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Clinton, don Milani, Internet... e altro ancora (Riccardo Orioles)
- To: pck-pcknews@peacelink.it
- Subject: Clinton, don Milani, Internet... e altro ancora (Riccardo Orioles)
- From: Alessandro Marescotti <kfqma@tin.it>
- Date: Thu, 25 Nov 1999 19:33:31 +0100
From: ricc@libero.it
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riccardo orioles <ricc@libero.it>
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tanto per abbaiare
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23 nov.99 - 9
Russia Prussia Francia ed Inghilterra han tenuto un gran Congresso in
Firenze. I reggitori delle principali Potenze, accompagnati da Dignitari
e Consorti, han discusso sul bene de' loro Popoli, affinché ognuno
abbia il suo dovuto e non più abbiano ad esservi turbamenti né
guerre...
Di solito, una notizia del genere, va sui fogli volanti e noialtri
cantastorie la giriamo nelle osterie e nelle piazze per mezza lira. Ma
desso che c'è internet, come si fa? Non posso entrare nell'osteria
coll'internet e non posso accompagnare la notizia con la chitarra.
Allora ve la dò senza, ma è tutta un'altra cosa. ("Viva la Russia/ viva
la Prussia/ e poi quel povero/ Napole-on/ Ed è vent'aniii/che faccio il
soldà...").
L'imperatore sbadigliava. "Maestà - s'è fatto avanti uno dei cortigiani
- ci sarebbe qua quel cantante italiano...". Sua maestà ha fatto un
cenno annoiato. "Tu fenire, cantare me Sole mio!". Così il nostro
Benigni, col cappello in mano, ha fatto tutto il pranzo con Sua Maestà,
e alla fine, in un impulso, ha abbracciato e baciato la Sacra Persona.
Un ussaro ha fatto per afferrarlo ma il ciambellano,uomo di mondo, l'ha
fermato - Sua Maestà sorrideva. Ai comici si permette tutto...
Malinconia... Ricordate Benigni che solleva Berlinguer? La più bella
foto della sinistra italiana, insieme con quella di Pertini in Spagna
(Italia-Germania tre a uno: il lider tedesco grasso e incazzato, Pertini
con la pipa che sghignazza e il re di Spagna educatissimo in mezzo).
Benigni contadinaccio che sghignazza, Berlinguer amico perbene che -
finalmente! - ride, due persone felici in mezzo a noi compagni. Poi ci
fu Benigni che solleva D'Alema - anzi no, fu D'Alema il sollevatore
stavolta, il Capo - e già qui felicità non ce n'era, ma insomma per la
sinistra si fa i sacrifici. E ora Benigni e Clinton, il cantante
italiano e l'imperatore. Povero Benigni. E poveri noi, povera la nostra
sinistra, povera nostra gioventù.
Veltroni, intanto, andava al Mugello - a Vicchio di Mugello, stavolta,
completamente fuori mano - a commemorare don Milani. Don Milani
precursore, insieme a Kennedy e Tony Blair, della sinistra però moderna.
Il fatto è che Don Milani, a Veltroni, non gli avrebbe fatto metter
piede a Barbiana. Non perché comunista o perché ce l'avesse per lui -
politicamente - come ce la potrebbe avere uno come me e te. Ma
semplicemente perché don Milani, con gl'intellettuali "di sinistra", era
bestialmente incazzoso. Buttava fuori i professorini cattolici di
Firenze ("vengano per imparare dai poveri, se ne han voglia. O stiano a
casa loro"), figuriamoci i componenti di governo. Quelli poi che,
essendo stati responsabili di Stampa e Propaganda del partito comunista
proclamano d'essere sempre stati anticomunisti nel fuondo del loro
cuore...
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Ma insomma quanti anni ha un ragazzo? Diciamo, da tredici a trentacinque
(ma io ho anche sentito la frase "il mio ragazzo" riferita a un uomo di
quarant'anni...). Tutta questa fascia d'eta' una volta era distinta in
ragazzino, ragazzo, giovanotto, giovane, uomo ecc... A ciascuna di
queste fasi corrispondeva una specie d'esame, condotto dalla vita, che
ti metteva in grado di passare alla fase successiva e ti di dava
autostima.
La "paura" (che poi e' un sentimento molto complesso) che dici tu
potrebbe avere a che fare con questo? Con l'insicurezza prodotta dal
non essersi misurati? C'era un corridoio buio, ricordo, che mi faceva
molta paura, tantissimo tempo fa; finche' una volta, senza sapere
perche', mi sono buttato a percorrerlo. Ricordo ancora il rumore della
mia corsa di bambino di 4 o 5 anni lungo quel corridoio, la mia paura
(ho cominciato a correre con gli occhi chiusi) e la felicita' quando
alla fine sono arrivato in fondo (dava in una vecchia cucina) e mi sono
precipitato fra le braccia di Giovanna, la nostra tata, che stava
risciacquando qualcosa e ha sorriso venendomi arrivare di corsa. Strano
come certi ricordi restino chiari. Ricordo la felicita' - ma non e' la
parola adatta: comprendeva qualcosa di luminoso - dei giorni dopo.
