[Date Prev][Date Next][Thread Prev][Thread Next][Date Index][Thread Index]

La nonviolenza e' in cammino. 169



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 169 del 17 luglio 2001

Sommario di questo numero:
1. Peppe Sini, la scelta della nonviolenza
2. Susan George, contro la violenza
3. Enrico Euli, alcune nozioni sull'azione diretta nonviolenta dalla A alla
Z
4. Appello della Tavola della Pace ai governi del G8
5. Un'intervista ad Alessandro Zanotelli
6. Vandana Shiva, riconciliarsi con la diversita'
7. I pensierini di Pedalino: come l'Orco ti soggioga
8. La "Carta" del Movimento Nonviolento
9. Per saperne di piu'

1. RIFLESSIONE. PEPPE SINI: LA SCELTA DELLA NONVIOLENZA
Noi abbiamo conosciuto il secolo di Auschwitz e di Hiroshima.
Qualcuno ancora crede che la violenza possa liberare l'umanita'? Di certo
uccide gli esseri umani.
Qualcuno ancora pensa che le armi e gli eserciti possano essere usati a fini
di liberazione? Di certo le armi servono a uccidere, di certo gli eserciti
servono a fare la guerra, di certo la guerra e' sempre omicidio di massa.
Qualcuno ancora ritiene che si possano contrastare i poteri assassini
imitandoli? Qualcuno ancora sostiene di poter lottare contro l'ingiustizia
commettendo ingiustizie a sua volta?
Qualcuno ancora sostiene di lottare per la dignita' umana mentre la calpesta
e violenta ed annichilisce nelle concrete persone che ha vicino e di fronte?
Noi abbiamo conosciuto il secolo di Auschwitz e di Hiroshima e sappiamo cosa
l'uomo possa fare all'uomo e come l'umanita' intera possa essere distrutta.
E' perche' lo sappiamo che sentiamo il dovere di resistere all'inumano; e'
perche' lo sappiamo che dobbiamo costruire, cominciando con il nostro agire
quotidiano e con un impegno morale ed intellettuale e politico energico e
nitido, una societa' diversa, di liberi ed eguali e solidali.
Questa scelta radicale di resistenza, questa esigenza inestinguibile di
dignita', questo bisogno di limpidezza e di coerenza, di riconoscimento e di
comunicazione, rendono necessario abbracciare la nonviolenza.
La nonviolenza nella sua complessita' e pluridimensionalita', nella sua
costitutiva incompiutezza, nella sua provocazione gnoseologica ed
esistenziale, nella sua percezione ed ascolto dell'altro, nella sua essenza
e mobilita' comunicativa e conflittuale, dialettica e materiale: la
nonviolenza come teoria e pratica sperimentale e aperta, come memoria e
disamina critica di esperienze storiche e culturali e psicologiche, come
campo di valori, di ragionamenti e giudizi morali, come insieme di tecniche
di azione e deliberazione, come prospettiva e strategia politica, come
progetto economico e sociale, come opzione concreta per il diritto e la
democrazia, come ricerca e speranza condivisa, come decisione e cammino,
come riconoscimento e suscitamento del conflitto, come radicale
interrogazione, come principio responsabilita'.
La nonviolenza non e' ne' un'ideologia ne' un esercizio di bricolage, ma un
campo di esperienze e riflessioni di straordinaria vastita' ed apertura: e'
la possibilita' e la decisione di lottare per affermare la dignita' umana,
quella tua e quella di tutti, senza vilta', senza illusioni, senza menzogne.

2. RIFLESSIONE. SUSAN GEORGE: CONTRO LA VIOLENZA
[Dal sito del Movimento Nonviolento (www.nonviolenti.org) riprendiamo questa
dichiarazione di Susan George (tradotta da Daniele Lugli). Presentandola,
Pasquale Pugliese del Movimento Nonviolento e della Rete Lilliput,
giustamente mette in evidenza che "i nodi che Susan George pone sono
fondamentali per la vita stessa del movimento (oltre che per la vita delle
persone); sono fondamentali per l'esito della lotta in atto; sono
fondamentali per definire il ruolo che la Rete di Lilliput a Genova, e oltre
Genova, deve assumere all'interno del movimento. Il problema di fondo e' che
il conflitto sociale ed ecologico - che non e' tra noi e i G8 ma tra tutti i






ricchi del pianeta ed il resto degli esseri viventi - deve essere
trasformato in senso nonviolento o la repressione annullera', come gia'
successo in passato, ogni conflitto. Chi alimenta lo scontro violento,
consapevolmente o meno, alimenta la repressione e fa polarizzare il
conflitto tra due soggetti artificialmente contrapposti - popolo di Seattle
vs popolo della polizia - quando esso deve invece essere il piu' possibile
socializzato tra tutti, per far esplodere le contraddizioni - interne a
ciascuno di noi - di un sistema di vita e di sviluppo, ambientalmente e
socialmente, insostenibile. E costruendone fin da subito le alternative
possibili. La Rete di Lilliput puo' e deve rappresentare questo elemento di
novita' nel panorama del movimento italiano volto a trasformare - attraverso
una seria e approfondita strategia e metodologia nonviolenta - il consenso
che circonda il potere e la ricchezza (non dimentichiamoci che in Italia ha
appena vinto le elezioni Berlusconi) progressivamente in dissenso ed il
dissenso il lotta. E su tutto cio', a mio parere, la riflessione e' ancora
agli inizi".
Susan George, economista, e' tra i maggiori esperti internazionali dei
rapporti Nord/Sud, direttrice del Transnational Institute di Amsterdam,
impegnata nei movimenti ambientalisti, pacifisti, nonviolenti, di
solidarietā. Tra le opere di Susan George: Come muore l'altra metā del
mondo, Feltrinelli, Milano 1978; Il debito del Terzo Mondo, Edizioni Lavoro,
Roma 1989; Il boomerang del debito, Edizioni Lavoro, Roma 1992; Il boomerang
del debito estero, in Susan George, Massimo Micarelli, Antonio Papisca, Un'
economia che uccide, L'altrapagina, Cittā di Castello 1993]
ATTAC svedese ha ora tra i 4000 ed i 5000 membri; in proporzione alla
popolazione sono tanti quanti, o piu' che, in Francia dopo meno di un anno
di esistenza ed e' riconosciuto come un fenomeno politico significativo.
