Taranto come Acerra
Era il 27 Novembre dello scorso anno quando il Ministro dell’Ambiente Clini proponeva per Taranto un modello di legge calzato su misura, invitando a basarsi sull’esperienza di Acerra. Il parallelo però non riguardava affatto le due nefaste situazioni di spaventosa pressione ambientale che accomunano il paese campano alla città pugliese.
Acerra è uno dei tre
vertici del cosiddetto “Triangolo della morte”,
figura geometrica tristemente nota per rappresentare il luogo simbolo
della devastazione ambientale compiuta dalla camorra che, con la
connivenza di politica ed industria del nord d’Italia e d’Europa, ha
letteralmente imbottito i terreni agricoli di rifiuti tossici, usandoli
finanche come concime o arrivando a seppellire intere cisterne
contenenti prodotti di scarto industriale, finendo in tal modo per
compromettere in maniera irreversibile terreni, falde acquifere ed
aria.
Il
simbolo di quei terreni contaminati sono state per anni le pecore dei
fratelli Cannavacciuolo, oggi tutte abbattute, ma all’epoca nate
deformi e già malate per l’insostenibile carico di inquinanti ingeriti
che, come dimostrava una ricerca del CNR di Leopoldo Iannuzzi, aveva
portato a vere e proprie mutazioni genetiche in quel tipo di
animali.
Un
fenomeno drammatico, che oggi, per profonda ignoranza o malafede,
viene ridotto a semplice fenomeno dei “fuochi”, sminuendo la portata di
un dramma poco visibile ma di proporzioni enormi.
Eppure ad Acerra,
nonostante il disastro in atto, nel maggio del 2008 il governo
italiano aveva sommato danno al danno, imponendo, tramite un
decreto
legislativo “speciale”, poi convertito in legge, l’avvio del noto
impianto di termodistruzione, sulla cui inaffidabilità ed illegittimità
sono stati scritti fiumi di inchiostro; oggi addirittura la Regione
Campania, tramite i giornali locali, fa trapelare l’intenzione di
ampliare tale mostro, con l’intento di trasformarlo nel più grande
impianto di incenerimento al mondo.
Taranto è oggi invece la città simbolo dell’inquinamento ambientale di un’industria pesante che non si è fatta scrupolo alcuno nell’agire al di fuori dei principi di cautela a tutela della salute della popolazione locale, dietro la potente clava del ricatto occupazionale. Una gran percentuale dell'inquinamento europeo da diossina proviene da quella città; sono state visionate da un po’ tutti le immagini del mare di Taranto trasformato in una pozza di petrolio provocata dai liquidi di raffreddamento industriale in esso sversati; sono state rilevate ancora in questi giorni, nonostante le ripetute denunce del Fondo Antidiossina, emissioni fuori legge dalle cokerie dell’Ilva; una recentissima denuncia degli ambientalisti locali segnala per di più la rilevazione di piombo nel sangue di un campione di bambini residenti nell’area industriale della città, quale indicatore di una esposizione recente e continuativa a pericolosi inquinanti.
Clini, Clini
l’africano, appellativo conquistato, come ricorda il “Il Fatto
Quotidiano”, per la nota vicenda di accreditamento della società
Eurafrica,
destinata ad incassare dallo Stato italiano, era il 2007, oltre 700
mila euro per la stesura di un fantomatico progetto di bonifica della
discarica di Dandora alla periferia di Nairobi, operazione che fu poi
bloccata dal ministro Pecoraro Scanio quando due giornalisti di Nigrizia
e del Corriere denunciarono l’operazione.
Questo tanto solerte
quanto opaco funzionario dello Stato, onnipresente in ogni nuova
legislatura e divenuto con il Governo Monti addirittura Ministro
dell’Ambiente, il 27 novembre proponeva dunque per Taranto la cura
Acerra, al fine di riutilizzare la stessa procedura di
“militarizzazione” dei territori con la quale si sono imposte per legge
in Campania 11 mega-discariche e l’inceneritore suddetto, deprivando
i cittadini del potere di sovranità sui propri territori ed imponendo
dunque, leggi speciali, sovranazionali e extra-ordinamento, con le
quali consentire allo Stato, sul territorio nazionale, di agire al di
fuori delle norme ordinarie per una presunta finalità di “interesse
nazionale”.
L’esperimento della Campania esportato dunque a Taranto, con
il vergognoso decreto Salva-Ilva
convertito nella legge n. 231/2012 dall’intero precedente arco
parlamentare; un decreto vergognoso che ha l’effetto di rendere non
applicabile ad alcune imprese una parte del codice di procedura
penale per un periodo di tempo che può arrivare fino a 36 mesi.
L’individuazione delle imprese che beneficiano di questo trattamento è
affidata allo stesso Governo, che lo fa attraverso un atto della
Presidenza del Consiglio dei Ministri denominando le stesse “di
interesse strategico nazionale”.
Il risultato di un simile aborto
legislativo
è che se il Ministro dell’Ambiente autorizza “la prosecuzione
dell’attività produttiva” di una industria inquinante sequestrata da un
giudice in via cautelativa, la sua volontà prevale su quella del
giudice stesso.
La Corte Costituzionale,
alla quale in questi giorni i giudici di Taranto, che avevano disposto
il sequestro di parti dell’Ilva, si erano appellati per contestare
l’illeggittimità di una simile legge, si è pronunciata sostenendo nei
fatti che le norme in questione non incidono su procedimento penale in
corso.
È una decisione che come CO.RE.ri. - Coordinamento Regionale
rifiuti della Campania non possiamo che considerare gravissima perché
introduce per la prima volta una scala di priorità aberrante nel
valutare l’importanza dei principi sanciti dalla nostra Carta
costitituzionale, anteponendo
il profitto di pochi, mascherato come interesse strategico nazionale
in termini di tutela del lavoro, alla morte di cittadini
italiani.
Come CO.RE.ri. riteniamo piuttosto che esistano
diritti supremi e inalienabili, la salute e l’ambiente
salubre, quali componenti di uno stesso bene primario,
non suscettibili di alcun condizionamento da parte dei Pubblici
Poteri, che possono al più solo regolamentarli, nella prospettiva di
una tutela e di uno sviluppo ambientalmente sostenibile.
Per tale
motivo esprimiamo piena solidarietà alla popolazione di Taranto
invitando gli ambientalisti locali a valutare se tutto quanto sta
accadendo non possa meritare un ricorso alla Corte Europea dei diritti
dell’uomo.
Napoli, 14/04/2013
Coordinamento Regionale rifiuti della Campania
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