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Ettore (su un forum) wrote:
Mi sembrava di essermi espresso chiaramente: niente intellettuali e
giornalisti. Lo che va sempre a finire così: questi pontificano e poi
mi accusano come se fosse colpa mia. Io ho il massimo rispetto per te e
per i tuoi amici che ci hanno rimesso la vita. Ma questo è un problema
interno della Sicilia. Lo so che voi da soli non ci potete fare niente.
E allora andatevene da lì. Venite da noi e vi accoglieremo a braccia
aperte. Riesco a immaginare quanto sia terribile fare parte del 3% di
civilizzati ed essere circondati da scimmioni irragionevoli. Quando
sento parlare della Sicilia non mi viene in mente la tua faccia onesta
e leale ma quella gran faccia di bronzo di Mancuso.
Caro Ettore, sarò un intellettuale e sarò un giornalista, magari, ma
grazie a dio sono selvaggiamente disoccupato: al nord, come al sud.
Quindi, ho diritto di parola. Ti ringrazio per l'offerta d'asilo. Ma ho
paura di venire laggiù in fondo al nord. La mafia di Milano mi fa paura.
Ci ho messo tant'anni a spazzare la mafia da casa mia, che non ho
nessunissima voglia di andarmela a godere altrove. Verrò volentieri,
quando avete fatto altrettanto; appena comincerete a far capitribù,
tanto per intenderci, gli Orlando e i dalla Chiesa e non gli Albertini e
i Craxi. Bravini come siete, se volete in una dozzina d'anni ve la
cavate. Ti do' la ricetta, se vuoi (e, se vuoi, ti spiego anche perché
non ancora non siete abbastanza maturi per volerla, come non lo eravamo
qui vent'anni fa). Quanto a Mancuso, è indubbio che è una gran faccia di
bronzo (noi usiamo un termine un po' più colorito). Però noi siciliani
l'avevamo mandato ai giardinetti: c'è voluto il milanese Berlusconi per
metterlo nel governo.
La parte peggiore di tutta la faccenda è la seguente: sto scherzando,
come capisci, e di solito non mi passa per l'anticamera del cervello di
dividere il mondo in siciliani e milanesi. Ho imparato da un sacco di
tempo che ci sono i milanesi stronzi e i siciliani stronzi (sempre
prontissimi a far congrega fra loro) e i milanesi perbene e i siciliani
perbene (di solito talmente coglionazzi da non riuscire nemmeno a
discutere fra di loro). Ma ora, giocando a fare il "razzista", mi
accorgo che, accidenti, comincio a pigliarci gusto. E che, rileggendo la
tua lettera, per un brevissimo istante ho pensato "quel milanese" e non
"quel fighetto", come avrei dovuto. Me ne scuso dunque in fretta con
tutti i milanesi cioè - essendo io italiano - con il cinquanta per cento
di me stesso.
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C'è una scena bellissima in "Allonsanfan" (il film) ed è la barca con
l'anarchico che scende il fiume. Nella barca ci sono lui, ammanettato, e
quattro gendarmi. Lui ha la sua età. Ricorda qualcosa, mentre la barca
scende; il film e' in sostanza un lungo flash-back di quel momento. Poi
arriva un'altra barca, che invece risale il fiume. Anche qui c'è dei
gendarmi, e due uomini ammanettati. Solo che questi sono ddue ragazzi,
due - novità - socialisti. Le due barche s'incrociano, e i compagni si
guardano a vicenda. Ma non si riconoscono - per il momento. Solo per il
momento.
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Gabriella wrote: varie critiche un po' colorite al "tradimento" di
alcuni esponenti della sinistra
Cara Gabriella, io penso che in questo momento non ci sia alcuna
sinistra in Italia, ma non lo dico in tono apocalittico o incazzato.
Semplicemente, come altre volte è successo nella storia, la sinistra
politica è un rimasuglio, ovviamente fasullo, di altre epoche.
All'interno di ciò ci sono certamente anche dei tradimenti individuali,
ma non sono l'aspetto determinante.
Qualche pò di tempo fa, diciamo verso il 1870, c'era una sinistra
ufficiale che credeva in buona fede (beh, insomma) di essere lei la
rappresentante del progresso e degli interessi popolari. Era fieramente
nemica della monarchia assoluta e dei reazioonari, i quali però - grazie
a Mr Robespierre e altri come lui - non contavano più granchè, persino
in Italia. Era per la democrazia liberale, per la quale tuttavia
intendeva il diritto di voto (censitario) per il 10-15 per cento della
popolazione. Era nemicissima dei Borboni, e lo ricordava abbastanza
spesso, ma dei Borboni nel 1870 non c'era più molta traccia. Ed era,
molto spesso, al governo. Governava bene, rispetto ai Borboni.