ATTAC svedese lavorava da molti mesi alla preparazione del summit di
Goteborg trattando con il governo e la polizia affinche' le manifestazioni
si svolgessero pacificamente. Il Presidente del Consiglio di ATTAC, Hans
Abramsson che occupa una cattedra universitaria di studi sulla pace e il
conflitto era al centro di questa preparazione e America Vera-Zavala ha
incontrato il primo ministro Goran Persson (la foto di America con il suo
chemisier bianco adorno del simbolo rosso di ATTAC a fianco di Persson era
sulla prima pagina di "Metro", il quotidiano del summit). Tutto questo e'
nella tradizione svedese della concertazione e del consenso e, secondo i
membri di ATTAC, si era stabilita una reciproca fiducia.
Ahime', tutti questi sforzi sono stati vanificati. I problemi sono
cominciati giovedi pomeriggio. Il governo aveva aperto numerose scuole
perche' i militanti vi potessero dormire; correva voce che ci fossero armi
nascoste in una scuola, gli occupanti si sono rifiutati di uscire, la
polizia ha fatto venire degli immensi container per bloccare tutti gli
accessi alla scuola e tafferugli tra polizia e manifestanti si sono
verificati in un parco attiguo dove la polizia era a cavallo, contrariamente
alle promesse fatte durante le trattative. Malgrado tutto niente di molto
grave giovedi, anche se la tensione cominciava a crescere.Venerdi gli
occupanti di tendenza "Globalisation from Below" "Ya Basta" e "Tute Bianche"
sono stati evacuati. Venerdi ero personalmente nel villaggio alternativo
dove si trovavano tende ospitanti diverse organizzazioni e tutti i forum, ma
a meno di 500 metri da li' gli scontri e le distruzioni erano cominciati.
Sul grande viale, che i goteborghesi paragonano ai Champs-Elysees, non
restava una sola vetrina intatta alla fine della sera. Duecento persone
circa erano riuscite a farne precipitare nella zuffa un migliaio o piu'. I
poliziotti, completamente sopraffatti e con le vetture distrutte, hanno
sparato pallottole vere e una persona almeno e' stata gravemente ferita
all'addome e altre piu' lievemente. Gli svedesi non hanno mai visto violenze
simili sul loro territorio e ne sono profondamente colpiti.
Io condanno in modo chiaro e netto queste violenze e cio' per piu' ragioni.
- Indipendentemente dalle posizioni filosofiche sull'argomento ed a
prescindere dal fatto che i nostri colleghi svedesi sono stati piuttosto
traumatizzati, le violenze fanno invariabilmente il gioco dell'avversario.
Anche in caso di provocazioni e quando la polizia e' responsabile
nell'aprire le ostilita', come spesso avviene, ci si mette tutti nello
stesso sacco. I media evidentemente non parlano che di questo. Le idee, le
ragioni della nostra opposizione, le proposte vengono completamente
nascoste.
- Lo Stato si definisce per il suo "monopolio della violenza legittima".
Chiunque pensi di poterlo affrontare e vincere su questo terreno non ha
fatto molta strada nell'analisi politica. Chiunque pensi che rompere vetrine
e picchiare poliziotti "minacci il capitalismo" non ha per niente un
pensiero politico.
- Noi non possiamo costruire un movimento largo e popolare sulla base di una
cultura di giovani e persone che sono pronti a farsi spaccare la faccia.
Tutte le persone che hanno paura dei lacrimogeni, della violenza - le
persone della mia eta', le famiglie con bambini, le persone meno in forma
fisicamente - si asterranno e non verranno a nessuna nostra manifestazione.
- Questo non e' democratico. Francamente ne ho abbastanza di questi gruppi
che non ci sono mai per il lavoro preparatorio, che non fanno mai nulla
nella politica quotidiana ma che arrivano nelle manifestazioni come fiori
("velenosi") per distruggere, quali che siano gli accordi negoziati dagli
altri. Per di piu' cio' tende a spezzare l'alleanza tra quelli che
condannano queste violenze e quelli che le tollerano.
- Si insultano quelli che rifiutano e condannano la violenza trattandoli da
"riformisti", ma l'opposizione "riforma-rivoluzione" non ha alcun senso nel
contesto attuale e non e' cosi', secondo me, che si pone il problema. Non e'
"rivoluzionario" dividere il movimento sociale e perdere alleati potenziali;
non e' "rivoluzionario" suscitare la simpatia per i nostri avversari nella
grande maggioranza della popolazione; non e' "rivoluzionario" opporsi a
tutte le misure parziali (come la Tassa Tobin) nell'attesa della "Grade
Sera", idiota e controproducente.
In una parola, ne ho abbastanza di questi tirannelli e temo che se si
continua a lasciarli fare finiranno per distruggere il movimento. La piu'
bella speranza politica da trent'anni a questa parte.

3. MATERIALI. ENRICO EULI: ALCUNE NOZIONI SULL'AZIONE DIRETTA NONVIOLENTA,
DALLA A ALLA Z
[Il seguente testo, che intende fornire alcune cognizioni di base a chi
vorra' partecipare alle iniziative nonviolente a Genova durante il G8,
abbiamo ripreso dalla rete telematica pacifista Peacelink. Su alcuni punti
abbiamo un dissenso e riscontriamo qualche ambiguita' che ci preoccupa (e ad
esempio: come e' noto noi riteniamo che occorre esprimere la piu' assoluta
contrarieta' alla follia suicida e omicida dei militaristi che si
ripromettono di irrompere nella "zona rossa", occorreva che su questo il
Genoa Social Forum fosse limpido e deciso dall'inizio; come e' noto noi non
accettiamo il linguaggio e la logica che irride ed insulta e aggredisce e
mostrifica le persone delle forze dell'ordine), Enrico, che riteniamo la
pensi come noi, ci perdonera' quest'annotazione che non riguarda lui ma
punti specifici di un testo che del resto ci pare assai valido. Enrico Euli
e' impegnato nei movimenti per la pace, formatore alla nonviolenza (ha
collaborato anche con Alberto L'Abate), fa parte della cooperativa
"Passaparola" di Cagliari impegnata in attivitā di educazione alla pace. Tra
le opere di Enrico Euli cfr. AA. VV., Percorsi di formazione alla
nonviolenza, Pangea 1996]
* Azione diretta nonviolenta: un'azione agita attraverso il corpo e/o le
parole, in forma immediata e creativa, non delegata ad altri, ma assunta
responsabilmente in prima persona. E' importante che esprima insieme,
simbolicamente, sia la protesta che la proposta di cui si fa portatrice.
