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[ALTRINFORMAZIONE] - Militarizzazione: appello ai G8



Quest'appello lo rivolgiamo in particolare ai lavoratori (ed ex 
lavoratori), del settore militare ma anche a tutti coloro che rifiutano le 
politiche espresse dalla maggior parte degli attuali organismi 
sovranazionali, e che a Genova si ritroveranno ancora una volta a 
manifestare per la pace e la libertà contro lo sfruttamento e l'esclusione, 
contro la brevettabilità del vivente per la diversità delle culture e 
l'universalità dei diritti.

CONTRIBUTO ALLA SESSIONE TEMATICA PACE DEL 18 LUGLIO A GENOVA

"Non è più possibile separare i confini di un'alleanza militare da quelli 
dell'integrazione economica". Se non fosse già conosciuta, questa 
dichiarazione potrebbe essere attribuita al presidente Bush all'indomani 
dell'incontro dei paesi NATO, se non fosse però, l'ammissione di Regan in 
occasione dell'invasione di Grenada.

Alla luce della guerra celeste ed "umanitaria" scatenata contro la 
popolazione della Federazione Jugoslava, e della successiva (!!!) modifica 
del trattato che trasforma l'Alleanza da strumento difensivo ad una 
macchina bellica offensiva, il significato delle strategie NATO, deve 
essere compreso sulla base della nuova concezione imperiale che informa la 
politica dei paesi più industrializzati sotto l'egemonia statunitense, e la 
minaccia della guerra e il suo esercizio, strumenti sfruttati per fini 
produttivi, di lotta economica e di controllo sociale.

Ma oggi che il mercato è globale e non conosce frontiere nazionali, la 
"difesa" degli "interessi" nazionali non ha più limiti territoriali, e il 
"controllo" dei nuovi "vigilantes" si estende al "villaggio globale. La 
corsa agli armamenti è presentata come nuovo efficace deterrente contro un 
nemico evanescente che può essere ovunque e in nessun luogo. Di fatto, chi 
vuole assumere ignorando la democrazia, il governo giuridico della 
mondializzazione, vuole assicurare a sé il monopolio economico e culturale 
attraverso la creazione di meccanismi di inclusione ed esclusione, 
giustificando la preparazione anticipata della risposta militare alla 
reazione a questa ingiustizia, mediante lo sbandieramento della minaccia 
sempre latente di un nuovo nemico.

Questo controllo deve esprimersi anche in senso spaziale. Cos'è diventato 
infatti lo spazio, campo di battaglia per Star Wars, rete di sorveglianza 
radar che copre la terra come maglia elettronica (vedi Echelon), o 
laboratorio di produzione e di trasferimento di conoscenze, flusso 
organizzato d'informazioni, che opera per il bene comune?
Il cosiddetto scudo antimissilistico non ha un significato solo simbolico: 
vuole intercettare e distruggere i missili balistici lanciati dal nemico 
prima che essi raggiungano l'obiettivo. Non importa se di nemici veri o 
presunti si tratti.

Diversi paesi si vanno dotando di armi nucleari e di distruzione di massa, 
di missili balistici a lunga gittata. Ma cancellando l'accordo Abm, questo 
scudo antimissilistico diventerà lo strumento che garantisce la superiorità 
militare assoluta di chi si fa guidare dall'idea di usare la guerra per 
dirimere i "conflitti di interesse". Essi vogliono poter colpire con i 
nuovi sistemi d'arma (senza escludere quelli nucleari) capaci di un ampio 
raggio d'azione (e con le nuove forze "professioniste" di rapido intervento 
a lunga proiezione), proteggendosi dalle reazioni dell'avversario mediante 
lo scudo spaziale. Lo sviluppo della difesa antimissilistica è stato 
definito un imperativo morale, in realtà servirà quanto meno, ad aumentare 
a dismisura le spese per la ricerca e lo sviluppo di tecnologie militari, 
spostando così la sfida in campo tecnologico, servirà per decidere chi deve 
assumere il controllo dei processi innovativi nei settori d'avanguardia, 
non esclusivamente militari.