Ora, tu immagina che in questo felice paese, con la sua brava sinistra e
la sua destra, a un certo punto succede che nel buco del culo del mondo
- diciamo, chessò, a Vercelli - una ventina di tizi, che lavorano in una
filanda di cotone, decidono che i soldi non gli bastano più per campare;
e un bel giorno si mettono faticosamente d'accordo e decidono, per quel
giorno, di non lavorare. Di loro venti, tre o quattro sono "di sinistra"
(cioè vanno ai comizi dell'onorevole Cavallotti, e sanno che non andare
al lavcoro tutti insieme si chiama "sciopero").
Tre o quattro - magari cinque o sei - sono fedeli monarchici, vanno in
chiesa, raccontano con nostalgia di quando hanno fatto il soldato, e
sono incazzati con i signori perchè non raccontano al re in che
condizioni vivono i suoi fedeli sudditi: se sua maestà sapesse! ma non
lo sa. Tutti gli altri, infine, sono persone "normali": non leggono le
gazzette, vanno ogni tanto in chiesa e più spesso all'osteria (al
sindacato, mai: anche perchè di sindacato non ce n'è) e però capiscono
benissimo che con trenta lire al mese non si campa, e che se invece di
essere trenta fossero trentacinque le cose andrebbero molto meglio.
Tutti questi venti esseri umani, un giorno dopo l'altro e senza starci
troppo a pensarci sopra, nel corso dello sciopero vanno crescendo.
Qualcuno di loro si rivela vigliacco, qualcun altro coraggioso. Uno si
dà malato, e si tira indietro. Un altro, quando il padrone viene in
fabbrica a sbraitargli il loro dovere (chissà se questo padroneè "di
destra" o "di sinistra": ma ha importanza?), lo guarda dritto negli
occhi senza paura. Uno è un padre di famiglia, ha quattro ragazzi da
mantenere; eppure, quando il padrone lo guarda, non abbassa la testa
neanche lui. E tutte queste cose succedono (le cose visibili, e quelle
dentro ciascuna di queste *persone*, per trenta centesimi di aumento.
Forse. O forse no.
La cosa "scientificamente" interessante di tutto questo è che nessuno di
questi operai ha la minima idea di essere di sinistra, tranne i tre o
quattro che vanno ai comizi "democratici". Non solo: se vai a parlare
con un politico e gli chiedi "Scusi onorevole, ma secondo lei questi
operai sono di sinistra?" lui ti guarda con aria stupita e "Ma figliola
- ti fa - che c'entra la destra e la sinistra con queste storie di
quattro lire? Se non sanno nemmeno chi era Adam Smith!". Solo molti anni
dopo i professori scrivono la storia, e studiando studiando si accorgono
che la Sinistra vera e doc se ne stava nascosta proprio laggiù a
Vercelli, fra quei venti qualunquisti che facevano tanto casino per
quattro lire.
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"A che serve vivere, se non c'è
il coraggio di lottare?" (Giuseppe Fava)
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From: ricc@libero.it
Date: Tue, 23 Nov 1999 17:25:38 +0100
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riccardo orioles <ricc@libero.it>
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tanto per abbaiare
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24 nov.99 - 10
Giornalismo. Internet ha superato i cento milioni di utenti in America,
due settimane fa. Circa due terzi di loro mandano almeno una e-mail al
giorno. Circa un quinto - venti milioni! - hanno una propria pagina web.
Almeno un quotidiano americano ("Orem Daily", Utah) ha lasciato la carta
stampata per tesferirsi armi e bagagli sul web. Il "Village Voice" di NY
già da un paio d'anni ha: 1° istituito la versione su web del giornale,
ovviamente gratuita; 2° cominciato a distribuire gratis il giornale su
carta nell'area metropolitana (in entrambi i casi i costi sono coperti
da banner).
Non è la prima volta che i giornali cambiano, anche se giornalisti ed
editori sono - come sempre - gli ultimi a saperlo. Il salto da Gutenberg
allo "Spectator" e da questo al "Times" non è stato, a suo tempo,
inferiore, nè per tecnologie nè per culture sottese. Solo che oggi tutto
questo avviene in un ambito di massa e in un mondo globalizzato (oops!
*avvertitemi* ogni volta che mi metto a parlare in giornalistese).
I salti tecnologici, nella comunicozione, non incidono tanto nel
momento in cui vengono elaborati, quanto nel momento in cui vengono
digeriti: le nuove tecnologie, in altre parole, non sono decisive in
quanto tecnologie, ma in quanto catalizzatrici di nuovi approcci
culturali.