* Botte: e' importante metterle in conto ed essere disponibili a prenderne
senza reagire mimeticamente; e' possibile assumere precauzioni per limitare
i danni (posizioni fisiche a guscio, minime protezioni alle reni e alla
testa), ma la tradizione nonviolenta esclude l'uso di caschi, scudi, tute e
corazze di qualunque natura, in quanto esse corrono il rischio di essere
interpretate aggressivamente (tutti hanno sempre giustificato le armi a
partire da esigenze di autodifesa).
* Consiglio dei portavoce: ogni gruppo d'affinita' (GdA) esprime un
portavoce che prende parte periodicamente agli incontri di scambio e
coordinazione tra i gruppi, al fine di arrivare, se possibile, ad azioni e
decisioni comuni e condivise. Il portavoce non e' un delegato e quindi, di
regola, il Consiglio non e' decisionale, se non in situazioni di urgenza.
* Disobbedienza civile: rappresenta un livello di alto rischio e
compromissione personale dell'azione nonviolenta, in quanto presuppone
l'illegalita' dell'agire stesso: si disobbedisce ad una legge per
manifestare il proprio rifiuto radicale di un'ingiustizia, fosse pure
legalmente perpetrata. Termine base della tradizione nonviolenta, oggi
riutilizzato dalle "tute bianche" in modo corretto rispetto ai contenuti
dell'agire, ma ambiguo rispetto alle forme da loro scelte per farlo.
* Evacuazioni: per quelle di interesse primario auspichiamo una sufficiente
predisposizione di servizi igienici da parte del Comune e della Protezione
civile; per quelle che derivassero da sgomberi, ricordiamo soltanto due
cose: 1. che la polizia, per legge, non puo' fare cariche a freddo e senza
una gradualita' nell'uso degli strumenti a sua disposizione (persuasione,
trascinamenti, idranti, manganelli...); 2. di portare scarpe aperte ma che
non si sfilano, di correre ed urlare meno possibile, di muoversi con calma
in direzioni non scelte da troppi.
* Facilitazione: nella tradizione dei gruppi d'affinita' si e' affinata nel
tempo la figura del facilitatore, una persona del gruppo che, a rotazione,
aiuta le persone a discutere e a decidere in modo efficace; nelle fasi in
cui svolge questa funzione non prende parte alla discussione, ma si limita
ad individuare e a far verificare i punti di consenso raggiunti dal gruppo,
moderando i tempi e i modi degli interventi.
* Gruppo d'affinita': rappresenta il fulcro dell'azione diretta nonviolenta,
in quanto in esso le persone (che dovrebbero aver verificato da tempo
metodi, fiducia ed affiatamento reciproci) si incontrano, discutono,
decidono e valutano insieme il da farsi. Ogni GdA e' autonomo, ma si collega
agli altri inviando un suo portavoce al Consiglio, in modo tale da tener
conto delle discussioni e delle istanze presenti tra tutti.
* Help!: chi si predisponesse al rischio di azioni dirette nonviolente 1. si
segni il numero di telefono di un avvocato di fiducia o meglio ancora di un
centro di appoggio giuridico, dopo aver preso gia' tutte le informazioni
utili per la tutela dei propri diritti; 2. si informi sulle forme di
assistenza sanitaria disponibili nelle vicinanze; 3. porti con se' il minimo
necessario per sopravvivere ad un'azione prolungata (acqua non in bottiglia
di vetro, occhiali da sole, fazzolettini, cappello, un piccolo cuscino da
stadio...).
* Infiltrati: lo stesso gruppo d'affinita' e' la miglior autotutela dal
rischio di infiltrazioni; vista la quasi totale trasparenza attuale delle
nostre procedure e' sempre possibile, pero', che chiunque possa
intrufolarsi; senza nutrire eccessi di diffidenza preventiva da caccia alle
streghe, il consiglio e' di vigilare, in particolare durante l'eventuale
corteo del 21: attenzione: gli infiltrati di solito sono vestiti come noi.
* Legalita': il nonviolento rispetta il sistema di leggi entro cui si trova
a vivere, ma non accetta di sottostare a leggi che considera ingiuste e
sceglie pubblicamente ed apertamente di trasgredirle se le ritiene
illegittime per la sua coscienza o per motivazioni sociali e morali.
L'azione nonviolenta puo' essere quindi legittima ed illegale, cosi' come
un'azione perfettamente legale puo' configurarsi agli occhi del nonviolento
come assolutamente illegittima e quindi da combattere.
* Metodo del consenso: i gruppi di affinita' (GdA), attraverso la
facilitazione, utilizzano nelle loro discussioni il Metodo del Consenso per
giungere a decisioni davvero comuni e condivise; molto schematicamente esso
si basa su quattro principi-base: 1. l'ascolto ed il valore delle
differenze; 2. la verifica esplicita del consenso e del dissenso (il
silenzio-assenso e' ritenuto insufficiente); 3. la ricerca dell'unanimita';
4. la possibilita' di astenersi sempre ed esplicitamente da una decisione
eventualmente assunta a maggioranza.
