Cosa fu veramente la Resistenza



GIAIME PINTOR: Lettera al fratello
28 novembre 1943

In realtà la guerra, ultima fase del fascismo trionfante, ha agito su di
noi più profondamente di quanto risulti a prima vista. La guerra ha
distolto materialmente gli uomini dalle loro abitudini, li ha costretti a
prendere atto con le mani e con gli occhi dei pericoli che minacciano i
presupposti di ogni vita individuale, li ha persuasi che non c'è
possibilità di salvezza nella neutralità e nell'isolamento. Nei più deboli
questa violenza ha agito come una rottura degli schemi esteriori in cui
vivevano: sarà la «generazione perduta » che ha visto infrante le proprie
«carriere»; nei più forti ha portato una massa di materiali grezzi, di
nuovi dati su cui crescerà la nuova esperienza. Senza la guerra io sarei
rimasto un intellettuale con interessi prevalentemente letterari, avrei
discusso i problemi dell'ordine politico, ma soprattutto avrei cercato
nella storia dell'uomo solo le ragioni di un profondo interesse, e
l'incontro con una ragazza o un impulso qualunque alla fantasia avrebbero
contato per me più di ogni partito o dottrina. Altri amici, meglio
disposti a sentire immediatamente il fatto politico, si erano dedicati da
anni alla lotta contro il fascismo. Pur sentendomi sempre più vicino a
loro, non so se mi sarei deciso a impegnarmi totalmente su quella strada:
c'era in me un fondo troppo forte di gusti individuali, d'indifferenza e
di spirito critico per sacrificare tutto questo a una fede collettiva.
Soltanto la guerra ha risolto la situazione, travolgendo certi ostacoli,
sgombrando il terreno da molti comodi ripari e mettendomi brutalmente a
contatto con un mondo inconciliabile.
Credo che per la maggior parte dei miei coetanei questo passaggio sia
stato naturale: la corsa verso la politica è un fenomeno che ho constatato
in molti dei migliori, simile a quello che avvenne in Germania quando si
esaurì l'ultima generazione romantica. Fenomeni di questo genere si
riproducono ogni volta che la politica cessa di essere ordinaria
amministrazione e impegna tutte le forze di una società per salvarla da
una grave malattia, per rispondere a un estremo pericolo. Una società
moderna si basa su una grande varietà di specificazioni, ma può sussistere
soltanto se conserva la possibilità di abolirle a un certo momento per
sacrificare tutto a un'unica esigenza rivoluzionaria. È questo il senso
morale, non tecnico, della mobilitazione: una gioventù che non si conserva
«disponibile», che si perde completamente nelle varie tecniche, è
compromessa. A un certo momento gli intellettuali devono essere capaci di
trasferire la loro esperienza sul terreno dell'utilità comune, ciascuno
deve sapere prendere il suo posto in una organizzazione di combattimento.
Questo vale soprattutto per l'Italia. Parlo dell'Italia non perché mi stia
più a cuore della Germania o dell'America, ma perché gli italiani sono la
parte del genere umano con cui mi trovo naturalmente a contatto e su cui
posso agire più facilmente. Gli italiani sono un popolo fiacco,
profondamente corrotto dalla sua storia recente, sempre sul punto di
cedere a una viltà o a una debolezza. Ma essi continuano a esprimere
minoranze rivoluzionarie di prim'ordine: filosofi e operai che sono
all'avanguardia d'Europa.


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Il 1° dicembre del 1943 Giaime Pintor tentò di raggiungere Roma per
combattere il nazifascismo. Morì a soli 24 anni dilaniato da una mina
dell'esercito tedesco lungo il Volturno.