Gutenberg inventa - o reinventa - i caratteri mobili, e questa sarebbe
già una faccenda abbastanza importante ma non poi così trascendentale; i
cinesi coi caratteri di legno ci hanno convissuto pacificamente per
alcune centinaia d'anni e senza che nessuno ci facesse gran caso,
all'infuori dei mandarini della Celeste Stamperia Imperiale. Ma
Gutenberg unisce immediatamente all'innovazione tecnologica
un'innovazione culturale: se questo aggeggio serve a far tanti libri, lo
uso subito per clonare il libro-base della mia società, la Bibbia, e poi
sto a vedere che cosa succede; e nel giro di pochi anni ti arriva la
Riforma protestante con annesso rivoluzionamento d'Europa. "Un
viaggiatore di ritorno dalle Russie quindici giorni fa ha riferito...".
Ma poi nasce il telegrafo, e allora quello che è successo l'altro ieri a
San Pietroburgo diventa immediatamente materia di rivoluzionamento alla
Borsa di Londra... E così via. Kipling viaggia con la sola compagnia
d'un disegnatore, e la questione anglo-indiana arriva in Occidente sotto
una rassicurante veste letteraria; ma la Guerra civile americana è
coperta dai primi fotoreporter coi loro enormi treppiedi, e l'umanità
scopre improvvisamente una visione completamente diversa della guerra,
un po' meno classica un po' più brutale.
Ogni singolo salto tecnologico ha funzionato in generale, ma soprattutto
in ciò che ha a che fare con la comunicazione, come moltiplicatore dei
salti culturali. Quando è arrivata la rotativa, un osservatore attento -
o un poeta - avrebbe potuto preconizzare non solo le novità del formato,
della tiratura e della foliazione, ma anche la catena Hearst, gli
incidenti di Cuba, la guerra ispano-americana, e l'inizio
dell'espansione politica americana: linearmente, poiché queste cose
seguono una logica molto stretta. Internet, le telecomunicazioni, i
sistemi di rete vanno letti oggi, probabilmente, da un angolo visuale di
questo tipo. Il computer, da questo punto di vista, sta venendo
inventato ora. Ll'automobile ha trasformato il mondo non quando è stata
inventata ma quando è nata la Ford T.
(E i giornalisti? Fra tre-quattro anni al massimo, in quanto categoria,
semplicemente non esisteremo più; cosa d'altronde non nuova nella
storia, visto che una sorte del genere è già toccata ai De Foe, ai
Rochefort, ai Kipling - il libellista, l'agitatore, il viaggiatore, le
varie categorie in cui di volta in volta s'è incarnato il mestiere. Una
via d'uscita ci sarebbe: trasformarsi coerentemente - e continuando
lucidamente ad essere giornalisti - in qualcosa di completamente
rinnovato, "irregolare", "strano").
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In Francia, un paio di secoli fa, c'è voluto Waterloo per insegnare ai
compagni che ormai bisognava inventare il socialismo, per cambiare le
cose, e che Napoleone come strumento rivoluzionario ormai era
decisamente obsoleto.
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Giubileo: manca qualcosa. Il milleseicento, quello sì che era un
giubileo serio (stavo per dire "come dio comanda"). Feste, speculazioni
edilizie, casino, sfascio archeologico, pellegrini ma insomma anche
qualche momento di spiritualità. Come il rogo - regolarmente iscritto
nel Programma giubilare - del rompicazzi Giordano Bruno, fra le
bancarelle dei fiori e il cinema Farnese ("no comment" disse il sindaco,
che era laico sì ma c'era il giubileo). Gli misero la mordacchia (non al
sindaco: a Bruno), sennò avrebbe sbraitato slogan pure mentre lo
cospargevano di benzina.
Adesso ("anche oggi, in altre forme, si fa tacere chi pensa in modo
critico per i potenti; il silenzio dei mezzi d'informazione è capace di
bruciare il pensiero critico di chiunque") saltano fuori quelli che per
il Duemila si son messi in testa di fare la celebrazione, anziché del
Giubileo, di Giordano Bruno. A Roma. Il capo è quello stesso Giovanni
Franzoni che, ai tempi in cui l'Italia e noi eravamo giovani, s'intestò
a voler prendere prendere sul serio, nella sua comunità di San Paolo,
nientemeno che il vangelo. A Roma. Un cristiano, insomma. Se lo viene a
sapere Nerone...
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Commemorando Fanfani: "Al manager Marinotti che aveva licenziato mille
operai al Pignone e si rifiutava di incontrare il sindacato dicendo che
aveva impegni urgenti all'estero, al Marinotti ritirò a muso duro il
passaporto". "Operai", "licenziare", "sindacato", "governo che
interviene": ma davvero ci vuole un funerale di Fanfani per sentire
queste parole messe in fila?
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"Vanity Fair": Hillary vuol divorziare. Capirai: fra la Lewinsky e
Benigni...
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"Non celebro messa insieme col cardinal Giordano" ha detto don Vitaliano
Della Sala, parroco di S.Angelo a Scala vicino Napoli. "Eminenza, ma che
c'entrano con la solidarietà i suoi affari?" ha chiesto il giovane
cronista a Sua Eminenza, durante la cerimonia ufficiale. Sua Eminenza ha
risposto: "Cretino".