* Nonviolenza: scritto tutt'attaccato e' un termine che assume, nella
ricerca gandhiana, un significato ben diverso dalla semplice "non violenza"
(ahimsa) intesa come astensione passiva dalla violenza o non aggressione; il
"satyagraha" e' una teoria-prassi integrata che include idee, azioni,
programmi in positivo, in aggiunta, in costruzione. La pace, non puo' essere
soltanto, infatti, "assenza di guerra".
* Obiezione: Il Metodo del Consenso (MdC) invita le persone ad esprimere
dissensi ed obiezioni, soprattutto se radicali, prima che il gruppo deliberi
un'azione comune; se l'obiezione fosse ritenuta significativa,
indipendentemente dal numero delle persone che la presentano, il MdC prevede
la possibilita' di sospendere la decisione su quel dato punto, in attesa di
nuove discussioni ed eventuali soluzioni piu' adeguate a tutte le persone
del gruppo. L'obiezione non puo' pero' valere di per se' come bloccante o
come veto rispetto a decisioni di altri, da cui e' sempre possibile
dissociarsi.
* Polizia: per un nonviolento anche un poliziotto e', in primo luogo, un
essere vivente ed un essere umano; un avversario, o meglio un difensore
armato dei nostri avversari, ma mai un nemico. E' importante, nei limiti del
possibile, stare in una posizione di apertura e di dialogo, di correttezza e
di non provocazione, limitandosi a quel che l'obiettivo dell'azione
comporta, senza eccedere in contatti personali e senza mai dare informazioni
non necessitate su se' e su altri. Di solito e' utile delegare qualcuno a
tenere specificamente i contatti con la polizia.
* Qualita': un'azione nonviolenta non si caratterizza per la quantita' delle
persone coinvolte, non si pone necessariamente l'obiettivo di muovere le
masse (che sono comunque benvenute!); puo' essere agita anche da poche
persone, da piccoli gruppi ben preparati e persuasi, creativi e dinamici.
Questo permette a tutti di praticarla, con una relativa facilita', anche
nella vita quotidiana, davanti a piccoli e grandi soprusi. E' sufficiente
avere un corpo, anche piccolo, e -se necessario- una lingua!
* Resistenza passiva: il nonviolento prende una posizione, sia ideale che
fisica, e cerca con tutte le sue forze di mantenerla, resistendo ad ogni
tentativo di spostamento subito, senza aggredire ma asserendola con
chiarezza e tenacia. Se cosi' ha deliberato sceglie di non lasciare in campo
di fronte ad intimazioni di sgombero e lo fa solo se costretto dalla forza
violenta dell'avversario alla quale reagisce soltanto attraverso una
resistenza passiva (o, se preferite, una non collaborazione attiva).
* Stampa e tv: le azioni nonviolente non si fanno per i giornali e per le
tv, non si pongono l'obiettivo di dar spettacolo di se stesse; e' importante
che siano conosciute in modo tale che si parli di quel che vogliono far
sapere a tutti e, nel nostro caso, che sappiano aiutare i giornalisti a non
parlare soltanto di vetrine spaccate o di scontri tra ecoteppisti e forze
dell'ordine. Anche in questo caso forse e' utile delegare qualcuno che abbia
la fiducia di tutti a tenere i contatti con i mezzi di informazione e che
curi una efficace campagna di stampa e di controinformazione: e' un compito
delicato, da agire con la massima cautela.
* Training: da almeno mezzo secolo nel mondo e da vent'anni in Italia si e'
iniziato a lavorare con il training alla nonviolenza per avvicinare le
persone alle metodologie della facilitazione, del consenso e dei gruppi
d'affinita'. E' un insieme di metodologie di riflessione e di gioco, di
educazione attiva ed esperienziale, mirate ad una maggiore consapevolezza
delle dinamiche di un gruppo che si prepara ad un'azione diretta
nonviolenta.
* Urgenza: le situazioni di stress conducono spesso a dover prendere
decisioni accelerate ed urgenti; i GdA possono deliberare se una situazione
reclama decisioni urgenti e, solo in quel caso, si puo' delegare i portavoce
a prendere decisioni per tutti, fatta salva la liberta' per ciascuno di
esimersi dall'attuarla.
* Viaggi di avvicinamento: si consiglia a tutti di non concentrare gli
arrivi tra il 19 e il 21 ed, in particolare, ai GdA di arrivare alla
spicciolata e darsi appuntamento in citta' nei giorni precedenti agli
eventuali blocchi, anche per proseguire a fare training e a prendere le
ultime decisioni insieme. In particolare per chi non avesse fatto alcuna
preparazione in questi mesi, consigliamo di essere a Genova almeno per il 17
luglio, in modo tale da creare linee minime di formazione e coordinazione
comuni.
* Zona rossa-zona gialla: chissa' quale sara' la decisione finale, ma in
ogni caso: ogni Gda scegliera' quale livello d'azione e di rischio
assumersi, in relazione alle scelte dei singoli e alle competenze presunte
raggiunte attraverso la formazione. Sarebbe bene che 1. nessuno facesse
azioni per le quali non si e' e/o non si sente preparato o delle quali non
conosca le eventuali conseguenze legali e fisiche; 2. nessuno coinvolgesse
altri non consenzienti in azioni proprie o in effetti collaterali da queste
derivanti; 3. ogni azione permetta agli altri di compiere le proprie, senza
interferenze o impedimenti; 4. si salvaguardasse l'integrale non violenza
della nostra azione, anche in caso di legittima autodifesa.

4. DOCUMENTAZIONE. APPELLO DELLA TAVOLA DELLA PACE AI GOVERNI DEL G8
[Riceviamo e volentieri diffondiamo il seguente "Appello della Tavola della
Pace ai Governi del G8"]
La convocazione a Genova del prossimo vertice dei G8 rappresenta
un'importante occasione per riflettere sulle scelte piu' urgenti che la
comunita' internazionale, e in primo luogo i ricchi governi occidentali sono
chiamati a compiere per risolvere i gravi problemi aperti oggi nel mondo. In
vista di questo appuntamento, la Tavola della Pace, impegnata da anni nella
promozione della pace, di un'economia di giustizia e della democrazia
internazionale e nella costruzione dell'Onu dei Popoli, intende avanzare
alcune riflessioni e proposte.