A questa logica che pretende di divenire "illimitata" in senso spaziale e 
temporale perché vuole dimostrarsi come necessaria ed eterna, è connessa la 
violazione del diritto internazionale e dei diritti umani. Il settore delle 
esportazioni di materiale bellico ne costituisce un esempio eclatante. 
Questo campo è una giungla dominata esclusivamente dagli interessi 
economici in cui la corruzione è la regola: Africa e Caucaso sono le prime 
a subire le conseguenze del traffico delle armi leggere, ormai territori di 
una guerra civile alleata alla criminalità più ignobile, le loro 
popolazioni hanno visto la cancellazione dei principi umanitari. Un 
traffico che non risparmia le armi biologiche vietate da un trattato del 
1972 firmato 143 paesi, ma non rispettato come ammesso dallo stesso Boris 
Eltsin.

Ma attenzione, oggi, nell'epoca della abolizione della guerra e 
dell'affermarsi della "prevenzione attiva", anche lo sviluppo di nuove armi 
convenzionali e dei mercati bellici, sono una minaccia. Per garantire una 
vittoria raggiunta col minimo di perdite amiche occorrono aerei, missili, 
navi, carri armati, strumenti elettronici ed informatici sempre più 
sofisticati. E l'esportazione di armi, indifferente alle locali corse agli 
armamenti, serve a spianare la via a nuove guerre con "funzione legislativa".

Segreto commerciale, segreto d'ufficio e precauzioni diplomatiche, sono 
alla base del traffico delle armi, gli Stati ne rappresentano tanto i 
produttori quanto i clienti, ed è per questo che non possiamo affidarci 
alle campagne anticorruzione di cui si fanno portavoce organismi 
internazionali quali BM, FMI e OCSE. Il loro obiettivo sembra essere una 
"buona" gestione della criminalità finanziaria.
In una condizione d'interdipendenza fra le nazioni, la produzione 
tecnologica applicata al militare avviene non solo attraverso i 
finanziamenti degli Stati nazionali, ma coinvolge più Stati insieme ai 
grandi centri di ricerca delle imprese. Questo pone un serio problema per 
quanto riguarda la possibilità di un controllo pubblico, in quanto aggiunge 
ai classici meccanismi della "segretezza " quello tipicamente commerciale 
dei "brevetti". Il controllo pubblico dei poteri di cui dispongono le lobby 
dei tecnici diviene essenziale per una società democratica. Se un tempo a 
scuotere le coscienze del mondo scientifico erano intervenuti scienziati 
riuniti nel Manifesto Russell-Einstein, oggi altri scienziati hanno posto 
il problema dell'accesso pubblico ai risultati scientifici.

Anche nel recente passato, molte persone di tutto il pianeta si sono 
opposte a queste logiche. Tra queste persone per noi è importante ricordare 
i lavoratori che nelle industrie belliche (oggi si deve parlare di 
produzione militare-civile) hanno, in diversi luoghi del mondo, 
individualmente o collettivamente, espresso il dissenso contro questa 
produzione. La loro lotta si è rivolta contro le lobby militari 
industriali, contro il segreto militare e per il diritto alle informazioni, 
per il controllo e la limitazione delle esportazioni d'armi, per la 
riconversione e la diversificazione.
Ogni tanto questa lotta riesce ad emergere anche nei circuiti 
istituzionali, quest'anno un'operaia della Valsella, ha avuto il 
riconoscimento di Cavaliere da parte del Presidente Carlo Azelio Ciampi 
come "volontaria della campagna contro le mine antipersona". Ma, come si 
diceva , altri gruppi di lavoratori e lavoratrici hanno condiviso queste 
rivendicazioni, hanno sostenuto queste lotte.
E' dalla lotta di uno di questi gruppi che nasce l'Agenzia per la 
riconversione bellica in Lombardia, unica in Italia. Ed anche grazie 
all'impegno di lavoratori del settore militare che in altri paesi europei 
ci sono centri di ricerca per la riconversione industriale: l'ACP in Gran 
Bretagna e lo SCHIFF e BIFF in Germania, il COPRI in Danimarca, il DRPC in 
Svezia.