Alla fine risulterà che è innocente. La colpa di tutto l'equivoco
risulterà degli occhiali (occhiali neri, da gangster; quello della
Famiglia che, su ordine del vecchio lungimirante padrino, è entrato da
ragazzo in seminario e s'è fatto prete). Di tutta la storia resterà solo
l'eco, a far la spia, della frase "procura di Lagonegro" che evoca
irresistibilmente i paesini e i cafoni di Alvaro, di Levi, di Cristo s'è
fermato a Eboli (ma forse s'è fermato, il tempo di santificare il
cardinale e di far trasferire a Perdasdefogu lo scomodo procuratore).
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Roma. Bomba in via Tasso 145, al museo della Resistenza. Durante la
guerra c'era la camera di tortura delle Ss. "Muoio per l'Italia",
trovarono scritto a sangue sui muri, dopo la liberazione. Decisero di
non cancellare le scritte, perché si ricordasse che cos'era successo a
Roma.
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Uno dei miei redattori, due anni fa
Il 10 Novembre rimarrà per me una data da ricordare con molto piacere.
E’ iniziato alle ore sette del mattino quando mi è stato detto: oggi per
lei è festa. Effettivamente è gran festa. Nel giro di poche ore sono
passato da una selva oscura al paradiso. Ho iniziato a muovere i primi
tasti al computer. Descrivere le sensazioni che sto provando mi è
difficile. L’unica parola che posso dire è che sono rinato. Fino ad un
anno fa, prima di arrivare alla Seconda Casa Circondariale di Palermo mi
era impensabile pensare di guardare il monitor e scrivere un mio
articolo. Oltre sentire il caos cittadino è l’inizio di un futuro senza
sbarre, proiettato verso il mondo del lavoro. Tutto ciò oltre che per
me, anche per la mia famiglia è motivo di grande soddisfazione. Il solo
pensiero di potermi vedere per sole due ore ogni quindici giorni e
sapendo che dovevo ritornare in quella stanza, li rattristava
profondamente. Adesso i loro visi esprimono gioia da ogni singolo poro,
soprattutto perché sanno la felicità che sto provando.
Il 1997 è l’anno più importante della mia vita, l’anno della fiducia e
dei cambiamenti, della rinascita e dell’ottimismo. Prima di essere
trasferito a Palermo ero molto sfiduciato del lavoro di reinserimento
svolto dagli addetti ai lavori; oggi per mia fortuna ho dovuto
ricredermi e ho ricordato a me stesso che non bisogna mai generalizzare.
Anche in questo ho ricevuto una buona lezione di vita che non potrei mai
dimenticare . Da adolescente volevo diplomarmi in ragioneria, ma col
passare degli anni ho lasciato nel dimenticatoio ogni sogno, perché
pensavo che per ciò che facevo non mi sarebbe servito a nulla. Durante
questa detenzione ho ripreso gli studi e nello scorso mese di luglio ho
conseguito il diploma di ragioniere. Ho superato molti ostacoli
all’interno degli Istituti di Pena, soprattutto in quelli dove non è
consuetudine che un detenuto studi.Ce l’ho fatta anche perché, da quando
ho preso la decisione di riprendere gli studi ero consapevole che un
risultato finale positivo sarebbe stato il lascia passare per un futuro
meno tetro del passato.
Però, devo ricordare che ho avuto un aiuto non meno importante del mio
impegno e volontà da alcuni docenti volontari, soprattutto da parte del
professore V. che due volte la settimana veniva da Trapani a Palermo per
darmi delle lezioni. Questo suo sacrificio mi ha scosso profondamente e
mi ha fatto riflettere molto sul mio comportamento verso il prossimo,
soprattutto mi sono posto una domanda: io l’avrei fatto per un altro
essere umano? In verità non saprei, ma sono certo che le premesse sono
ottime. Il volontariato è molto utile perché non solo dà un aiuto
indispensabile ma riesce a trasmettere molto sul piano morale e sul modo
di vivere.
Ringraziare queste persone che hanno fatto tanto per me non è facile,
forse il modo migliore e apprezzabile sono queste mie parole,
soprattutto testimoniargli che il proprio operato non è stato vano; ha
dato dei buoni frutti. Un grazie di cuore a tutti voi.
Antonio Alessandro C.
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Diffidate dei titoli
scritti in neretto
nascondono le cose più importanti
Diffidate degli articoli di fondo
delle inserzioni
delle quotazioni
delle lettere al direttore
e delle interviste a fine settimana
anche i sondaggi d’opinione
sono manipolati
le notizie varie escogitate
da redattori furbetti
diffidate della terza pagina
delle pagine teatrali - i libri
per lo più sono migliori dei loro recensori
leggete quello che loro hanno sottaciuto
diffidate anche dei poeti
in loro tutto suona
più bello più atemporale
ma non è più vero nè giusto
(Horst Bienek, 1930)
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E' scocciante lanciare sassi nel buio, per quanto uno lo prenda con
leggerezza questo esercizio rischia alle volte di fare un po' ammattire.