Rafforzate l'Onu e la democrazia internazionale.
Promuovete il bene comune globale.
Il summit dei G8 riunisce i governi che, piu' di ogni altro governo al
mondo, detengono il potere, le risorse e i mezzi per determinare, nel bene e
nel male, le condizioni di vita e il futuro di gran parte dell'umanita'.
Essi rappresentano una piccolissima parte dell'umanita', ma le loro
decisioni hanno uno straordinario impatto su tutto il resto del mondo.
Su di essi ricade la responsabilita' di non aver impedito o di aver causato
molte delle grandi tragedie del nostro tempo: guerre, genocidi, poverta',
morte per fame, distruzione dell'ambiente e delle risorse naturali.
A loro, prima di ogni altro governo, spetta la responsabilita' politica e
morale di affrontare con efficacia queste grandi emergenze e costruire un
nuovo ordine internazionale, pacifico e democratico.
Ai governi che s'incontrano a Genova noi chiediamo di abbandonare ogni
atteggiamento "verticistico" promuovendo, da subito, la democratizzazione
del sistema internazionale, processi decisionali aperti e trasparenti, la
cooperazione a tutti i livelli, il riconoscimento del ruolo fondamentale
svolto dalle istituzioni locali e dalle organizzazioni della societa'
civile.
A loro chiediamo, ancora una volta, di cambiare rotta e di promuovere
decisamente il rafforzamento e la democratizzazione delle Nazioni Unite,
quale centro della governabilita' globale. Il processo di globalizzazione in
atto ha aumentato il gia' profondo deficit di democrazia internazionale
esistente, preparando un futuro denso di tensioni, incognite e di pericoli
inaccettabili. Senza il rilancio del sistema dell'Onu e la sua
democratizzazione, senza un forte investimento per ridargli forza, efficacia
e credibilita', nessuno dei tanti problemi aperti trovera' mai una soluzione
definitiva.
Ai capi di governo che si riuniscono a Genova si rivolgono da tempo,
inascoltati, i popoli dimenticati e defraudati del sud del mondo. La Tavola
della pace intende dare voce a quell'umanita' che, dalle periferie del
mondo, chiede innanzitutto cibo, acqua e lavoro per tutti. A queste domande
pressanti di liberta' e giustizia dobbiamo rispondere combattendo ogni forma
di esclusione e promuovendo la partecipazione democratica di tutti i paesi e
i popoli alla definizione delle regole e delle politiche globali.
Ai G8 chiediamo di cambiare le priorita' dell'agenda politica e dell'uso
delle risorse rimettendo al centro delle proprie scelte le persone, i popoli
e il rispetto dei loro fondamentali diritti, il bene comune globale.
A loro chiediamo di abbandonare una visione del mondo dominata dallo scontro
degli interessi nazionali e dalla legge del piu' forte: proseguire su questa
strada ci portera' al disastro.
Il mondo ha urgente bisogno di governi democratici decisi a promuovere e
tutelare il bene pubblico globale, mettendo freno al crescente disordine
internazionale. Il mondo ha bisogno di governi decisi a contrastare le
guerre e le massicce violazioni dei diritti umani; mettere al bando la
guerra e le armi che la alimentano; garantire a tutti l'accesso ai diritti
sociali di base (il diritto al cibo, all'acqua, alla salute, all'educazione,
alla casa, al lavoro,...); proteggere l'ambiente globale offrendo a tutti
pari opportunita' di sviluppo.
Ai G8 chiediamo di assumere queste priorita', mettendo, per una volta, in
secondo piano i propri interessi egoistici. Non ci servono i soliti
documenti pieni di parole altisonanti, promesse e buone intenzioni. Urgono
decisioni precise e vincolanti come queste:
* applicare e ampliare il Protocollo di Kyoto per la riduzione delle
emissioni di anidride carbonica che minacciano il clima e la vita di
miliardi di persone;
* cancellare il debito estero dei paesi impoveriti e rivedere il sistema di
concessione dei crediti che genera insostenibili processi di indebitamento;
* modificare quelle regole del commercio internazionale che impediscono il
libero accesso ai mercati dei prodotti dei paesi in via di sviluppo e
costringere il Fondo Monetario, la Banca Mondiale e l'Organizzazione
Mondiale per il Commercio ad agire nel rispetto dei principi e degli impegni
per lo sviluppo sostenibile fissati dall'Onu;
* aumentare le risorse dedicate alla cooperazione internazionale per
sradicare la poverta' estrema, la morte per fame e malattie, tassando le
transazioni finanziarie speculative e riducendo i bilanci e gli arsenali
militari;
* respingere il progetto americano delle guerre stellari, rilanciando il
ruolo dell'Onu per la costruzione di un sistema di sicurezza comune fondato
sul disarmo e la prevenzione dei conflitti;
* intervenire subito in Medio Oriente, a difesa dei diritti umani e della
legalita' internazionale, promuovendo un piano di pace basato sulle
risoluzioni delle Nazioni Unite e sul principio "Israele e Palestina: due
Stati per due Popoli". Con altrettanta determinazione e' urgente intervenire
in Macedonia e nelle troppe zone di guerra che continuano ad insanguinare il
mondo.
Questi obiettivi sono da lungo tempo al centro del nostro impegno
quotidiano. Oggi, li riproponiamo alla vigilia del summit di Genova per
ricordare ai "grandi" della terra le responsabilita' che si devono assumere.
E domani continueremo il nostro lavoro organizzando dall'11 al 14 ottobre, a
Perugia, una grande Assemblea della societa' civile mondiale e una nuova
edizione della Marcia per la Pace Perugia-Assisi per la globalizzazione dei
diritti umani, della democrazia e della solidarieta'.
Democrazia globale ora. Tutti i diritti umani per tutti.