COSA VOGLIAMO

I risultati della scienza e la loro applicazione tecnologica sono sempre 
stati al centro dell'interesse militare, per questo noi vogliamo esercitare 
un controllo sociale su ciò che avviene nelle industrie, nei centri di 
ricerca e nei laboratori industriali. La logica della privatizzazione della 
conoscenza, sottesa alla normativa sui brevetti, mette a repentaglio non 
solo la salute e la vivibilità dell'ambiente, ma anche la pace e la 
sicurezza di miliardi d'esseri umani.
Chiediamo l'abolizione del segreto militare e più in generale il rifiuto 
della segretezza e la diffusione delle notizie scientifiche e tecniche, 
queste notizie devono essere pubbliche in forma accessibile alla 
comprensione di tutti.
Chiediamo la drastica riduzione delle spese militari e la 
demilitarizzazione delle politiche industriali degli Stati, scienza e 
sviluppo tecnologico devono servire a favorire il benessere dell'umanità 
intera e a garantire i delicati equilibri ecologici.
Chiediamo la riduzione della esportazione di armi a partire dalla piena 
applicazione dello spirito originale della Legge 185/90 contro gli attacchi 
arrivati da più parti anche con la scusa della sua armonizzazione e 
superamento a livello europeo.
Chiediamo la piena attivazione dell'Agenzia regionale per la riconversione 
dell'industria bellica in Lombardia. (legge regionale n. 6 del 1994) Questo 
organismo ha sino ad oggi sofferto limitazioni dovute ad opportunismi 
politici, ma uno dei suoi principali obiettivi consiste nell'elaborazione 
di studi e documentazioni sulle prospettive di riconversione del settore, 
con riferimento alle implicazioni occupazionali nonché finanziare 
iniziative di diversificazione e riconversione al civile. Le sue iniziative 
non solo devono riprendere, ma devono darsi la corretta dimensione 
internazionale. Parallelamente chiediamo che a livello nazionale e 
internazionale (e almeno a livello europeo) siano definiti (o rilanciati) 
programmi di sostegno alla riconversione al civile anche attraverso 
l'istituzione di Agenzie per la loro gestione.
La riconversione delle produzioni militari ed il controllo sulla 
utilizzazione finale delle tecnologie ad uso duale, sono obiettivi 
concretamente realizzabili solo attraverso la consapevolezza e la 
mobilitazione dei lavoratori, e di tutto il movimento che si batte contro 
la natura guerrafondaia del processo di globalizzazione.
Chiediamo la possibilità per tutti i lavoratori in forma non 
discriminatoria, di sesso, di razza, di religione, di poter decidere circa 
la loro responsabilità sulla finalità della loro produzione, di avere 
garantita una vita dignitosa indipendentemente dalla prestazione lavorativa 
(reddito di cittadinanza). In particolare occorre sia riconosciuto il 
diritto all'obiezione di coscienza alla produzione militare e dunque la 
garanzia del mantenimento del posto di lavoro degli obiettori.
Chiediamo, infine, trasparenza, e dunque l'assicurazione della possibilità 
da parte della società civile di poter esercitare un reale controllo sulle 
norme e gli indirizzi operativi relativamente a:
UEO e PESC - RAPPORTI ONU - CONTROLLO EXPORT ARMI (legge 185/90) - 
TRIBUNALI INTERNAZIONALI E TUTELA DIRITTI - STAZIONE SPAZIALE CIVILE 
INTERNAZIONALE - SICUREZZA NUCLEARE - ORGANIZZAZIONE E PERSONALE MILITARE - 
NATO E PARTENARIATO PACE - MISSIONI MILITARI ALL'ESTERO - COMPARAZIONE NEL 
CAMPO DEGLI ARMAMENTI E DELLA DIFESA MILITARE - CONTROLLO PARLAMENTARE SU 
QUESTIONI MILITARI - BILANCI DI PREVISIONE DELLO STATO, ART. SPESE DIFESA 
negoziati: LIMITAZIONE O MESSA AL BANDO ARMAMENTI - INIZIATIVE OSCE

Noi vogliamo il pieno rispetto dell'art. 11 della Costituzione Italiana: 
"l'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli 
altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali".

Promotori dell'appello: Marco Tamborini membro Agenzia regionale per la 
riconversione, Elio Pagani obiettore di coscienza alla produzione bellica, 
Rossana De Simone ex lavoratrice Aermacchi, Giovanni Bertinotti operaio 
Aermacchi, Claudio Carretta lavoratore Agusta.

Aderiscono all'appello: Francesco Iannuzzelli associazione 
peacelink-sez.disarmo, Achille Lodovisi ricercatore IRES, Giulio Preve 
ricercatore.

Per adesioni aggiungere all'elenco e inviare a: rossana123@libero.it