Le tue lettere contribuiscono quindi alla mia salute mentale, qualunque
sia il suo (eventuale) valore.
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"A che serve vivere, se non c'è
il coraggio di lottare?" (Giuseppe Fava)
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riccardo orioles <ricc@libero.it>
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tanto per abbaiare
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24 nov.99 - 11
Haider, in Austria, propone di schedare tutti gli "auslander" presenti
nel paese e di fornirli di una carta di colore differente da quella dei
cittadini austriaci. E' il più serio fra i leaders della neo-destra
europea: Le Pen, dopo un brillante inizio, si è rivelato più un sintomo
che una possibile forza di governo. Rauti e Bontempo, in Italia, non
sono riusciti ad andare oltre la generica nostalgia e sono tagliati
fuori dai pur ampi spazi della politica post-democratica. In Inghilterra
e in Germania, la nuova destra è ancora alla fase degli hooligans e non
ha molto a che vedere col dibattito politico reale. In Austria invece la
destra non solo ha vinto le elezioni ma è "ragionevole", "simpatica",
moderna, popolare. Tutto ciò non la porta ad essere anche moderata.
L'ideologia che sta rapidamente sviluppando è infatti quello di un
perfetto nazismo post-moderno, con tanto di teoria del sangue e di
nemico razziale.
Di solito, quando si parla di destra in Austria, il pensiero va ad
Hitler: troppo inumanamente estremista, evidentemente, per essere un
pericolo ora. Errore sopra errore. Hitler (che era un tedesco e viveva
in una città società metropolitana e industriale) non era affatto
percepito come un estremista, negli anni in cui andò al potere. "Buon
senso popolare", ecologismo, lotta alla disoccupazione, inchini a
Hindenburg, conservatorismo morale: senza questi rassicuranti
ingredienti sarebbe rimasto uno dei tanti Maurizio Boccacci di cui il
paese era pieno. Lo stesso antisemitismo veniva accuratamente
posizionato in mezzo a questi ingredienti, e solo in mezzo ad essi; e in
quella prima fase veniva presentato come il classico antisemitismo
"cristiano", non come quello nibelungico degli anni di guerra.
L'hitlerismo, in questi termini, funzionò; si radicò fra la gente,
sedimentò una cultura, durò a lungo. Non funzionò, invece, affatto, la
destra - apparentemente più radicale - delle altre varianti europee. Né
in Polonia né nella Russia dei pogrom l'antisemitismo riuscì a diventare
"politico", ad ottenere effetti che non fossero - dal punto di vista
della destra - provvisori e parziali. Là, infatti, antisemitismo
significava semplicemente perseguitare gli ebrei. Con Hitler significava
organizzare l'assistenza invernale, fare i circoli "Gioia e lavoro",
sviluppare le tecnologie (e le culture delle tecnologie), fare delle
bellissime feste con fisarmoniche e cori - e solo dopo, en passant,
perseguitare gli ebrei;nche se il genocidio era in realtà previsto, fin
dall'inizio, come *la* componente essenziale dell'intero meccanismo.
Prima ancora di Hitler, peraltro, l'antisemitismo - insisto: un
antisemitismo "perbene", tranquillo, nient'affatto "estremista"; oggi
diremmo europeo - aveva precedenti illustri a Vienna. Penso a quel
borgomastro cattolico della Vienna di fine secolo che per due o tre
volte fu eletto plebiscitariamente sulla base di un programma "popolare"
antisemita e per altrettante fu deposto d'autorità dall'Imperialregio
Governo.
Oggi come allora, la destra razzista riesce a incidere, e a essere una
credibile forza di governo, dove non è estremista; senza rinunciare a
niente, esattamente come negli anni Trenta. Haider è già un modello
esplicito, in Baviera, per una parte della politica "perbene"
(esattamente come, nella fase iniziale del suo sviluppo, lo era Hitler
per uomini di Centro come Ribbentrop). Molto più lo sarà nella fase
successiva quando - come già sta cominciando a fare - si svincolerà
dalla forma-partito e comincerà, più "modernamente", a proporsi in
termini di democrazia diretta, di plebiscito quotidiano. Fu questa la
tecnica di Hitler, dopo la fase della rassicurazione iniziale; ma ad
Heider, oggigiorno, le tecnologie danno una marcia in più.
Credo che elementi del suo pacchetto politico, l'anno venturo, saranno
in qualche modo introdotti (non marginalmente) in Svizzera, nella
Germania meridionale, in Slovenia e in Italia, in quest'ultimo caso -
probabilmente - allargando gli spazi culturali lasciati politicamente
scoperti dalla crisi della Lega.