Tavola della Pace, Francescani del Sacro Convento di Assisi, Associazione
per la Pace, Coordinamento Nazionale degli Enti Locali per la pace, AGESCI,
CGIL, CISL, UIL, ARCI, ACLI, Pax Christi, Emmaus Italia, CIPSI, Lega per i
Diritti e la Liberazione dei Popoli, Centro per la pace Forli'/Cesena,
Planet-Associazione per la cultura dell'interdipendenza, FIVOL-Fondazione
Italiana Volontariato, ICS-Consorzio Italiano di Solidarieta', Banca Etica,
Sondagenova (prime adesioni).
Per adesioni e informazioni: Tavola della Pace, via della Viola 1, 06122
Perugia, tel. 0755736890, fax: 0755721234, e-mail: mpace@krenet.it, sito:
www.tavoladellapace.it

5. RIFLESSIONE. UN'INTERVISTA AD ALESSANDRO ZANOTELLI
[La seguente intervista di Fabrizio Floris ad Alessandro Zanotelli e'
apparsa su "Il manifesto" del 15 luglio con titolo: "Tra gli esclusi dal G8.
Zanotelli, missionario che assedia Genova restando in Africa".
Alessandro Zanotelli, missionario comboniano, ha diretto per anni la rivista
"Nigrizia" conducendo inchieste sugli aiuti e sulla vendita delle armi del
governo italiano ai paesi del Sud del mondo, scontrandosi con il potere
politico, economico e militare italiano: rimosso dall'incarico č tornato in
Africa a condividere vita e speranze dei poveri. E' direttore responsabile
della rivista "Mosaico di pace", promossa da Pax Christi. Opere di
Alessandro Zanotelli: La morte promessa. Armi, droga e fame nel terzo mondo,
Publiprint, Trento 1987; Il coraggio dell'utopia, Publiprint, Trento 1988; I
poveri non ci lasceranno dormire, Monti, Saronno 1996; Leggere l'impero. Il
potere tra l'Apocalisse e l'Esodo, La meridiana, Molfetta 1996; Sulle strade
di Pasqua, Emi, Bologna 1998; Inno alla vita, Emi, Bologna 1998; Ti no ses
mia nat par noi, Cum, Verona 1998; La solidarietā di Dio, Emi, Bologna 2000]
Siamo sempre piu' incapaci di comunicare forse perche' tutto e' gia' stato
detto alla Tv e quindi sempre piu' incapaci di ascoltare. Eppure oltre il
lavoro, le vacanze e le ideologie c'e' una meta da raggiungere che il tempo
non erode. Cosi' Alex Zanotelli, missionario comboniano, gia' direttore di
"Nigrizia", ha scelto di vivere a Nairobi nella baraccopoli di Korogocho
dove la poverta' e' solo uno degli aspetti di una realta' tanto difficile
quanto complessa, "dove non c'e' nulla che tiene". La polizia e' corrotta,
il governo e' assente e la gente vive come puo, inventandosi il lavoro e
ogni strada per vivere, nella consapevolezza di essere nelle "mani di Dio",
come afferma Njonjo. A Korogocho non basta lavorare contro la poverta', ma
anche confrontarsi con le cause profonde al di la' della retorica della
"grande narrazione" proclamata dagli otto grandi.
La poverta' per Alex Zanotelli "non e' una situazione dovuta a problematiche
personali, ci sono anche queste si', ma e' una situazione voluta. Si sta
costruendo sul peccato, sull'ingiustizia, sull'apartheid economica, sulla
separazione tra gli straricchi, che sono pochi, e i molti che non hanno
nulla".
Fabrizio Floris: Alex, ritieni che l'azione della chiesa riesca ad incidere
efficacemente sui grandi problemi del mondo?
Alessandro Zanotelli: Le chiese in generale sono molto lontane dall'incidere
sul reale, questo non soltanto perche' uno e' convertito solo a meta', ma
perche' ognuno di noi e' prigioniero. Oggi gli psichiatri sostengono che il
90% di noi e' suddito di ideologie, di economie, di politiche. Sei
prigioniero delle idee che apprendi nel luogo in cui nasci e vivi e pensi
che quelle siano la verita'. Questo non e' facile da capire. Penso che la
parola di Dio dovrebbe aiutare a capire e a leggere la realta' mentre non
riusciamo ad analizzarla, ci passiamo dentro senza cambiare nulla. Questo
per me e' un problema enorme. Le chiese sono lontane da questo anche per
un'altra ragione, perche' non riescono a far passare la conversione dal
personale allo strutturale. C'e' stata pochissima ricerca finora a questo
livello. Ognuno di noi ha sempre pensato che se tu riesci a convertirti
cambi anche la realta', ma non e' vero, la societa' puo' farti ritornare
quel pagano che eri. Questi sono, a mio avviso, aspetti che dovranno essere
presi seriamente in considerazione per vedere come riuscire a fare questo
passaggio, per poter incidere sull'economico, sul politico, sul sociale.
Martin Luther King sosteneva che la chiesa e' stata convocata da Gesu' per
essere il termostato della societa' e invece ne e' semplicemente il
termometro: direi che questo e' il problema di fondo che ci attanaglia
tutti.
F. F.: Tuttavia negli ultimi mesi anche la chiesa cattolica italiana ha
espresso la sua opinione a proposito delle distorsioni del sistema con
alcuni documenti per molti aspetti alternativi. Cosa pensi della nuova
posizione della chiesa nei confronti del G8?
A. Z.: Sono contento, e' bello vedere una chiesa italiana che finalmente
scende in un terreno che poteva sembrare un campo minato, troppo politico,
economico o quel che si vuole, invece, il fatto che abbia prodotto dei
documenti e che stia mobilitando la base per me e' un segnale molto grosso
che prendo seriamente in considerazione. La cosa che bisognera' vedere e'
un'altra: fino a che punto la chiesa italiana, al di la della mobilitazione
per il G8, e' capace di fare davvero delle scelte. Non si puo' fare la
manifestazione contro il G8 e poi vivere in tutt'altra maniera. C'e' una
schizofrenia incredibile tra documenti e vita pratica. Ho affermato che la
chiesa italiana e' berlusconizzata e non parlo di vescovi o di chi sa chi,
parlo del popolo di Dio, semplicemente perche' la chiesa e' parte integrante
della societa' italiana. Noi cristiani abbiamo sposato i valori del
benessere, del successo, dell'apparire ed e' esattamente quello che
Berlusconi esprime. In questo senso penso che la verita' dovra' venire a
galla. Non si tratta soltanto di fare la manifestazione: se la chiesa
italiana davvero e' critica nei confronti di questo processo di
globalizzazione e lo esprime pubblicamente dovra' trarne le conseguenze
nella vita quotidiana, pratica, sociale, politica ed economica. E' qui che
vedremo davvero quanta serieta' c'e'.
