ciao, M.
Sabato mattina anch'io, come altre 200.000 persone
circa, ero a Genova. Anch'io, come loro, avevo ideali
che mi sostenevano e idee da portare: avrei voluto
chiedere ai G7+1 di cancellare il debito dei Paesi del
Terzo mondo (sulla maglietta che indossavo si leggeva:
"Drop the dept"); avrei voluto esprimere tutto il mio
dissenso sul progetto Usa riguardo allo scudo
spaziale; mi sarebbe piaciuto vedere sottoscritto da
tutti i partecipanti al G8 il Trattato di Kyoto; avrei
apprezzato veder prese in seria considerazione serie
proposte come la "Tobin Tax"; avrei voluto gridare che
il primato su decisioni che incidono e incideranno sul
futuro di milioni di esseri umani e sul nostro Pianeta
spetta alla politica e ai politici, non all'economia e
alle multinazionali. Avrei voluto; e migliaia di altre
persone era lì con qualcosa da dire. Ma non se ne è
parlato. Lo si è fatto nel periodo precedente
l'incontro tra i "Grandi" della terra, e questa resta
forse la sola (e comunque importante) voce in attivo
nel bilancio di queste giornate.
I ricordi di quei momenti, che dalla tranquilla
XXXXX [Nome della citta' di chi scrive, ndr] sembrano così lontani, mi fanno
ancora fremere di rabbia e disillusione. Ma gli
ideali, per fortuna, non spariscono in un sabato.
All'arrivo a Genova, io e due miei amici, ci siamo
messi alla ricerca di altri manifestanti della Rete di
Lilliput per partecipare con loro al corteo. Abbiamo
incontrato gli appartenenti al nodo di Biella e, dopo
una sosta di preghiera alla chiesa di Boccadesse, ci
siamo avviati con loro e con altri gruppi (pacifici)
di diversa ispirazione (le buone causa non hanno mai
il copyright, ndr) verso Piazzale Kennedy. Il clima
era abbastanza disteso, anche se certo era palpabile
che i tragici scontri del giorno prima avevano
lasciato il segno; su striscioni e muri, in grida e
cori, il ritornello era spesso lo stesso: "Polizia
assassina". E le notizie dall'avamposto (noi ci
trovavamo in quello che è poi diventato il secondo
spezzone del corteo), dove si parlava già di scontri
con le forze dell'"ordine", così come quelle che
giungevano dalle retrovie, che informavano della
presenza di qualche centinaio di facinorosi "Black
Blocks", dipingevano sui nostri volti venature di
tensione. Ma per ora quello che si presentava ai
nostri occhi era qualcosa di diverso: giovanissimi,
giovani, persone di mezza età e anziani, tutti insieme
procedevamo in una gioiosa marcia, tra canti, balli,
inni e cori.
Ad un certo punto, però, le cose sono cambiate. La via
che conduceva a Piazzale Kennedy, divisa da un lungo
spartitraffico centrale, era ormai spaccata in due:
dalla parte opposta alla nostra sfilavano le bandiere
rossonere degli anarchici, innalzate da qualche
centinaio di persone in assetto da guerriglia. Ma
spranghe che uscivano dagli zaini, mascherine antigas
per ogni evenienza, caschi, scudi di plastica
trasparente ed espliciti striscioni, forse erano
indizi troppo generici perché un semplice carabiniere
potesse arrivare a capire che le intenzioni di questa
gente non erano poi così pacifiche. Del resto, per
quanto ho visto, nei loro confronti non è stato preso
alcun provvedimento neppure in seguito.
Ma ritorniamo a noi, ormai giunti all'ultima curva
prima di Piazzale Kennedy. Arrivati lì, gli
organizzatori ci hanno detto di fermarci perché più
avanti erano in corso tafferugli: oltre ai soliti
elicotteri, si vedeva sullo sfondo un enorme
dispiegamento di forze dell'"ordine" che lanciava
lacrimogeni dal tetto di alti palazzi. Era tutto così
irreale. Ad un certo punto poliziotti e carabinieri
hanno iniziato a correre minacciosamente verso di noi,
ma fortunatamente si sono fermati dopo poche decine di
metri. Abbiamo allora deciso, per esprimere le nostre
intenzioni pacifiche, di sederci tutti a terra con le
mani alzate. Eravamo in centinaia ad essere in quella
posizione, ma la carica di coloro che avevano il
compito di garantire la nostra sicurezza non si è
fatta attendere che pochi secondi. Improvvisamente le
camionette sono partite verso di noi e quell'orda di
uomini vestiti di blu, eccitati dalla sensazione che
l'essere armati evidentemente dava loro, ha iniziato a
lanciare lacrimogeni a pochi metri da noi; il tutto,
ovviamente, ben condito da manganellate che non hanno
mancato di colpire molti di noi, impossibilitati a
scappare a causa dell'incredibile ressa. Un mio amico
è stato colpito alla testa da un violento colpo, io,
fortunatamente, solo alla spalla, mentre per l'altro
mio compagno di viaggio hanno usato spray al
peperoncino. Ho poi saputo che un mio collega di
lavoro, venuto a Genova come giornalista, venerdì era
stato portato all'interno di una camionetta e pestato
come fosse un delinquente: trauma cranico e 15 giorni
di prognosi. Stava lavorando.
Un ultimo episodio. Ore 23.45, sabato sera, vicino
alla chiesa di Badesse, dove avevamo parcheggiato. Io
e i miei due amici stavamo andando a recuperare l'auto
per andare in zona Genova est, in un centro sportivo
messo a disposizione ai manifestanti per la notte,
quando abbiamo incrociato un uomo che ci ha detto di
aver sentito che la polizia stava facendo irruzione
nella sede del Genoa Social Forum e nella scuola di
via Diaz, adibita a dormitorio. Intorno alle 02.30,
nel centro sportivo, dopo aver seguito gli eventi in
diretta su Radio Popolare insieme ad altre 200 persone
circa (molte altre erano già a dormire), abbiamo
iniziato a discutere sul da farsi. L'assurdo pestaggio
era stato consumato, 22.000 persone avevano già
lasciato lo Stadio Carlini, nei giorni precedenti
autogestito dalle "Tute Bianche", per paura di subire
un trattamento analogo. A noi la scelta: rischiare di
rimanere, decidendo di difendere i nostri diritti
pacificamente (a chi avesse avuto intenzioni diverse
era già stato detto di andarsene) o allontanarci in
fretta e furia. Avevamo già deciso di restare, quando
si è appreso che il Governo, alla buon'ora, aveva
ordinato alle forze dell'"ordine" di rientrare nelle
caserme. Avevamo avuto paura. Della Polizia di Stato.
Dei Carabinieri. Di chi viene ancora chiamato "forze
dell'ordine". E a qualcuno, purtroppo, è andata peggio
che a noi. M.R.