Bene, scusa la pallosità. Di solito, quando scrivo in giornalistese, è
che in realtà - inconsciamente - non avrei voluto affrontare
l'argomento. E in effetti m'ero seduto, in realtà, per scrivere
sull'attentato di via Tasso. Ma qualcosa nel mio hard-disk si dev'essere
rifiutato di affrontare l'orrore delle parole "via Tasso" e ha dunque
tirato fuori trenta righe di "ragionevole" politichese.
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E ancora politichese, visto che siamo ai giardinetti. Non penso - né lo
pensavo anche prima - che in Russia ci fosse qualche sistema
politico-economico alternativo. C'era solo un onesto tentativo di uscire
dal Terzo Mondo, con la complicazione delle guerre (non volute), del
basso livello politico, dell'assenza di una tradizione civile e chi più
ne ha più ne metta. Il "comunismo", dal mio punto di vista, è una cosa
che può succedere a Torino, non a Canicatti' (sono siciliano): se
succede a Canicatti' vuol dire che è un'altra cosa, utile localmente, ma
un'altra cosa. E questo, se vogliamo essere pignoli, Marx l'aveva detto
con molta precisione. Secondo me, un po' di "comunismo" s'è cominciato a
vedere con le minigonne e la contestazione, nel sessantotto. E' durato
poco, perché siamo stati coglioni. Però, se prima o poi ricomincia, i
computer li farà bene.
Capita anche che i rappresentanti di "Torino" (la tecnologia, la vita
moderna, e persino, in un certo senso, il "capitalismo") nel Terzo Mondo
fossero allora proprio i "comunisti", non i vari dittatorelli sostenuti
dalla Cia: Che Guevara era occidentale, Pinochet non lo era affatto.
Adesso che non c'è più Che Guevara, ci sono i militari indonesiani e i
talebani.
Fatemi sapere se v'interessa continuare a discutere di queste faccende o
se vi siete già scocciati.
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A Bologna, in piazza dell'Unità, a venti passi dall'edicola dei
giornali
"In questa piazza il 15 novembre 1944
ebbe luogo la battaglia della Bolognina
fra forze partigiane e invasori nazisti e fascisti
Cittadino che passi
se alzi lo sguardo vedi il fabbricato al civico 5
ove caddero 6 giovani patrioti
combattendo per l'indipendenza della patria
offrirono la vita per la nostra attuale libertà"
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Per collaborare a questa e-zine, o per criticarla o anche
semplicemente per liberarsene, basta scrivere a ricc@libero.it
Non c'e' copyright, ovviamente. Fa' girare.
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"A che serve vivere, se non c'è
il coraggio di lottare?" (Giuseppe Fava)
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Date: Thu, 25 Nov 1999 09:47:25 +0100
From: Riccardo Orioles <ricc@libero.it>
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riccardo orioles <ricc@libero.it>
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tanto per abbaiare
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24 nov.99 - 11
Haider, in Austria, propone di schedare tutti gli "auslander" presenti
nel paese e di fornirli di una carta di colore differente da quella dei
cittadini austriaci. E' il più serio fra i leaders della neo-destra
europea: Le Pen, dopo un brillante inizio, si è rivelato più un sintomo
che una possibile forza di governo. Rauti e Bontempo, in Italia, non
sono riusciti ad andare oltre la generica nostalgia e sono tagliati
fuori dai pur ampi spazi della politica post-democratica. In Inghilterra
e in Germania, la nuova destra è ancora alla fase degli hooligans e non
ha molto a che vedere col dibattito politico reale. In Austria invece la
destra non solo ha vinto le elezioni ma è "ragionevole", "simpatica",
moderna, popolare. Tutto ciò non la porta ad essere anche moderata.
L'ideologia che sta rapidamente sviluppando è infatti quello di un
perfetto nazismo post-moderno, con tanto di teoria del sangue e di
nemico razziale.
Di solito, quando si parla di destra in Austria, il pensiero va ad
Hitler: troppo inumanamente estremista, evidentemente, per essere un
pericolo ora. Errore sopra errore. Hitler (che era un tedesco e viveva
in una città società metropolitana e industriale) non era affatto
percepito come un estremista, negli anni in cui andò al potere. "Buon
senso popolare", ecologismo, lotta alla disoccupazione, inchini a
Hindenburg, conservatorismo morale: senza questi rassicuranti
ingredienti sarebbe rimasto uno dei tanti Maurizio Boccacci di cui il
paese era pieno. Lo stesso antisemitismo veniva accuratamente
posizionato in mezzo a questi ingredienti, e solo in mezzo ad essi; e in
quella prima fase veniva presentato come il classico antisemitismo
"cristiano", non come quello nibelungico degli anni di guerra.
