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Le critiche all'antiglobalizzazione cattolica



Fonte: Corriere Della Sera - 8/7/2001

«Sbagliato accodarsi alla sottocultura del popolo di Seattle»


DA UNO DEI NOSTRI INVIATI
GENOVA - «Conformisti. Accodati al popolo di Seattle, senza rendersi conto 
della povertà culturale di questo movimento anti-global. Lo so, il giudizio 
è duro; ma sono esterrefatto nel constatare come molti credenti e uomini di 
Chiesa, tra questi un vescovo di prim’ordine come monsignor Tettamanzi, si 
lascino trascinare dalla corrente. Il mio disagio, il disagio di molti, è 
forte; ecco perché abbiamo deciso di proporre le nostre riflessioni, in un 
appello contrario al "Manifesto delle associazioni cattoliche ai leaders 
del G8". In pochi giorni, abbiamo raccolto una cinquantina di firme: 
missionari, scrittori, giornalisti, intellettuali, scienziati».
Luigi Amicone, direttore di Tempi , 44 anni, ciellino tosto («ma in questa 
iniziativa Cl non c’entra», puntualizza), spariglia le carte. Manda 
all’aria «il gioco dei buoni e dei cattivi» che tiene banco nel circo 
mediatico. «Bisogna smetterla - attacca - di sottostare alle ideologie e 
agli slogan di gruppi e movimenti politici che nulla hanno a che fare con 
la nostra fede».
Rispuntano i catto-comunisti?
«Torna un pensiero unico più debole e inconsistente del blocco di 
conformismo radical-comunista di 25/30 anni fa. Mi sembra di rivedere un 
vecchio film. Perfino peggiore».
Nel gruppo del «disagio» figurano, tra gli altri, Giovanni Palladino 
(Centro Internazionale don Sturzo), Gianni Fochi (Normale di Pisa), 
Marcello Pacini (ex direttore della Fondazione Agnelli), don Gianni Baget 
Bozzo, padre Piero Gheddo, lo scrittore Rino Cammilleri. Perché ce l’avete 
con gli anti-globalizzatori?
«La globalizzazione in sé non è né buona né cattiva. Il punto è ragionare 
su dati oggettivi, non su analisi superficiali».
Cioè?
«I dati dicono che i Paesi più chiusi al processo di globalizzazione si 
sono impoveriti. E il fatto che la forbice ricchi/poveri si vada 
allargando, è un problema dei governi. Indicare gli otto grandi come gli 
affamatori della popolazione povera è un’assurda semplificazione. 
Lasciamola alla massa di giovani che, contestando i signori della Terra, 
danno sfogo alle loro frustrazioni esistenziali, e danno voce al 
massimalismo ideologico che travisa la realtà del mondo».
Lei si meraviglia che il vescovo Tettamanzi e altri autorevoli uomini di 
Chiesa appoggino in qualche misura agli anti-global. Come se lo spiega?
«Con un equivoco di fondo: pensare che, aprendosi generosamente al 
ribollire del movimento, si possa recuperare la fiducia dei giovani. In una 
parola, la ricerca del consenso. Mi viene da dire: "non mettiamoci al 
livello di Manu Chao o di Bono degli U2"».
Eppure nei discorsi dei sacerdoti amici del popolo di Seattle il 
riferimento a Giovanni Paolo II è costante.
«Il Papa, pur richiamando i potenti, non parla né di G8 né di anti G8. 
Sostiene che la Chiesa lotta contro la povertà portando Gesù Cristo e i 
suoi testimoni nei luoghi della sofferenza. Un esempio? Madre Teresa di 
Calcutta: non si è posta il problema dei padroni del mondo, ha fatto opere 
cristiane».
I cattolici-contestatori si sono riuniti a Genova, con un convegno e una 
veglia. Largamente in anticipo sulle manifestazioni ufficiali anti-Vertice. 
Insomma, si sono smarcati dall’eterogeneo Genoa Social Forum...
«Ci mancherebbe altro. Ma sa che le dico? In ciò, c’è dell’ipocrisia. 
Paradossalmente, quelli che andranno al G8 per sfondare il muro della zona 
rossa, sono più coerenti. Certi distinguo, invece, sembrano fatti apposta 
per salvare la faccia del perbenismo».
Marisa Fumagalli