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Il fattore piazza
- Subject: Il fattore piazza
- From: Giornalismo partecipativo <gc at gennarocarotenuto.it>
- Date: Tue, 15 Feb 2011 08:52:13 +0100
- Sender: garibaldiuy at gmail.com
Il fattore piazza
La necessità, l’indispensabilità, per un grande paese qual è l’Italia di iniziare dal liberarsi di Silvio Berlusconi e dei suoi cortigiani per poter poi intraprendere una seconda grande ricostruzione, etica, morale, economica, culturale, d’idee e progetti, a quasi settant’anni da quella del dopoguerra e dalla nascita della Repubblica, ha ritrovato domenica l’opzione “mobilitazione popolare”.
Non che la piazza non sia stata mai evocata
dall’opposizione parlamentare durante il ventennio berlusconiano.
Perfino un dirigente particolarmente lontano dalla logica politica del
Novecento delle masse, come Walter Veltroni, volle ed ebbe i suoi bagni
di folla. Ma quando l’opposizione parlamentare ha evocato le masse, le
proprie masse del popolo di sinistra, lo ha fatto sempre in un contesto
di autolegittimazione, irregimentando quelle stesse masse per esempio
con primarie confermative di scelte già fatte, e mai calcando la mano su
elementi di critica al regime e al modello economico che pure quelle
masse avrebbero condiviso con entusiasmo.
In altri casi, dal Circo Massimo della CGIL, ai
movimenti sociali di Genova, ai girotondi, al Nanni Moretti di Piazza
Navona del “con questi dirigenti non vinceremo mai”, fino al popolo
viola, ai San Precario e perfino ai grillini, quando le masse si sono
autoconvocate queste hanno sempre trovato la presa di distanza se non
l’aperta avversione da parte dell’opposizione parlamentare.
Se tali mobilitazioni, spesso imponenti ed
espressione dell’enorme fiume carsico dell’Italia civile, sono nel tempo
declinate, è stato innanzitutto nell’impossibilità di stabilire un
rapporto dialettico tra masse e politica ufficiale. Quest’ultima, in
particolare quello che sarebbe divenuto il Partito Democratico, ha visto
a ragione nei movimenti una messa in discussione, una critica aperta
della propria inanità a liberare il paese da Berlusconi ed a pensare,
sarebbe il compito della politica, un paese differente.
Sempre più spesso le masse, nel non sentirsi più
rappresentate dalla politica, hanno interpretato più un “que se vayan
todos” argentino (“che vadano via tutti” era lo slogan con il quale fu
abbattuto il regime neoliberale nel 2001) che la possibilità di
incarnare un progetto e un programma politico e renderlo vincente almeno
per l’Italia che si astiene se non per un frammento di quelli che
votano per il puttaniere lombardo.
Le donne e gli uomini scesi magnificamente in piazza
domenica possono finire nel novero delle occasioni perdute come altre
precedenti, spesso altrettanto ingenti e alte, o possono rappresentare
un fatto nuovo. Se un fatto nuovo c’è, e c’è, in quanto avvenuto
domenica, vi è il superamento di steccati politici in nome di una
dignità dell’esistenza umiliata dal modello così bene incarnata dal Raìs
di Arcore.
E’ la dignità violata non solo sul corpo delle donne
da Berlusconi ma è la dignità violata delle esistenze precarie a
essersi rimessa per l’ennesima volta in cammino domenica. Prostituisciti
o trovati un fidanzato ricco, dice Silvio a donne e uomini. Mettiti sul
mercato perché alternativa non c’è, fa eco l’opposizione.
Anche in passato milioni di donne e uomini hanno
detto no. La differenza, nel tempo, non sta tanto in un logoramento
progressivo del regime che forse può essere ancora salvato da un tocco
di cerone televisivo. La differenza è che la crisi verticale del modello
rende una chimera anche l’adesione edulcorata al sistema rappresentata
dall’opposizione.
Le scuole, le università, gli ospedali, la cultura,
gli indici di natalità, la sicurezza sul lavoro e del lavoro, la dignità
dei rapporti umani, l’abbattimento di un modello culturale
esclusivamente basato sul successo economico, hanno bisogno di una
mobilitazione costante ed immediata.
Come per i nostri fratelli della sponda sud del Mediterraneo, che
hanno dimostrato di saper abbattere regimi forse più corrotti e
repressivi del nostro (ma meno pervasivi culturalmente), è giunto il
tempo di una mobilitazione permanente, indipendente dall’inazione della
politica ufficiale, nelle piazze e nella vita, fino alla caduta del
tiranno e poi per l’arduo compito di ricostruire il paese. L’opposizione
parlamentare dovrà essere all’altezza o sarà travolta insieme al
regime. “Se non ora, quando”?
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Gennaro Carotenuto per Giornalismo partecipativo
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