L'hitlerismo, in questi termini, funzionò; si radicò fra la gente,
sedimentò una cultura, durò a lungo. Non funzionò, invece, affatto, la
destra - apparentemente più radicale - delle altre varianti europee. Né
in Polonia né nella Russia dei pogrom l'antisemitismo riuscì a diventare
"politico", ad ottenere effetti che non fossero - dal punto di vista
della destra - provvisori e parziali. Là, infatti, antisemitismo
significava semplicemente perseguitare gli ebrei. Con Hitler significava
organizzare l'assistenza invernale, fare i circoli "Gioia e lavoro",
sviluppare le tecnologie (e le culture delle tecnologie), fare delle
bellissime feste con fisarmoniche e cori - e solo dopo, en passant,
perseguitare gli ebrei;nche se il genocidio era in realtà previsto, fin
dall'inizio, come *la* componente essenziale dell'intero meccanismo.
Prima ancora di Hitler, peraltro, l'antisemitismo - insisto: un
antisemitismo "perbene", tranquillo, nient'affatto "estremista"; oggi
diremmo europeo - aveva precedenti illustri a Vienna. Penso a quel
borgomastro cattolico della Vienna di fine secolo che per due o tre
volte fu eletto plebiscitariamente sulla base di un programma "popolare"
antisemita e per altrettante fu deposto d'autorità dall'Imperialregio
Governo.
Oggi come allora, la destra razzista riesce a incidere, e a essere una
credibile forza di governo, dove non è estremista; senza rinunciare a
niente, esattamente come negli anni Trenta. Haider è già un modello
esplicito, in Baviera, per una parte della politica "perbene"
(esattamente come, nella fase iniziale del suo sviluppo, lo era Hitler
per uomini di Centro come Ribbentrop). Molto più lo sarà nella fase
successiva quando - come già sta cominciando a fare - si svincolerà
dalla forma-partito e comincerà, più "modernamente", a proporsi in
termini di democrazia diretta, di plebiscito quotidiano. Fu questa la
tecnica di Hitler, dopo la fase della rassicurazione iniziale; ma ad
Heider, oggigiorno, le tecnologie danno una marcia in più.
Credo che elementi del suo pacchetto politico, l'anno venturo, saranno
in qualche modo introdotti (non marginalmente) in Svizzera, nella
Germania meridionale, in Slovenia e in Italia, in quest'ultimo caso -
probabilmente - allargando gli spazi culturali lasciati politicamente
scoperti dalla crisi della Lega.
Bene, scusa la pallosità. Di solito, quando scrivo in giornalistese, è
che in realtà - inconsciamente - non avrei voluto affrontare
l'argomento. E in effetti m'ero seduto, in realtà, per scrivere
sull'attentato di via Tasso. Ma qualcosa nel mio hard-disk si dev'essere
rifiutato di affrontare l'orrore delle parole "via Tasso" e ha dunque
tirato fuori trenta righe di "ragionevole" politichese.
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E ancora politichese, visto che siamo ai giardinetti. Non penso - né lo
pensavo anche prima - che in Russia ci fosse qualche sistema
politico-economico alternativo. C'era solo un onesto tentativo di uscire
dal Terzo Mondo, con la complicazione delle guerre (non volute), del
basso livello politico, dell'assenza di una tradizione civile e chi più
ne ha più ne metta. Il "comunismo", dal mio punto di vista, è una cosa
che può succedere a Torino, non a Canicatti' (sono siciliano): se
succede a Canicatti' vuol dire che è un'altra cosa, utile localmente, ma
un'altra cosa. E questo, se vogliamo essere pignoli, Marx l'aveva detto
con molta precisione. Secondo me, un po' di "comunismo" s'è cominciato a
vedere con le minigonne e la contestazione, nel sessantotto. E' durato
poco, perché siamo stati coglioni. Però, se prima o poi ricomincia, i
computer li farà bene.
Capita anche che i rappresentanti di "Torino" (la tecnologia, la vita
moderna, e persino, in un certo senso, il "capitalismo") nel Terzo Mondo
fossero allora proprio i "comunisti", non i vari dittatorelli sostenuti
dalla Cia: Che Guevara era occidentale, Pinochet non lo era affatto.
Adesso che non c'è più Che Guevara, ci sono i militari indonesiani e i
talebani.
Fatemi sapere se v'interessa continuare a discutere di queste faccende o
se vi siete già scocciati.
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A Bologna, in piazza dell'Unità, a venti passi dall'edicola dei giornali
"In questa piazza il 15 novembre 1944
ebbe luogo la battaglia della Bolognina
fra forze partigiane e invasori nazisti e fascisti
Cittadino che passi
se alzi lo sguardo vedi il fabbricato al civico 5
ove caddero 6 giovani patrioti
combattendo per l'indipendenza della patria
offrirono la vita per la nostra attuale libertà"
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Per collaborare a questa e-zine, o per criticarla o anche
semplicemente per liberarsene, basta scrivere a ricc@libero.it
Non c'e' copyright, ovviamente. Fa' girare.
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"A che serve vivere, se non c'è
il coraggio di lottare?" (Giuseppe Fava)
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