F. F.: Cosa ne pensi dell'idea di Beppe Grillo di non organizzare
manifestazioni, ma di lasciare soli gli 8 grandi perche' tanto hanno gia'
deciso tutto?
A. Z.: Apprezzo molto l'idea di Beppe Grillo, pero' non so se sia la maniera
migliore per esprimere il dissenso in questo tipo di societa' cosi' dominata
dai mass-media. Oggi c'e' bisogno di visibilita' per avere un peso politico.
F. F.: La chiesa che esprime questa posizione compie una scelta politica. A
tuo avviso che rapporto c'e' tra fede e politica?
A. Z.: La chiesa deve rendersi conto che e' passato il tempo della politica
cosi' come finora l'ha concepita. Oggi le decisioni sono essenzialmente
economiche. Si tratta di recuperare per la politica lo spazio che le
appartiene. E' ora che la chiesa insista e lotti perche' il potere politico
ritorni a prendere quelle decisioni, anche in campo economico, che oggi gli
sono scappate quasi tutte di mano. Quella di cui parlo e' la politica che il
Dio biblico sogna per il suo popolo. Qualcosa di diverso dall'Egitto, impero
fondato su un'economia di opulenza che esigeva una politica di oppressione e
una religione dove Dio era parte integrante del sistema. Diverso anche dal
mondo di oggi dove pochi hanno tutto a spese di molti morti di fame. Questa
e' una violazione radicale del progetto di Dio per il mondo. Dio sogna una
societa' dove i beni siano a beneficio di tutti e non di pochi. Per fare
questo serve una politica di giustizia che permetta di andare davvero verso
un'economia di uguaglianza, che necessita di una religione del Dio libero.
La chiesa deve ritornare ad esprimere quello di cui e' portatrice: quel
sogno di Dio che Gesu' ha ripreso e rilanciato in quella "Galilea delle
genti". Questo lo deve far suo e farlo sentire non come un'imposizione, ma
come unica via per creare un mondo dove tutti possono vivere con dignita'.

6. RIFLESSIONE. VANDANA SHIVA: RICONCILIARSI CON LA DIVERSITA'
[Dalla rete telematica riprendiamo questo estratto da un recente libro di
Vandana Shiva, Biopirateria, CUEN 1999.
Vandana Shiva, scienziata e filosofa indiana, direttrice di importanti
istituti di ricerca e docente nelle istituzioni universitarie delle Nazioni
Unite, e' impegnata non solo come studiosa ma anche come militante nella
difesa dell'ambiente e delle culture native, č oggi tra i principali punti
di riferimento dei movimenti ecologisti, femministi, di liberazione dei
popoli, di opposizione a modelli di sviluppo oppressivi e distruttivi, e di
denuncia di operazioni e programmi scientifico-industriali dagli esiti
pericolosissimi. Altre opere di Vandana Shiva: Sopravvivere allo sviluppo,
Isedi, Torino 1990; Monocolture della mente, Bollati Boringhieri, Torino
1995]
In questi tempi di "pulizia etnica", mentre le monocolture si diffondono
nella societa' e nella natura, riconciliarsi con la diversita' diventa un
imperativo per la sopravvivenza.
Le monocolture sono una componente essenziale della globalizzazione, che si
basa sulla omogeneizzazione e la distruzione della biodiversita'. Il
controllo globale delle materie prime e dei mercati rende le monocolture
necessarie.
Questa guerra alla diversita' non e' del tutto nuova. La diversita' e' stata
messa in pericolo dovunque sia stata vista come un ostacolo. Le radici della
guerra e della violenza stanno nel trattare la diversita' come una minaccia,
una fonte di perturbazione e di disordine. La globalizzazione trasforma la
diversita' in malattia e carenza, perche' non riesce a tenerla sotto
controllo.
L'omogeneizzazione e le monocolture introducono la violenza a molti livelli.
Le monocolture sono sempre associate con la violenza politica, l'uso della
coercizione, del controllo e della centralizzazione. Senza controllo
centralizzato e forza coercitiva, questo mondo che e' dotato della ricchezza
della biodiversita' non potrebbe essere ridotto a strutture omogenee, e le
monocolture non potrebbero essere mantenute. Le comunita' e gli ecosistemi
decentrati e autorganizzati producono biodiversita', mentre la
globalizzazione produce monocolture controllate con la coercizione.
Le monocolture sono associate anche alla violenza ecologica, sono una
dichiarazione di guerra alle differenti specie della natura. E la violenza
non solo porta le specie all'estinzione, ma controlla e mantiene le
monocolture stesse. Le monocolture non sono sostenibili perche' sono
inevitabilmente esposte al collasso ecologico. L'uniformita' infatti implica
che un fattore di disturbo in una parte del sistema si traduca in fattore di
disturbo per tutte le altre parti. La destabilizzazione ecologica quindi
tende ad essere amplificata, non ridotta. Dal punto di vista ecologico la
sostenibilita' e' legata alla diversita', che permette l'autorganizzazione e
una molteplicita' di interrelazioni capaci di sanare i fattori di disturbo
in ogni parte del sistema.
