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Censurava l'informazione di guerra. Va in Libia l'ex direttore di Al Jazeera, agganciato alla CIA
- Subject: Censurava l'informazione di guerra. Va in Libia l'ex direttore di Al Jazeera, agganciato alla CIA
- From: Alessandro Marescotti <a.marescotti at peacelink.it>
- Date: Thu, 12 Jan 2012 19:56:00 +0100
Il Qatar mette radici (mediatiche)
in Libia L'emirato punta a plasmare il nuovo sistema di informazione libico per ritagliarsi una posizione di primo piano nel dopo-Gheddafi. Il ruolo del Doha center for media freedom e il paradosso della libertà di stampa di Alma Safira (fonte: Limes) 12 gennaio - L’ex direttore di Aljazeera, Wadah Khanfar, si dimette dal network, vola via da Doha, ma non lascia il Qatar. Infatti lo ritroviamo a Bengasi in un nuovo canale tv aperto grazie al sostegno economico, logistico e tecnico del Qatar. Si pensava che l’ex direttore avrebbe condotto dei corsi di giornalismo a Doha e invece ha preferito rimanere protagonista della politica dei media, sempre come ambasciatore dell’emirato. Il Qatar ha infatti deciso di delineare il profilo della Libia post-Gheddafi a partire dal suo sistema mediatico. Una scelta che implica mettere radici forti nel paese, quel tipo di radici che risalgono a vecchie gratitudini e sono quindi inestirpabili. Il Consiglio nazionale di transizione libico (Cnt) ha presentato a Doha il nuovo Comitato stampa della Libia, che ha preso vita grazie all’intervento di diverse organizzazione qatarine. All’inizio di novembre una delegazione del Doha center for media freedom (Dcmf) è partita per una perlustrazione di una settimana a Bengasi con lo scopo di creare “una pianificazione mediatica sostenibile, libera e indipendente”: sembra lo slogan di una politica energetica più che un aiuto umanitario post-bellico.La delegazione ha fatto un sopralluogo visitando le redazioni dei giornali, radio e televisioni. Hanno preso contatti con attivisti politici, giornalisti, membri del Movimento del 17 febbraio, membri del Cnt e rappresentanti di organizzazioni internazionali in Libia. Non hanno tralasciato nulla. Alla fine tra le varie conclusioni a cui sono arrivati vi è anche che in Libia non vi era un sistema di informazione trasparente e che a volte venivano chiuse le organizzazioni di giornalisti. Certo una novità per i membri del Dcmf che in Qatar hanno centinaia di giornalisti senza istituzioni o associazioni che li rappresentino. Quando è stato chiesto a Jan Keulen, Direttore del Doha center for media freedom, di aprire un’associazione di giornalisti in Qatar, la sua risposta è stata che non era compito suo, ma che la categoria avrebbe dovuto prendere l’iniziativa. Però andare a farlo in Libia gli è sembrato poter essere una sua mansione. Una coerenza e razionalità che nessuno ha messo in discussione. Tutto questo è successo tra ottobre e novembre. Già a dicembre i membri del Cnt erano a Doha per celebrare l’apertura di uno nuovo sistema mediatico che prende vita grazie al supporto finanziario del Qatar, che ha fornito nuove infrastrutture, training per i giornalisti e anche una cornice giuridica per la stampa. Quest’ultima conquista era stata elaborata grazie a un periodo di brain storming con la Northwestern university di Doha in cui si era provveduto alla stesura di un codice etico per i giornalisti e più in generale della regolamentazione dei media in Libia. Abdulhafeedh Ghoga, vicepresidente e portavoce del Consiglio nazionale di transizione libico e ora anche membro del Comitato stampa libico, afferma in una conferenza stampa a Doha che la Libia deve avere un sistema di informazione libero, aperto e indipendente e che per raggiungere questo obiettivo la Northwestern li ha guidati verso l’individuazione di sei principi base per una regolamentazione che prevede anche l’istituzione di autorità di monitoraggio e di un sistema privato di media non sottoposti al controllo statale. Quando gli viene chiesto cosa succederà dei migliaia di giornalisti che lavoravano per Gheddafi, Ghoga risponde che Gheddafi non aveva un sistema mediatico, ma solo il caos e che quindi ora non hanno problemi di gestione dei giornalisti di Gheddafi perché non vi erano giornalisti. Una risposta che non convince, ma per la quale almeno ha tentato di elaborare qualcosa. Alla domanda se una Libia democratica avrà una stampa più libera di quella del Golfo, in cui non vi è democrazia, Ghoga ride imbarazzato e decide di non rispondere. Salem Gnan, membro del Consiglio nazionale di transizione per la città di Nalut, sulle montagne occidentali, decide di toglierlo dall’imbarazzo.“La nostra gente ha pagato con il sangue la propria libertà, quindi non accetteranno mai nessun dittatore nel paese” risponde Gnan. Peccato che siano venuti in Qatar per dirlo e che i tanto rivoluzionari libici stiano lasciando all’emirato una posizione privilegiata in Libia. Ma chi è Wadah Khanfar? Il direttore generale di Al Jazeera, Wadah Khanfar, si è dimesso. E’ di ieri la notizia del suo abbandono del network, che ha subito fatto parlare. Nei suoi otto anni alla guida della rete, Khanfar ha trasformato Al Jazeera in un potente media nel Medio Oriente suscitando spesso le ire degli Stati Uniti. Il canale satellitare, finanziato dal Qatar, è stato infatti fortemente critico riguardo la politica estera degli Stati Uniti in Afghanistan, Iraq e nei territori palestinesi. Il caso però ha voluto che secondo alcuni dispacci pubblicati da Wikileaks lo scorso 30 agosto, Al Jazeera avrebbe avuto rapporti stretti con un partner sorprendente: gli Stati Uniti. E sembrerebbe che siano stati proprio i dispacci delle ambasciate a suscitare l’imbarazzo di Khanfar e a portarlo verso la strada delle dimissioni. Secondo i dispacci che risalgono all’ottobre 2005, i funzionari americani avrebbero consegnato, durante un incontro con il direttore di Al Jazeera, la copia di un rapporto della Dia (United States Defense Intelligence Agency) che accusava Al Jazeera di coprire la guerra in Iraq da una prospettiva anti-americana. Durante quell’incontro e a seguito delle pressioni degli americani, Khanfar avrebbe dato il suo assenso all’intelligence Usa a mantenere toni bassi, non mostrando immagini ritenute “scomode” come quelle delle truppe statunitensi sotto il fuoco degli insorti e quelle di donne e bambini feriti. Ludovica Amici - Il Fatto Quotidiano 22 settembre 2011 |
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