La vulnerabilita' delle monocolture del resto risulta evidente nel caso
dell'agricoltura. La Rivoluzione Verde, ad esempio, ha eliminato migliaia di
varieta' locali di riso, introducendo al loro posto le varieta' standard
dell'International Rice Research Institute (IRRI). Ma il riso IR-8, lanciato
nel 1966, e' stato colpito dalla ruggine batterica nel 1968-69 e poi
attaccato dal virus timgro nel 1970-71. Nel 1977, l'IR-36 e' stato reso
resistente a otto tra le piu' importanti malattie, inclusi la ruggine
batterica e il timgro. Ma come accade spesso con le monocolture si e'
dimostrato vulnerabile agli attacchi di due nuovi virus (ragged stunt e
wilted stunt virus).
Le varieta' miracolo hanno distrutto la diversita' dei raccolti realizzati
con i metodi tradizionali, e a causa dell'impoverimento della diversita' i
nuovi semi hanno finito per favorire la proliferazione degli insetti nocivi.
Le varieta' indigene sono resistenti agli insetti nocivi e alle malattie
locali. Se si verifica una malattia, alcune famiglie possono esserne
colpite, ma ce ne sono sempre altre in grado di sopravvivere.
Quello che succede in natura si ripresenta anche nella societa'. Quando
l'omogeneizzazione viene imposta a differenti sistemi sociali, le parti
iniziano a disintegrarsi l'una dopo l'altra. Perche' la violenza intrinseca
all'integrazione globale centralizzata, a sua volta, crea violenza anche tra
le vittime.
Quando le condizioni della vita quotidiana sono sempre piu' controllate da
forze esterne e i sistemi di governo locale si deteriorano, i popoli
finiscono per stringersi attorno alle loro differenti identita', che
rappresentano l'unica ancora di stabilita' nei periodi di incertezza. Se la
causa della propria insicurezza e' tanto lontana da non poter piu' essere
rintracciata, allora succede che i popoli che fino a poco tempo prima
avevano convissuto pacificamente, cominciano a nutrire diffidenza l'uno nei
confronti dell'altro. I confini della diversita' diventano crepe di
frammentazione e la diversita' stessa all'improvviso appare una ragione
sufficiente a giustificare violenze e guerre, come si e' visto in Libano,
India, Shri Lanka, Yugoslavia, Sudan, e danno luogo a forme di attrito
sociale anche a Los Angeles, Germania, Italia e Francia. Quando i sistemi
nazionali e locali di governo si disgregano sotto i colpi della
globalizzazione, le elite locali cercano di conservare il potere facendo
leva sui sentimenti etnici o religiosi, che quindi esplodono con rabbia. In
un mondo caratterizzato dalla diversita', la globalizzazione si puo'
realizzare solo strappando il tessuto variegato della societa' e della sua
capacita' di autorganizzarsi. A livello culturale e politico, e' questa
liberta' di autorganizzarsi che Gandhi ha individuato come il fondamento
dell'interazione tra culture e societa' differenti: "Io voglio che le
culture di tutti i paesi possano fiorire con il massimo grado di liberta',
ma rifiuto l'idea di non poter camminare con le mie gambe", ha affermato
Gandhi.
La globalizzazione non e' solo l'interazione culturale tra le diverse
societa', ma l'imposizione di una specifica cultura su tutte le altre. La
globalizzazione non ricerca affatto l'equilibrio ecologico su scala
planetaria. E' la rapina messa in opera da una classe, da una razza, e
spesso da un solo genere, nonche' da una singola specie su tutte le altre.
Nella filosofia dominante il "globale" e' lo spazio politico entro il quale
il potere locale cerca il controllo globale, liberandosi dalle
responsabilita' di operare a favore della sostenibilita' ecologica e della
giustizia sociale. In questo senso quindi, il termine "globale" non sta
affatto ad indicare gli interessi umani universali, ma semmai quelli di una
cultura locale, di campanile, che e' stata globalizzata attraverso dominio e
controllo, irresponsabilita' e mancanza di reciprocita'.
La globalizzazione si e' realizzata in tre fasi. La prima e' stata la
colonizzazione di America, Africa, Asia e Australia da parte delle potenze
europee in un periodo durato 1.500 anni. La seconda fase ha imposto al mondo
il concetto occidentale di "sviluppo" nell'era post-coloniale che copre gli
ultimi cinque decenni. La terza fase che e' stata lanciata circa 5 anni fa,
e' nota come l'era del "libero scambio". Secondo alcuni commentatori questa
epoca che si e' appena aperta segna la fine della storia, ma per il Terzo
Mondo invece e' semplicemente la storia che si ripete, con una nuova
colonizzazione. Anche se ognuna di queste fasi della globalizzazione
coinvolge nuovi attori e presenta nuove metafore, il loro impatto e'
cumulativo. Ogni volta che l'ordine globale ha cercato di sradicare la
diversita' e imporre l'omogeneita', il disordine e la disintegrazione
anziche' ridursi sono aumentati.
Dovunque la globalizzazione porta alla distruzione delle economie locali e
delle organizzazioni sociali, spingendo le popolazioni in una situazione di
incertezza, paura e scontro sociale. E la violenza contro la sopravvivenza
dei popoli porta alla violenza della guerra.
Vi e' una solo strada per contenere queste epidemie di violenza. Con
sensibilita' e responsabilita' spetta a noi - chiunque siamo e dovunque ci
troviamo - riconciliarci con la diversita'.
Dobbiamo imparare che la diversita' non e' una ricetta per il conflitto e il
caos, ma la nostra sola possibilita' per un futuro piu' giusto e piu'
sostenibile in termini ambientali, economici, politici e sociali. E' la
nostra unica strada per sopravvivere.

7. I PENSIERINI DI PEDALINO: COME L'ORCO TI SOGGIOGA
[Il nostro buon dottore Eustachio Eucardio Carlostadio Pedalino ci invia
questo suo pensierino che volentieri ospitiamo, e che il cielo ci assista]
* Come l'Orco ti soggioga: ti rende uguale a lui, e solo allora si fa
vincere, e divorare. E tu diventi l'Orco.

8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

9. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org ;
per contatti, la e-mail č: azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
http://www.peacelink.it/users/mir . Per contatti: lucben@libero.it ;
angelaebeppe@libero.it ; mir@peacelink.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it . Per
contatti: info@peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 169 del 17 luglio 2001